僕は孤独さ – No Signal
☸
Parte quarta: Il caso Lisca.
- In a parked car in a crowded street, you see your love made complete. Thread
is ripping, the knot is slipping, love is blindness…-
«Avresti
chiamato veramente Take se Urie non fosse caduto nella tua trappola e non
avesse accettato di venire fin qui?»
Aiko,
dal sedile del passeggero, alzò una mano per abbassare il volume della radio,
poi per sistemare lo specchietto retrovisore. Scontrò lo sguardo con quello di
Ivak, accasciato al centro del sedile posteriore, con le gambe divaricate e le
spalle abbassate. Se non glielo avessero impedito, si sarebbe volentieri fermato
in un negozio di liquori per prendersi una bottiglia con la quale affrontare
l’attesa.
«Sì»,
ammise la ragazza, senza particolare inflessione nella voce.
Lui
rise. «Bugiarda. Sempre più bugiarda.»
Lei
non parve turbata da quell’insinuazione. Trovava quell’aggettivo
particolarmente incalzante se riferito a lei. Inclinò di lato il capo, tanto da
appoggiarsi con la tempia al vetro del finestrino. «Puoi anche non crederci, ma
io e Take abbiamo un rapporto basato sulla reciproca comprensione. Se io ho un
problema, gliene parlo.»
«Lui
con te lo fa?»
«Lui
non ha problemi.»
Il
biondo scosse il capo, prima di sporgersi in avanti, con le mani arpionate ai
due sedili, per guardarla. Masa aveva gli occhi chiusi e sembrava stanca,
seppure fossero arrivati lì da nemmeno dieci minuti. «Secondo me ne ha il
doppio di te, e sai il motivo?» Attese che Aiko aprisse gli occhi per guardarlo,
prima di risponderle con una certa
cattiveria nella voce. «Deve sistemare anche le merdate che combini tu.»
«Sei
parecchio volgare da quando hai smesso di piangere, mh?»
L’altro
non le diede la soddisfazione di una nuova imprecazione. Semplicemente la
guardò con una ironia. «Scusa se scoprire che Mei è sicuramente
morta mi sta facendo perdere quel poco charme
che avevo. Da domani riprendo con le lezioni di bon-ton.»
«Il
tuo problema è la sua morte o la consapevolezza che non puoi farci nulla?» Il
dottore si lasciò ricadere contro lo schienale, mentre Masa partiva
all’attacco, decisa a non lasciare che la frustrazione dell’uomo ricadesse su
di lei. «Sei il figlio di un capo clan della Yakuza e non puoi fare niente per
sistemare la situazione. Non puoi pagare nessun sicario e non puoi punire
nessuno.»
Ivak
alzò un sopracciglio. «Sai che c’è? Credo tu abbia ragione, Aogiri. Arima
secondo me non ce l’ha l’anima. Non si farebbe problemi a uccidere delle
persone.»
«Stai
delirando per caso? Dovevamo permetterti di comprare del liquore, almeno
saresti giustificato.» L’investigatrice si arrese, tornando a sedersi sul
sedile, con la spalla appoggiata contro lo schienale e il capo al poggiatesta,
in silenzio.
«Deve
avere avuto paura», soppesò il dottore, sentendo nuovamente gli occhi bruciare
per la rabbia e la frustrazione. «Mei non era una combattente. Non deve avere
avuto nemmeno il tempo di fare una mossa quando se l’è trovato di fronte.»
«Eppure
lo ha lasciato entrare spontaneamente.» A quelle parole, Ivak si immobilizzò,
impietrito. «La porta non era forzata dall’esterno. Arima è stato invitato ad
entrare.»
«Non
deve avere avuto scelta, se l’ha fatto entrare.»
«Magari
ha sperato di ricevere delle informazioni visto che anche lui fa parte di V.»
Masa lesse la confusione sul volto di Aizawa. «Avanti, fai due più due.»
«Kishou
Arima…»
«Anche
lui è un Washuu, anche se non ha il
timbro ufficiale.»
Il
dottore espirò così tanto da sgonfiarsi come un palloncino. Si abbassò sul
sedile, strisciando in avanti con il bacino. «Perché siamo qui allora?»
Aiko
abbassò il capo. «Perché non credo che Matsuri lo sappia. Non credo che Matsuri
sappia molte cose riguardanti la tua famiglia.»
«Tu
lo sai perché te l’ha detto il Gufo?» Masa annuì. Ivak sbuffò. «Che ragazzo
utile…» Ci fu un secondo di stallo fra i due, poi il medico umettò le labbra
con la lingua, intercettando nuovamente gli occhi opalescenti della giovane di
fronte a lui. «Ei, Aogiri, ma almeno lo ami?»
Lei
sospirò pesantemente. «Ti ho già detto che non voglio dirlo ad alta voce.»
«Non
parlo di Urie, parlo del Gufo. Lo proteggi come se fosse importante.»
Aiko non rispose, rimanendo immobile come una preda che attende la calata del falco. Esso si palesò in modo inatteso, permettendole così di tacere quell’ennesima omissione. La portiera del conducente si aprì e Urie buttò la giacca di pelle sulle gambe di Masa prima di prendere posto. I due lo guardarono con tanto d’occhi fuori dalle orbite. Poi Ivak controllo l’ora.
«Sei
rimasto in quella casa un quarto d’ora appena.»
Il
caposquadra dei Quinx passò la mano fra i capelli tenuti indietro dal gel,
voltandosi di poco per guardarlo. «Allora?»
«Come
allora?!», guaì disperato Ivak, sentendosi deficiente. «O ti ha liquidato o è
un nuovo record di eiaculazione precoce!»
Masa
rise apertamente, quasi in modo liberatorio, portando poi la mano alle labbra
incurvate in un sorriso divertito quando Urie la guardò male. Poi parlò di
nuovo. «Mi ha fatto accomodare nel suo studio, mi ha permesso di spiegargli il
risultato delle vostre ricerche e dopo averci pensato ha detto che riporterà
tutto a suo padre domani in mattinata.»
«Ma
come, nemmeno un pompino?!»
«Aspetta,
ha detto che andrà a dirlo al direttore?!» Aiko e Aizawa parlarono uno sopra
all’altro e non fu possibile dire chi fosse più allibito fra i due. Masa
proseguì, «Matsuri ha deciso che andrà da suo padre a chiedere un’istruttoria
contro Arima?» Urie annuì. «..Ma è stupido?!»
Il
caposquadra la guardò truce. «Voi donne non siete mai felici. Se mi avesse
mandato via mi avresti detto che sono inutile. Ora che siamo riusciti a passare
al livello successivo in modo sorprendente, devi comunque lamentarti!»
La
mora portò una mano al viso, concludendo che allora Matsuri non doveva essere
davvero a conoscenza di nulla. Si sporse quindi verso Urie, baciandolo sulla
guancia con uno schiocco sonoro mentre le braccia si allacciavano attorno al
suo collo. «Sono fiera di te. Hai portato a termine la missione suicida che ti
abbiamo affibbiato e sei riuscito a mantenere integro il tuo onore.»
«E
il tuo culo.» Aiko sbuffò una mezza risata a quell’ultima osservazione di Ivak,
rimettendosi seduta e allacciando la cintura, mentre il caposquadra metteva in
modo l’automobile. «Sono serio, ragazzi; quell’uomo deve amarti davvero molto
per mettersi contro Arima senza pretendere niente in cambio.»
«Ha
la mia lealtà.»
«….Biscotto
non sei più vergine, dovresti aver capito come funzionano certe cose ormai.»
Aiko
sventolò una mano, come per spazzare via quelle ultime parole del dottore. «Basta
così. Abbiamo risolto il caso e Matsuri proporrà l’avvio di un’istruttoria
contro Arima. Possiamo andare a casa a festeggiare.»
Questo
parve bastare ad Aizawa che, remissivo e col morale ancora a terra, pensava più
a consolarsi che a festeggiare.
«Spero
che abbiate qualcosa di più forte del saké in quella casa della bambole.»
☸
La
notizia della chiusura forzata del caso arrivò come una pioggia di sassi sulla
testa di Masa la mattina successiva. Non erano nemmeno le otto quando Matsuri
convocò sia lei che Urie nel suo ufficio. Sembrava reduce da un incontro di
pugilato e lui doveva averle incassate tutte senza rilanciarle.
Ovviamente
in senso figurato.
La
camicia del figlio del direttore era perfettamente inamidata e la cravatta nera
allacciata alla perfezione. Eppure, nonostante l’apparenza impeccabile, aveva
l’espressione sconfitta. Suo padre doveva averlo rimproverato parecchio per
aver portato delle prove che accusavano lo Shinigami della ccg di qualcosa che,
in fin dei conti, non era un crimine.
«Ha
ucciso un ghoul, non un essere umano», aveva di fatto detto Matsuri, con le
mani incrociate sulla scrivania laccata e gli occhi severi. «Non manderemo
alcun tipo di richiamo formale al nostro miglior investigatore per questo.
Chiudete il caso e siglate un rapporto che sostiene che il grado A+ Lisca è
morto in seguito a uno scontro con un altro ghoul sconosciuto. Niente
investigatori, niente quinque e soprattutto nessuna parola con i vostri
colleghi. Potete andare.»
Masa
aveva già schiuso le labbra per replicare, ma un’occhiata di Urie la fece
desistere. La mora abbassò il capo, mentre il collega rispondeva pacatamente al
capo della S2 che avrebbero eseguito quelle direttive alla lettera, scusandosi
per avergli arrecato disturbo fuori dall’orario di lavoro.
«Quindi
è finita?», domandò Aiko a Kuki quando si ritrovarono nuovamente soli nel
corridoio.
C’era
amarezza negli occhi serpentini dell’altro. «Faccio io il rapporto, tu dillo ad
Aizawa.»
«Ah,
un lavoretto facile. Spero che nessuno debba mai venire da me a dirmi che hanno
riservato questo trattamento a te, perché lo farei a pezzi», borbottò
ironicamente crudele, passandogli accanto. «Ma tanto noi non stiamo insieme,
no?»
Kuki
la guardò senza capire il punto. «Te la stai prendendo con me?»
Aiko
non rispose, gli tenne le spalle –e il muso- mentre spariva lungo le scale. Non
voleva nemmeno prendere lo stesso ascensore, aveva bisogno di sbollire la
rabbia verso il sistema, non verso di lui. Ma Urie era integerrimo, avrebbe
blaterato pillole di saggezza e amor di patria verso il ccg e no, non poteva
sopportarlo.
In
quel momento la nauseava il distintivo che portava.
Aizawa
era appena entrato nel palazzo quando Aiko lo intercettò. Lo stava aspettando,
a dire la verità, seduta su uno dei divanetti con le gambe lunghe accavallate.
Si scusò con Kyoko, con la quale stava parlando nella zona fumatori,
affrettandosi per raggiungerlo e sistemando la gonna blu del completo elegante
che aveva indossato quel giorno. Urie pensava che si sarebbero poi avrebbero
dovuto presentare dal presidente i fatti, ma non era servito a nulla tirarsi a
lucido. Non avrebbero incontrato nessun Washuu più importante di Matsuri, quel
giorno. Il ché era tutto dire.
Aizawa
in ogni caso arrivò alla stessa conclusione quando la vide così elegante. Quasi
sorrise, guardandola con gli occhi che brillavano nonostante le occhiaie
pesanti come sacchi per rifiuti. «Quindi? Come è andata?»
Lei
gli riversò uno sguardo così penoso da far sprofondare ogni speranza dentro al
suo petto in una frazione di secondo. «Ivak, mi dispiace così tanto», iniziò,
cercando di essere delicata per una volta nella sua vita. «Abbiamo fatto tutto
in nostro potere, ma il direttore ha rigettato la richiesta di provvedimento
disciplinare e ha ordinato a tutti e due di non farne parola con nessuno.»
Lui
si inalberò subito. «E nel rapporto cosa ci mettete? Che avete pestato
accidentalmente il braccio e le si è staccato??»
Lei
alzò una mano, per fargli abbassare la voce, mentre con l’altra andava a
toccargli il braccio. «Ha detto di scrivere che è presunta morta in seguito
allo scontro con un altro ghoul. Ora non fare nulla di stupido o avventato, ok?»
Detto fatto.
Forse
puntuale per la prima volta nella sua vita, con un tempismo contro natura,
Arima mise piede nella struttura, arrivando alle loro spalle e salutandoli con
rispetto, mentre passava lì accanto. In tre secondi netti Aizawa aveva buttato
a terra la tracolla contenente, fra le altre cose, anche il portatile e gli si
era scagliato addosso. Aiko aveva trattenuto il fiato mentre lo guardava tirare
con energia il braccio dello Shinigami Bianco, il quale si voltò sorpreso verso
il dottore, non dando però cenno di fastidio per quello che alla fine, più che
uno strattone, fu un leggero invito a guardarlo.
«Tu!»,
gli urlò in faccia, attirando gli sguardi di tutti coloro che albergavano
quella zona dell’edificio. A Ui cadde una cartellina di carta, mentre Furuta,
appena arrivato a sua volta, scrollò l’ombrello affiancandosi ad Aiko.
«Cosa
succede?», sussurrò Nimura.
«Una
catastrofe.»
Furuta
sorrise, serafico come sempre, «Che bello allora sono in tempo per lo
spettacolo.»
Le
mani di Masa andarono a coprirle la bocca, mentre Ivak si immobilizzava sotto
lo sguardo di ghiaccio dell’uomo di fronte a lui. Arima, dal canto suo, non
pareva offeso. Lo guardava semplicemente in attesa. Si voltò del tutto verso di
lui, inclinando di lato il capo come un cucciolo confuso. «Posso fare qualcosa
per te, Aizawa?»
«Tu….
Tu….»
Aizawa
tremava, di rabbia sì, ma anche di paura. Cosa doveva fare? Urlare di fronte a
così tanti testimoni che cosa aveva fatto quell’uomo? Rovinarsi la vita per
cosa, poi? Non poteva nemmeno dirsi una vendetta, quella.
Il
ticchettio dei tacchi di Masa arrivò a coprire quel carico di pensieri. «Classe
speciale», sorrise con una faccia di bronzo la giovane investigatrice. «Scusalo
per i modi, ma gli ho detto io di fermarti. Con queste scarpe sono agile come
una mangusta morta.»
Arima
spostò quindi la sua attenzione su di lei, cercando di ignorare il modo in cui
Ivak lo stava guardarlo. Sembrava quasi che volesse strangolarlo a mani nude,
finendo anche per morire nel tentativo. «Posso esserti di aiuto, Aiko?»
«Ho
appena chiuso un indagine sul caso Lisca», buttò fuori lei, con non curanza. «Ho
preso fischi per fiaschi, questa volta e ho ipotizzato che fosse stata una
quinque ad ucciderla.» Rimase in silenzio un istante, per verificare qualche
reazione nell’uomo di fronte a lei. Naturalmente non reagì in alcun modo. «Mi
sbagliavo. È stato uno scontro fra ghoul. Volevo però informarmi un po’ in
merito al giro di vendita illegale di quinque. So che te ne eri occupato tu, in
passato.»
Arima
annuì, «Saranno passati almeno dodici anni», ammise. «Però se vieni con me
posso passarti qualche fascicolo. Potrebbero esserti utili in futuro, anche se
potresti chiederlo tranquillamente a Tsubasa.»
Ci
fu uno stallo.
Aizawa
non comprese il senso di quelle parole, ma Aiko ebbe un crollo di pressione.
Barcollò addirittura sui tacchetti, mentre il viso le si faceva esangue. «T-Tsubasa?»
«Sì,
lui.» Imperterrito Arima tenne gli occhi nei suoi, prima di spostarli. «Vieni
allora?»
«Magari
posso più tardi», svicolò rapidamente Masa, cercando di sorridere nuovamente
con pacatezza. Non ci riuscì molto bene. La sua voce tremolò, prima di farsi
sicura. «Devo aiutare Urie nel rapporto. Ci vediamo dopo pranzo in ufficio?»
«Certamente.
A dopo, primo livello Aiko.»
La
lasciò lì, a boccheggiare come un pesce caduto fuori dall’acquario. Era bastato
un nome, un singolo nome per zittirla. Lei aveva provato a stuzzicarlo ed era
finita col l’ustionarsi.
Aizawa,
accanto a lei, ribolliva.
«Io
dovrei-»
«Tu
ora andrai a lavorare», la voce di Masa uscì bassa, roca. Teneva il capo chino,
come se fosse stata sconfitta, seppure l’avesse appena salvato. «Farai quello
che devi fare, non mi importa cosa, ma starai lontano da Kishou Arima o ti
manderò a raggiungere Mei personalmente.»
Lui
non parve spaventato dalla minaccia. Ne riceveva parecchie da Masa nell’ultimo
periodo e iniziava a pensare che fossero aria e basta. «Chi è Tsubasa, Aog-Masa? Il tuo ennesimo amante?»
«Un
informatore dei ghoul.»
La
mora partì di gran carriera verso l’ascensore, non volendo rispondere ad
ulteriori domande. Lui rimase fermo lì, ancora tremolante, quando una mano
guantata di rosso gli porse la sua tracolla. Con un sorriso, Furuta gli rese i
suoi effetti personali, prima di guardare verso l’ascensore. «Quella è una
ragazza davvero incredibile», constatò. «Fossi in te però lascerei stare, ha
anche troppi pretendenti.»
«Sei
uno di loro?»
Nimura
gli fece l’occhiolino. «Non dirlo a nessuno. Soprattutto a Hirako!» Con una pacca sulle spalle lo lasciò lì a pensare
che Furuta Nimura fosse davvero uno stupido.
Su
questo però nessuno di loro aveva capito niente.
☸
«Prendi la spada
e alzati, Tomoe.»
Il tono pacato di
Tatara rimbombava contro le pareti spoglie del magazzino, senza nessuna traccia
di incitamento in esso. La ragazzina dagli occhi di sangue allungò la mano
verso l’elsa del Dao, stringendola fra le dita sottili della piccola mano. Poi
puntellò a terra l’altra e tremolante si alzò. Hakatori, di nuovo sui piedi,
seppur poco stabile, fronteggiò il suo maestro, decisa.
Tatara, che di
lei ammirava la tenacia più che in qualsiasi altro allievo avesse mai avuto,
non fu comunque compassionevole; menò fendenti da ogni parte, guardandola
mentre si chiudeva di nuovo su se stessa, cercando di difendersi come meglio
riusciva, ma rimediando così solo ferite.
«La miglior
difesa è l’attacco», le disse il ghoul albino, mentre la guardava cadere col
sedere sul cemento della pavimentazione, stanca e dolorante. «Non ti ho dato il
permesso di prenderti una pausa. Alzati, Tomoe. Fino a che non riuscirai a
eseguire un buon affondo non ti lascerò riposare.»
Lei ci provò.
Fece leva sul braccio, ma la stanchezza vinse sulle sue piccole membra,
facendola ricadere subito dopo in ginocchio. Col capo chino di vergogna,
Hakatori ci riprovò ancora una volta, appoggiando cautamente la pianta del
piede e poi provando a far leva sull’altra gamba, che però aveva una profonda
ferita a solcarne la coscia. Non aveva alcuna intenzione di arrendersi e stava
ponderando una qualche maniera per dimostrare al maestro la sua determinazione,
quando una mano gentile la prese da sotto il braccio e la rimise in piedi.
Alzò subito gli
occhi incontrando quelli rossi di Tatara, che la guardava senza alcuna evidente
espressione sul viso. L’aveva rimessa diritta e ora la spiava come se si
aspettasse qualcosa. Quel qualcosa arrivò, perché senza esitazione, la
ragazzina alzò la spada e gliela conficcò decisa nel fianco. L’affondo fu di
ben poco conto, vista la scarsa forza applicata, ma nel momento in cui Hakatori
si rimise in ginocchio, ansante, lui non le chiese altro.
Sfilò dalla sua
stessa carne la lama, guardando il tessuto squarciato della canottiera nera e
il sangue che macchiava i pantaloni bianchi, prima di lasciar cadere a terra
anche il suo Dao.
«Per oggi abbiamo
finito», le concesse, andando verso la
sedia su cui aveva lasciato i suoi effetti. «Il coniglio ha più ragione della
volpe di conoscere le debolezze del nemico, poiché è-»
«Per natura
predisposto a soccomberle.» La voce
arrivò prima di lei, ma quando Aiko mise piede nella stanza, sapeva che ad
averla tradita non era stata di certo quella, ma il suo odore. «L’importante
non è la forza, ma l’ingegno. Lo dici sempre, Laoshi, ma allora perchè ci addestri?»
Tatara non le
rispose subito. Si sfilò i guanti neri, guardandosi le mani pallide e
incredibilmente lisce per essere quelle di un gran lavoratore. «Eto crede che
ogni donna possa ottenere quello che vuole solo perché è nata con qualcosa in
meno fra le gambe», disse infine, voltandosi a guardarla. Aiko stava porgendo
la mano ad Hakatori per aiutarla ad alzarsi, ma questa, invece, le sputò ai
piedi sussurrando un ‘colomba’ appena
udibile. Però in quella stanza arrivò forte alle loro orecchie come un grido. «Io
invece credo che non importi essere donna o uomo. L’arte della seduzione non
funziona con tutti, méi méi. La lama
sì. La disciplina anche. Soprattutto credo nel dolore.»
«Ma lei mi ha
insegnato come entrare nelle menti», fu la difesa che Aiko usò per Eto.
«Non credo tu
dovresti ringraziarla per queste lezioni che ti ha dato.» L’albino scrollò il
capo, prendendo un sorso di acqua da una bottiglietta, prima di lanciarla alla
ragazzina, che la prese al volo, finendone tutto il contenuto avidamente. Aiko
si era intanto avvicinata a lui, con circospezione maggiore rispetto al solito.
Sembrava in apprensione, così lui arrivò velocemente al dunque. «Perché sei
qui? Forse per dirmi ciò che hai taciuto l’altro giorno in auto?»
Labbra Cucite
annuì. Poi prese un respirò così grande da alzarle il petto. E nell’esalazione
sputò l’amara realtà. «Laoshi, Lisca
è morta.» Attese per qualche secondo una qualsivoglia reazione, che però non
arrivò. Aiko non si stupì, ma comunque unì le mani in grembo e chinò il capo,
in segno di rispetto per quel lutto. «Prima di morire mi ha chiesto di dirti
che ti amava molto e che devi mantenere la promessa, quella a cui tu hai
acconsentito a-»
«Come è morta?»
Aiko sgranò gli
occhi, davanti al tono rigido del maestro. Non alzò il viso per guardarlo,
rimase in prostrazione di fronte a lui. «Se l’è presa lo Shinigami Bianco, Laoshi. Suppongo per conto di V.»
Il respiro di
Masa si fece un po’ pesante, mentre aspettava una qualsiasi risposta. Non le
piaceva quel silenzio, che però rappresentava molto bene Tatara. Sapeva che lui
provava qualcosa per Mei, se no non l’avrebbe protetta, a modo suo, quando
aveva domandato di parlare con Yoshimura. Quello era stato il vero inizio della
sua fine. Temette quindi una qualche ripercussione, visto che Tatara l’aveva
punita per molto meno, in passato.
Non successe.
La mano fredda
dell’albino passò fra le ciocche nere di Aiko in quella che risultò essere una
carezza. Lei rialzò gli occhi, colmi di stupore, trovando quelli dell’altro
come sempre vuoti. Apatici, eppure velati da una leggera patina di malinconia.
Che quello fosse dolore?
Quando riabbassò
il braccio indossò la maschera e poi il lungo cappotto bianco, superandola. «Occupati
di Tomoe. Che mangi e dorma bene, stanotte. Domani ci alleneremo di nuovo e tu
avrai modo di dimostrare che sei il mio miglior allievo, Aiko.»
Un turbinio di
emozioni forti attraversò la mora, ma quando si voltò per chiamarlo, Tatara
aveva già lasciato lo stanzone. Andò quindi verso Hakatori e la sollevò quasi
di peso, mentre questa glielo permise, forse affranta dalle parole del maestro.
Parole che, per
la prima volta, avevano premiato Aiko.
Non credeva fosse
così, la gratificazione vera.
Aveva un sapore
dolce sulla lingua e le dava un senso di calore nel petto.
Si chiese se
forse fosse così che doveva sentirsi una figlia elogiata da un padre.
☸
Aizawa
organizzò un funerale per Mei. Aveva spiegato a Masa e a Urie che non erano
tenuti a parteciparvi se non volevano, che si sarebbe trattato solamente di una
cerimonia tranquilla, in una zona di campagna fuori Tokyo. Entrambi avevano comunque
insistito per parteciparvi e Masa aveva diffuso la notizia fra i pochi che
l’avevano conosciuta, chi come Shukumei, chi come Sadako.
Essendo
un ghoul, Mei non aveva il diritto a delle esequie vere, così avrebbero improvvisato
qualcosa in segreto. Un paio di parole scarabocchiate su un foglio di carta, un
completo elegante e frasi di circostanza. Sarebbe bastato. A sentire Aizawa,
era anche di più di quello che aveva potuto immaginare.
Il
giorno prestabilito arrivò in fretta, quel venerdì. Aiko, insieme a Kuki e a
Hige, si cambiò in ufficio, vestendosi formalmente per la cerimonia. Aveva poi
salutato i due, sostenendo che doveva passare a prendere un amico di Shukumei e
che quindi li avrebbe raggiunti lì. Lì dove,
però, rimaneva un mistero che nemmeno il navigatore satellitare poteva svelare.
In loro aiuto spedì Kuramoto, che le era parso sinceramente dispiaciuto per la
morte della giornalista con la quale aveva un rapporto molto superficiale. Itou
però tendeva sempre ad affezionarsi con naturalezza alle persone, quindi aveva
chiesto di poter prendere parte dalla celebrazione e si era visto buttato in
macchina con Urie e Touma, tenuto fatto che tecnicamente lui era più navigato
nell’esplorazioni delle zone di campagna e boschive attorno a Tokyo. Questo grazie
alla sua passione per la fotografia.
Aiko
si era attardata in ufficio, tra una chiamata e l’altra, prima a Kikyo e poi a
Nobunaga, per confermare loro l’esatto luogo dove avrebbero sepolto il braccio,
il solo misero resto che avevano. Quando uscì, con un borsone a tracolla che le
pendeva sul fianco destro e un abito nero di pizzo con la gonna a ruota e le
maniche a pagliaccetto, per poco si scontrò con Take.
«Se
sei venuto a cercare Kuramoto, è già andato», gli disse, nel mentre si stava
sistemando un paio di orecchini ad anella.
Hirako
le sfilò la sacca, passando la mano sulla pelle arrossata dalla tracolla. «Cercavo
te, in realtà. Volevo farti le condoglianze, so che era una tua amica.»
«Amica
è un po’ eccessivo», gli rispose la mora, prendendo dalla borsa il cellulare e
controllandolo, prima di riporlo nuovamente. Camminarono fianco a fianco,
lentamente, lungo il parcheggio. «Però sì, la conoscevo. Era una brava persona,
faceva un lavoro parecchio rischioso. Ora ho capito perché le veniva così bene.
Vuoi venire anche tu?»
Take
scosse il capo, «Ho un affare urgente da sbrigare per sua maestà.» Masa rise,
scuotendo la testa e aprendo la macchina per permettere ad Hirako di appoggiare
la sacca sui sedili posteriori.
«Se
ti sente potrebbe offendersi.»
«Arima
non si offende mai o ora temerei per Aizawa.»
Aiko
annuì lentamente. «Lo hai saputo, quindi.»
«Non
si è parlato d’altro per due giorni in ufficio.»
Era
la verità. Tutti coloro che avevano assistito, soprattutto stagisti e
investigatori di terzo livello, lo avevano spifferato ai sette venti. Raramente
qualcuno si era posto in quel modo nei confronti della Morte Bianca in persona,
più per rispetto che per paura.
Arima
era amato o odiato nel bureau, ma tutti lo rispettavano. Tutti, nessuno
escluso.
Aizawa
aveva violato un tabù, aveva rotto uno specchio al centro della stanza e
attirato su di sé chiacchiere. Ovviamente a lui non importava un cazzo.
Hirako
attese di sentirsi congedato, ma Masa non sembrava interessata a spostarsi da
lì. Appoggiata alla portiera chiusa, con le braccia incrociate sotto al seno e
una brezza autunnale ancora calda a spettinarle la zazzera mora, gli parve
triste per la prima volta. Triste in modo sincero, rammaricata.
«A
cosa pensi?», le domandò, diretto.
Lei
spostò gli occhi grandi nei suoi, sottili e stretti, di un indefinito colore
nocciola. « Aizawa era fidanzato con lei. Con Lisca. Da quando lo abbiamo scoperto non riesco a smettere di
pensare a quanto debba essere devastante scoprire che la persona che ami, in
realtà, non è chi dice di essere. Un mare di bugie per nascondere una realtà
scomoda può distruggere un rapporto, secondo te? Le menzogne possono venire
perdonate se due persone si amano davvero?»
Take
rimase immobile, preso in contropiede. Poi sospirò, «Se io ti dicessi che non
sono chi dico di essere, non sapresti se perdonarmi o meno? È questo che mi
stai chiedendo?»
«Non
esattamente. Mi sto chiedendo se quella che potrebbe venire perdonata sono io.»
Lui
le si avvicinò, appoggiandole una mano sulla spalla. Per riflesso, Masa gli
passò le braccia attorno ai fianchi, nascondendo il viso nell’incavo del suo
collo.
Poi
Hirako parlò. «Io lo farei.»
«Mi
perdoneresti?»
«Sì.»
Lei
sospirò, alzando gli occhi verso il cielo, scuotendo piano il capo. «Io invece
non ti perdonerei, e sai perché?», chiese, scostandosi da lui lentamente. «Perché
sicuramente la tua rivelazione sarebbe la seguente: Aiko, io sono un cyborg programmato per simulare le funzioni di un normale
essere umano. E io ti risponderei che allora ti hanno programmato proprio
male.»
Take
sorrise, facendo allargare quello della ragazza.
«Muoviti,
farai tardi.»
«Guarda
che ti ho visto. Sei imbarazzato.»
Hirako
fece qualche passo in direzione del palazzo. «Io? Assolutamente no.»
«Lo
vedo da qui, Take Hirako! Io ti conosco!»
L’investigatore
le voltò le spalle, alzando una mano in segno di saluto.
Aiko
lo guardò sparire fra le auto, entrando nella sua.
«Voglio
proprio vedere se mi perdonerai davvero, Hirako.»
☸
Urie
non era un grande fan delle scampagnate all’aria aperta durante l’orario
lavorativo. Quella ad Aokigahara era stata la dimostrazione plateale che il suo
senso dell’orientamento su area non urbana poteva essere alquanto scarso.
Nonostante le numerose spiegazioni di
Aizawa, il navigatore satellitare e l’esperienza diretta di Itou, si persero
per ben tre volte durante le due ore e un quarto di strada che li separava dal
luogo nel quale i pochi resti di Mei avrebbero trovato il riposo eterno.
L’appuntamento
che si erano dati, circa verso l’una di pomeriggio, venne ampiamente superato e
i tre investigatori riuscirono ad arrivare solo un’ora e mezza dopo. Higemaru
era più blu di un mirtillo a causa del mal d’auto, ma comprese che ne era valsa
la pensa quando, alzando gli occhi, colse di fronte a loro, alto e imponente,
il Fuji.
Ad
attenderli trovarono Komoto, Shimura e quel poco che rimaneva di Ivak Aizawa,
abbracciato a una bottiglia di vodka alle fragole, seduto su una coperta
accanto a un freezer medico per il trasporto di parti del corpo.
«Il
ghiaccio comincia a sciogliersi», fu il modo che ebbe Korito di salutare il
loro arrivo, mentre l’informatico continuava a spruzzare repellente per insetti
e a sistemarsi una mascherina sul viso. Tutti e tre gli investigatori rimasero
molto colpiti dal fatto che i due patologi fossero riusciti a portarlo in mezzo
alla natura matrigna. «Siete i primi
ad arrivare.»
«Aiko?»,
si informò subito Urie, con il telefono già in mano. A sentire la ragazza,
avrebbero preso parte a quel funerale improvvisato più persone del previsto. E
invece si erano ridotti in sei.
Itou
si buttò col sedere sulla coperta, allentando il nodo della cravatta. «Arriveranno.
Il posto non è semplice da trovare.»
«Siamo
in mezzo al nulla», pigolò Komoto, disperato.
Urie
si guardò attorno, osservando che dire che erano dispersi era riduttivo. Non
c’erano punti di riferimento attorno a loro, niente con cui orientarsi. Solo un
oceano di alberi e stradine a una sola corsia.
«Come
mai hai deciso di seppellirla qui?», chiese Kuramoto con tono delicato,
appoggiando una mano sulla spalla del patologo che, nel frattempo, si era
attaccato nuovamente alla bottiglia senza nessun pudore. Si staccò giusto per
rispondere al collega e solo perché Itou era troppo gentile per essere mandato
al diavolo.
Era
arrabbiato con il mondo, voleva dare fuoco a ogni singolo albero.
«Perché
da qualche parte qui attorno c’è sepolta anche sua madre. Me lo ha detto lei di
portarla qui, se le fosse successo qualcosa.»
Urie
aveva notato un po’ di terra smossa lì attorno e qualche segno del passaggio di
più di una persona, nonostante non sembrasse esserci niente di rilevante.
Camminò attorno a una quercia per qualche minuto, osservando la lussureggiante
natura che Komoto stava tanto odiando, per poi iniziare ad annoiarsi. E poi ad
innervosirsi. Non aveva voglia di sedersi su quella coperta, che ad eccezione
dell’informatico ipocondriaco era diventata il rifugio dei reietti. Non ne
aveva voglia per due motivi: aveva un completo nero gessato che si sarebbe
sporcato di polvere e non voleva sentire di racconti di Ivak ubriaco.
Appena
udite le parole ‘primo appuntamento’ e ‘braccio quasi staccato a morsi’ si era
girato, riprendendo a camminare attorno alla quercia.
Dopo
quaranta agonizzanti minuti arrivò qualcun altro. Da prima un furgoncino bianco
seguito da un paio di automobili. Da questi velivoli erano smontate almeno una
ventina di persone, una delle quali aveva riservato uno sguardo di puro odio a
Higemaru.
Lui
però non si era lasciato abbattere. «Signorina Oneda!»
Kikyo
lo osservò, prima di sospirare di fronte a quella pura gentilezza. «Agente. Non
credevo che l’avrei più rivista.»
«Accompagno
un amico», rispose il ragazzo, infilando le mani nel completo grigio elegante
dopo aver indicato Urie, ancora preso dalla sua quercia di cui ora stava
studiandone le ghiande cadute al suolo. «E l’agente Masa che sta arrivando.»
Fece una piccola pausa, mordendosi il labbro inferiore. «Senta, signorina
Oneda…. Per quel che riguarda Saburo, io-»
Con
un gesto repentino della mano coperta da un guanto di velluto nero, Kikyo lo
fermò, sentendo già le lacrime premersi contro gli occhi per scorrere selvagge
sulle sue guance. «Oggi siamo qui per un funerale, agente Higemaru. Non
ricordiamone un altro.»
Urie
li aveva guardati scambiarsi un piccolo abbraccio e aveva scorto un certo
turbamento negli occhi del giovane Quinx. Assottigliò gli occhi serpentini su
di lui, quasi a rimproverarlo, così come aveva fatto con Aiko quando questa
aveva candidamente ammesso che non avrebbe fatto rapporto su Kikyo. Poi scrutò
il resto della combriccola. La Grande Ruota. Così li aveva chiamati proprio
Masa quando gli aveva spiegato che Kikyo le aveva richiesto di poter fare
intervenire alla cerimonia con alcuni dei membri di quella che agli occhi di
Kuki era una setta sovversiva e potenzialmente pericolosa.
Perché
simpatizzante per i ghoul.
Un branco di
pazzi maniaci come quelli che venerano gli Ufo e si accampano attorno all’area
51.
Sospirò
pesantemente, l’investigatore, con le mani avvolte nei guanti neri appoggiate
al tronco solido e i pensieri lontani. Ormai erano quasi le quattro e mezzo
quando un’altra auto si accostò al ciglio. Il conducente non scese
dall’abitacolo, lasciando però che due figure si avvicinassero alla zona dove
si stavano raccogliendo tutti. Urie rimase sorpreso. Una delle due era
Kirishima, del bar :RE, la quale sorreggeva quello che un tempo doveva essere
un ragazzino. In quel momento sembra più un nervo scoperto, del tutto sconvolto
dal pianto che lo faceva tremare dalla testa ai piedi come un albero scosso dal
vento. Ivak si alzò per andargli in contro, traballante per un motivo per
diverso, ma dimostrando per la prima volta il suo interesse verso coloro che si
erano presentati lì quel giorno. Appoggiò le mani sulle spalle del ragazzo,
sussurrandogli qualcosa mentre Kirishima si faceva da parte incrociando le mani
sul ventre. Poi il ragazzo scoppiò in un pianto ancor più disperato, stringendo
Aizawa alla vita.
Lui
gli permise di farlo, rimanendo immobile con gli occhi verso la strada. In
silenzio.
«Dovremmo
iniziare», esordì con tono alto Korito, per attirare la sua attenzione. «Ivak….
Il ghiaccio è completamente andato. Tra poco inizierà a puzzare e non credo sia
una bella scena da far ricordare a tutte queste persone.»
«Masa
ancora non è arrivata», ricordò Komoto, saltando quando un’ape gli si avvicinò
troppo. Urie prese un respiro per allontanare la stizza a proposito.
Aizawa,
invece, annuì mesto, tornando sui suo passi e sorreggendosi al ragazzino
biondo, mentre la cameriera si teneva un po’ a disparte. Lei e Urie si
scambiarono un cenno di saluto, ma niente più.
A
mani nude, il ragazzino e Aizawa iniziarono a scavare una fossa sotto a un
pesco. Un ragazzo dai capelli ricci e neri appoggiò contro il tronco una targa,
inchiodandola alla corteccia dura.
Ushiro sugata ga
waratte iru.
La tua ombra sta
ridendo.
Un
proverbio che Urie trovava particolarmente incalzante se rivolto a Mei e a come
aveva vissuto. Solo la sua ombra le apparteneva, chi lo sa quale fosse davvero
il suo nome o la sua storia. Nel suo piccolo, l’investigatore sosteneva che
tutte le cose che quella donna aveva detto ad Aizawa fossero bugie, come tutto
il resto.
A
interrompere quel pensiero presuntuoso fu l’arrivo di un’auto elegante, nera.
Sembrava molto costosa e aveva anche i vetri oscurati. Non parcheggiò al
margine della via, ma direttamente sul sentiero fra gli alberi poco distante da
loro.
Da
essa uscì un uomo alto, con un paio di occhiali da sole scuri sul naso e un
trench beige dal bavero alto. Dalla parte del passeggero, invece, apparve Aiko,
avvolta in un vestito di pizzo nero che le arrivava di poco sopra al ginocchio
e con i capelli pettinati in un caschetto corto ordinato, per una volta. Si
affiancò, tremolando sui tacchi a causa del terreno scosceso e tenendosi al
braccio del suo accompagnatore. I loro occhi furono la sola cosa ad incontrarsi, visto che lei
non andò da lui, ma Urie aveva una sola domanda dentro di essi: cosa ci faceva
lì il dottor Huang?
Aiko
aveva fatto qualsiasi cosa in suo potere per tenere lontano Tatara da Urie. La
sua paura era ovvia; temeva che l’albino venisse a conoscenza della loro
situazione e filasse a dirlo a Eto. Non voleva avere un’ulteriore leva sulla
quale l’aguzzino/amante avrebbe potuto spingere per ottenere da lei più di quel
che già otteneva. Che infondo era tutto.
Si
era quindi tenuta in disparte assieme al ‘dottor Huang’, affiancandosi senza
quasi rendersene conto a Touka, rimasta sola a sua volta nelle retrovie della
funzione. La cameriera si era irrigidita come un tavolo di marmo quando aveva
capito con chi aveva a che fare in quel momento, ma Tatara non l’aveva degnata
nemmeno di uno sguardo.
Aveva
osservato Aizawa prendere il braccio di Mei con delicatezza, come se si
trattasse di un neonato avvolto da fitte bende bianche, appoggiandolo nella
terra nuda. Aveva buttato un pugno di terriccio su di esso, facendosi quindi il
segno della croce e blaterando qualcosa in lingua slava, mentre accanto a lui
il ragazzino biondo tremava, scosso da singhiozzi incontrollabili, che gli
rendevano difficile il tenere le mani unite di fronte al viso.
Poi
si erano rispettosamente spostati di lato, permettendo al resto delle persone
accorse di dire addio a Mei, un pugno di terra dopo l’altro. Urie e Higemaru si
erano avvicinati subito dopo Kuramoto e Shimura, mentre ancora Komoto cercava
un guanto per poter toccare quella che ai suoi occhi era una sorta di
fanghiglia demoniaca. Urie gliene aveva passato uno dei suoi, prima di chinarsi
con un ginocchio ben piantato sull’erba, augurando a quella donna che infondo
non conosceva per nulla un buon viaggio sino al luogo che la sua anima avrebbe
raggiunto. Tenne le mani unite di fronte al viso per poco più di cinque
secondi, il tempo di formulare questo pensiero, poi si alzò, andando a mettersi
accanto a Aizawa. Era così distrutto che si sarebbe quasi aspettato di vederlo
scavare un’altra fossa in cui buttarsi.
Touka
appoggiò un giglio bianco accanto ai tanti fiori portati dai ragazzi della
Grande Ruota, inginocchiandosi insieme a un ragazzetto dall’aria emaciata.
Sembrava malaticcio, in effetti. Portava una sciarpa rossa che sembrava pesante
nonostante il clima ancora mite. Era il primo settembre, ma lui sembrava pronto
per la prima neve di novembre. Quando notò che Urie lo stava fissando, i suoi
occhi si incurvarono come in un rispettoso sorriso di saluto, quindi si alzò e
si allontanò con Kirishima, che lo guardava senza però venire ricambiata in
alcun modo dallo strano ragazzo. Poi lei tornò dove era rimasta tutto il tempo,
trovando Nishiki che la aspettava, con il cappuccio sulla testa e lo sguardo
perso verso una giovane donna dai capelli rossicci e l’aria irritata.
Fu
lei ad accompagnare Kikyo, che piangeva più discretamente, con il viso
affondato in un fazzolettino di carta rosa a gattini. «Kimi, hai portato-?»
La
ragazza annuì e le diede una scatolina. Kikyo la aprì e dentro c’erano delle
fragoline essiccate di bosco. La appoggiò nella fossa, prima di buttarci altra
terra.
Quanto
tutti ebbero effettuato la loro sfilata, anche Aiko e Tatata si fecero avanti.
«Questo
chi è?»
A
porre la domanda era stata la persona più inaspettata di tutte le presenti.
Urie si voltò meravigliato verso Kuramoto, mentre il biondino teneva gli occhi
fissi sui due. «Il dottor Huang», fu la risposta soffiata di Kuki, ma l’altro
non sembrava saperne nulla. «Non avete vissuto oltre un anno insieme? Come fai
a non sapere chi è?», soffiò stranito il capo dei Quinx, corrugando la fronte. «Mi
chiedo perché lo ha portato qui. L’ultima volta che li ho visti insieme, lei
sembrava aver paura di lui.»
Un
lampo attraversò le iridi di Itou, gelando Urie. Kuramoto aveva gli occhi azzurri.
«Allora
ho capito chi è», decretò lapidario il prima classe. «Il suo fidanzato abusivo,
come lo chiamava Take.»
Per
un attimo fu come se ogni cosa fosse andata improvvisamente al suo posto nella
mente di Urie. Aiko che si comportava in modo strano, spariva, il modo in cui
sembrava spaventata da Huang…
Eppure
non doveva vederlo più tanto spesso. Urie l’avrebbe saputo. Avrebbe percepito
il suo odore. Anche se per la situazione sembrava sospetta. Forse per quello
non gli si era avvicinato fino a quel momento. Non voleva che scoprisse che era
venuta con il suo ex violento.
«Cosa
sono quelli??», tuonò Aizawa, mentre il
dottor Huang adagiava un mazzo grande e pieno di fiori dai colori brillanti
contro il tronco dell’albero.
Aiko
fece finta di nulla, accendendo un tronchetto di incenso e portando le mani
unite con ancora l’accendino fra le dita di fronte al viso. Tatara le lanciò
un’occhiata, ma lei aveva già gli occhi chiusi, quindi rispose al patologo. «Sono
papaveri. Erano i fiori preferiti di Nergui.»
«So
benissimo cosa sono», sibilò imbufalito Ivak, prima di sbuffare una mezza
risata. «Tutto questo è anche colpa tua, lo sai, vero??»
Masa
spalancò gli occhi, ma non guardò i due uomini. Fissò la fossa ormai quasi del
tutto ricoperta di terra chiedendosi quanto ci avrebbero messo i denti di Ivak
a raggiungere il braccio di Mei.
Non
successe nulla, però.
Tatara
si appoggiò con le mani alle ginocchia, ignorandolo e iniziando a pregare in
cinese. Così anche lei riprese a recitare qualche frase di circostanza a mente.
Quando si alzarono, Aizawa prese l’albino per il braccio, strattonandolo.
«Credo
che dovresti andartene.»
Questi
lo scansò, senza troppe cerimonie, sistemandosi poi il bavero del cappotto. «Lo
credo anche io.» Appurò l’altro, «Ma non mi sembra che la funzione sia finita.»
Fece una pausa, avvicinandosi di un passo, come a sfidarlo a dire altro. Non
parlava, ma quegli occhi avrebbero potuto trafiggere l’acciaio.
Aiko
lo prese delicatamente per il polso, tirandolo indietro. «Jen», lo chiamò,
usando il suo nome fittizio, «Per favore. Siamo tutti sconvolti per quello che
è successo. Cerchiamo di concludere la giornata come si deve, per cortesia.»
Tatara
non le diede molta retta, ma si allontanò di qualche passo, mettendosi di lato
alla fossa, ma dall’altra parte rispetto ad Aizawa. L’aria che si respirava si
era fatta così densa che fu Shimura a prendere in mano le redini dell’intera
situazione, così da sbloccarla. «Qualcuno vuole dire qualche parola?»
Inizialmente,
nessuno mosse un passo, poi a rompere il ghiaccio ci pensò Kikyo. «Era una
buona amica», decretò con il tono rotto, ma convinto. Asciugò una lacrima al
lato dell’occhio, prima di proseguire. «Mangiava sempre ciò che le cucinavo
anche se poi la faceva stare male. Lei non lo sapeva, ma non mi importava che
fosse un ghoul. Era la mia migliore amica e mi manca. Era una persona davvero
meravigliosa.»
«Chi
se ne frega se era un ghoul», a parlare, ora, fu il ragazzino biondo scosso dai
tremiti.
«Moryumaru»,
lo chiamò con un filo di voce Ivak, cercando di fermarlo.
Questi
però aveva già fatto un passo o due avanti, arrivando alla fossa, con il petto
gonfio di coraggio. «Shinra si è sempre presa cura degli altri, ha sempre dato
tutta se stessa per coloro a cui voleva bene. Mi è stata accanto quando la
persona che amo è morta e mi ha permesso di andare avanti nonostante tutto ciò
che volevo era vendetta. Il mio odio veniva lavorato dalle sue mani gentili
come argilla e lo ha trasformato in accettazione. Ma come posso accettare anche
questo? Colombe, ghoul, esseri umani…. Tutti abbiamo dei sentimenti!» stava
gridando così forte da affannarsi, quel ragazzetto minuto, con la forza di un
leone. «E nessuno di noi la conosceva! Nessuno di noi conosce mai le persone
che ama, ma va bene così! Il nome è solo un nome. Ciò che resta sono i fatti e
lei era una donna meravigliosa.» Con odio, voltò il viso verso Urie e Kuramoto.
«Nessuno dovrebbe permettersi di uccidere solo perché ha un distintivo e-»
«Va
bene così», Aizawa lo interruppe bruscamente.
Touka
era così bianca da sembrare di marmo. Nishiki sembrava pronto a una lotta.
Tatara,
annoiato, osservava la scena.
Aiko
non sapeva come ne sarebbero usciti ora che quel giovane aveva dichiarato
apertamente di essere un ghoul.
E
con ben pochi giri di parole.
C’erano
quattro agenti e, apparentemente, quattro ghoul.
Aiko
ci mise due secondi netti a comprendere che doveva dire qualcosa in fretta per
distrarre l’attenzione da Moryumaru.
«Non
conoscevo molto bene Shukumei», iniziò, schivando la palla come se nessuno
avesse quasi scatenato una tragedia. «Era una donna particolare, lo ammetto,
molto elegante e di classe, attenta nel suo lavoro.» scambiò un’occhiata veloce
con Nobunaga, che per tutta la celebrazione si era tenuto sul lato destro,
accanto a un paio di colleghi, atterrito. «Non conoscevo bene nemmeno Sadako»,
proseguì quindi, «Che pareva l’opposto, almeno esteriormente. Ho avuto
l’opportunità di incontrare Lisca, se vogliamo chiamare incontro quello che è
successo fra noi. Di conseguenza, io non so niente di questa donna,
assolutamente niente. Mi ha intervistato due volte e io l’ho interrogata una
sola. Fine dei giochi, cala il sipario.
Però oggi sono venuta non solo per supportare Ivak e…» Guardando Tatara comprese
che era meglio non fare il suo nome. «E gli altri che la amavano. Sono venuta
principalmente perché volevo vedere questo; quando una persona muore lascia
dietro di sé lacrime e sorrisi mesti. Quando una persona muore è una candela
che si spegne e un’anima che svanisce. Metà di noi non sapeva che fosse un
ghoul. Probabilmente, l’altra metà non sapeva che si spacciasse per umana. Io
la chiamavo Mei, altri Shukumei, alcuni Sadako, altri Shinra. Il fatto che
abbia lasciato qualcosa nei nostri cuori dovrebbe essere motivo di forte
riflessione, non di disputa. Ghuol? Umani? Chi siamo noi per giudicare un altro
essere vivente?»
Moryumaru
rise, spento, «Detto da una colomba.»
A
quel punto, Aiko scrollò le spalle. «Magari è ora che le cose vengano cambiate.»
«Farò
finta di non avere sentito», sbottò Urie, portando poi una mano alla fronte. «Così
farò finta di non avere visto.» Guardò profondamente Moryumaru, scambiando uno
sguardo di intesa con Komoto. Poi alzò le spalle. «In ogni caso, in quanto
pubblico ufficiale, dichiaro il funerale concluso. Coprite quella fossa e
andiamo tutti quanti a casa.»
Non
voleva incidenti.
Sarebbe
stato difficile spiegarlo a Matsuri, poi.
Il
ragazzo con la sciarpa rossa passò lo sguardo in quello giallo di Masa, ma lei
non lo notò, troppo grata che tutto si fosse concluso così.
Aizawa
però voleva la battuta finale.
«Voi
tutti mi fate schifo», ubriaco, si staccò dal braccio di Shimura, il quale
ormai era arrivato al limite di sopportazione umana. «Ma tu», e indicò Tatara,
facendo tremare nuovamente Aiko. «Tu più di tutti.»
L’albino,
nuovamente, incassò. Guardò Ivak attraverso le lenti a contatto azzurre,
facendo un passo indietro per iniziare ad allontanarsi.
Poi
ci ripensò. E fronteggiò il medico. «Il sentimento che provava per te non era
paragonabile a quello che l’ha legata a me. Per quanto tu possa odiarmi ed
essere invidioso, sai che è così. Perché tu non l’hai mai capita, Junichi
Aizawa. Mettiti l’anima in pace.»
Aizawa
scattò.
Fu
così veloce che se fosse stato sobrio sarebbe anche riuscito a rifilargli un
pugno. Da sbronzo riuscì solo a sbilanciarsi e a cadere sul manto erboso senza
gloria, mentre il dottor Huang salutava Aiko con un cenno. «Fallo
disintossicare dall’alcool. Il suo fegato ha un limite di rigenerazioni»,
soffiò dispiaciuto di quella premura. Poi lanciò un ultimo sguardo ad Aizawa. «Addio»,
gli disse semplicemente.
Tranquillo
e pacato.
In trionfo.
Aiko
lo guardò andare via, mentre Shimura e Urie cercavano di rimettere in piedi
Ivak, che si dibatteva come un salmone incollerito. «Io lo uccido! Quel
maledetto bastardo! Non hai portato la maschera oggi? Mi fai schifo! È colpa
tua! Tua!»
«Dobbiamo
portarlo a casa», disse Korito, con gli occhiali storti sul naso, fissando poi
truce Komoto che si era tenuto a debita distanza da tutto quel polverone non metaforico.
Masa
si chinò su Ivak, togliendogli con uno strattone la bottiglia, che in tutto
quel casino aveva tenuto fieramente al petto. Poi andò a svuotarla dentro alla
fossa, buttando il resto della terra su di essa con il piede fasciato dal tacco
dieci.
Aveva
evitato una carneficina, non le sarebbe importato più di tanto di sembrare
irrispettosa.
☸
«Mi
chiedo quanti ghoul ci fossero a quel funerale.»
Aiko
non si prese la briga di aprire gli occhi. Continuò a canticchiare a bocca
chiusa una canzone lenta, mentre appoggiata al cuscino, passava le dita lunghe
e sottili fra i capelli rasati dell’undercut di Urie. Era stato lui a porre quella domanda, quasi
come se quel quesito lo assillasse sin dal momento in cui avevano rimesso piede
allo chateau. In realtà non era così. A quel singolare funerale si erano
presentate più persone di quante se ne fosse aspettato in un primo momento.
Credeva che eccetto qualche sporadico conoscente, Shukumei non avesse amici. Né
una famiglia. Non era nemmeno a conoscenza della Grande Ruota o di quante
effettive identità avesse assunto in vita. Se solamente due di esse avevano
attirato un numero del genere di persone, allora forse sarebbero riusciti a
riempire un piccolo campo se avessero scavo più a fondo nella storia di Mei.
Non
era il caso di farlo. Ormai era morta ed era giusto che si fosse portata con sé
i suoi segreti e i suoi peccati.
Senza
contare che avevano rischiato una rissa con meno di venticinque persone. Il
doppio avrebbe portato sicuramente a una ressa da stadio.
«Mei
ha avuto una relazione con il dottor Huang, vero?»
Masa,
sempre tenendo le palpebre abbassare, arricciò la bocca in un sorrisetto. « Quando
erano due ragazzini, a quanto so. Però non essere geloso, ho fatto il viaggio
in auto con lui per non farlo venire da solo, anche se alla fine è scappato con
la mia giacca sul sedile posteriore per colpa di Ivak.»
Urie
sbuffò, scocciato. «Come al solito non hai capito il punto. Voglio solo sapere
che collegamento c’è fra lui, Shukumei e te.»
«Perché
me ne ha parlato lei», mentì spudoratamente Aiko. Si era naturalmente preparata
un copione, nel caso in cui Urie avesse chiesto. «Ti ricordi quando siamo
uscite a pranzo insieme? Abbiamo parlato dei nostri studi e alla fine è saltato
fuori che anche io conoscevo Huang.»
«Lo
hai chiamato tu per avvisarlo?»
«Sì,
a quanto sapevo, sono sempre rimasti in buoni contatti e ho pensato che avrebbe
voluto saperlo.»
Di
nuovo, Urie sbuffò. Sembrava un treno a vapore. Non voleva tirare fuori la
questione e rischiare di litigare dopo una giornata così stressante, ma quello
che Kuramoto aveva detto lo aveva un po’ scombussolato. L’ex fidanzato abusivo, secondo Take.
Aiko
socchiuse gli occhi, abbassandoli sul viso del ragazzo, premuto contro il suo
petto. «Mi stai facendo un
interrogatorio? Se è così, allora voglio un avvocato.» Buttò fuori scherzosa,
chinandosi per baciarlo sul volto. Poi abbassò la voce, «Non dirlo ad Aizawa,
ma credo che si siano amati veramente molto, un tempo. E forse si amavano
ancora, ma ci sono persone che non possono stare insieme anche se è tutto
quello che vorrebbero.»
Il
giovane non espresse apertamente il suo pensiero, ma si ritrovò a provare pena
per Aizawa. Era distrutto, ridotto all’ombra dell’uomo che era sempre stato e
tutto questo per una donna che forse, per intuizione velata di Masa, non gli
era nemmeno stata fedele. Naturalmente se lo sarebbe tenuto per sé. Tornò ad
affondare il viso contro i piccoli seni morbidi di Aiko, chiudendo gli occhi e
rannicchiandosi su se stesso, nel disperato tentativo di scacciare dalla mente
qualsiasi pensiero, al fine di poter riposare un po’ prima di cena. Raramente
avevano a disposizione tutto quel tempo per riposare e anche se Aiko avrebbe
avuto circa cinque giorni di fermo a causa dell’accumulo di ore di servizio sul
campo, lui non avrebbe avuto la stessa opportunità.
Doveva
approfittarne.
Sospirò
piano, lasciando che la ragazza continuasse ad accarezzargli i capelli con
tocchi delicati che non sembravano rappresentare il suo carattere a tratti
spinoso, rendendosi contro sempre più che aveva permesso a quella ragazza di
penetrare la spessa corteccia che si era costruito attorno dopo la morte di suo
padre.
«Se
io morissi tu saresti disperato come Ivak?»
La
domanda arrivò a bruciapelo, facendogli socchiudere gli occhi. Non le diede
comunque la soddisfazione di una reazione teatrale, tenuto soprattuto conto del
fatto che lui non era mai teatrale. «Che domanda stupida.»
«Io
sarei distrutta.»
Il
tono di Aiko non tradiva nessuna reazione in particolare. Sembrava parlare in
via puramente ipotetica. Se avesse provato ad indovinare il tempo atmosferico
del giorno dopo, avrebbe avuto esattamente la stessa cadenza. Fu questo
disinteresse per la sua stessa vita a spingere Urie a sollevarsi, arrivando ad
appoggiare il capo sul cuscino, parandosi con una mano all’indietro i capelli
spettinati.
«Vorrei
solo capire a cosa cazzo pensi, Aiko.»
Anche
lei si spostò, mettendosi a pancia sotto, con i gomiti bene appuntellati al
materasso. Lo guardava dall’alto, con un’espressione indecifrabile, mentre il
lenzuolo che li copriva le scivolava via dalle spalle, lasciando nuda la
schiena del colore della porcellana.
«La
vita è così imprevedibile», gli rispose, inclinando di lato il capo, prima di
sorridere. «Oggi sei fidanzato con una tipa da
paura e domani scopri che è un ghoul. La vita di Aizawa è stata
completamente sconvolta nel giro di un battito di ciglia, questa consapevolezza
mi spaventa, sai?» Fece una piccola pausa, prima di alleggerire l’intera
situazione con una risatina sforzata. «Se ci trasferissimo in Francia? Mi hanno
detto che Parigi è bellissima. Tu potresti fare il pittore, vivere di arte e io
sarei la tua musa.»
Urie
alzò un sopracciglio. «Nessuno vive più di arte.»
«Che
schifo il cinismo. Sogna in grande, sei giovane.»
Aiko
portò le mani a contornarsi il viso, mentre continuava a guardarlo. Urie
avrebbe voluto solo una cosa in quel momento, ancor più di una promozione o di
qualsiasi gratificazione; guardare quelle iridi dorate e capire cosa
nascondessero. «Sei così inquietante», si ritrovò invece a borbottare,
girandosi sul fianco, messo alle strette da quello sguardo che di limpido non
aveva nulla, ma lo faceva sentire nudo.
Che
poi lo fosse nel senso letterale del termine, non c’entrava affatto.
Masa
rise, appoggiandosi col mento alla sua spalla e abbracciandolo da dietro. Poi
espirò così profondamente che lui avvertì le costole premere contro la sua
schiena nuda.
«Dovremmo
farlo davvero, sai? Partire per Parigi, andarcene. Abbandonare tutto. Se non lo
facciamo ora, finiremo come Orihara, come Osaki e come tuo padre. Come Shirazu.»
La voce le si affievolì fino a sparire, quando nominò il loro ex compagno di
squadra. Kuki si ritrovò a chiedersi come fosse possibile che dal nulla fossero
tornati a parlare di tematiche così delicate. Quel rollercoaster di emozioni
non faceva per lui. «Io non voglio morire su un campo di battaglia prima di
capire chi davvero voglio posso diventare.»
La
spiò oltre la spalla, prima di tornare a voltarsi, facendola appoggiare con la
mano al centro del suo petto. Le passò il dorso della mano sulla guancia,
andando poi a giocare con una ciocca dei capelli neri come la pece, lucidi e
lisci, che arrotolò attorno all’indice.
«Non
credevo avessi paura di morire…»
«Mi
stupisce che tu non ne abbia.»
Anche
quella era una bella osservazione. Aveva paura di morire? Urie non lo sapeva.
Guardava sempre così tanto avanti da non tenere conto delle variabili. Aveva
sempre visto uno sfavillante futuro di fronte a sé, privo di qualsiasi
distrazione. Aveva separato la parte umana del suo cuore e l’aveva relegata in
profondità nel suo animo al fine di fare sempre le scelte più oculate. Eppure
eccolo lì, steso in un letto con una donna, invece che chino su una scrivania
nel suo giorno di riposo, a mostrarsi dedito al lavoro e alla causa del ccg.
Variabili.
La
vita era fatta di variabili e la più definitiva di essa era la morte.
Eppure
lui la esorcizzava.
«Non
moriremo», decretò lapidario, come se fosse lui a deciderlo. Come se ne avesse
il potere. «Siamo più forti e siamo in due. Vorrà pur dire qualcosa tutto
questo tempo che mi fai perdere.»
Aiko
sbuffò, non riuscendo però a non sorridere di nuovo. Si chinò, facendo per
prendere le sue labbra e chiuderle in un bacio. All’ultimo, però, si bloccò.
Allungò la mano verso il comodino, afferrando il gattino bianco di peluche e
piazzandoglielo davanti al viso.
«Se
dovessi morire prenditi cura di lui», gli disse, come se stesse parlando di un
gatto vero. «E magari anche del cane che potremmo-»
«Non
prenderemo un cane.»
«Antipatico!»
Gli
tirò in faccia il gattino, senza metterci troppa forza, prima di recuperarlo e
accoccolarsi dall’altra parte del materasso a una piazza e mezzo. Urie portò
una mano a coprirsi gli occhi, totalmente esasperato.
«Donne»,
sussurrò sfinito, girando subito dopo il capo per spiarla. Gli aveva rivolto la
schiena nuda, lucida tanto era chiara, con le scapole in evidenza a causa della
magrezza della giovane. Urie prese un bel respiro, decidendo che poteva
perdonarla.
Le
si avvicinò, sollevando le coperte per coprila fino al fianco, oltre cui passò
il braccio. Quando si accoccolò di nuovo, con la guancia contro la spalla di
Aiko, sperò di non essere disturbato ancora per l’ennesima volta.
Però,
se mai si fosse offesa, allora avrebbe preferito sentirla blaterare.
Aiko
fu clemente. Appoggiò una mano sulle sue, incrociate sul ventre piatto della
ragazza, mentre con l’altra teneva il prezioso pupazzo.
Lui
si addormentò, sollevato.
Lei,
invece, non chiuse occhio, continuando a stringerle la stoffa morbida dell’animaletto
e con la mente proiettata al discorso che aveva avuto con Take.
Era
un chiodo fisso per lei. Un argomento che iniziava a diventare sempre più
prioritario nella sua mente.
Perché
sapeva che Urie, al contrario di Hirako, non l’avrebbe perdonata.
Se
avesse scoperto tutto non ci sarebbero più state vacanze, pomeriggi passati a
letto, liti e prese in giro sottili.
Non
ci sarebbe stato nulla.
Ironicamente,
pensò proprio a Shukumei, alla loro ultima conversazione vera, sedute al tavolo
della sua cucina, mentre preparavano l’articolo contro la ccg. Ripensò al loro
brindisi e alle scelte future che le avrebbero definite.
Quelle
di Mei l’avevano condotta alla tomba.
Quelle
di Aiko dove avrebbero portato?
Probabilmente
in un luogo, se possibile, ancora più freddo.
Continua…
Nda
Canzone
citata a inizio capitolo: Love is Blindness, dalla colonna sonora del Grande
Gadsby.