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Autore: marina di pirgy    29/06/2017    0 recensioni
Questo è un racconto di rimpianto, di Amore perduto nel silenzio e nel rumore, di promesse segrete e spezzate.
Se aveste la possibilità di confessare tutti I segreti della vostra vita lo fareste? se poteste sapere tutto di qualcuno avreste il coraggio di chiedere qualunque cosa?
quarto posto per il premio Barbara Cosentino 2017
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo è un racconto di rimpianto, di Amore perduto nel silenzio e nel rumore, di promesse segrete e spezzate.
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Un’assurda quantità di libri, sparsi per tutta casa, emanava il profumo che ha la carta quando è stata consumata dagli occhi voraci di un lettore. Erano dispersi disordinatamente tra una stanza e l’altra, alcuni ancora aperti a metà, con un segnalibro o una piccola orecchia su una pagina. Giacevano immobili, pronti per essere letti e liberare nuovi antichi segreti. Derek Miller era accasciato contro la parete del salone disordinato, il cielo alle sue spalle regalava fruscii di foglie mosse dal vento, davanti a sé non riusciva a vedere altro se non solitudine, mentre a poco a poco si rendeva conto che quei libri sarebbero rimasti come inconclusi per sempre. Sarebbero rimasti fedelmente bloccati a metà di una riga in attesa che lei li prendesse in mano con calma per continuare a leggerli, ma non sarebbe mai successo. Lei li aveva abbandonati e quei libri sarebbero rimasti soli, in bilico.
Con la disperazione di chi non è in grado di sopportare il silenzio si abbatté sulle pile di libri tirandoli contro i cuscini dei divani, scaraventandoli contro i muri. Piangendo con rabbia rumorosa si accasciò a terra sempre più consapevole del vuoto dentro di sé, una mano abbandonata fra i capelli che iniziavano ad ingrigirsi, le guance tracciate da brevi sentieri di lacrime, la bocca semiaperta ancora piena di cose da dire.
Nel piangere Derek non sentì i passi di sua figlia che scendeva le scale, la bambina aveva i capelli sciolti che cadevano oltre le sue spalle, gli occhi tristi di chi sa già la risposta a una domanda che deve fare comunque.
“Papà?” aveva una voce troppo piccola perché il padre le prestasse attenzione.
“Papà?” si trovò costretta a ripetere. Le sue mani erano strette a pugno, cercava di nascondere quanto stessero tremando. Derek osservò stanco la sagoma di sua figlia, sfocata dal pianto dei suoi occhi. Era troppo piccola per riempire quel vuoto, si rese conto con profonda vergogna: quella bambina cocciuta e intelligente non gli sarebbe mai bastata, non sarebbe mai più stato completamente padre, né uomo.
“Vai di sopra Sara.” La cacciò via con crudeltà.
“Voglio che questa roba sparisca.” Affermò con secca decisione Derek, lasciando cadere uno scatolone di libri sulla scrivania del libraio provocando una piccola nuvola di polvere. Dentro
allo scatolone di cartone c’erano una grande quantità di libri che apparivano vecchi e consumati. “Sono i vecchi libri di Lydia, non li voglio, ho pensato che ti potessero essere utili.”
“Ne sei sicuro?” disse il libraio Marcus Long adocchiando i libri con trepidazione. Lasciò scorrere le dita sulle copertine scucite, quasi riusciva a sentirla attraverso la stoffa: Lydia. Era stata l’unica che avesse mai guardato, l’unica che avesse mai voluto guardare.
“Sì.” L’uomo si infilò la mano nella tasca della giacca e ne tirò fuori un quaderno blu scuro chiuso da un laccio di cuoio. “Anche questo… prenditelo.”
Il quaderno cadde sulla scrivania accanto allo scatolone con un tonfo che sembrò due volte più forte, Derek non gli rivolse nemmeno uno sguardo, non ne aveva il coraggio. Marcus al contrario lo studiava con occhio meschino ed egoista, pregustandone già la lettura. Da una parte sperava di ritrovare fra quelle pagine il ricordo della sua Lydia; dall’altra sapeva che vedere quel quaderno blu in mano a lui avrebbe portato a Derek grande sofferenza. Era infatti quanto di più reale fosse rimasto ai due uomini della donna che entrambi avevano amato, lasciare quella misera reliquia nelle mani di qualcun altro avrebbe ferito Derek irreparabilmente. Ma non poteva tenerlo perché ogni volta che posava lo sguardo su quel quaderno gli sembrava di essere stato pugnalato. L’odio ormai radicato e profondo di Marcus nei confronti di Derek lo rendeva sadicamente felice della sua disperazione.
Senza aggiungere altro il padre di Sara fece per uscire, solo una volta raggiunta la porta parlò ancora, dando le spalle al libraio forse per disinteresse forse per vergogna “Sara non deve mai saperne nulla, mia figlia non deve avere niente a che fare con questa robaccia.”
“Non è mai stata robaccia per Lydia.” Ribatté in fretta Marcus sentendosi chiamato in causa.
“Lydia è morta, scelgo io cosa è meglio per mia figlia. Che non venga mai a sapere nulla della Palude delle Cose Non Dette, Marcus.” Detto questo uscì dalla biblioteca convinto che non ci sarebbe tornato mai più.
Marcus Long depositò lo scatolone nell’archivio e tornò alla sua scrivania vicino all’ingresso stringendo fra le mani il quaderno di Lydia con sguardo ingordo.
Marcus Long era cresciuto fra gente umile, semplice, secondo lui inferiore. Guardava con disprezzo il padre che era un misero meccanico, e con ancor maggiore ribrezzo i due fratelli i quali non aspiravano ad altro se non a seguire il mestiere paterno. Si era sempre fatto un vanto di riuscire a vedere la realtà del mondo oltre l’aspetto banale e superficiale, chiaro a tutti; purtroppo per lui il suo atteggiamento di superiorità lo aveva semplicemente portato alla solitudine. Non lo avrebbe mai ammesso a nessuno, e sicuramente non a se stesso, ma Marcus Long era un uomo solo e triste, con un’anima incartapecorita dalla superbia e dalla desolazione che lui stesso si era creato attorno.
Lydia Carson era tutta un’altra storia, completamente diversa dal resto delle persone patetiche che abitavano il pianeta: lei era perfetta. Aveva fuochi al posto delle pupille, il suo intero corpo era una fiamma che contorcendosi e danzando attirava le persone a sé. Anni prima, quando si erano incontrati all’università, nel sentirla parlare della Palude delle Cose Non Dette, nel guardarla cercare per ore e ore un modo di raggiungere quel luogo fiabesco e assurdo, Marcus si era reso conto di volerla per sé.
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Erano passati più di dieci anni dalla morte di Lydia quando Zac e Ian Tyler uscirono di casa insieme, verso le tre del pomeriggio. L’appartamento che dividevano era a pochi minuti dalla biblioteca del paese, non sarebbero arrivati in ritardo al loro appuntamento, ma in ogni caso Zac chiuse la porta scocciato lanciando un’occhiataccia al fratello che era come al solito lento nell’uscire di casa. Ian rispose scuotendo le spalle e rivolgendogli un mezzo sorriso rilassato, quasi divertito da tutta la fretta del fratello.
“Hanna non arriverà comunque prima di dieci minuti.” Ricordò Ian a Zac, cercando di costringerlo a rallentare il passo.
“Lee sarà già lì da un pezzo.”
“Lee è sempre in anticipo.”
Non aggiunsero altro camminando a ritmo svelto verso la biblioteca, Ian teneva sottobraccio alcuni libri di matematica e fisica da cui spuntavano vari foglietti di appunti disordinati e accartocciati. Zac guardò il fratello con disapprovazione prima di decidere di ignorare il suo disordine e accendersi una sigaretta.
Nonostante fumasse velocemente, un po’ per noia, un po’ per il nervosismo di essere in ritardo, arrivarono prima che lui avesse finito; davanti all’entrata c’era un’altra ragazza a metà di una sigaretta. Aveva capelli biondi lunghi solo fino alle spalle, alcune ciocche sul basso erano tinte di un rosa ormai sbiadito, la linea delle labbra truccate di rosso era interrotta da un anellino d’argento infilato nella carne, le mani leggermente intorpidite e sporche di inchiostro reggevano la sigaretta con la sicurezza strascicata di chi ne ha fumate molte.
Salutò i ragazzi con un cenno e Zac si fermò con lei a fumare mentre Ian raggiungeva Lee dentro la biblioteca. Lo trovò già assorto nel libro di preparazione al SAT, tracciava con la matita alcuni esercizi premendo sul foglio tanto forte da arrivare quasi a bucarlo, un sorriso sollevato gli si dipinse sul viso quando Ian gli diede una pacca sulla spalla e si sedette accanto a lui. Erano circa due mesi che Ian aiutava Lee e Hanna a preparare la parte di matematica del SAT: non erano riusciti a passarlo al primo tentativo ed entrambi avrebbero avuto modo di recuperarlo entro due mesi.
“Amico, questa roba non ha senso.” Si lamentò Lee facendo scivolare il suo libro di matematica davanti a lui, Ian ridacchiò preparandosi a spiegare, ma il suo sguardo scivolò per un istante su qualcuno seduto dall’altra parte della biblioteca: una ragazza coi capelli lunghi legati in modo disastroso e le dita che accarezzavano piano le pagine di un libro vecchiotto, lei alzò lo sguardo e solo per un attimo incontrò il suo. E lì cambiò tutto.
Accadono a volte, quasi per sbaglio, cose inutili e piccole, dettagli che nessuno ricorda che cambiano il corso degli eventi per sempre, in modo decisivo e radicale. È una cosa bizzarra la vita, la immaginiamo come una linea del tempo, dritta e semplice, che inizia e finisce da qualche parte, quando in realtà è tutto un bivio, come per gli alberi.
Senza quello sguardo Ian e Sara non si sarebbero mai parlati, lei non gli avrebbe mai detto di sua madre, Marcus non avrebbe deciso di vendicarsi, la Palude delle Cose Non Dette sarebbe rimasta un lontano bisbiglio su cui una volta aveva indagato una certa Lydia Carson.
Senza quello sguardo la vita di Sara, Zac, Hanna e Lee forse sarebbe stata diversa, sicuramente lo sarebbe stata quella di Ian.
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“Papà sto andando!” urlò Sara già sulla porta verso lo studio dove Derek stava rintanato tutto il giorno a fare qualunque cosa gli impedisse di pensare. Ricevette un mugolio in risposta. Prima che suo padre potesse chiederle dove stesse andando, lei era già uscita.
Si diresse con calma verso la biblioteca, sapendo bene che suo padre avrebbe odiato sapere che passava del tempo lì. Ormai però ci era andata così spesso che la paura iniziale di essere scoperta era pressoché sparita, sostituita da un profondo sconforto: in un mese suo padre si era a malapena accorto della sua assenza. Spazzò via quei pensieri come ignorando un brivido lungo la schiena e pensando alla biblioteca; aveva scoperto molte cose dai vecchi libri di sua madre, ormai era sicura dell’esistenza della Palude. Alcuni sostenevano che fosse una vera e propria Palude costellata dai cadaveri di chi non aveva meritato il paradiso, altri erano convinti che vi si depositassero i segreti. Nessuna di quelle teorie era abbastanza convincente per lei. Se solo fosse riuscita a trovare gli appunti di sua madre, ricordava distintamente di averli visti in casa da bambina. Se li avesse trovati, avrebbe avuto le sue risposte.
Mentre si avvicinava alla biblioteca un pensiero dolce, tutt’altro che rumoroso, si fece strada dietro ai suoi occhi sottoforma di calma consapevolezza: Ian sarebbe stato lì. Sorrise lievemente pensando al suo fare disordinato e gentile, ai suoi occhi e al modo in cui la guardavano: come se lei togliesse dalla sua testa tutta l’esitazione che c’era di solito.
Si sedette di fronte a Ian e Hanna che cercavano di risolvere un qualche problema di fisica, accanto a Lee. Il ragazzo asiatico le fece l’occhiolino velocemente e sorrise per poi tornare al suo libro, Zac seduto accanto a loro non si curava più di tanto di quello che stavano facendo, ma la salutò tranquillo. Erano appunto un paio di settimane che Sara aveva fatto amicizia col gruppetto, quando non avevano troppo da studiare la aiutavano a cercare informazioni sui libri di sua madre, le davano della pazza quando le sue teorie diventavano troppo assurde e la trascinavano fuori dalla biblioteca. La ragazza sapeva quanto gli altri faticassero a credere alle teorie di sua madre, ma ci sarebbero arrivati prima o poi. Tirò fuori l’ultimo libro che stava analizzando: un tomo con una copertina verde che parlava di antiche leggende su cose non dette. Voltò pagina e quasi si mise a piangere quando trovò un paragrafo sottolineato in rosso.
Esistono oltre agli uomini varie entità di figura simile, tra queste vi sono senza dubbio gli Spiriti Scritti, che prendono vita ogni qual volta un uomo scrive un racconto o un’esperienza; i personaggi di quello scritto prendono vita e si disperdono nel mondo. Nel caso in cui nessuna persona legga mai quello scritto allora gli Spiriti saranno imprigionati, lontani da tutto e da tutti, fino a quando la loro storia non verrà letta. Si può quindi dire che gli Spiriti Scritti siano dipendenti dalla natura umana.
Spiriti Scritti… il nome risuonò nella sua mente mentre continuava a leggere. In qualche modo sentiva che non era mai stata così vicina alle teorie della madre, c’erano ancora dei frammenti mancanti, ma pagina dopo pagina si avvicinava a lei.
Dalla sua scrivania all’ingresso della biblioteca, Marcus Long studiava il gruppo di ragazzi: era spettacolare quanto Sara assomigliasse a sua madre, tanto che guardarla gli faceva quasi male. Il bibliotecario reggeva fra le mani il quaderno di Lydia e pensava. Per nessuna ragione avrebbe mai ceduto quella proprietà, che in qualche modo gli garantiva di possedere Lydia stessa, per nessuna ragione se non per una. La vendetta è un piatto che va servito freddo. Erano passati ormai quasi vent’anni dal matrimonio di Derek Miller e Lydia Carson, quell’essere orribile che
era diventato suo marito la aveva portata via da lui, aveva lasciato che lei morisse e ora finalmente Marcus aveva la possibilità di togliergli quello che lui gli aveva tolto una volta.
Studiava la figlia di Derek e Lydia con disprezzo, odiandola ogni momento di più: lei era la prova concreta del furto che Marcus aveva subito da Derek, la prova concreta del cuore spezzato del bibliotecario, ammesso che ne avesse uno.
Se c’era un modo di punire Derek Miller era attraverso Sara: quella bambina ingenua così presa dalle vecchie ricerche di sua madre avrebbe sicuramente abboccato, avrebbe scoperto tutto della Palude e a quel punto avrebbe abbandonato suo padre, che sarebbe rimasto solo, come era giusto che fosse.
Con l’assurdo atteggiamento pacato di chi ha riflettuto a lungo sulle sue scelte, anche le più orribili, Marcus si avvicinò ai ragazzi seduti attorno allo stesso tavolo e raggiunse Sara per poi appoggiarle davanti, con un lento movimento della mano, lo stesso quaderno blu che aveva ricevuto anni prima dal padre della ragazza.
“Questo è di tua madre, Sara.” Se ne andò senza aggiungere altro, ignorando gli sguardi sospettosi e spaesati dei ragazzi.
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Quaderno di Lydia Carson:
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La Palude delle Cose Non Dette è un luogo di silenzio, abitato da ogni cosa che è stata scritta dall’uomo, ma mai letta da nessuno, pensata, ma mai detta. Le cose che scriviamo e diciamo tendono a disperdersi per il nostro mondo, abitando accanto a noi, ma solo ed esclusivamente se noi gliene riconosciamo il diritto. Le nostre teorie, i nostri pensieri non possono essere liberi di girare il mondo finché noi stessi non li liberiamo esprimendoli ad alta voce, confessandoli a qualcuno. Altrimenti non potranno che rimanere intrappolati nella Palude delle Cose Non Dette.
La Palude delle Cose Non Dette è un luogo di silenzio, abitato da ogni teoria che è stata scritta dall’uomo, ma mai letta da nessuno, da ogni idea che è stata pensata, ma mai detta ad alta voce.
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Sara aveva gli occhi rossi di stanchezza quando chiuse il quaderno blu quella sera, nascosta in camera sua. Al buio della notte, senza sapere esattamente perché, tracciò con le dita le parole scritte ordinatamente dalla madre e scoppiò in un pianto fragoroso. Suo padre non la sentì piangere. Premuta contro il muro della stanza piangeva per la madre che non aveva avuto, che ora era tanto vicina da poterla quasi sentire parlare, ma che ancora non riusciva a vedere. Nonostante tutto di lei ricordava solamente una sagoma grigia, un’ombra.
Quando riprese a respirare normalmente si allungò verso la presa accanto alla porta e afferrò il suo cellulare, compose il numero dell’unica persona che le avrebbe risposto. Aveva bisogno di fuggire da quella casa, fuggire da quell’uomo indifferente che sarebbe dovuto essere suo padre e che tanto non si sarebbe neanche accorto della sua assenza. Con questo pensiero freddo come il ghiaccio in mente, andò decisa verso la porta.
Ian era ancora sveglio quando il telefono squillò rumorosamente interrompendo la notte tranquilla. La notte è fatta per i bisbigli, per dire in silenzio tutte le cose che non osiamo dire di giorno.
“Ti prego vienimi a prendere.” La voce di Sara era roca e triste al di là del cellulare, il ragazzo si alzò per entrare in macchina ancora prima che lei avesse attaccato.
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“Si sta meglio di notte.” Seduti all’aperto sul retro del furgone con le schiene appoggiate al metallo freddo della macchina, Ian e Sara guardavano un mondo che sembrava troppo grande. “Nessuno che fa casino, che corre, va tutto un po’ più lento, forse è per questo che di notte si riesce a pensare meglio.”
“Non si deve rispondere a nessuno di notte, possiamo essere chi ci pare.”
“Chi ci va di essere stanotte?”
“Due ladri.” Rispose lei senza pensarci “Due ladri di tempo. Troviamo chi ne ha troppo e glielo prendiamo e poi trasformiamo ogni minuto che abbiamo preso in notte.”
“E poi quando ci sarà solo notte?”
“Almeno la gente potrà pensare… le cose più belle succedono di notte, comunque.”
“Forse, ma le puoi vedere bene solo di giorno.”
Sara sorrise alla sua risposta e non aggiunse altro, osservava lo stesso cielo sotto cui i suoi genitori erano nati e si erano conosciuti, sotto cui era nata lei ed era nato Ian, sotto cui era morta sua madre. Il cielo ne ha viste di cose bizzarre create dall’uomo, eppure è ancora lì, non si è stufato di noi.
“Che è successo Sara?”
“Ho letto il quaderno. Dice che la Palude è un posto di silenzio, dove vanno le cose che qualcuno ha scritto o pensato ma non ha mai avuto il coraggio di dire.”
Ian tacque, aspettando che lei continuasse.
“Volevo trovare mia madre sai? Ho pensato che avendo studiato questa roba tutta la vita è lì che sarebbe andata da morta… volevo trovare il posto dov’era finita mia madre e tutto quello che ho trovato è stata una prigione.”
“Sara…”
“No, no… io… io ho cercato la cosa sbagliata Ian. Per tutto questo tempo ho fatto come lei, ho cercato la cosa sbagliata. Ho mentito a mio padre e non farò altro che distruggerlo come ha fatto lei.”
“Non distruggerai tua padre.”
“Lui è già distrutto.”
Nel silenzio Ian era certo di sentirla piangere dietro le sue parole, la lasciò parlare.
“È distrutto dal giorno in cui è morta mia madre, non si è mai ripreso. Quando mi guarda vede solo lei e si sente in colpa. Non so perché, ma è così. Non mi ricordo niente della sua malattia,
mi ricordo solo di essere entrata nello studio un giorno e di averla trovata lì, tra le braccia di mio padre.” Tacque ancora un secondo per poi aggiungere senza quasi farsi sentire:
“Sono scappata quel giorno, l’ho lasciato lì da solo.”
Ian le passò un braccio attorno alle spalle attirandola verso di sé, Sara appoggiò l’orecchio contro il suo petto, le spalle e i muscoli della ragazza si rilassarono con lenta tranquillità, quasi come fosse abituata a quel contatto.
“Non è colpa tua.” Disse Ian con decisione, senza però alzare la voce “Il fatto che tuo padre stia male non è colpa tua Sara, non hai niente a che fare con il suo dolore.”
Lei annuì, e gli accarezzò il braccio con la stessa leggerezza con cui lui la stringeva. Non c’è bisogno di forza per farsi sentire da chi sta già ascoltando.
“Voglio andarci.” Aggiunse un attimo dopo Sara “So che potrei non trovare nulla, ma ho bisogno di sapere se è vero.”
Ian annuì: “Io vengo con te.”
“Lo so.”
Le loro mani si intrecciarono senza che se ne accorgessero, come i loro occhi si erano incontrati mesi prima: così per caso.
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Il silenzio è qualcosa di strano per gli uomini, spesso fa più paura di quanto non faccia piacere, per questo lo riempiamo di parole inutili, musica e confessioni, finte. È difficile ascoltare il nulla perché ci costringe ad ascoltare noi stessi e, per una ragione o per un’altra, nessuno vuole conoscersi troppo bene. Forse abbiamo tutti paura di scoprire qualcosa che non ci piacerebbe.
Nello stesso silenzio che temiamo nascondiamo i nostri segreti più profondi, gli affidiamo le parti peggiori di noi, sperando con infantile ingenuità che non le confessi mai a nessuno. Le cose che non diciamo si depositano nel silenzio e con calma ineluttabile costruiscono pareti tanto spesse da tagliarci fuori dal mondo di rumore che abitiamo.
Ricordate le volte in cui avete taciuto per evitare di far soffrire qualcuno, per mantenere un segreto?
Quei silenzi potrebbero non esservi mai restituiti, potreste non avere più modo di confessare quei segreti… a quel punto, quando ormai è troppo tardi, ve ne pentireste?
  
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