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Autore: DirceMichelaRivetti    03/07/2017    1 recensioni
Questo è il seguito del mio libro "La chiamata di Visnu"
Un'avventura fantasy ambientata in India e che attinge all'immaginario epico e mitologico di questa antica cultura.
Irma è una giovane archeologa, in passato ha avuto diverse esperienze in Tamil, l'ultima in particolare ha cambiato decisamente la vita sua e di alcuni suoi amici, quando si sono ritrovati a dover aiutare Visnu a proteggere il Dharma da un demone antichissimo.
Ora Irma ha trovato un lavoro per qualche mese in museo a Goa. Inizia a lavorare, cercando di adattarsi alle stranezze che trova in quel luogo, tuttavia dalle epoche avvolte nella leggenda sta per riemergere qualcosa che non potrà essere ignorato.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Iniziò per Irma la terza settimana di lavoro ed era convinta che entro il venerdì avrebbe terminato di censire tutti gli oggetti nel magazzino. Aveva trovato di tutto da utensili da cucina in legno vecchi di qualche decennio a statuette di molti secoli addietro, sfuggite miracolosamente al periodo portoghese; vasi assai vari per epoca e qualità, vecchi giochi di società, tavole di legno incise e tanto altro ancora. Si domandava se avrebbe trovato altre sorprese quella settimana.

I giorni continuarono a trascorre, molto simili tra di loro. La presenza del nipote dei padroni del museo non aveva alterato le abitudini, era molto cordiale e alla sera scambiava volentieri due chiacchiere con gli altri giovani.

Il mercoledì, mentre erano tutti riuniti a pranzo nella grande veranda della casa del direttore, Ajaya domandò: “Avete voglia di fare qualcosa di diverso dal solito, questo weekend?”

Tutti quanti risposero positivamente, incuriositi da quella proposta.

“Oh, potremmo organizzare una gita nella jungla, che ne pensate? Un’escursione nella natura e ci sono anche alcune cose interessanti da un punto di vista storico. Vi interessa? Vairochana vi accompagnerà.”

Il direttore del museo annuì e aggiunse: “La jungla è un posto molto bello e rilassante, io ci vado quando devo schiarirmi le idee o riposarmi. Ci sono molti posti belli da vedere e anche un fiume in cui potete fare il bagno. Non dormiremo all’aperto ma in un rifugio ben attrezzato, non vi preoccupate.”

“Sì, è un’ottima idea; partecipo volentieri.” rispose Irma, sollevando lo sguardo dal piatto di riso, condito con una strana salsa di curry ed ananas.

“Io sono pronto a qualsiasi pericolo.” si aggregò Ramon.

Bhavani non sembrava realmente contenta di andare in gita, ma accettò ugualmente. Dhvana domandò se l’invito fosse valido anche per lui e, avutane la conferma, dichiarò che non vedeva l’ora: gli piaceva fare escursioni nella jungla ed era da qualche tempo che non aveva occasione di farne una.

L’idea di distogliere per un paio di giorni la mente dal lavoro e dalle ricerche e quindi starsene un poco nella natura, piaceva parecchio ad Irma e spesso il suo pensiero correva a fantasticare circa come sarebbe stato il fine settimana. Era cresciuta leggendo le avventure salgariane e quindi immaginava l’escursione come un piccolo sguardo dal vivo sul mondo che l’aveva fatta sognare da bambina.

Quel pomeriggio era uscita dal magazzino una ventina di minuti prima del solito, gli orari non erano fiscali e lei aveva appena finito di catalogare il contenuto di una grossa cassa e non aveva voglia di aprirne un’altra e lasciare poi il lavoro in sospeso fino al giorno dopo.

Richiusa la porta del seminterrato, la ragazza fece il giro della casa per prendere la stradina che portava agli alloggi dei dipendenti; quando fu nella piazzetta antistante la villetta padronale, lanciò un’occhiata al secondo sentiero, quello che portava all’area dove si stava iniziando a scavare per costruire una nuova ala. Le venne voglia di andare a vedere come procedessero i lavori e scoprire come fosse Dhvana all’opera.

Arrivò sul posto e vide il vasto rettangolo di terra scura, circondato dall’erba verde acceso, faceva impressione il contrasto. Vide quattro o cinque uomini, curvi sulla terra che armeggiavano con strumenti che non riusciva ad identificare. Il giovane stava dando delle direttive in lingua konkani e dunque l’italiana non le capì; lo trovò che stava spostando la terra smossa.

“Che cosa ci fai, qui?” domandò Dhvana, sorpreso, ma gentile.

“Volevo vedere come procedevano le cose qui.”

Il giovane scosse il capo e disse: “Male, purtroppo. Siamo molto lenti. Dobbiamo ancora finire di drenare l’acqua in eccesso accumulata con le piogge dei giorni scorsi. Inoltre, bisognerà stare attenti e setacciare bene la terra, perché potrebbero esserci cose interessanti per lo zio. Guarda qui cos’è saltato fuori oggi.”

Dhvana si spostò sotto a una tettoia dove si trovavano un bagno, lavandini, un tavolaccio e dove erano sistemati gli attrezzi durante la notte. Irma lo seguì e trasalì nel vedere tre monete sul tavolo, in mezzo a bicchieri e fogli con bozze di progetti. Erano ancora sporche, nonostante fosse stata rimossa la maggior parte della terra, erano rovinate ma si poteva ancora capire che fossero in oro. Ne prese in mano una per osservarla meglio e distinse l’immagine battuta: un uomo alato con testa di uccello.

“Questo è Garuda …!” sussurrò lei, sorpresa e eccitata per la scoperta.

“Brava, esatto. Sai riconoscere anche le altre?” Dhvana la mise alla prova, sorridendo.

Irma prese le altre due e ragionò ad alta voce: “Questa scimmia in posizione devozionale è sicuramente Hanuman. Qui, invece, due uomini armati di arco e una donna … devono essere Rama, sua moglie Sita e il fratello Lakshmana …”

“Tre su tre. Mio zio ha scelto una collaboratrice esperta, nonostante la tua origine occidentale.”

“… è incredibile! Non mi aspettavo certo di imbattermi nel rinvenimento di monete antiche! Sono sicuramente precedenti al 1469, perché in quell’anno Goa passò sotto il controllo del Sultano di Gulbarga e poi passò ai Portoghesi; monete con immagini induiste devono essere necessariamente precedenti. Probabilmente saranno dei Vijayanagara, le figure fanno riferimento alla loro propaganda politica. Chissà se si riesce a leggere il nome.”

Irma controllò il rovescio delle monete, cola di una curiosa frenesia. L’alfabeto non era quello che meglio conosceva, bensì quello della lingua Kannada e già ciò le confermò che aveva indovinato la dinastia che le aveva emesse. Dopo averle esaminate attentamente, disse: “Il nome credo sia Harihara, ma non dovrebbe essere il fondatore della stirpe, bensì il terzo imperatore poiché è a lui che si attribuisce la conquista di Goa. Incredibile! Sarà un ritrovamento casuale? Ricordo che quando andavo in giro con gli amici del gruppo archeologico, in Italia, usando il metal detector … so che non si dovrebbe fare, ma … va beh, non c’entra, comunque, ci capitava di trovare monete romane, senza che fossero legate ad un sito. Sarà un caso averle trovate qui? Forse più sotto c’è altro e bisognerebbe scavare con più attenzione, magari fare qualche saggio col metodo stratigrafico e poi decidere come procedere … Cielo! Sto parlando come se fossi la responsabile di questo posto, scusami … però, accidenti, tre monete d’oro! Sono straordinarie. Bisognerebbe allertare la sovrintendenza o qualsiasi organo governativo si occupi di queste cose da voi. Lo farai? Ma le avete trovate assieme? Erano vicine oppure sparse? Forse potrebbe esserci un tesoretto nascosto volutamente; insomma, tre monete d’oro dello stesso periodo, trovate nel raggio di pochi metri, fan venire il sospetto che non sia uno smarrimento casuale … Ehi, ma mi stai ascoltando?”

Irma aveva parlato in preda all’entusiasmo, infilando una parola dietro l’altra con grande velocità; solo ora si accorgeva di non avere forse la massima attenzione, notando che Dhvana la stava osservando molto assorto, ma sembrando assente.

Il giovane si scosse e disse: “Sì, sì, ti sto ascoltando … Essendo noi un museo, possiamo condurre ricerche o scavi senza chiedere autorizzazioni, infatti adesso voglio mettere maggiore attenzione. Purtroppo non so come fossero collocate: le ho trovate tra la terra spostata e infatti ora voglio controllare se ce ne sono altre. Scusa se sono sembrato distratto, ma stavo guardando il tuo braccialetto. È molto particolare.”

Irma corrugò la fronte, perplessa: come si poteva pensare al suo bracciale, davanti ad un ritrovamento del genere?

“Dove lo hai preso? Qui in India?”

“È un regalo di un amico, a dire il vero, comunque sì, lui è indiano.”

“Caspita, è un regalo piuttosto di pregio, sei fortunata. Posso vederlo?”

La ragazza esitò: non lo aveva mai tolto, da quando Iravan glielo aveva consegnato e non era sicura di quel che sarebbe successo se lo avesse sfilato, per cui rispose: “È complicato da sfilare, però puoi toccarlo, se vuoi.”

Dhvana si avvicinò e posò due dita sulla testa del serpente d’oro, dopo un paio di istanti le ritrasse, bruscamente e borbottò: “Bah, così non è che riesca a vederlo meglio. Pazienza! Ti va di aiutarmi a setacciare la terra? Vorrei controllarla tutta, prima di cena; se stanotte piovesse, sarebbe più difficoltoso cercare domani nel fango.”

“Va bene, volentieri.” accettò Irma, ben contenta di concedersi un momento di archeologia.

I due giovani frugarono e setacciarono la terra rimossa quel giorno e vi trovarono altre tre monete sempre d’oro e del regno di Harihara II, una rappresentava Krisna col flauto, un’altra Narashima (l’avatar di Visnu con la testa da leone e il corpo umano) e l’ultima con un cinghiale che oltre ad essere simbolo della dinastia era anche un’altra delle manifestazioni di Visnu.

Tornarono agli alloggi che era già stata servita la cena da diverso tempo, per fortuna Bhavani e Ramon si erano ricordati di tenere qualcosa da parte per loro. Mangiarono, parlottando fittamente tra loro delle possibili spiegazioni a quei ritrovamenti ed Irma si lanciava in fantasiose ipotesi e ricostruzioni. Stabilirono di riferire tutto quanto a Vairochana il giorno seguente a pranzo.

“Zio, ci sono delle novità!” annunciò Dhvana, sorridente, mentre si metteva nel piatto un pesce intero, impanato e fritto nella farina di mais.

“Di che tipo?” domandò il direttore con aria piuttosto seria.

“Spostando i primi strati di terra, abbiamo rinvenuto otto monete antiche.”

“Otto?! Ne avete trovate altre due?” domandò Irma che non era stata aggiornata “Che cosa vi è raffigurato? Sono sempre di Harihara II?”

“Sì, più tardi te le mostro.” rispose lui, sbrigativo, per poi rivolgersi nuovamente allo zio: “Pensavo di procedere con metodo stratigrafico. Rallenta i lavori, certo, ma permette di esaminare meglio la situazione. Se scendendo ancora di venti o trenta centimetri non troviamo nulla, allora queste monete saranno state perse per caso, ma se dovesse esserci qualcosa di più importante, è bene scoprirlo con i mezzi adeguati. Potremmo trovare resti importanti della presenza Vijayanagara, oppure quel che resta di un tempio non completamente distrutto dai portoghesi … qualsiasi cosa ci sia là sotto, porterà al museo benefici maggiori della nuova ala. Concordi?”

“Abbiamo trovato qualcosa di molto importante, stando ai tuoi discorsi.” replicò Vairochana, che non sembrava contagiato dall’entusiasmo.

“Potremmo. Bisogna appunto fare scavi più approfonditi, ma io sento che è il posto giusto.”

“D’accordo, hai il mio benestare.” il direttore lo disse più per formalità che non come vera autorizzazione, sapendo bene che il nipote avrebbe agito comunque di testa propria.

“Scusi” intervenne allora Irma “Avrei allora anch’io una richiesta da avanzare. Io prevedo di concludere entro domani il lavoro in magazzino; dal momento che sono qualificata come archeologa e ho già partecipato ad uno scavo in India, mi sarebbe cosa gradita essere assegnata a questa indagine, se non è un problema.”

“Da questo punto di vista hai sicuramente più competenze di mio nipote … d’altra parte sarei di nuovo sotto organico …”

Vairochana rimase in silenzio, meditante, mentre il suo sguardo vagava. Incrociò gli splendidi occhi della moglie che schiuse le carnose labbra per dire: “Dhvana ha ragione a dire che quel che sta emergendo ha sicuramente più importanza e valore dell’attuale museo. È meglio impiegare le nostre risorse dove possono portare maggiori risultati, pazienza se per qualche settimana saremo con un aiuto in meno per altre cose.”

Il direttore si convinse e sospirò; dopo aver confermato alla ragazza che avrebbe potuto seguire gli scavi, cambiò repentinamente umore e si fece molto allegro nel dire: “Allora, stasera iniziate a preparare gli zaini per l’escursione nella jungla, perché sabato partiamo presto e quindi domani li dovrete avere già pronti.”

Continuò poi elencando le cose che era necessario o caldamente consigliato portare.

Più tardi, sotto sera, Irma si recò nuovamente nella zona di scavo per essere aggiornata su quanto emerso nelle ultime ore. Il numero delle monete era aumentato nuovamente a undici e ognuna raffigurava una manifestazione differente del dio Visnu: dormiente sul suo serpente, accompagnato dalla moglie Lakshmi, tartaruga, pesce, il minuto Vamana.

“Non trovi sia singolare e possa celare un qualche significato?” domandò Irma, mentre mettevano le monete appena ritrovate nell’olio d’oliva per consentire una migliore pulitura il giorno successivo.

Erano nella sala comune a svolgere quell’operazione; le incrostazioni non erano eccessive e dunque Irma aveva ritenuto non ci fosse bisogno di ricorrere all’elettrolisi per ripulirle.

“Che cos’è che trovi strano?”

“Sulle monete ci sono solo riferimenti a Visnu, eppure tra i Vijayanagara erano coniate con immagini di molte altre divinità, anzi era molto più diffuso Shiva, dal momento che i regnanti erano shivaiti, quindi mi incuriosisce il fatto che qui non compaia nemmeno una volta. Perché? La regione era visnuita e quindi c’erano coni speciali per la diffusione qui? Oppure qui c’era un tempio o un qualche luogo sacro legato a Visnu e queste monete erano lasciate come un omaggio? Certo, undici monete sono poche, in realtà, per fare teorie, però mi incuriosisco lo stesso.”

“Fai bene.” replicò Dhvana “Formulare supposizioni e ipotesi è giusto, l’importante è non affezionarsi ad una teoria. È bene formularne il più possibile e bisogna essere disposti ad escluderle allorché emergano nuove prove che le confutino.”

Irma fu positivamente sorpresa da quella giusta osservazione; sorrise. Dhvana ricambiò e rimasero qualche istante a fissarsi negli occhi.

“Ciao, siete già qui?”

Era entrata Bhavani che aveva appena finito di lavorare. Continuò chiedendo: “Sapete cosa sia successo?”

“In che senso? Dove?” domandò Irma.

“Non so. Sono andata all’ufficio di Vairochana per consegnargli i documenti di oggi, ma la porta era chiusa a chiave e ho sentito che stava discutendo piuttosto animatamente con la moglie. Mi sembrava lui quello più contrariato, mentre lei era fredda e decisa … o almeno questa è stata l’impressione che ho avuto io. Parlavano in konkani, quindi io non l’ho capito. Voi sapete cosa sia successo?”

“No, non ne abbiamo idea.” rispose Dhvana “Magari vado a controllare. Voi, comunque, non preoccupatevi.”

Il giovanotto uscì. Rientrò solo un’ora più tardi, quando la cena era già stata portata. Agli sguardi interrogativi rispose dicendo che si era trattato di un dissapore privato tra gli zii, per una questione di soldi, nulla che riguardasse loro.

Il giorno dopo, tuttavia, Vairochana fu meno loquace e anche il sabato, quando partirono per la jungla, a Irma parve meno entusiasta di quello che si sarebbe aspettata, considerando come lo aveva sentito parlare nei giorni precedenti.

Con la macchina raggiunsero il confine con l’area protetta dove cresceva rigogliosa la jungla, che ormai si presentava come una riserva naturale; era in una zona di alture e con l’auto avevano percorso diversi tratti di strada in salita. Lasciarono l’automobile in sosta in uno dei parcheggi dedicati proprio agli escursionisti. Zaini in spalla si inoltrarono lungo un sentiero.

La jungla era meno selvaggia di quanto Irma si aspettasse. La giovane era stupita per l’altezza delle piante che davano l’impressione che quella foresta esistesse da secoli o millenni, ma era anche molto tranquilla e silenziosa, fatta eccezione per i cinguettii e dopo due ore di marcia non aveva visto animali se non qualche scoiattolo e qualche farfalla che non risaltava per grandezza o colore. Irma non percepiva una gran differenza tra il passeggiare lì o tra i boschi dell’Appennino, tuttavia era ugualmente un’attività piacevole e rilassante. La sua mente, però, non riusciva a rimanere vuota e silenziosa per godersi il paesaggio, ma si riempiva di pensieri che si susseguivano come in un flusso di coscienza, erano comunque pacifici e non la turbavano.

Era passata da poco la metà della mattina, quando Vairochana li condusse in un sentiero secondario che scendeva di alcune decine di metri. La vegetazione era molto fitta e si poteva guardare solo a breve distanza, tuttavia si sentiva distintamente lo scroscio di acqua corrente, era molto forte e impetuoso: doveva trattarsi di un grande fiume.

Quando arrivarono in fondo alla discesa, la vegetazione si interruppe d’improvviso e loro poterono vedere che in realtà il rumore che li aveva accompagnati era quello di una cascata altissima che precipitava in un piccolo laghetto e poi defluiva placidamente in un fiumiciattolo. Rocce e sassi circondavano la pozza e c’era anche una spianata di pietra liscia e piatta, forse levigata dalle onde di un fiume più grande, molti millenni addietro.

Vairochana li condusse proprio su quella parte e ordinò loro di togliersi le scarpe per non rovinare nulla. Uno sguardo superficiale, infatti, non avrebbe notato nulla, ma un’osservazione più approfondita e un occhio capace di mettere a fuoco le cose facevano riconoscere delle antiche incisioni nella roccia. Erano soprattutto animali: il bufalo, la mucca gobbuta, antilopi, un pavone e altri volatili; l’unico disegno che aveva un soggetto differente era una sorta di spirale che a Irma ricordò parecchio la forma di un labirinto ayurvedico che aveva già visto in più occasioni passate, costruito ovviamente non per far perdere le persone, ma per i benefici che ne avrebbero tratto camminando lungo le linee fino al centro e poi a tornare indietro.

Vairochana spiegò che quella era solo una parte delle 125 incisioni trovate lungo il corso del fiume Kushavati, erano state datata tra i seimila e gli ottomila anni prima ed erano attribuiti ad una praticamente sconosciuta tradizione sciamanica, di cui erano l’unica testimonianza, al momento. Erano note anche col nome di “rocce tagliate di Usgalimal”.

Irma fu molto contenta di scoprire quel tassello di storia che non conosceva e restò ad osservare a lungo ogni incisione, fotografandola per poter poi riguardarle con calma ogni volta che lo desiderasse.

Si domandò anche se quell’antica cultura fosse collegata alle visioni che aveva avuto durante la meditazione, oppure alle leggende a cui aveva accennato Iravan. Ci avrebbe pensato: quello non era il momento adatto per le congetture.

Gli altri, intanto, si erano messi in costume da bagno e si erano immersi nel laghetto per una nuotata. Irma li raggiunse e si unì a loro. Non aveva mai nuotato da nessuna parte in India ed erano passati molti anni anche dall’ultima volta che si era bagnata in un fiume o in un lago anche in Italia. Lo trovò estremamente piacevole: stare in acqua era ciò che la rilassava più di ogni altra cosa e avrebbe potuto stare a mollo per ore e ore, ma furono richiamati a riva per il pranzo.

Mangiarono dei tramezzini che si erano portati dietro e nel frattempo si asciugarono al Sole, dopo un breve riposo, ripresero il cammino.

Fu faticoso risalire il ripido sentiero che li aveva portati alla cascata e, arrivati in cima, si fermarono a bere e riprendere fiato.

Proseguirono l’escursione e non incrociarono mai altre persone lungo il tragitto. Dopo oltre due ore e mezza, il direttore di fermò e comunicò che stavano per addentrarsi in un tratto dove non c’era il sentiero e quindi dovevano rimanere ben in fila compatta, senza perdersi di vista. Si addentrarono nel fitto della jungla; le piante rimanevano distanziate e quindi permettevano il passaggio, ma tra l’una e l’altra crescevano arbusti e cespugli, l’erba era alta e adesso si sentivano molti versi di animali, i loro movimenti che scuotevano le fronde. Il terreno non era uniforme ma aveva qualche piccola altura sparsa qua e là, generalmente non più alte di tre metri, ma molto lunghe.

Dopo un bel po’ che si erano addentrati per quelle strade non battute, Vairochana indicò un’altura dritta davanti a loro. Avvicinandosi, notarono che le piante cresciute attorno avevano nascosto una lunga fenditura che l’attraversava interamente. Di fatto si trattava di una caverna a livello del terreno e poco profonda. Vi entrarono e accesero le torce per vederla meglio, infatti da fuori non penetrava abbastanza luce per illuminarla.

Nelle pareti erano state scavate alcune nicchie che ora non contenevano più nulla; per terra si trovavano canalette artificiali che probabilmente erano servite per far defluire liquidi fuori dalla grotta. Ciò che saltava maggiormente all’occhio, però, era una sorta di grande seggio a più posti e un parallelepipedo che presumibilmente aveva avuto la funzione di altare; entrambi erano stati scolpiti nella roccia in situ e non portati da altrove, quindi forse tutta l’intera grotta era stata costruita artificialmente. Il che non stupì per nulla Irma, aveva ben presente la straordinaria abilità degli indiani di lavorare la roccia e il suo pensiero corse immediatamente al Kailasa di Ellora che si stentava a credere fosse stato scolpito e non edificato, eppure era emerso dalla pietra; oppure pensò ai Pancha Ratha della sua amata Mamallapuram. La grotta in cui si trovavano in quel momento era un lavoretto da dilettanti o l’effetto di un progetto abbandonato sul nascere, se confrontato con i numerosi altri esempi.

Erano però molto carine tre statuette di leoni, abbastanza naturalistiche e non con le corna, come quelle diffuse in Tamil.

Vairochana spiegò che anche quel luogo aveva la stessa datazione delle incisioni e che forse aveva avuto funzione funeraria, poiché vi erano state trovate molte ossa umane, ma anche di animali, forse lasciati come offerte per le divinità o come dotazione dei defunti. In realtà il tutto era stato rinvenuto durante il periodo Portoghese e quindi non si aveva la certezza di cosa fosse stato trovato, in quale modo e quale sorte avesse avuto successivamente. Le fonti parlavano anche di una grotta di Hanuman, ma lui non era mai riuscito ad individuarla.

Irma la ispezionò in ogni centimetro, alla ricerca di qualche dettaglio che potesse essere interessante, ma sfuggire a un rapido sguardo; Ramon gridò alcune parole, come se stesse testando l’eco; Dhvana non sembrava molto interessato e si era appoggiato al seggio, canticchiando a bocca chiusa, aspettando che gli altri fossero pronti; Vairochana, invece, era rimasto immobile accanto all’altare, con lo sguardo perso; Bhavani esaminava soprattutto il sistema delle canalette.

Dopo aver scattato altre foto, uscirono e tornarono indietro; le due ragazze espressero la loro ammirazione a Vairochana per quanto fosse abile ad orientarsi, loro non erano riuscite a trovare punti di riferimento per riconoscere il percorso del ritorno.

Instradati nuovamente nel sentiero principale, in meno di un’ora arrivarono in una radura molto piccola, attraversata da un torrentello, l’unica altra cosa che c’era era una capanna in legno e fango. Dei pali spessi erano stati posizionati ai quattro angoli e a metà delle pareti, erano uniti da un muro fatto da canne intrecciate poi ricoperte di terra; non c’era il pavimento e il soffitto consisteva in due travi incrociate su cui potevano essere distese larghe foglie di palma. Quello era il rifugio in cui avrebbero trascorso la notte.

Fuori dalla capanna c’era una coppia di mezza età con abiti tradizionali: torso nudo e dhoti per lui, sari per lei, i colori erano stinti e i bordi usurati. La donna stava impastando una palla di farina e acqua, mentre l’uomo cercava di accendere un fuoco sotto al fornello, che consisteva in un cubo aperto da un lato e vuoto all’interno, era in terra che si era cotta naturalmente con il fuoco che veniva acceso al suo interno.

Quando videro il gruppo arrivare, i due signori non interruppero il loro lavoro, ma quando furono a portata di voce li salutarono con grande cordialità.

L’uomo aveva acceso il fuoco e si rivolse a loro in lingua konkani. Vairochana tradusse: l’uomo si era detto veramente felice di avere ospiti; non capitava spesso che la gente si fermasse lì, quindi era molto contento; la moglie si sarebbe preoccupata di preparare la cena anche per loro.

Li condusse a vedere l’interno della capanna che era molto largo e quasi completamente spoglio, c’erano solo alcuni vasi, delle stuoie e delle stoffe ammucchiate tra due angoli, poi uscirono perché c’era troppo caldo.

Volle mostrare loro anche l’altare privato che si era costruito dal lato opposto rispetto a quello in cui cucinavano e mangiavano. C’erano due cubi di terra, su uno aveva modellato un lingam che emergeva dalla yoni, il ché lo indicava come shivaita; la seconda scultura, piuttosto rudimentale, presentava un uomo con serpenti al posto dei capelli, una collana di teschi, teneva nelle quattro mani una coppa, un tridente, un arco e una freccia; stava cavalcando un toro dalle alte corna che, in un primo momento, erano sembrate orecchie ad Irma e quindi lo aveva scambiato per un asino. Capì, comunque, che si trattava di Rudra. Le sembrò una scelta strana, però di ricordava che quello era una delle cinque divinità principali di Goa; inoltre pensò che avesse una certa logica venerare il dio della tempesta e delle malattie per chi viveva nella jungla, in balia degli elementi e senza igiene e medici.

L’uomo prese una campana posta tra i due cubi e la suonò, poi si stese a terra con il viso rivolto al suolo, congiunse le mani sopra la propria testa e pronunciò una preghiera sottovoce, difficile da capire.

Irma domandò a Dhvana se lui l’avesse capita. Il giovane le spiegò che era uno dei tanti inni pronunciati per placare la furia di Rudra, supplicandolo di essere pago delle offerte e dei sacrifici e non imperversare su di loro.

Tornarono sul davanti della casa e trovarono la proprietaria intenta a tagliare verdura e frutta selvatica. Le offrirono aiuto, ma lei rifiutò categoricamente: nessun ospite doveva lavorare, avrebbe fatto tutto da sola.

Gli escursionisti allora si sedettero a riposare, bere e chiacchierare tranquillamente.

La cena fu servita su foglie di palma, adagiate al suolo; non c’erano né piatti, né posate, solo delle tazze per l’acqua. L’uomo pronunciò un’invocazione alle divinità e gettò qualche pezzetto di cibo alle proprie spalle, come offerta agli spiriti.

Mangiarono tranquillamente, rimasero un poco svegli per digerire e guardarono le stelle in un cielo che, per la prima volta, Irma notò fosse nero e non semplicemente blu scuro come quello a cui era abituata in Italia.

Si coricarono poco più tardi. Entrarono nella capanna, ognuno prese una stuoia, la distese e vi si sdraiò sopra, mentre il proprietario toglieva le foglie dal tetto per far entrare un poco d’aria fresca.

Si addormentarono subito, stanchi dalla lunghissima escursione.

Irma stava sognando di essere coi nipoti al parco e di star giocando con loro, quando si avvicinarono alcune scimmie che li guardavano incuriosite, prima interagivano con timidezza, poi iniziavano ad agitarsi e ad urlare. Strillavano così forte che Irma si svegliò. Attorno a lei non c’era il silenzio, poiché l’aria era colma del frinire di grilli e cicale e del gracidare delle rane, comunque non c’erano scimmie in vista. Stava per rimettersi a dormire, quando si rese conto che Bhavani magari. Probabilmente si era alzata per andare in bagno, eppure Irma fu colta da una spiacevole sensazione, il presentimento di un pericolo. Decise di rimanere sveglia fino a che l’amica non fosse ritornata. Dopo diversi minuti, però, non era ancora rientrata. Si alzò in piedi e uscì per controllare: magari Bhavani non riusciva a dormire, oppure cercava più fresco, dunque l’avrebbe trovata appena fuori dalla porta.

Nessuno all’esterno della capanna.

Irma si preoccupò seriamente, ragionò circa se convenisse svegliare gli altri per andare a cercarla, ma temette che qualcuno dei compagni potesse centrare con quella sparizione. Un’idea assurda? Beh, da un punto di vista logico sì, tuttavia dentro di sé sentiva di non potersi fidare e che avrebbe dovuto affrontare quella situazione da sola.

Prese lo zaino e se lo mise in spalla e tirò fuori la torcia per partire alla ricerca dell’amica, per fortuna la Luna era quasi piena e rischiarava la terra, nonostante l’oscurità del cielo. Raggiunse il sentiero e lo percorse a ritroso. Bhavani era realmente andata in quella direzione? Impossibile a dirsi, ma Irma si fidava del proprio istinto.

Fino a qualche anno prima, non si sarebbe mai avventurata in un bosco da sola nel cuore della notte, nonostante fosse su un sentiero. Nemmeno in quel momento i sentiva a proprio agio e, infatti, il cuore le batteva piuttosto rapidamente e doveva impegnarsi a respingere la paura, ogni volta che sentiva un rumore. Aveva però imparato che le situazioni vanno affrontate, non si può rimanere fermi, bisogna reagire a dispetto di insicurezze e timori. Se la sua amica era davvero in pericolo, chi l’avrebbe salvata, se lei non fosse stata coraggiosa?

Procedeva alternando la corsetta alla marcia rapida, per poter recuperare terreno, senza affaticarsi e spezzare il fiato. Di Bhavani, però, non c’erano traccia. Solo dopo una mezzora, Irma vide una figura umana, più avanti di lei di una trentina di metri, abbandonare il sentiero e scivolare tra gli alberi. La giovane ricordò quanto intricato fosse il percorso nella jungla e allora urlò il nome dell’amica, sperando di fermarla e farla tornare indietro. Inutile.

Irma entrò nel fitto della foresta, correndo, cercando di raggiungere l’altra ragazza, ma la perse di vista. Si ritrovò a vagare nelle tenebre, con la torcia che illuminava a malapena un paio di metri attorno a lei. Vedeva radici e cespugli tra cui si muovevano animali discreti che sfuggivano alla sua vista.

Dove andare? Non lo sapeva, non era nemmeno certa che voltandosi sarebbe riuscita a tornare al sentiero. Voleva comunque continuare la ricerca, poco le interessava se si stava smarrendo. Pensò alle conseguenze della sua ostinazione, ma decretò che l’aiutare Bhavani era più importante e si augurò che Visnu la proteggesse. In fondo era anche colpa o merito di quel dio, se aveva il presentimento di un pericolo e voleva sventarlo.

Si guardò attorno, cercando un’ispirazione per decidere dove dirigersi. Notò delle luci che volavano tra le piante, anche attorno alle chiome più alte. Sembravano lucciole, ma il loro bagliore era molto più grande. Erano cinque e si avvicinarono tra loro per poi volteggiare fino a un paio di metri davanti ad Irma.

Erano insetti normali? Forse in India le lucciole erano di dimensioni maggiori.

La ragazza mosse qualche passo nella loro direzione e loro rimasero sospese dove erano. Lei le raggiunse e, prima di riuscire a metterle a fuoco, esse ripartirono, spostandosi lentamente come se volessero essere seguite.

Ecco, a quel punto Irma poteva essere certa che non si trattava di normali insetti. Si augurò che fossero lì per aiutarla e le seguì.

Avanzò tra gli alberi stando attenta a non inciampare; le lucciole l’attendevano, se si attardava e poi ripartivano sempre in tempo per non farsi raggiungere.

Irma non aveva idea di da quanto stesse camminando, la preoccupazione, l’oscurità e il non conoscere il posto le rendevano distorta la percezione del tempo.

Si domandò chissà perché in Italia la sua vita fosse tranquilla e normale e, invece, in India si ritrovasse coinvolta in eventi sovrannaturali. Tra l’altro, quella notte, non c’erano neppure i suoi amici ad aiutarla. Forse avrebbe dovuto chiamare Iravan. Come funzionava il bracciale? Come poteva servire per comunicare con lui? E poi quanto tempo avrebbe impiegato ad arrivare? Se fosse giunto quando ormai la faccenda era risolta? Oppure se lo avesse scomodato inutilmente? Preferì proseguire da sola e avere maggiori informazioni, prima di chiedere aiuto al naga.

Le lucciole iniziarono ad illuminare un’altura. Irma la riconobbe immediatamente: era la grotta dove erano stati quel pomeriggio. Le luci si precipitarono all’apertura e mostrarono una figura umana che stava entrando.

Era Bhavani?

Le lucciole si mossero nuovamente a gran velocità, tornando verso la ragazza e sollecitandola ad andare avanti.

Irma non perse ulteriormente tempo e andò nella grotta.

Era leggermente diversa da come era apparsa nel pomeriggio: c’erano candele e incensi che bruciavano.

Non ebbe il tempo di domandarsi chi potesse aver portato lì quelle cose, poiché immediatamente si accorse che Bhavani si stava stendendo sopra l’altare.

Oh, doppia porzione! Ma che bella sorpresa …”

Una profonda e cupa voce echeggiò nella caverna.

Irma si guardò attorno alla ricerca di chi avesse parlato, ma non vi era nessun altro.

Tu sei molto sostanziosa … tu potresti bastare per ristorarmi completamente … eppure non ti hanno scelta … sei venuta qui cosciente, non ti hanno mandata … perché? Perché avendo te, mi hanno servito un’altra? Poco male, visto che sei qui …”

“Chi sei?!” urlò Irma, con grande forza “Chi sono quelli che hanno fatto venire Bhavani qui e come?”

Non ci fu risposta.

Gli occhi nelle tre statue dei leoni brillarono, crebbero di misura, un ruggito le scosse dando loro vita. I tre felini di pietra balzarono verso Irma e la circondarono.

La donna ebbe paura: doveva agire, non aveva modo di prendere tempo.

Erano due anni che non ricorreva ai propri poteri, non ne aveva più fatto uso, dopo la sconfitta di Hiranyakshva. Si concentrò profondamente, sperò di ritrovare rapidamente le memorie di Dusshala, in fondo ogni tanto, in sogno, ancora vedeva frammenti della sua vita precedente, quindi forse non sarebbe stato difficile ritrovare il contatto con essa.

Le labbra di Irma si schiusero e lasciarono uscire un mantra per il dio Vayu. Un piccolo vortice d’aria la circondò, poi il vento soffiò violentemente, sbalzando indietro di alcuni metri i leoni.

Irma ne approfittò per raggiungere l’altare, dove Bhavani era sdraiata con gli occhi spalancati, come fosse in trance. Provò a svegliarla e la scosse, ma nulla servì. Intanto i leoni stavano già tornando all’attacco.

Questa volta la giovane pronunciò un mantra di Indra e così tre fulmini colpirono in pieno i leoni.

Oh, sì … tu mi ridarai il mio vigore … non puoi nulla contro di me: la pietra resiste a tutto. Lascia che io mi nutra, in un certo senso non morirai del tutto …

Irma non sapeva cosa fare: se nemmeno i fulmini erano riusciti a mandare in frantumi quelle bestie, che cosa poteva fermarle?

Doveva cercare di trattenerle il più a lungo possibile e contattare Iravan, lui sarebbe venuto armato.

Usò un mantra di Bhumi e la roccia sotto le zampe si trasformò in molle fango che le risucchiò prima di solidificarsi e tornare pietra. Ecco, quello avrebbe dovuto trattenerli per un poco.

La donna sollevò Bhavani e se la caricò in spalla e raggiunse l’uscita.

Non andrai lontano!”

I leoni spezzarono la roccia che li tratteneva e si slanciarono all’inseguimento. Irma si era allontanata solo di pochi metri, poiché era faticoso trasportare una persona a peso morto, in più stava cercando di capire come il bracciale potesse fungere da comunicatore.

Udì i ruggiti vicini.

Un grande tonfo che fece tremare la terra.

Irma si voltò e vide un’enorme scimmia, alta tre metri che brandiva una mazza e si apprestava ad abbatterla in testa ai leoni.

“Hanuman …?” farfugliò la donna, confusa.

La scimmia si voltò un istante a guardarla per farle capire che doveva andare.

Irma si sentì sicura, tornò a camminare, sperando di non perdersi. In suo aiuto ritornarono le lucciole giganti che la guidarono fino a ritrovare il sentiero.

Bhavani era uscita dallo stato di trance, ma non si era svegliata; ora aveva gli occhi chiusi e dormiva profondamente.

Non fu facile per Irma trasportarla fino al rifugio, ma vi riuscì. La risistemò sulla stuoia, poi si sdraiò anche lei. Si ripromise di non dormire, per continuare a vegliare, ma alla fine la stanchezza ebbe la meglio e si addormentò. Scivolò nel sonno domandandosi chi potesse essere l’entità che abitava nella caverna e con chi fosse in combutta. Chi poteva essere incorporeo o invisibile e avere bisogno di nutrirsi di carne umana? Chi poteva essere disposto a procurargliela?

Un motivo per cui voleva rimanere sveglia era anche il poter osservare le reazioni di tutti gli altri allorché si fossero accorti che non mancava nessuno all’appello e così forse capire chi potesse essere coinvolto. Purtroppo si addormentò e quando si destò il mattino era già inoltrato e i suoi compagni avevano già finito la colazione.

Più tardi si rimisero in cammino per ritornare all’automobile e rientrare in museo; non fermandosi a visitare altri posti, il percorso fu più breve.

Irma era molto delusa; aveva le idee sempre più confuse e non poteva parlarne con nessuno. Le preoccupazioni di Iravan, forse non troppo infondate, le strane visioni che aveva avuto durante la meditazione e ora l’aver sfiorato un sacrificio umano … e aver perfino visto Hanuman! (era certa fosse lui) … tutto ciò era in un qualche modo collegato, ne era sicura, ma in che modo era ancora difficile da capire. Non era certa di volere ulteriori dettagli per fare chiarezza.

Si consolò, pensando che dal giorno dopo si sarebbe dedicata ad uno scavo archeologico.

   
 
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