XI
Stavano
passeggiando, come ogni pomeriggio, lungo i viali che si snodavano tra
gli
alberi in fiore del giardino di Celeste, il suo orgoglio e la sua sfida
più
grande: un’enorme serra in cui i migliori ingegneri e i
migliori botanici erano
riusciti a ricreare il clima perennemente mite di Actardion e
permettere, così,
la crescita delle piante e dei fiori che fiorivano nel regno della
sorella; in
questo modo aveva trasferito nel cuore dell’inverno, una
scheggia di primavera
e un piccolo frammento dei luoghi della sua infanzia, da cui si era
dovuta
allontanare a malincuore, richiamata dai suoi doveri di figlia,
principessa e
regina.
Si
fermarono ai piedi del mandorlo, splendido nella piena esplosione
rosata della
sua fioritura; era l’albero preferito della donna, e
più volte Brand l’aveva
sorpresa sotto i suoi rami, intenta a leggere o con lo sguardo perso
nelle
azzurrità infinite del cielo. Si accoccolarono tra le
radici, nel cantuccio che
era diventato loro, e la regina iniziò ad accarezzare
distrattamente la mano
dell’altro, stretta nella sua.
«Mi
trovi bella?» domandò improvvisamente, lasciando
Brand spiazzato. Il giovane
non ebbe nemmeno tempo di pensare ad una replica che la regina
continuò, senza
attendere risposta: «La bellezza è
l’ossessione di mia sorella, farebbe
qualsiasi cosa per mantenerla. Ha paura del tempo perché a
poco a poco strappa
uno stralcio di bellezza e lo brucia, consumandola tutta. Ed
è sempre stata
gelosa di me, della mia giovinezza e del mio aspetto, sebbene entrambi
non
siano troppo dissimili dai suoi…»
Brand
le sollevò il mento con delicatezza e fissò il
suo sguardo in quello di lei: le
iridi fiordaliso si erano tramutate in un mare in tempesta, sconvolto
da marosi
e nuvole grigie, che ne oscuravano la limpidezza.
«Sei
preoccupata per tua sorella o per te?» le chiese a bruciapelo.
«Per
lei!» rispose subito la donna indignata per una simile
domanda, ma sotto lo
sguardo indagatore di Brandbury si trovò costretta a
ritrattare, «Per entrambe,
in realtà. Ho paura che questa follia colpisca anche me e mi
renda come lei:
ossessionata da qualcosa che non si può controllare, che non
si può
fermare…Almeno fino ad adesso» mormorò.
«Cosa
intendi?» domandò l’altro, incuriosito.
La regina si morse le labbra; aveva
parlato troppo, trascinata dall’ondata dei suoi sentimenti e
dei suoi pensieri.
«Nulla»
provò, ben sapendo quanto fosse inutile e sciocco quel
tentativo, ormai quelle
parole erano sfuggite dalla sua bocca e non potevano più
essere rimangiate.
Lo
sguardo intenso e penetrante di Biancospino la perforava e la denudava,
rendendola debole e vulnerabile; ma, paradossalmente, si sentiva al
sicuro e
protetta: poteva fidarsi di lui, confidarsi, non l’avrebbe
giudicata.
Strinse
la presa sulla mano dell’altro e il suo sguardo si
incupì ancora di più.
«Promettimi
che non lo dirai a nessuno, nemmeno al tuo amico cantore»
mormorò, supplicando
Brand con gli occhi, questi promise e la Regina lo condusse lontano dal
giardino fino alla sua camera da letto.
Brandbury
rimase interdetto, non riuscendo a comprendere le intenzioni della
donna, mai
l’aveva condotto in quella stanza e sebbene avessero messo le
cose in chiaro
fin dall’inizio, temeva che a Celeste non bastassero
più i suoi baci e
pretendesse un altro genere di attenzione, a cui lui non era preparato.
La
Regina, però, lo abbandonò sul letto a
baldacchino dalle cortine di seta
azzurro polvere, e sfiorò la parete di fronte, completamente
vuota. Questa girò
silenziosamente su sé stessa, rivelando uno specchio
quadrangolare circondato
da una cornice di volute fiorite rivestite di bronzo dorato; sembrava
molto
antico e aveva la superficie leggermente ossidata. Non era uno specchio
degno
di una regina, troppo rovinato e troppo piccolo, riusciva a catturare
appena
l’intero ovale della donna, e si domandò come un
oggetto tanto insignificante
fosse tenuto in così gran conto e così segreto,
dal momento che era stato
celato dietro una parete.
Capì,
e dentro di sé esultò di gioia.
«Ora
mi crederai pazza» ridacchiò l’altra,
«Come molti altri prima di te, del
resto…»
«Non
mi permetterei mai» le assicurò lui con
un sorriso affabile.
«Non
importa» continuò lei, «Dopo questa
storia inizierai a pensarlo. Non posso
biasimarti, sembra incredibile persino a me che ho avuto
l’occasione di
testarlo in prima persona…»
La
Regina si graffiò appena al di sotto dell’occhio e
una linea rosseggiante
sottile quanto un capello sbocciò sul suo zigomo, Brand
rimase sconcertato: perché
aveva fatto un simile gesto? Aveva forse davvero perso la ragione?
Stava per
precipitarsi dalla ragazza ma questa lo fermò.
«Non
ti preoccupare, serve per dimostrarti che questo non è uno
specchio qualsiasi.
Guarda!»
Brand
continuava a non capire e guardava confuso Celeste mentre si voltava
verso lo
specchio.
Bastarono
pochi secondi perché il graffio scomparisse completamente,
lasciando la sua
pelle liscia e perfetta come era sempre stata, senza nemmeno una
lacrima di
sangue.
«È
incredibile!» esclamò Brandbury stupefatto ed
entusiasta, «Quello specchio può
guarire!»
«Mi
dispiace deluderti» lo raffreddò lei,
«Ma questo specchio non può guarire, o
meglio può far scomparire solo i segni di una ferita,
vecchia o nuova che sia,
e può nascondere i segni della malattia, ma si limita a far
riassorbire le
cicatrici e a far rimarginare i graffi, non cura. È capace
solo di rendere la
pelle priva di qualsiasi bruttura o imperfezione. Questo specchio rende
chiunque vi si rifletta più giovane e bello, assorbe il
corso degli anni e
annulla il tempo, lasciando tutto in uno stato di assoluta ed
imperitura
perfezione.»
Brand
era rimasto senza parole, mai aveva visto un oggetto simile e non
credeva che
ne esistessero, fino a quel momento.
«Questo
specchio apparteneva a nostra madre e lei lo lasciò ad
entrambe, ma mia
sorella, scoperto il suo potere, se ne appropriò e ne
divenne ossessionata.
Trascorreva le sue giornate specchiandosi e, con mio sommo orrore,
scoprì che
lo specchio poteva anche celare le mostruosità date dal
vizio e dal peccato.
Una sera, la sorpresi mentre contemplava la sua immagine riflessa, ma
la donna
nello specchio non era lei, non era nemmeno una donna: era una
bestialità
deforme e ripugnante, un accumulo di tutte le nefandezze che aveva
commesso, di
tutte le oscenità e le efferatezze che lo specchio aveva
assorbito lungo gli
anni assieme ai sensi di colpa e alla sofferenza, senza lasciare su di
lei alcun
segno. A poco a poco si trasformò in un’invasata:
lo specchio l’aveva
inaridita, assorbendo anche la sua umanità e il suo senno,
rendendola folle e
violenta, spietata e crudele, non più un essere umano ma un
mostro! Lo specchio
aveva assorbito la sua anima, lasciandola solo un involucro bellissimo
ma
completamente vuoto! Dopo quella vista atroce, vedendo lo stato in cui
si
trovava, decisi di sottrarglielo, convinta che allontanando lo
specchio, lei
sarebbe guarita dalla sua morbosa dipendenza.»
Brand
era rimasto a bocca aperta: non credeva più che fosse una
buona idea restituire
lo specchio alla Regina Rossa, quell’oggetto
l’aveva alterata e deteriorata,
trasformandola in una dea: bellissima ma terribile, indifferente verso
il resto
del mondo e concentrata solo su sé stessa e sulla
soddisfazione dei suoi
capricci.
«Mi
fido di te: so che comprendi la pericolosità che questo
specchio cela e so che
il tuo animo è tanto puro e tanto buono da non subirne il
fascino, ma giurami
che non lo dirai a nessuno!» si assicurò la donna,
«Se qualcuno, uno qualsiasi,
dovesse venire a conoscenza della sua esistenza e del suo potere lo
desidererebbe per sé e farebbe di tutto per
averlo…Come ho fatto io del resto,
sebbene per una buona causa…»
Il
giovane capiva: quello specchio rappresentava un’arma capace
di ingannare e
vincere il tempo, di mutare le apparenze e di rendere reali i
più grandi
desideri di un uomo: essere bello e giovane per sempre; chiunque
l’avrebbe
voluto tra le mani e si sarebbe giunti persino ad uccidere per entrarne
in
possesso.
«Mia
sorella si è macchiata di crimini indicibili per poterlo
tenere nascosto, e non
oso immaginare cosa accadrebbe se altri ne venissero a conoscenza: ci
sarebbe
il caos!»
Brand
non stentava a credere a quello che la donna gli aveva rivelato, non
era
difficile immaginare uno scenario di guerra come i tanti che gli aveva
raccontato Ivory: uomini che avrebbero ucciso altri uomini per entrarne
in
possesso, spargendo fiumi di sangue e seminando morte e distruzione. Si
trucidavano l’un l’altro per molto meno, e quello
specchio rappresentava un
motivo ben più valido e concreto.
Ma
se si trattava di un oggetto tanto pericoloso e ingannevole,
perché la Regina
non l’aveva distrutto? Era la soluzione migliore e la
più semplice, perché si
era limitata a sottrarlo all’altra e a nasconderlo?
Quelle
domande si affacciarono prepotentemente alla mente di Brand e lo
lasciarono
perplesso: sarebbe bastato romperlo, ridurlo in mille pezzi e la sua
minaccia
sarebbe scomparsa. Perché la Regina non ci aveva pensato?
E
se l’aveva immaginato, perché non
l’aveva attuato? Non desiderava, forse,
salvare la sorella dalla sua bramosia? Allora perché non
distruggere
direttamente l’oggetto verso cui era rivolta? In questo modo
avrebbe aiutato
l’una e avrebbe scongiurato il pericolo che altri cadessero
nello stesso
attraente tranello.
Che
fosse rimasta anche lei avvinta dal fascino del potere dello specchio?