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Autore: Madame_Padfoot93    29/06/2017    2 recensioni
Nel freddo di quella tenda, Harry si sente un fallito, un ragazzo solo abbandonato da tutti. Persino da chi credeva gli fosse più amico. Sente il bisogno di avere qualcuno vicino, il desiderio che nessun altro lo abbandoni.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Harry/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VII libro alternativo
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Profumo di neve

 



"Pensavamo che tu sapessi cosa stavi facendo!"*
Quelle parole rimbombavano nella testa di Harry da giorni. Da quella notte in cui Ron era andato via. Da quando lo aveva accusato di non essere stato capace di guidarli. Dal momento in cui lo aveva disprezzato, perché non si preoccupava abbastanza della sua famiglia.

"Pensavamo che tu sapessi cosa stavi facendo!"
In quella gelida notte piovosa, il suo migliore amico, la sua spalla, il suo sostegno se n’era andato, rovesciandogli addosso tutto il suo astio, il suo livore, la preoccupazione, il dolore.

"Pensavamo che tu sapessi cosa stavi facendo!"
E invece Harry non lo sapeva. Non era un leader. Non era mai stato un vero capitano.
Silente lo aveva lasciato allo sbando, dandogli pochissime informazioni. Non sapeva a cosa appigliarsi. Erano loro, i suoi amici, l’unica vera certezza in quel gelido vuoto che lo stava risucchiando. E adesso, persino quella gli stava scivolando dalle dita.
Harry non sapeva. Non sapeva dove andare, cosa cercare… Ogni idea era stata stroncata, ogni speranza sotterrata, ogni ipotesi rigettata. Erano mesi che vagavano senza sosta e senza una reale meta per tutta la Gran Bretagna e l’unico risultato ottenuto era un sempre più crescente risentimento. Un risentimento che procedeva di pari passo con quel gelido inverno, diventando sempre più freddo, più tagliente, più cattivo.
Non era solo la fame per la scarsissima quantità di viveri. Non era solo la stanchezza o il fatto che il braccio gli dolesse dopo essersi Spaccato. Non era solo l’inquietante presenza viva e pulsante del medaglione. No, Ron si era semplicemente stancato. E come poteva dargli torto? Il continuo andare in circolo, le idee e le ipotesi campate in aria, la mancanza di cibo, il non sapere cosa fare, l’opprimente sensazione che sarebbe potuto morire solo perché quel maledettissimo giorno, in quello scompartimento su quel dannato treno aveva trovato lui, Harry. Ron si sentiva in pericolo perché era amico di Harry. Ron aveva abbandonato tutti gli affetti per seguire Harry. Ron stava rischiando la vita per colpa di Harry. Voleva solo essere un ragazzo normale, con amici normali e una vita normale. Voleva passeggiare mano nella mano con la ragazza che amava e non condividerla con un altro in una tenda ammuffita, nel freddo e nell’indecisione. Ed Harry lo capiva benissimo. Perché si sentiva allo stesso modo.

Perché a me? Perché io?
Hermione, però, era rimasta. Non lo aveva abbandonato. Non aveva seguito Ron. Era rimasta, in quella fredda e umida tenda con lui. Per lui.


 

«Resti o cosa?»
«Sì... sì, io resto, Ron, avevamo detto che saremmo andati con Harry, che l’avremmo aiutato...»*

 

Ma presto anche lei lo avrebbe lasciato. Di questo Harry ne era certo. Anche lei credeva che fosse un incapace. Anche lei voleva andarsene, abbandonarlo. Ron era stato molto chiaro, in fondo.
Pensavamo...
Hermione se ne sarebbe andata, come aveva già fatto Ron; come lo avevano abbandonato Silente, Sirius, Edvige, i suoi genitori; come aveva costretto Lupin a fare lo stesso… Come lui aveva abbandonato Ginny.
E poi se lo aspettava: li aveva visti quegli sguardi delusi, le aveva sentite le frasi spezzate al suo sopraggiungere, aveva percepito la loro mancanza di fiducia, ogni giorno più forte, più tangibile.
Tutti, a poco a poco, lo stavano lasciando. E presto anche Hermione si sarebbe stancata di lui. Presto lo avrebbe guardato con lo stesso sguardo cattivo, vuoto e glaciale che poco prima gli aveva rivolto Ron. E lui sentiva di meritare quella coltre di solitudine, quel vuoto gelido, quel freddo inverno. Aveva fallito. Fallito su ogni fronte.
E quelle parole, fredde e crudeli, di Ron continuavano a perforargli il cervello, come un pugnale di ghiaccio. Lo aveva accusato di non tenere alla sorella, di infischiarsene di lei. Di averla sedotta e abbandonata. E forse… forse era vero.
Pregava ogni notte che Ginny lo dimenticasse, che trovasse un bravo ragazzo gentile e innamorato. Un uomo che non aveva altri pensieri se non per lei. Un uomo che non doveva sostenere sulle sue spalle il peso del Mondo Magico e che non l’avrebbe mai abbandonata. Qualcuno che non avrebbe mai fallito, che non sarebbe mai stato un fallito. Un uomo che non stava andando incontro a una morte sicura.
Che ne sapevano gli altri? Cosa potevano saperne tutti quanti della tempesta continua e incessante, del freddo impetuoso, della fredda sensazione di paura che lo attanagliava ormai da tanto tempo? Come avrebbero potuto capire cosa si provava a sentirsi “Il Prescelto”? Harry sorrise, amaramente.
Prescelto.
Lui non era “Il Prescelto”. Lui si era trovato solo in mezzo. Era stato scelto da un pazzo, da un folle che aveva sterminato la sua famiglia, distrutto la sua esistenza, rovinato la sua vita.
Chi mai avrebbe potuto capirlo?
Eppure Hermione era ancora là, dentro quella tenda. Hermione era vicino a lui, ma allo stesso tempo distante, lontana. Seduto sul terreno gelido e bagnato, davanti l’entrata della tenda, poteva sentirla singhiozzare, piangere, sussurrare il nome di Ron. Un richiamo a cui nessuno avrebbe risposto. Una litania lenta e straziante che solo Harry avrebbe ascoltato. Una preghiera a cui anche lui, silenziosamente, si era unito.
«Ron… Ron… stupido… Ron… ». La voce di Hermione era scossa da sussulti e tra una parola e l’altra cercava di riprendere fiato, affannosamente.
Ma per quanto lo chiamasse, lo invocasse, Ron non sarebbe tornato. Anche se avesse voluto, gli incantesimi di protezione imposti erano abbastanza potenti da renderli invisibili al mondo intero.
Ron era andato via e non sarebbe più tornato.

L’animo di Harry oscillava tra il dolore e la rabbia, tra la collera e il rimpianto. Ron se ne era andato e per Harry era stato come liberarsi di un peso. Come se quell’aria fredda avesse spazzato via tutta la sua negatività. Si ripeteva, nella sua testa, di star meglio senza di lui, che non gli serviva affatto la sua presenza, che era stato un bene che Ron si fosse allontanato. Ma sapeva che quelle erano solo bugie. Ron era andato via e Hermione piangeva dentro quella tenda umida e ammuffita.


Ginny rideva felice. Stava correndo tra l’erba alta della collina dietro la Tana.
«Prova a prendermi, Harry!»
Harry la inseguiva, cercando di non inciampare, allungando le mani. Più si tendeva verso lei, più sembrava essere irragiungibile.
«Prova a prendermi, Harry!»
I capelli di lei brillava sotto il sole luminoso e sembravano emanare riflessi dorati. Harry si allungava, stendeva le dita ma quel boccino sembrava sfuggirgli.
«Prova a prendermi, Harry!»
Sembrava essere una cantilena, incessante, ripetitiva. Ma il sole si oscurò. Divenne immediatamente buio. Il prato sparì. Sembrava essere sospeso nel vuoto.
«Tu mi hai abbandonata!» urlava, piangente, Ginny di fronte a lui.
Lui provò a dirle che non era vero, che l’aveva lasciata per proteggerla… ma dalla sua bocca non uscì un solo suono. Sentiva la sgradevole sensazione di voler gridare senza riuscire a farlo. Ron si avvicinò alla sorella, lo sguardo sprezzante, la voce cattiva.
«Che cosa ti aspettavi? Lui abbandona chiunque gli sia di peso. Ed è questo che è mia sorella per te, no Harry? Un peso.»
Ed Harry voleva urlare, dire che non era vero, che Ginny contava tantissimo per lui. Ma non riusciva a farlo. E poi Ron si avvicinò ancora di più a lei, si mise alle sue spalle. Solo che non sembrava più lui. Aveva occhi scarlatti, ridotti a due fessure. La pelle pallida e tesa. Dita lunghe e affusolate. Ginny singhiozzava.

«Harry… Harry… HARRY!»




Aprì gli occhi di scatto. Hermione, sopra di lui, aveva il viso teso e preoccupato. Si trovava ancora seduto, sul terreno freddo e bagnato, davanti la tenda, sperduto da qualche parte dell’Inghilterra. Era solo un sogno.
«Harry! Finalmente sei sveglio… Eri di nuovo nella sua testa?»
Il tono di Hermione era accusatorio, freddo, quasi arrabbiato. Ma nei suoi occhi si poteva scorgere la preoccupazione, l’angoscia. Voleva sapere. Magari sperava che si trattasse di Ron: qualunque informazione su di lui, anche la peggiore, l’avrebbe risollevata dall’incertezza.
«No… No, non c’entra. Era… solo un brutto sogno. Tranquilla.» provò a sorriderle Harry.
Lei sospirò e gli sedette vicino. Gli arruffò i capelli sudati, incollati alla fronte.
«Non è tutta la verità, mi stai nascondendo qualcosa. Ma va bene così.» disse lei, un po’ meno tesa. Aveva ancora gli occhi gonfi e arrossati, lucidi per le lacrime che dovevano ancora scendere. Aveva il viso ancora più pallido de solito, le guance ancor più infossate, profonde occhiaie scure.
Hermione emise un altro lieve sospiro e poggiò la testa sulla spalla dell’amico. Harry le strinse la mano: voleva confidarsi con lei, almeno in parte. Non le raccontò del sogno, volendo evitare di parlare di Ron. Le parlò invece dei suoi dubbi, delle sue preoccupazioni, delle paure e delle sensazioni che stava vivendo. Lei lo lasciò sfogare, senza mai intervenire, finché non parlò di Ginny e di come sentisse di averla abbandonata.
«Ma Harry, tu non hai affatto abbandonato Ginny… Come puoi pensarlo?» disse lei, con dolcezza, rialzando il viso e guardandolo negli occhi. Harry le sorrise, un sorriso pieno di amarezza. Un sorriso bloccato, congelato, come se fosse stato scolpito nel ghiaccio.
Lievi fiocchi di neve cominciarono a punteggiare il terreno accanto a loro, i loro vestiti, le loro mani intrecciate, le punte dei loro nasi. Gli occhiali di lui si appannarono e le guance di lei di fecero ancor più rosse, risaltando sulla pelle nivea. I leggiadri puntini gelidi danzavano, sospinti dal vento, guidati da una musica inudibile. Dalle bocche dei due ragazzi l’aria usciva in piccole nuvolette. Ma nessuno si voleva muovere, congelati in quella pace e in quel silenzio che li avvolgeva. La neve sembrava ricoprire tutto, pulire lo scenario davanti a loro. E, allo stesso tempo, ripulire l’amarezza e la tristezza. Harry non sapeva per quanto tempo fossero rimasti lì, a vedere la neve vorticare, imbiancare il modo, quando Hermione tremò lievemente e lui propose di ritornare dentro.

Alla luce del fuoco magico, i tratti di Hermione sembravano farsi più scuri, più spigolosi. La fronte era corrucciata, lo sguardo concentrato sulle lingue di fuoco blu che crepitavano silenziosamente, la bocca stretta in una smorfia. Harry la stava osservando di sottecchi, fingendo di dormire. Lei aveva deciso di montare il primo turno di guardia, ma si vedeva la sua faccia stravolta dalla fatica e dal dolore. Si notava come stesse cercando di trattenere il pianto.
Sta pensando a lui.
Quel nome era diventato un tabù, impronunciabile persino nei pensieri.
Gli occhi di Hermione cominciarono a brillare e due piccole stille scesero lungo le sue gote. E poi altre, altre ed altre ancora. Finché non divenne un pianto, un lamento da animale ferito. I singhiozzi le sconquassavano le spalle, la bocca si era allargata in maniera tale da distorcere i suoi tratti. La mano, tremante, cercava di trattenere i rumori emessi. La bacchetta le scivolò dalle dita e tutto si fece buio. Dall’entrata della tenda si scorgeva solo un piccolissimo fiotto di luce: aveva smesso di nevica, il cielo era sgombro dalle nubi, la luna piena splendeva.
Harry non poteva più sopportare. Non poteva più tollerare quel pianto, non voleva più sentire quei singhiozzi. Si alzò, gettando le coperte con forza e le si avvicinò. Le passò un braccio attorno alle spalle, portandosela vicina, circondandola poi anche con l’altro. Lei pianse ancor più forte, senza controllo, bagnandogli il maglione. Dalle labbra secche e spaccate uscivano suoni indistinti, incomprensibili. Quella che stava stringendo, quella a cui stava accarezzando i capelli, quella a cui stava asciugando le lacrime con i pollici non poteva essere Hermione.
Quella creatura, quell’essere ferito e tormentato che aveva di fronte non poteva essere la sua amica.
Chi sei tu?
Harry l'aveva allontanata un poco da sé, tenendole il viso fra le mani. Alla penombra offerta da quello spicchio di luce bianca poteva veder brillare ancora le lacrime negli occhi scuri di lei, le labbra tremanti. Sembrava così indifesa, così fragile, così sola. Era sola così come lui. Erano insieme in quella tenda, ma così soli, distanti.
Hermione poggiò le mani su quelle di Harry, cercando di ricomporsi, di trattenere i singhiozzi. Lo guardò negli occhi. Fu un attimo. Un solo attimo.
Lei avvicinò il viso a quello di lui, lentamente. Harry non si scostò, non voleva farlo. La sua bocca si poggiò piano su quella di lei, cercando le sue labbra, baciandole con lieve dolcezza. Il bacio di lei era delicato, leggero, come quando i piccoli fiocchi di neve si appoggiano sulla pelle calda. Ma quel bacio si fece più urgente, affrettato, necessario. Era diventato avido, prepotente, assetato. Un disperato allarme, un furioso bisogno.
Harry sapeva, sapeva bene che quello che stava facendo era sbagliato, sotto tanti punti di vista.
Stava ferendo Ginny.
Stava ferendo Ron.
Stava ferendo Hermione e se stesso.
Ma non gli importava. In quel momento aveva bisogno delle sue labbra, di quel bacio, di quelle lievi carezze tra loro.
E con la stessa feroce urgenza con cui la stava baciando, le sfilò il pesante maglione, la maglia più leggera. Esplorava il suo corpo, mentre lei lo implorava di continuare.
Anche tu senti il mio stesso bisogno? Anche tu senti quest'urgenza?
Aveva bisogno che lei non lo abbandonasse, che restasse al suo fianco. Aveva bisogno di lei e del profumo di neve che respirava, a pieni polmoni, dal suo corpo.
I capelli di Hermione diventavano sempre più lisci, più rossi. Il suo viso più pieno e ricoperto di lentiggini. Gli occhi si schiarivano, le labbra si facevano più piene.
Il mattino successivo si svegliarono ancora avvinghiati, in un ammasso di corpi, pelle, coperte, sudore, lacrime. Non si rivolsero parola fino a sera, quando quella morsa affamata di paura e bisogno si fece risentire. Accadde, di nuovo. E poi ancora e ancora. E il tutto era sempre meno feroce, sempre meno angoscioso, ma più dolce, più delicato. Non gli importava che lei lo chiamasse "Ron". Voleva solo che lei restasse, che non lo abbandonasse.

Ma lei non lo avrebbe mai abbandonato.


Tutto finì quando Ron tornò.
Li aveva abbandonati, chi mai poteva immaginarsi che sarebbe tornato?
Ron era tornato con mille rimorsi, mille scuse, mille rimpianti. Ma era lì, con loro. Era di nuovo con loro. E tra loro c'era anche quel segreto, quell'oscuro, sporco segreto. Un segreto fatto di bisogno, di fame, di desiderio. Il desiderio di non essere di nuovo abbandonati, di avere qualcuno accanto. Harry e Hermione non avevano condiviso altro che il bisogno di sentirsi vicini.


Harry passeggiava lungo il parco innevato.
C'era un gran silenzio e tanta pace. Tutto sembrava più pulito, più puro.
Guardava James e Al ammucchiare la neve, nel tentativo di farne un pupazzo. Ginny li controllava seduta su una panchina, la mano sul ventre leggermente arrotondato, un sorriso felice sul volto.
Harry non era più solo. Ginny non lo avrebbe mai abbandonato. Così come quel profumo di neve.







*Le frasi sono tratte da Harry Potter e i Doni della Morte, cap. 15 "La vendetta del folletto"




Note d'autore:
Questa mia storia nasce come proposta per un contest, ma non la trovavo molto convincente. Ora ho deciso di pubblicare, anche per avere una vostra opinione. Spero di avervi incuriosito. Vi mando un grande bacio
Ciriciao!

 
Madame_Padfoot







 

 
  
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