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Autore: Kim WinterNight    01/07/2017    2 recensioni
[Sequel di 'Alive'.]
«Siamo giunti all'ultimo campo per Laura.
Stavolta però si ritrova ad avere qualcuno al suo fianco, qualcuno che però non è Marco.
Forse questa è la volta buona, forse la ragazza riuscirà a superare l'attrazione che da sempre la lega a qualcuno che non la ama.
Lei ci proverà, supportata da sua sorella Tamara, dall'immancabile e storica amica Viola e da tutti i loro compagni di avventura, sotto la supervisione di educatori e istruttori che non rinunceranno a mettere i ragazzi alla prova e a combinare un bel po' di casini.»
Come per le due storie precedente, troverete una colonna sonora diversa per ogni capitolo. Vi basterà cliccare sul collegamento presente sul titolo per essere rimandati direttamene al brano su YouTube.
Inoltre, come di consueto, il titolo della storia porta il nome di una canzone dei P.O.D. intitolata proprio 'Boom': vi consiglio di andarla a sentire! ;)
Buon ascolto e buona lettura e, come sempre, non esitate a farmi sapere il vostro parere ♥
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Youth Of The Nation'
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ReggaeFamily

Capitolo undici: Ballo in fa diesis minore




Alle quattro del pomeriggio eravamo tutti pronti ad accogliere i nuovi ospiti che si sarebbero occupati dell'attività di musicoterapia.

Faceva un caldo bestiale, ma fortunatamente ci eravamo sistemati all'ombra, nel punto di fronte all'ingresso della camera dei ragazzi.

Poco dopo Lucrezia ci raggiunse in compagnia di un uomo e una donna: lui indossava una camicia celeste a maniche corte infilata dentro un paio di pantaloni anonimi, mentre lei sfoggiava un bel vestitino dalle tinte estive e portava ai piedi un paio di sandali chiari.

«Ciao a tutti!» ci salutò subito la donna, e io a primo impatto ebbi una buona impressione di lei; non aveva utilizzato un tono di voce falso o un atteggiamento condiscendente nei nostri confronti, sembrava intenzionata a trattarci con il rispetto che meritavamo.

Forse era stupida come riflessione, ma spesso mi era capitato di incontrare persone ignoranti che mi avevano trattato in quella maniera, pensando – anzi, non pensando affatto – che i miei problemi visivi si estendessero anche al cervello.

«Ciao ragazzi» aggiunse il suo accompagnatore. Rispetto a lei sembrava un po' meno espansivo, ma non mi fece comunque una brutta impressione.

«Io sono Maria Vittoria e lui è Alfredo, ci fa molto piacere essere qui con voi. Vorremmo proporvi una bella attività da fare tutti insieme, qualcosa che speriamo possa piacervi. Ma prima sarebbe carino un veloce giro di presentazioni, giusto per conoscerci un po' meglio. Ditemi come vi chiamate, quanti anni avete e cosa vi piace fare. Chi comincia?»

Mi guardai intorno e attesi che qualcuno prendesse l'iniziativa; poco dopo Nicolò prese la parola: «Dai, comincio io! Sono Nicolò, ho diciassette anni e non so cosa mi piace fare. Ah sì, mi piace mangiare!»

Ridacchiammo tutti, poi Maria Vittoria chiese a Giorgio di parlare un po' di sé.

«Sono Giorgio, ho dodici anni e mi piace un sacco guardare i cartoni animati Disney» disse timidamente il ragazzino.

Poco dopo fu il turno di Gabriella, la quale era seduta alla mia sinistra: «Ciao Maria Vittoria e ciao Alfonso, io sono Gabriella. Ho diciassette anni, ne farò diciotto il mese prossimo. Mi piace molto nuotare, esplorare le grotte dove ci sono i pipistrelli – sono bellissimi, li adoro! – e poi amo guardare le gare di Moto 3, cantare e nuotare velocissimo!». Parlò con un tono talmente timido, ma allo stesso tempo colmo d'entusiasmo, che mi fece quasi tenerezza.

«Quante cose! Bene, ora passiamo a te» mi si rivolse Alfonso.

Mi schiarii la gola. «Io sono Laura, ho ventitré anni e ho diverse passioni» esordii con leggero imbarazzo.

«Quali?» volle sapere Maria Vittoria.

«Amo la musica, amo cantare fin da quando ero piccola, adoro leggere e scrivere» conclusi.

«Ah, senti senti! Tu invece?» proseguì la donna in tono dolce.

Alla mia destra sedeva Viola, la quale comprese di dover prendere parola e così fece: «Ciao, sono contenta che siate venuti qui per quest'attività. Io mi chiamo Viola, ho ventitré anni e mi piace molto la musica anni Ottanta. Adoro gli animali e ho un gatto che mi aspetta a casa, mi manca un sacco».

Tutti ridemmo e io commentai: «Viola e suo figlio a quattro zampe!».

«Che carina! Dimmi tu, invece, come ti chiami?» Alfonso si rivolse a mia sorella.

«Sono Tamara, ho quattordici anni e mi piace molto la musica, ho una grande passione per il reggae! Poi mi piace molto scrivere e leggere, proprio come a Laura che è mia sorella. Si nota?»

Maria Vittoria e Alfonso guardarono noi, si scambiarono un'occhiata e annuirono. Riuscivo a scorgere i loro movimenti perché sul portico splendeva una buona luce, nonostante non ci trovassimo sotto il sole.

«Vi somigliate molto. Siete gemelle?» chiese l'uomo.

Risi. «Ce lo dicono tutti, ma no, non lo siamo. Abbiamo otto anni di differenza.»

«Giusto, lei ne ha quattordici e tu...» rifletté Maria Vittoria.

«Io ventitré» risposi.

«Ecco, caspita! Non si direbbe... comunque, tu invece come ti chiami, tesoro?» domandò la donna a Simona.

Tamara intervenne: «Dai Simo, presentati, tocca a te ora!».

«Sì. Sono Simona.»

«Quanti anni hai?»

«Venti. Ho vent'anni. E sai cosa voglio fare? Andare nella stanza di Nicolò a cercare i biscotti... cioè, io voglio andarci di mattina, ma nessuno mi manda... è un'ingiustizia, io quei biscotti li voglio, ma se non li mangio nella camera di Nicolò non è la stessa cosa... e ora mi sgocciola il naso, chi mi dà un fazzoletto?» blaterò Simona agitatissima.

Giovanna si accostò a lei con discrezione e le suggerì di controllare nelle tasche dei suoi pantaloncini per vedere se i fazzoletti fossero lì.

Scossi il capo e individuai educatori e istruttori che stavano in disparte e non si immischiavano in ciò che stavamo facendo.

«E tu invece?»

Marco sollevò il capo. Era seduto di fronte a me ed era rimasto in silenzio per tutto il tempo. «Sì, mi scusi... mi chiamo Marco, ho diciannove anni e amo suonare.»

Alfonso annuì. «Buono, vedo che in questo gruppo abbiamo diversi musicisti e artisti di vario genere! Bene, Mari, vogliamo spiegare ai ragazzi cosa faremo oggi?» si rivolse poi alla collega.

«Certo. Ragazzi, voi siete in otto. Vogliamo dividervi in due gruppi e fare un piccolo esperimento. Vediamo un po'... Laura, giusto? Va bene se la tua squadra sarà formata dai ragazzi alla tua sinistra?»

Osservai Gabriella, Nicolò e Giorgio, poi dissi: «Certo».

«Perfetto! L'altra squadra sarà formata dal resto del gruppo. Bene, ora vi spieghiamo un po' cosa dovrete fare. Avete presente quei talent show che si vedono tanto in TV? Ecco, ogni componente della prima squadra si esibirà cantando una canzone a sua scelta e i componenti dell'altra dovranno giudicare le singole esibizioni con un punteggio da zero a dieci. Tutto chiaro, vero?» ci interrogò Maria Vittoria con il sorriso nella voce.

Gli occhi mi si illuminarono alla sola idea di dover cantare, anche se avvertii un po' d'ansia.

«Cominciate a pensare a che brano eseguire, così noi possiamo cercare la base su internet» ci suggerì Alfonso, armeggiando con un portatile che era stato sistemato su uno dei tavoli in vimini.

Presi a riflettere un po' su un brano che fossi in grado di eseguire e che mi emozionasse al punto giusto, senza però farmi perdere il controllo e gettarmi in lacrime. Esistevano quelle canzoni che mi avevano rubato il cuore e che non avrei mai potuto cantare per la troppa emozione, come per esempio Gli uomini non cambiano di Mia Martini o Canzone per un'amica dei Nomadi.

Mi venne in mente che sarei risultata molto originale se avessi eseguito qualcosa di insolito, ma ancora avevo tempo per prendere una decisione, dato che a cominciare sarebbe stato Giorgio.

Eseguì una canzone del Re Leone e io mi commossi perché fu davvero molto dolce; la sua performance fu colma di timidezza e trasporto, nonostante non fosse certo intonato e andasse spesso fuori tempo. Fu emozionante ascoltarlo, e infatti ottenne un sacco di bei voti, anche se non furono tutti e quattro dei dieci.

Dopodiché fu Nicolò a cantare, eseguendo una canzone che non conoscevo e che non mi trasmise niente di particolare. Se avessi dovuto giudicarlo io, gli avrei dato forse un sei e mezzo per il coraggio, ma nulla di più.

Dopo di lui venne il turno di Gabriella. Era molto emozionata e non mi stupii affatto quando annunciò che voleva eseguire Sono solo canzonette del nostro amico Bennato. Nel suo caso, se avessi dovuto darle un voto, sicuramente avrei optato per un dieci. Non fu eccezionale in quanto a tecnica o intonazione, ma fu palese la sua emozione e la tenerezza che provai per lei in quel momento fu una delle poche cose che mi fece sentire vicina a quella ragazza almeno per una volta nella vita.

«Brava Gabriella! Ora tocca a te, Laura, cos'hai deciso di eseguire?» mi chiese Maria Vittoria.

«Vorrei cantare Ballo in fa# minore di Angelo Branduardi» proferii.

Marco si esibì in un fischio d'approvazione, mentre la donna di fronte a me rimaneva a bocca aperta e il suo collega annuiva compiaciuto.

«Caspita, ora sì che sono sorpresa!» si espresse infine lei.

Mi sentii avvampare e sorrisi di rimando. «Spero di riuscirci.» Mi misi in piedi e mi accostai al tavolo su cui si trovava il computer, per poi voltarmi nella direzione dei miei compagni d'avventura. Marco, ora, si trovava seduto alla mia sinistra e sembrava molto interessato ad ascoltare la mia performance.

Tirai un lungo sospiro e attesi che Alfonso trovasse una base decente su YouTube. Quando infine riuscimmo a beccarne una abbastanza coerente con il brano originale, lui la fece partire e io mi immersi nel mio elemento naturale.


Sono io la morte e porto corona.

Io son di tutti voi signora e padrona.

E così sono crudele, così forte sono e dura,

che non mi fermeranno le tue mura.


Ero emozionata, la voce all'inizio aveva tremato un po', ma poi mi ero lasciata andare. Quello era uno dei miei brani preferiti di Branduardi, un artista che fin da piccola avevo imparato ad apprezzare e verso il quale avevo sempre nutrito una profonda stima e ammirazione.

Presi fiato e mi rigettai a capofitto sulle note.


Sono io la morte e porto corona.

Io son di tutti voi signora e padrona.

E davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare.

E dell'oscura morte al passo andare!


Sei l'ospite d'onore del ballo che per te suoniamo,

Posa la falce e danza tondo a tondo!

Il giro di una danza e poi un altro ancora,

E tu del tempo non sei più signora!


Quando terminai la canzone, uno scroscio di applausi mi invase e dovetti trattenere le lacrime per non permettere loro di scivolarmi giù dagli occhi.

«Bravissima, ma adesso sentiamo che voto ti daranno i ragazzi! Viola, tu che ne pensi?» le chiese Maria Vittoria.

«Io le do dieci perché è stata bravissima e ha cantato una canzone difficile!» esclamò la mia compagna di stanza.

«Troppo gentile, Vivi...» bofonchiai.

«Anche io le do dieci, assolutamente! Non sono di parte, Lau sa benissimo che se qualcosa non va glielo dico, ma stavolta si è proprio superata!» affermò mia sorella con fermezza.

«Tu, Simo?» fece Maria Vittoria.

«Sì, anche io le do dieci perché è stata molto brava. Ma volevo dire, Laura, secondo te posso andare a prendere i biscotti? A volte mi comporto come non dovrei, lo so, ma ogni tanto anche gli altri esagerano con me... domani mattina spero proprio di poterci andare nella stanza di Nicolò a...»

«Okay, okay! Simo, grazie, ne parliamo dopo, eh?» tagliai corto. Era stata carina, ma del resto stava distribuendo dieci a chiunque aprisse bocca, per poi finire a blaterare cose sconnesse che non avevano nessuna attinenza con l'attività in corso.

Dopo qualche istante, Maria Vittoria finì di appuntare le votazioni, poi si accorse che mancava quella di Marco, così lo incoraggio a esprimere il suo parere.

«Che dire... il dieci è assicurato. Lau, sei stata capace di sorprendermi, hai portato fuori una canzone che è storia della musica, l'hai eseguita a modo tuo e sei stata cazzutissima. Complimenti» disse lui con un leggero entusiasmo a impregnare il solito tono piatto con cui parlava.

Lo presi come un buon segno, come un complimento e ne fui soddisfatta. Fu come se riuscire a far colpo su di lui mi mettesse addosso un qualcosa di più positivo, come se mi conferisse potere e controllo nei suoi confronti.

Tornai a sedermi e aspettai che l'altro gruppo cominciasse a esibirsi.

Viola fu la prima e cantò un brano di Max Pezzali, uno dei suoi artisti preferiti. Fu bravissima e mi venne quasi da piangere per quanto impegno mise in quell'esibizione.

Ovviamente ricevette dei bellissimi voti da tutti, me compresa.

Tamara inizialmente era titubante e non voleva cantare, si vergognava e non riusciva a trovare la forza per esporsi tanto. Infine riuscimmo a convincerla e ci deliziò con un emozionante brano reggae a cui era molto legata.

Ero sinceramente orgogliosa di lei, nonostante sentissi la sua voce tremare e mancare qualche nota o parola. Ero veramente in uno stato di gioia indescrivibile, quell'esperienza della musicoterapia stava sicuramente aiutando tutti noi ad aprirci, a metterci in gioco, a portare fuori emozioni vere e a non nasconderci più dietro le apparenze, amicizie o antipatie che si erano create all'interno del gruppo.

Quando mia sorella terminò la sua esibizione, la stritolai in un abbraccio e le ripetei all'infinito che era stata formidabile e che non aveva proprio motivo di vergognarsi.

Dopo di lei fu un po' difficile far cantare Simona. «Non conosco nessuna canzone» disse.

«Ma sì, dai, una la conosci di sicuro!» la incoraggiò Maria Vittoria.

«Conosco solo Marco se n'è andato e non ritorna più e anche Tu mi manchi amore mio

«Vedi che allora qualcuna la conosci? Quale scegli?»

«Marco se n'è andato e non ritorna più» decise infine Simona.

Ci volle un po' per ricordare il titolo esatto del brano, ma alla fine Alfonso trovò la base de La Solitudine di Laura Pausini, così Simona prese a cantare il brano quasi a memoria.

Andò per lo più fuori tempo, sbagliò molte parole e non fu granché in generale, ma io mi ritrovai a piangere come una bambina, commossa come non mai. Quell'attività stava decisamente facendo capitare un sacco di cose pazzesche, cose che non avrei mai immaginato, come dare un bel dieci a Simona.

L'ultimo a esibirsi fu Marco. «Suono un brano da me composto, userò la mia chitarra come accompagnamento» ci informò, per poi rientrare in stanza a recuperare il suo strumento.

Poco dopo tornò da noi e si sedette nuovamente al suo posto, esattamente di fronte a me.

Quando cominciò a suonare non sapevo cosa aspettarmi, poi prese a cantare e, nonostante il testo fosse in inglese e non riuscissi ad afferrare la maggior parte delle parole, avvertii una profonda malinconia provenire da quella melodia, da quelle note e da quegli accordi precisi e consapevoli.

Mi ritrovai a piangere ancora una volta, ormai ero entrata in una fase delicata, difficile da gestire.

E, inevitabilmente, mi ritrovai a pensare a tutto ciò che era successo con Marco, ma soprattutto a ciò che non era successo; il tempo perso, le occasioni mancate, le ripicche, i piani diabolici finiti male... tutto questo era nato solo per colpa di un'attrazione quasi incontrollabile, di sentimenti acerbi che ci avevano avvicinato l'uno all'altra in un momento inadatto, in una fase della nostra vita in cui non eravamo pronti per affrontare certe cose davvero importanti.

Sicuramente i nostri sentimenti erano stati profondi e veri, ma noi non eravamo stati in grado di viverli e di accoglierli. Ci eravamo limitati a farci del male, ancora e ancora, e in quel momento la situazione non era diversa.

Niente era cambiato, niente sarebbe mai cambiato.

Il brano da lui eseguito, oggettivamente, fu monotono e ripetitivo, nonché veramente triste e quasi da suicidio; tuttavia non riuscii proprio a trattenermi e a evitare di versare lacrime amare sui miei stupidi e inutili ricordi.

«Dieci» dissi soltanto.

  
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