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Autore: Mardy Paranoica    02/07/2017    2 recensioni
Era difficile essere contemporaneamente tutto quello che più si ama e più si odia.
Avrebbero voluto entrambi farla finita: uno stava annegando nel suo narcisistico riflesso, l'altro stava soffocando nelle sue paranoie, nei suoi psicofarmaci, nei suoi improvvisi attacchi di panico.
Soli, disperati, spaventati da qualsiasi cosa che mettesse in luce le loro ombre.
Lui odiava il Sole per illuminare qualsiasi parte buia, odiava la Luna per donargli riflessi e le Stelle lo facevano sentire fastidiosamente insignificante.
Però il mare, d'inverno e in tempesta, aveva lo stesso colore dei suoi occhi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Quella notte non c'era la Luna





Una persona vuota, ecco cos'era.
Si sentiva morto, aveva l'impressione di aver dato al mondo già tutto quello che poteva dare.
Era una penna costosa ma senza inchiostro: bella ma inutile.
Elegante, affascinante agli occhi di chi non lo conosceva, ma inutile.
Tutto ciò che faceva per colmare il suo senso di vuoto cosmico era allontanare da se chiunque gli volesse bene.
Non erano molte le persone che erano state capaci di provare dei sentimenti reali nei suoi confronti che non fossero invidia, gelosia, odio. Pena.
Non avrebbe mai immaginato di arrivare al punto in cui qualcuno provasse pena per lui: era sempre stato così pieno di se da convincersi che non ci fosse nessuno che lo potesse eguagliare, nessuno che potesse essere migliore di lui e poi, proprio come Narciso, era affogato guardando il suo riflesso. La metafora perfetta della sua fine: stava morendo soffocato da se stesso, dalle paranoie che aveva sempre represso, dalle paure che non aveva mai mostrato e dall'irrefrenabile istinto suicida che aveva sempre cercato di non assecondare.
Inutile negare che avesse sempre cercato, tante volte anche involontariamente, di ammazzarsi.
La sua prematura morte sarebbe stato solo l'ennesimo modo di dare spettacolo, una scenica dipartita l'avrebbe consacrato per l'eternità ma iniziava a pensare che fosse codardo anche per fare quello.
Diceva di essere un futurista, guardava sempre più in là di chiunque altro ma non riusciva a fare a meno di restare ancorato ai suoi rimpianti del passato.
Cercava di spegnere le fiamme che lo stavano logorando con l'alcol nonostante fosse consapevole di alimentarle solamente. Intere notti insonni per distruggere bicchieri costosi contro il muro ed aspettare le luci dell'alba che si sarebbero affacciate timidamente oltre i palazzi, oltre le nuvole e oltre le sue ombre.
Il sole non se ne sarebbe curato, non gli sarebbe importato di non sorgere per non illuminare tutte le sue ombre e questa cosa lo infastidiva a tal punto da desiderare che si spegnesse e che quella terra esplodesse e che non ci fosse più niente da ricordare perché non ci sarebbe stato nessuno che avrebbe ricordato.
Odiava anche la Luna.
La Luna c'era sempre, c'era ad illuminare le sue ombre anche quando non lo faceva il sole e aveva desiderato che scomparisse anche Lei, lasciando solamente il piacevole buio di un cielo senza stelle.
Una coperta nera sul mondo, un telo scuro che lo avrebbe coperto.
Le Stelle gli ricordavano quanto fosse minuscolo ed insignificante e allora era stato costretto ad odiare anche Loro.
Non c'era niente che gli piacesse, anche il liquido amaro e ambrato che continuava ad ingurgitare gli faceva schifo ma doveva riconoscergli che alleviava le sue sofferenze, almeno per un po'.
Nessuno riusciva a tirarlo fuori da quel buco di disperazione che si era scavato, una fossa che aveva accuratamente sistemato con le sue mani semplicemente perché lui non voleva essere tirato fuori. La sua vita girava attorno a se stesso, al compiacimento di un'anima vuota, all'appagamento della sua sofferenza, al sesso occasionale, ad un vinile che girava a vuoto su un piatto perché annoiato anche dalla musica che aveva sempre amato.
Era sempre stato un tipo passionale, innumerevoli donne e altrettanti uomini erano passati tra le sue coperte ed erano scomparsi per sua volontà, dalla sua vita, con la stessa silenziosa celerità con cui vi erano entrati.
Come avrebbe potuto amare qualcun'altro quando era già così impegnato ad amare se stesso? Non c'era spazio nel suo cuore per poter condividere quel vile e deleterio sentimento con un'altra persona.Lo trovava stupido ed autolesionista: l'amore faceva del male, uccideva, stringeva lo stomaco e faceva tremare le gambe.
Quale persona sana di mente si sarebbe mai condannata a tanta sofferenza pur di sentirsi apprezzata e ben voluta? Giustificazioni inutili e riparatorie alla convinzione che nessuno sarebbe mai riuscito ad amare uno come lui.
Del resto, non avrebbe avuto senso amare una persona che non era in grado di farlo. Si chiedevano tutti se in mezzo al suo torace battesse davvero un cuore o fosse in tutto e per tutto un freddo calcolatore. Lui non rispondeva mai ma era sicuro che ci fosse perché altrimenti non avrebbe fatto così male.
Ogni battito aveva la dolorosa intensità di una pugnalata e ogni respiro raschiava la sua gola come cartavetro.
La cosa che lo faceva sentire ancora più incompleto, ingiustificato e minuscolo era l'arte.
Non l'aveva mai apprezzata col giusto riconoscimento, almeno non prima di accorgersi quanto fosse bello perdersi nelle linee e ritrovarsi nelle scale cromatiche e sentirsi male senza un vero e apparente motivo.
Ogni forma d'arte era frutto di sofferenza. Riesci a fare davvero arte solo quando soffri di un incurabile male al cuore.
Ed era proprio grazie all'arte che l'aveva conosciuto.
Faceva il pittore, dipingeva sempre paesaggi di mare in inverno: alcune volte c'erano delle barche a largo, altre volte c'erano delle onde altissime e altre volte ancora la calma piatta al crepuscolo non faceva altro che tormentarti mentre non riuscivi a smettere di chiederti cosa fosse accaduto un istante dopo. Perché si sa, la calma non dura nel tempo.
Il mare che dipingeva somigliava ai suoi occhi: grandi, belli, celesti.
Avrebbe osato quasi definirli di un innocenza che non sembrava di quel tempo nonostante fossero contornati dalle piccole rughe semi-invisibili che scandivano gli anni che aveva passato.
Non aveva potuto fare a meno di pensare che fosse uno degli uomini più belli che avesse mai avuto il piacere di incontrare, complici i suoi lineamenti squadrati, il taglio nordeuropeo degli occhi e le zazzere di capelli biondi come la paglia che gli ricadevano sulla fronte piatta.
Soffriva anche lui di qualche male, o perlomeno così aveva supposto mentre lo aveva guardato dondolare le gambe penzoloni seduto su un molo dismesso.
L'aveva visto per caso un giorno che aveva deciso di cambiare il suo solito percorso a piedi, mentre fumava una sigaretta. L'aveva visto disegnare su un blocco e si era avvicinato a lui, spegnendo la cicca. Nessuno dei due aveva proferito parola.
Il giorno dopo ci era tornato e l'aveva trovato ancora lì, alla stessa ora, sullo stesso molo, con lo stesso quaderno in mano.
Una settimana dopo se l'era portato a letto.
Non era stato difficile, avevano capito subito entrambi che nel riflesso dei loro occhi ci fosse qualcosa che li accomunasse.
Un bagliore che si stava spegnendo, un'ombra che li aveva spinti l'uno tra le braccia dell'altro.
Fumavano entrambi, nudi e aggrovigliati in delle lenzuola umide. Le lingue di fumo che una volta erano state tabacco salivano placide verso il soffitto per poi disperdersi nell'atmosfera della stanza.
Era una notte senza Luna e la foschia copriva anche le Stelle.
Il biondo, con la mano libera, accarezzava i solchi sul suo petto in modo insolitamente dolce. Era la carezza più intima che avesse ricevuto negli ultimi anni.
- Hai delle occhiaie molto scure. Non dormi la notte? 
  Improvvisamente si destò dallo stato di trance in cui era andato osservando l'altro fare quel gesto così spontaneo mentre dalle labbra sottili e rosa espirava il fumo in modo eccessivamente elegante.
- Mi capita di restare sveglio, di tanto in tanto.
Annuirono entrambi ma il suo interlocutore si stava torturando di domande.
Chissà perché non dormiva, chissà a cosa pensava, chissà che faceva o chissà se davvero soffriva come gli sembrava.
Viveva in una casa troppo bella, aveva una stanza troppo grande, i suoi vestiti gli sembravano troppo costosi e il suo modo di porsi, a volte, era troppo arrogante.
Il loro era un rapporto silenzioso, non aveva intenzione di rovinarlo con altre stupide domande. Era bello sentire la sua voce roca, implorante, spezzata, tremante.
Ma era bello sentirlo anche respirare, parlare. Doveva riconoscere che fosse bello, il suo esatto opposto.
La sua pelle ambrata risaltava contro quella sua che era bianca come l'avorio. Ciuffi ricci, ribelli e scuri di capelli gli modellavano la testa. Aveva il naso storto, l'aveva notato dal primo momento in cui l'aveva visto. Lo rendeva più affascinante.
Aveva deciso di voler morire vicino al mare, dove aveva sempre vissuto, perché pensava che ci fosse una certa morale in quello. Voleva morire con il suo blocco da disegno e la sua giacca di pelle preferita.
Voleva buttarsi in mare per non risalire mai più ma non l'aveva fatto.
Ma l'aveva incuriosito quell'uomo, fermo e silenzioso al suo fianco. Era rimasto lì, in silenzio religioso, a guardare l'orizzonte.
Quando i loro occhi si erano incrociati per un attimo aveva smesso di pensare alla morte.
Per un po' aveva dimenticato gli psicofarmaci, le paranoie. Quando aveva sentito la sua voce per la prima volta aveva desiderato di averlo incontrato in un altro luogo, in un altro momento.
Quando la sua mano lo aveva sfiorato per la prima volta aveva pensato che, forse, non c'era luogo e non c'era tempo migliore di quello.
Quando i loro corpi si erano fatti tanto vicini da poter sentire il battito del suo cuore e quando le loro labbra si erano sfiorate, seccate dalla salsedine ma ammorbidite da quella tenue malinconia, aveva capito che c'era dietro un progetto superiore a cui non aveva potuto sottrarsi. Inspirò l'ultimo tiro della sigaretta e la spense nel posacenere sul comodino.
L'odore forte e pungente del fumo gli ricordava che era vivo ma allo stesso tempo non aveva pensato nemmeno per un attimo al rammarico cronico che aveva per esserlo ancora.
Si girò su un fianco, guardando il moro che finiva di fumare e il suo naso perfettamente storto. 
- Nemmeno io riesco a dormire.
Confessò, sottovoce, mentre con la mano libera non aveva mai smesso di delineare i solchi del suo addome e accarezzare più dolcemente qualche rada cicatrice che aveva sul petto. Non rispose, si girò solo a guardarlo con una famigliare ed empatica compassione.
Anche i suoi occhi splendidamente chiari erano contornati da una leggera patina violacea che disegnava perfettamente le sue ore insonni.
Chissà perché non dormiva, chissà a cosa pensava, chissà che faceva o chissà se davvero soffriva come gli sembrava.
Condividevano molto più di una sigaretta, una stanza, un molo, un orgasmo. Condividevano una fioca scintilla negli occhi, un fuoco quasi spento ma che ardeva ancora, un tocco caldo, qualche rada cicatrice sul petto. Era una notte senza Luna e la foschia copriva anche le Stelle ma qualcosa stava comunque facendo luce sulla sua oscurità, forse un faro su un molo dismesso.
E, sorprendentemente, quello non lo odiava.
Sospiri e fruscii di lenzuola.
- Ti andrebbe di condividere le tue notti insonni con me?
   
 
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