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Autore: EvrenAll    03/07/2017    1 recensioni
"Dove finiscono i sogni dimenticati?"
Sequel di Elizabeth.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ammissione
(Daughter - Smother)








 

18 giugno 1991




Rigirai l’anello argenteo che portavo sull’anulare sinistro facendogli compiere infiniti giri mentre aspettavo che Joe aprisse la porta del suo appartamento. Sapevo che Morgan non era in casa: saremmo stati soli, esattamente come volevo.

Tolsi la sottile fascia e la riposi nella tasca dei jeans, soffermandomi per qualche secondo ad osservare l’ombra scura sulla mia pelle che nascondevo da qualche mese con quello sciocco stratagemma. Un piccolo tatuaggio quasi invisibile, fatto da un collega di Joe nella primavera dell’88.

Rialzai lo sguardo verso la porta sentendo la chiave girare nella serratura.

-Elizabeth- sorrise cautamente. Gli avevo anticipato per telefono che dovevo parlargli.

Sapevamo.

-Ciao Joe- nascosi le mani l’una con l’altra e lo seguii fino alla sala, chiudendo la porta d’ingresso alle mie spalle.

-Cosa succede, piccola?-

-Non mi ha fatto bene andare in Indiana-

Mi fissò, aspettando che pronunciassi ciò che avevo nella testa da giorni.

Parole che le mia lingua non aveva il coraggio di formulare, nè le mie labbra di scandire.

Non posso stare con te.

-Non so cosa dire-

Ammisi, evitando i suoi occhi, sentendo le mie stesse unghie scavare leggemente i palmi delle mani, contratte a pugno e segno evidente della mia tensione.

I secondi di silenzio diventarono troppi per lui.

-Vuoi lasciarmi?-

Mi si asciugò la bocca. Sentii il bisogno di tastare il collo con le dita per assicurarmi che non ci fosse nulla attorno ad esso in procinto di soffocarmi in modo da far scemare quella sensazione di asfissia con la logica.

-Sì- bisbigliai.

Strinse i denti.

-Fantastico-

Avevo lo stomaco sottosopra a causa di quel sì e di tutte le conseguenze che recava con sè. Trattenni le lacrime mentre riprendevo coraggio, alzavo lo sguardo e vedevo l’espressione sul suo viso dipanarsi, trasformarsi da preoccupata ad asettica; lasciando il nulla.

-Fantastico, davvero- continuò.

La sua bocca formò un sorriso storto ed arreso. Mi sembrava di riuscire a vedere le sue certezze sgretolarsi, i suoi timori prendere vita e stracciarle con pochi e potenti colpi di martello.

-Mi dispiace Joe…-

Scacciò le mie parole con una mano e sfregò le dita sul mento.

-Puoi uscire? Ho bisogno di stare per conto mio-

Annuii lentamente.

-Non vuol dire che non passerò ancora di qui…-

-Pensiamoci più avanti, lasciami un po’ di tempo-

Mi interruppe corrucciando il viso in una smorfia contrariata: per quanto ci fossimo sempre raccontati che tra noi le cose non sarebbero state mai davvero importanti stava male.

Fece scorrere una mano tra i capelli e sugli occhi, stanco.

-Ve bene- acconsentii.

-Dovevo saperlo. Sono sempre stato un idiota a sperare in noi, vero?-

Strinse i denti ed affiló lo sguardo.

-Spero di essere stato almeno un buon rimpiazzo-

-Un rimpiazzo?-

-Sono un cazzo di idiota- rise, dandomi la schiena e facendo pochi passi verso la finestra.

-Joe, non-

-Esci-

Rabbrividii di fronte al tono della sua voce: non l’avevo mai sentito così freddo.

Senza aggiungere niente arretrai ed uscii, precipitandomi giù per le scale, dimenticando l’auto parcheggiata a lato della strada ed iniziando a camminare.

Solo poche lacrime scesero lungo le guance. Mi premurai di cancellarle in fretta, cercando di capire a cosa realmente fossero dovute.








 

-Mamma, ho lasciato Joe-

Dissi ad alta voce all’albero che avevo davanti, mentre ancora il mio petto era scosso dal fiatone di quella camminata frettolosa e senza controllo.

-L’ho fatto stare male-

Strinsi le dita sulla borsa che tenevo a tracolla e mi piegai in avanti, cercando di riprendere il respiro e lasciando che le emozioni mi travolgessero.

Ero libera.

-Non voglio più raccontare bugie-

Libera di sentire quello che provavo davvero.

Rialzai la testa e percorsi la breve distanza che mi separava dal tronco dell’albero. Ci appoggiai la sinistra aprendo le dita e stringendole lievemente sulla corteccia, intravedendo di nuovo la piccola rosa sulla mia pelle.

Il parco rimaneva silenzioso.

Non c’era un’anima.

-Io amo solo una persona. La stessa che odio perché mi ha lasciata da parte-

Era terribile.

Ero terribile.

Non stavo sentendo altro che senso di colpa per la perdita di Joe, il fantastico ragazzo che mi era stato affianco in quei mesi. Senso di colpa perchè come aveva detto ero stata io l’unica stronza a lasciare che le cose si disfacessero senza controllo, ad usarlo per provare a riempire il vuoto che sentivo, senza mai ammetterlo direttamente a me stessa.

Rinunciando a lui avevo deciso di rinunciare definitivamente la maschera che mi ero ostinata ad indossare.

Avrei dovuto lavorare su me stessa per guarire dalla mia malattia, dall’amore per William, ma non avrei più negato o nascosto che la malattia c’era. Non avrei più tralasciato nessuna delle emozioni che provavo.

Axl mi aveva abbandonato senza dirmi una parola.

Avevo vissuto la sua perdita una seconda volta ad un solo mese di distanza dal concerto dell’88, l’avevo segnato con inchiostro indelebile per non dimenticare mai.

Mi aveva ferito il suo matrimonio.

Mi aveva ferito l’aborto di Erin.

Continuava ad interferire con la mia vita a distanza ed io continuavo ad essere per lui, ad amarlo, e a fare i conti con il mio amore non corrisposto proprio come mi aveva raccontato con November Rain.

Un’altra lacrima mi scivoló lungo la guancia mentre le mie dita s’infilavano nella borsa ed incontravano la familiare scatola rettangolare.

Tolsi l’imballaggio e la aprii, estraendo dal pacchetto una delle sigarette.

La posai tra le labbra, appoggiandomi di schiena al tronco e lasciandomi sostenere da esso.

Presi l’accendino e accesi.

Il tabacco sfrigoló, infiammandosi ed inspirai la prima dolorosa boccata.

Lasciai che il fumo mi penetrasse nei polmoni e si soffermasse sulle labbra e sulla lingua.


 

Ecco la verità.


 

Ricordo piacevolmente e dolorosamente amaro.



 

Sapore di Marlboro Rosse.





 
  
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