Giovedì, 2 agosto 2012
"Finito!" esclama Ester estraendo l'ago dalla mia pancia e passandomi il cotone imbevuto di disinfettante. "Ed era l'ultima!"
"Sì, non ci posso credere!".
Stando qua dentro, a volte ho l'impressione che certe cose non debbano finire mai; che la mia vita d'ora in poi sarà sempre costellata da iniezioni, prelievi, termometri, flebo, esami, vomito, clausura..., ed è un sollievo notare che ogni tanto almeno una di queste cose termini.
Due settimane di iniezioni sembravano interminabili, eppure sono passate.
Tre settimane senza Giulia sembravano infinite, eppure sono passate anche quelle.
E domani lei è qui.
Dopodomani, in realtà, perché l'aereo atterrerà di sera e quindi dovrò aspettare un giorno in più per vederla.
Sono teso.
Non le ho ancora detto che non ho più i capelli. Dovrei prepararla, anche se probabilmente se lo immagina già; dovrei dirglielo, ma è terribilmente difficile, e ad ogni modo vedermi sarà comunque diverso dall'immaginarlo o anche dal saperlo.
Mi chiedo come andrà avanti la nostra storia.
Che razza di equilibrio troveremo, con me chiuso qui chissà ancora per quanto, potendoci vedere solo negli orari prestabiliti e senza alcuna libertà?
"E' bello quel palloncino" osserva Ester come leggendomi nel pensiero. "Te l'ha regalato Piera?"
"Sì, è per la mia ragazza. Torna domani da Londra."
"Ah! Ecco perché non si è più vista! Avevo notato che da un po' non si faceva vedere, ma non volevo essere indiscreta."
"Pensavi che mi avesse mollato?"
"Non proprio, ma che so... che aveste litigato o che..."
"Che non riuscisse a sostenere questa situazione?"
"Più che altro che tu non volessi che la sostenesse".
Ester mi capisce meglio di tante altre persone.
Meglio di mio padre, di sicuro.
È triste ammetterlo, ma è così.
"In effetti è così. Ho insistito io perché se ne andasse a Londra. Non volevo che stesse qua a vedermi stare male, vomitare e perdere i capelli. Ma adesso che torna, come faccio a nasconderle tutto?"
"Ma in questo momento stai bene, no?"
"Sì... ma sono comunque chiuso qui. E i capelli non ci sono più."
"Hai paura di piacerle meno per questo?"
“No...” rispondo sfregandomi un occhio.
“Leo...”
"Ok... Sì" ammetto sospirando.
"Leo, ti assicuro che molti farebbero a cambio dei loro capelli pur di avere la tua faccia, il tuo sorriso, i tuoi occhi... Le piacerai ancora, vedrai!"
"E quando starò male di nuovo? Perché succederà, è inutile non pensarci. Dovrò rifare la chemio e tutto lo schifo ricomincerà."
"Ti starà vicina come può, come riesce.”
“Non credo che ci riuscirà.”
“Va bene, forse non ci riuscirà, forse tu non lo vorrai, ma è importante che tu sia sincero. Se non la vorrai intorno quando starai male, semplicemente dovrai dirglielo, spiegarle che preferirai vederla quando ti sentirai meglio."
"E se così la perdo? Ho paura di perderla, a tenerla lontana. E ho paura di perderla anche a tenerla vicina."
"Non posso dirti che non succederà. Ognuno affronta le crisi in modo diverso, alcune persone ci riescono meglio di altre, dovrai capire quali sono i suoi limiti e accettarli. Ma adesso basta rimuginare! Sbaglio o la Lisandri ti ha dato il permesso di andare agli Ulivoni?! Non sei contento?"
"Sì, anche se sarò più contento quando mi darà il permesso di allenarmi un po'!"
"Vedrai che arriverà anche quello, con calma!"
"La calma non è proprio il mio forte!"
"Eh, lo so" sorride lei accarezzandomi il collo, sotto la nuca. "Riposati un po', adesso, così più tardi ti godrai la passeggiata. A quest'ora c'è troppo caldo per uscire."
"Sì" sbadiglio mentre mi sdraio. "E' stata una mattinata intensa".
Sveglia presto per il prelievo; tac alla gamba con la Bella Radiologa, che è stata lunghissima perché ero così nervoso all'idea del risultato, che non riuscivo a stare fermo; doppia visita, prima di Carlo sotto supervisione della Lisandri e poi della Lisandri stessa per accertarsi che Carlo avesse ragione nel dire che va tutto bene; se ci aggiungo le emozioni contrastanti per il ritorno di Giulia, il quadro è completo e una bella dormita pomeridiana non me la toglie nessuno.
Quando mi sveglio sono da poco passate le 16 e fa ancora troppo caldo per andare agli Ulivoni: non voglio certo stancarmi e sudare, col rischio che mi torni la febbre e che la Lisandri mi tenga di nuovo prigioniero.
Potrei andare a prendere un gelato, per ammazzare il tempo, ma alla fine anziché andare a destra verso le scale, vado a sinistra e percorro tutto il corridoio fino in fondo, fino alla stanza numero 10; svolto ancora a sinistra, passo accanto alla stanza numero 11, supero la 12, ed eccomi davanti alla 13.
Prima di entrare, do un'occhiata attraverso uno dei vetri che dà sul corridoio, rotondo come l'oblò di una nave: all'interno della stanza ci sono due letti, di cui uno vuoto e l'altro occupato da un ragazzino che sembra addormentato.
Entro con passo leggero, come un intruso, come se avessi paura di disturbare, guardandomi intorno e notando come la stanza sia piena di giocattoli, pupazzi, disegni, oggetti di vario tipo, probabilmente messi in giro da Piera per rendere più accogliente e familiare la stanza di suo figlio.
Mi avvicino al letto, un po' titubante, e lo osservo: deve avere circa dieci, undici anni, ha la pelle molto chiara e i capelli lisci e lunghi fino alle spalle, che gli conferiscono un'aria un po' magica; se non fosse per la macchina che misura i parametri vitali, sembrerebbe davvero che stia solo dormendo.
"Ciao Rocco..." dico portando una sedia vicina al suo letto e sedendomi. "Io sono Leo".
Seguono attimi di silenzio, in cui mi domando cosa dire, temendo di apparire sciocco e fuori luogo.
Cosa si dice a qualcuno che è in coma?
"Ho conosciuto tua mamma, sembra una forte. Non dev'essere facile per lei. Non è facile per nessuno qua dentro, a dire il vero, forse nemmeno per te. Mi sento stupido a parlare da solo, ma tua madre è convinta che tu senta tutto e che ti faccia bene e in fondo a me non costa nulla".
Faccio
una pausa, mentre mi perdo a guardare fuori dalla finestra: "Oggi
è un'altra giornata da andarsene al mare..." dico
sospirando. "E invece siamo chiusi qui, col mondo là
fuori che va avanti senza di noi. Per te dev'essere ancora peggio che
per me. Io, almeno, questi venticinque giorni chiuso qua dentro, in
qualche modo, li ho vissuti. Di merda, sì, ma li ho vissuti. A
te chi te li ridà indietro? Nessuno. Scusa, non volevo essere
deprimente, è che... boh... c'ho tanti pensieri per la testa e
non è facile gestirli tutti. Sono stati giorni così
difficili quelli passati qui..., così...
faticosi...”.
Sono stati giorni fatti di dolore fisico
paralizzante. Di
nervosismo. Di
incazzature. Di
lacrime. “Sono
stati giorni davvero brutti... adesso va un po' meglio..., sono
pronto a lottare ancora”. Faccio
un'altra pausa e lo guardo attentamente in viso, sembra abbia
cambiato espressione; potrei quasi giurare che stia accennando un
sorriso, ma poi mi dico che non è possibile e che la mia è
solo suggestione. “Ho
paura, però.
Quella c'è sempre, non se ne va mai... E tu? Anche tu hai
paura o sei in una specie di limbo incantato? Tua madre... lei sì
che di sicuro ha paura. La mia non c'è più, è
morta quasi due mesi fa. Almeno si è risparmiata di avere
paura per me, di vedermi stare male... o forse ovunque sia mi vede,
chi lo sa... Poi c'è mio padre che... lui non la sa proprio
gestire questa situazione e mi fa incazzare, però c'è
mia sorella... lei mi sta vicino più che può, a volte
anche troppo e mi tocca allontanarla... E ci sono i miei amici... con
cui non ne parlo e poi c'è Giulia, la mia ragazza e... anche
con lei non è che ne parlo tanto, a dire il vero. Mi sento
solo”. Devo
fermarmi di nuovo perché la mia voce sta tremando e le lacrime
mi annebbiano la vista.
Non
voglio piangere. Non
davanti a lui. Se
è vero che sente tutto, non voglio piangere davanti a lui. Un
po' per pudore personale e un po' perché non voglio
intristirlo più del dovuto. Mi
asciugo gli occhi, faccio un bel respiro e poi riprendo: “Sono
un coglione. Sono un coglione perché mi sento solo ma... tengo
tutti lontani, a distanza di sicurezza... Ma è che... tanto
nessuno di loro può aiutarmi davvero. Perciò mi sento
solo. Mi manca la mia mamma. Lei sarebbe l'unica che potrebbe
capire veramente come mi sento...,
nessun altro può farlo, nessuno. Vogliono che parli con
uno psicologo, ma io non ne ho affatto voglia. Non mi piace molto
raccontare i fatti miei, soprattutto a un estraneo! Sì, è
vero, con te lo sto facendo, ma con te è facile, perché
tanto tu non puoi rispondermi".
Sorrido:
"Potresti diventare il mio psicologo personale... che dici?”. E,
ancora una volta, mi sembra che anche lui stia sorridendo. “Vabbè...,
adesso vado a prendermi un gelato, che almeno quello lo fanno buono,
e vado a mangiarmelo in giardino. Non so da quanti giorni non vado
all'aria aperta! Sì..., ieri ero nel balcone con tua madre, ma
quello non può mica contare come aria
aperta,
no?”. Mi
alzo: “Ciao Rocco” dico mettendo a posto la sedia. "E
grazie per avermi ascoltato" aggiungo, fermandomi un attimo
sulla porta, prima di andarmene.