Capitolo
35
(CONVERSAZIONI
POST-MORTEM)
Danny
si sentiva ancora piuttosto stranito, e aveva un discreto sospetto a proposito
del fatto che non dipendesse tanto dai postumi del sonnifero che il finto
Mordecai aveva somministrato loro per narcotizzarli per ore. O almeno,
supponeva si fosse trattato di ore, dal momento che dal salotto-cucina della
casa di Mordecai in cui si trovavano non si riusciva a vedere fuori. Le uniche
due piccole e strette finestre a lato della porta d’ingresso erano spesse
cornici vecchie di legno con incastrati quasi altrettanto spessi vetri
impolverati, e perlopiù coperte da pesanti tende che, quand’anche fuori ci
fosse stata la luce del giorno, l’avrebbero sicuramente schermata.
Mentre
lui, Uther e Mordecai sorseggiavano una tisana dal sapore forte e piuttosto
amaro, ma che in qualche modo risultava anche rinfrescante e scorreva come
acqua limpida attraverso la gola assetata per le lunghe ore passate tra la
coscienza e l’incoscienza e sempre prigionieri nella cantina, seduti attorno
allo stesso tavolino al quale il finto Mordecai li aveva fatti accomodare
prima, Danny era piuttosto inquietato dal sentirsi in qualche modo osservato
dalle decine e decine di volti dei piccoli dipinti disseminati su ogni centimetro
disponibile della superficie delle pareti verticali e del soffitto della
stanza.
E
ora ne era ancora più inquietato di prima, poiché quando erano ritornati su
dalla cantina, lui e Uther avevano assistito a qualcosa di quantomeno insolito.
Appena Mordecai aveva mosso un paio di passi entro la stanza, tutte le lucine elettriche
o costituite da piccole candele disposte davanti ai dipinti, una per ogni
ritratto, si erano illuminate quasi contemporaneamente, rischiarando tenuamente
la stanza di uno stentoreo ma in qualche modo prepotente bagliore tra il rosato,
il giallo e l’arancione spento. Da quello che si poteva vedere, quelle
lampadine o lumicini di foggia cimiteriale, anche ammesso che ognuna avesse i
suoi fili elettrici nascosti all’interno dei piccoli bracci arzigogolati che le
sostenevano davanti ai ritratti, non erano collegate a nessun sistema elettrico
generale. Alcune di quelle lucine si erano messe a lampeggiare con svariati
ritmi, altre avevano raggiunto la massima intensità come se fossero sul punto
di far esplodere la lampadina, e avevano tutte un che di urgentemente fremente.
Uther
e Danny si erano lentamente bloccati sul posto, guardando il singolare
spettacolo, sospesi tra la curiosità e il sospettoso timore, ma Mordecai aveva
tranquillamente proseguito fino al bancone di cucina e aveva iniziato a bollire
l’acqua su un fornelletto da laboratorio, per poi selezionare un sacchetto tra
l’ampia gamma di quelli disposti sulle mensole, riconoscendolo apparentemente
più per forma e colore che per lettura della piccola etichetta di carta vergata
con una calligrafia elegante e allo stesso tempo categoricamente sommaria in
lingua ebraica.
«La
cosa veramente spiacevole, è la confusione che quel fantoccio si è permesso di
disseminare tra tutte le mie cose… Ci vorranno giorni per sistemare.» aveva
commentato Mordecai a quel punto a mezza voce, con una certa risentita
irritazione, suonando come se disapprovasse tanta intrusiva maleducazione,
mentre contemplava con aria critica il caos di oggetti e polveri e buste e
cucchiai e mestoli disseminato per tutto il banco di cucina e in buona parte
anche sulle mensole.
Si era
poi voltato verso di loro, notando che erano ancora fermi poco oltre la soglia
delle scale che portavano alla cantina, aggiungendo con convinta e sincera
gentilezza «Oh, naturalmente senza considerare quello che ha fatto a voi.»,
prima di notare come i loro sguardi fossero concentrati sulla luminosità delle
lampadine senza fili e dei lumicini su tutte le pareti e il soffitto. Lui, dal
canto suo, non aveva nemmeno avuto bisogno di seguire la direzione del loro
sguardo per comprendere perfettamente quale fosse l’oggetto della loro
attenzione. «Non fateci caso. Sono stato via per qualche settimana, come
dicevo.»
«Vuole
dire che questo è una specie di sistema di antifurto, per caso?» Danny aveva
sentito chiedere da Uther, con un chiaro tono ironico, mentre lui non riusciva
proprio a staccare lo sguardo da tutti quei piccoli ritratti svariatissimi, sui
volti dei quali le lucine gettavano chiaro-scuri più o meno spiccati nel
contrasto a seconda dei colori predominanti del dipinto e se si trattava di un
olio su tela piuttosto che di vernice di altro tipo, e di quanto fosse più o
meno impolverato e spesso il vetro – se c’era – che li ricopriva.
«No.
Sono i miei clienti.» aveva risposto Mordecai, con molta calma e neutra
disponibilità gentile.
«Ah.
Giusto.» aveva commentato Uther, con una punta ancora chiara di ironica
condiscendenza momentanea, schioccando appena le labbra.
E Danny,
il quale si era sentito rizzare tutti i peli di cui disponeva nella sua forma
umana a quella risposta, aveva chiaramente percepito che Uther stava per rivolgere
a Mordecai un’altra domanda per chiarimento, o piuttosto un altro commento che
non sembrasse una domanda diretta, nel mentre probabilmente cercando di capire
se il loro ospite fosse più o meno mentalmente equilibrato o completamente
alterato dalla realtà, e nel dubbio rimanendo nel frattempo oscillante anche
con le parole tra le due eventualità.
In
altre situazioni, Danny avrebbe apprezzato davvero tanto quel modo di fare di
Uther, ironico e insieme molto attento e valutante, ma in quel momento si
sentiva indeciso tra il precipitarsi verso l’ingresso per uscire il prima possibile da lì oppure tornare in cantina e
sbarrare la porta. Quello che si era ritrovato a fare a tutti gli effetti, era
stato afferrare Uther per un braccio prima di rendersene conto. Qualcosa in lui
sembrava stranamente farlo sentire come se non sapesse come rapportarsi
esattamente in quel momento con il dove si trovava e con tutte quelle decine e
decine di piccoli ritratti che parevano fissarlo dritto dritto
da un'altra dimensione dell’essere, la qual sola idea gli faceva per qualche
motivo rivoltare lo stomaco come se fosse sul punto di vomitare l’anima.
Sentendo
la salda presa della sua mano sul braccio, Uther aveva immediatamente voltato
la testa verso di lui, e anche Mordecai di concerto si era concentrato sul
fissarlo.
«Credo
che…» aveva iniziato Danny, con voce strozzata, prima di rendersi del tutto
conto che non aveva idea di che cosa voleva o poteva dire o perché.
Un
istante dopo che era ricaduto quel pesante silenzio in cui quelle lucine
illuminavano volti che sembravano fissarlo insistentemente, Danny aveva sentito
Uther piegare un poco, lentamente e con calma, il braccio che gli stava tenendo
stretto, come per rendere la sua una presa potenzialmente d’appoggio, e iniziare
a incamminarsi tranquillamente verso il tavolino, senza staccargli lo sguardo
dal volto.
«Credo
che potremmo sederci.» aveva semplicemente detto Uther, in qualche modo
perfettamente accomodante, come se non volesse fargli pesare nemmeno per un
momento quella sua intensa e imperscrutabile incapacità di avere a che fare con
quei ritratti illuminati.
Danny
aveva assecondato il suo movimento quasi senza rendersene conto, gli occhi
ancora incollati alla folla di dipinti, muovendosi automaticamente e con lenta
circospezione allo stesso tempo, fino a ritrovarsi seduto al tavolino.
Solo
dopo qualche momento aveva realizzato che dovevano essere passati alcuni minuti
nel frattempo che lui continuava a cercare di comprendere quella strana
sensazione di profondo disagio e inquietudine, come se qualcosa stesse
afferrando rapacemente le radici del suo essere e cercando di tirarle in strane
direzioni a rischio di strapparne qualcuna, perché aveva sussultato di sorpresa
quando aveva sentito la vicina voce di Mordecai elevarsi chiara nel dire «Per
favore, signori e signore! Mi rendo conto che sono stato assente per diverse
settimane, ma questo comportamento da parte vostra rischia di risultare
alquanto offensivo. Come vedete al momento ho ospiti venuti a sottopormi importanti
questioni della massima urgenza. E sono certo che nessuno di voi qui ha
dimenticato un minimo di decenza a riguardo del come comportarsi decorosamente,
nel mentre della mia assenza. Sarò disposto ad ascoltare ognuno di voi per
tutto il tempo che sarà necessario, non appena potrò. Vi richiamerò io stesso
per stabilire l’urgenza del vostro bisogno di conversare con me. Quindi, dal
momento che non c’è altro da aggiungere, ora lasciateci discorrere per un po’,
siate cortesi come so che sapete benissimo essere quando solo lo desiderate.»
Danny
aveva abbassato, sebbene di malavoglia, lo sguardo su Mordecai, solo per
ritrovare che effettivamente lui stava fissando i ritratti, e quindi doveva
essersi rivolto proprio a loro. A quel punto, per Danny sarebbe stato arduo
dire se avrebbe preferito vedere che non accadeva nulla e che lui e Uther
potevano giungere alla conclusione che Mordecai aveva l’abitudine di parlare
con qualche oggetto inanimato che a quanto pare collezionava, oppure il
contrario. Ma in ogni caso, non aveva osato rialzare lo sguardo sui ritratti, e
tuttavia si era dovuto rendere conto che la luce dei loro lumicini e lampadine
si andava affievolendo, lasciando più spazio a quella di una piccola lampada di
antica foggia appoggiata al centro del tavolino. A quanto pareva, mentre lui
restava imbambolato a spiare i ritratti con profondo disagio, Mordecai aveva
finito di preparare la tisana, e ora tutti e tre sedevano attorno al tavolino,
regolarmente provvisti ognuno della propria tazza fumante.
Ad
un certo punto, Danny aveva notato che il loro ospite stava fissando un punto
in particolare su una delle pareti, e si era azzardato a spiare in quella
direzione, riscontrando che effettivamente c’era un solo ritrattino davanti al
quale il lumicino era ancora ostinatamente, sebbene flebilmente, acceso. Gli
altri erano tutti spenti, o stavano finendo di spegnersi proprio in quel
momento. Mordecai aveva concentrato su quell’unica lucina rimasta accesa
un’occhiata particolarmente critica, alzando le sopracciglia per enfatizzare il
suo incredulo e risentito stupore, e aveva tamburellato leggermente ma in
qualche modo decisamente la punta delle dita sul tavolino in alcuni colpetti
netti e veloci, che erano suonati incoraggianti e allo stesso tempo severi.
Quell’ultima lucina si era illuminata un poco di più solo per un istante, come
rispondendo, e poi si era affievolita fino a spegnersi, con un che di
rassegnato.
Danny
si era accorto che stava rabbrividendo quasi incontrollabilmente a quel punto,
e che decine di brividi freddi gli stavano scorrendo ininterrottamente giù per
la schiena, e a quanto pare Uther lo doveva aver sentito tramite il fatto che,
a quanto pareva, Danny gli stava ancora tenendo la presa della mano sul
braccio. Danny aveva sentito il braccio muoversi appena, come se volesse
attirare la sua attenzione, e quando aveva volto lo sguardo verso Uther, lo
aveva visto guardarlo per un momento come se stesse cercando di capire che
diavolo gli prendesse e allo stesso tempo di suonare rassicurante.
Uther
aveva alzato appena la mano in cui teneva la tazza fumante tra i loro volti,
come per essere certo di mostrargliela, aveva bevuto un sorso, e con un
sorrisetto gli aveva detto «Ho già controllato io. Niente narcotico qui. Puoi
berla tranquillamente.»
A
quelle parole, Danny aveva sentito le sue sopracciglia aggrottarsi appena, e si
era ritrovato a rispondere con una strana e quasi automatica lucidità «Semmai,
avrei dovuto controllare io. Sono più resistente di te.»
«Beh,
tecnicamente sì, d’accordo. Ma ho pensato che se anche stavolta crollavo come
una pera cotta narcotizzato, se tu fossi rimasto ben sveglio avresti potuto
sistemare le cose più rapidamente di me.» aveva replicato con calma e una punta
di leggero divertimento Uther, facendogli appena l’occhiolino.
Danny
si era ritrovato a rispondere a sua volta praticamente subito, entrando senza
nemmeno rendersene conto nell’usuale dinamica di confronto, tra la diatriba
tattica e l’avere un più o meno valido motivo di discussione giusto per discutere
più o meno animatamente, che aveva sempre contraddistinto dopotutto ognuno dei
‘4 di picche’. Aveva sentito la sua stessa voce,
seppure impallidita come se fosse indebolita in quel momento, risuonare
caparbiamente decisa e allo stesso tempo pulitamente lucida. «La mia eventuale
maggiore resistenza è questione di fisicità e sensi. Potrei resistere meglio ad
una stessa dose di narcotico rispetto a te, forse. Ma non significa che tu non potresti
cavartela bene quanto me nell’aver a che fare con qualche nemico peraltro umano
e…»
In
quel momento si era bloccato, rendendosi conto che stavano parlando di se e come avrebbero potuto avere buon gioco nell’atterrare
in caso di bisogno proprio Mordecai che era seduto allo stesso tavolino e li
poteva udire benissimo. Danny aveva girato subito lo sguardo su di lui,
impietrito e imbarazzato, praticamente arrossendo. Quegli tuttavia sorseggiava
tranquillamente la sua tisana, guardandoli con molta calma al di sopra della
tazza, come se stesse semplicemente ascoltando la loro conversazione con
attenzione placida.
Danny
si era precipitosamente schiarito la voce. «Cioè, non che pensi ce ne sia alcun
bisogno, in questo caso!» si era affrettato a dire.
Mordecai
aveva abbassato la tazza riappoggiandola sul tavolino, rivelando un sorriso
gentile, comprensivo, e anche piuttosto complicemente
divertito. «Certo che no.» aveva semplicemente convenuto, annuendo tranquillamente.
E Danny si era sentito in dovere di abbassare lo sguardo timidamente, e
trovandosi a guardare la sua stessa tazza di tisana ancora intonsa, la aveva
subito raccolta, spostando infine la mano dal braccio di Uther, e ne aveva
bevuto un’ampia sorsata, rischiando di scottarsi la lingua, come a
dimostrazione dell’onestà delle sue parole.
Quando
era tornato a guardare Mordecai, sperando che gli avesse creduto senza riserve,
si era accorto che l’ometto stava piuttosto occhieggiando tra loro due con un
che di affettuosamente compunto ma soddisfatto. E solo allora Danny aveva
realizzato che Uther era riuscito a distrarlo da quei ritratti efficacemente, e
a farlo riprendere un poco. Quella realizzazione lo aveva piuttosto confuso,
per via degli eventi dei giorni recenti, ma soprattutto perché, al di fuori di
quei giorni, ricordava bene quante volte era stato così, quanto Uther fosse
sempre riuscito a farlo con tanta naturalezza che nemmeno lui se ne accorgeva
se non in ritardo.
Era
allora stato preso da una sorta di imbarazzo ben diverso, sentendosi quasi in
colpa per il risentimento che aveva accumulato nei confronti di Uther negli
ultimi giorni, nonostante, ricollezionando le memorie
cronachistiche di quanto avvenuto, sul piano logico e pragmatico non gli
riuscisse di trovare un motivo per mettere in discussione interamente tutta
quell’irritazione e quella devastante sensazione di sfiducia e distanza
rispetto all’altro, che lo aveva scavato lentamente da dentro. E forse era
perché, ora che ci pensava meglio… forse perché non era solo il rapporto personale
tra di loro che tutto quello che era successo metteva in discussione. Più
propriamente, era come se rimettesse in discussione le basi sulle quali lui
aveva mosso i suoi primi passi per ritornare al mondo degli umani veri e propri,
dopo anni di solitudine per i boschi quasi sempre nella sua forma di lupo.
E, d’altro
canto, a quel punto rischiava di farlo irritare seriamente con se stesso il fatto che fosse bastato a quel Mordecai così
poco per accorgersi di quel legame tra loro dopo averli appena conosciuti,
mentre lui avrebbe potuto – e forse dovuto – saperlo molto meglio, e
ricordarsene prima e più chiaramente.
Ma
poi Mordecai li aveva invitati a spiegargli perché avevano ritenuto di aver
bisogno di rivolgersi a lui, e Danny aveva dovuto raccogliere tutta la sua pazienza,
poiché dal momento che Uther sembrava molto impegnato a sorseggiare la sua
tisana con tutta la tranquillità del mondo come se fosse pacificamente chiaro
che non spettava a lui spiegare, si era ritrovato a dover ripetere la storia
dall’inizio, stavolta se non altro al vero Mordecai, ma comunque in
un’ambientazione decisamente simile a quando lo aveva dovuto fare la prima
volta da che avevano messo piede in quella casa dalla quale continuava a
sperare di riuscire comunque ad uscire il prima possibile.
Da
quando Danny aveva terminato di raccontare, era caduto quello che sembrava un
composto silenzio riflessivo. Ma piuttosto che riflettere nuovamente su quello
che aveva dovuto di nuovo ripetere, ovviamente debitamente mondando accuratamente
il racconto di tutte le parti che riguardavano i dissidi più personali e le
eventuali disavventure di lui ed Uther lì a Tairans
che non fossero strettamente pertinenti al contesto di ‘un nutrito gruppo di
mezzi lupi impazziti che vuole conquistare il mondo’,
la sua concentrazione aveva iniziato ad essere nuovamente e assai sgradevolmente
calamitata dai numerosi ritratti che ricoprivano le superfici verticali e il soffitto
della stanza.
Finché
Mordecai non parlò di nuovo, rivolto più direttamente a lui, e si rese conto
che lo stava guardando, con cortese calma, ma con un che di particolarmente
comprensivo.
«Mi
dispiace, per questo. Non avevo riflettuto sul fatto che un mezzo lupo potrebbe
sentirsi particolarmente a disagio in questa stanza… »
disse semplicemente, con aria sinceramente dispiaciuta per lui.
Danny
si sforzò di riprendere un certo controllo su se
stesso. «Non importa. Posso resistere tutto il tempo necessario.»
Mordecai
annuì rispettosamente, come se volesse far chiaramente intendere che non voleva
mettere in dubbio la sua forza di resistenza. «Certamente. Tuttavia, posso
appena immaginare quanto le possa risultare fastidioso.»
«Come
mai?» domandò Uther, e anche se pure Danny avrebbe voluto porre la stessa
domanda dopotutto, per qualche motivo continuava a volerne sapere il meno possibile
sull’esatta natura di ciò che lo stava indisponendo a tal punto. Non aveva mai
provato nulla di simile, prima di quel momento, in tutta la sua lunga vita, né
prima né dopo essere diventato un mezzo lupo.
«Ritengo
che… di base… » iniziò Mordecai, mentre Danny si
costringeva suo malgrado ad ascoltarlo «Per un mezzo lupo sia molto più profondamente
istintivo che per noi esseri umani completi, che abbiamo poi costruito grandi
razionalizzazioni, fantasticazioni e religioni in
proposito, percepire la divisione tra la vita e la morte come qualcosa di
essenzialmente netto, per qualsiasi cosa che si possa considerare vivente.»
Uther
inarcò appena un sopracciglio, anche se la sua dubbiosità si stava lentamente
stemprando nella più viva curiosità, e Danny iniziò di nuovo a sentirlo come
potenzialmente non così al suo fianco come in effetti era: avrebbe preferito,
sempre per qualche non meglio individuabile motivo, che cercasse piuttosto di
intestardirsi a rifiutare quello che Mordecai stava sottintendendo molto
delicatamente e con tanta compassata naturalezza.
«Perché…
in questa stanza non è così?» chiese Uther, ancora leggermente ironico,
nonostante tutto. Ma la sua credulità ancora sospesa si stava pericolosamente
sbilanciando, alle orecchie di Danny, alla disponibilità a concedere a Mordecai
un certo credito potenziale.
«Non
solo in questa stanza, per la verità. Ma in questa stanza è per ovvi motivi più
evidente che, a volte, questa separazione può non essere così netta per
alcuni.» rispose Mordecai con la sua compunta tranquillità.
«Quindi,
dal momento che lei è un necromante, è in grado di
comunicare con le persone qui ritratte, che sono morte?» continuò Uther,
evidentemente deciso a dargli corda comunque.
Danny
rabbrividì, e, giusto per non riafferrare Uther, perché il suo gesto avrebbe
stavolta contenuto un’implicita preghiera di non fare altre domande, si afferrò
piuttosto il ginocchio in parte nascosto sotto il tavolino, giusto per
aggrapparsi a qualcosa.
«Non
esattamente morte, per l’appunto. Ma almeno in parte sì. In buona parte. In
sostanza sì, secondo le concezioni di vita e morte più comuni e diffuse nelle
culture e concezioni umane.» perfezionò Mordecai. «E… no, non basta essere ‘necromanti’. Occorre anche una notevole predisposizione
personale.»
«Come
in molte… arti… dopotutto.» commentò Uther, cercando di ridimensionare, sebbene
fosse evidentemente ancora incuriosito. «Quindi… come funziona? Comunica con
loro tramite codice morse?»
«Prego?»
si incuriosì a sua volta Mordecai, come se cercasse di capire perché stesse
chiedendo proprio di quel particolare modo di comunicare.
«Le
lucine che si spengono e accendono a ritmo…» accennò Uther, lanciando un breve
sguardo intorno, lungo le pareti ricoperte di ritratti, in modo illustrativo.
Danny
aveva abbassato lo sguardo ostinatamente sul tavolo, e sebbene stesse suo
malgrado ancora ascoltando, cercava di pretendere di essere da un’altra parte,
e soprattutto non circondato da tutti quei volti ritratti.
«Oh,
no, non in questo modo.» scosse un poco la testa Mordecai «Per la verità,
fornire una spiegazione per voi comprensibile che non richiedesse come premessa
ore di delucidazioni su alcune basi della necromanzia
potrebbe essere piuttosto difficoltoso. Tuttavia, per semplificare
grossolanamente, se considerate che questi ritratti sono una sorta di porta di
comunicazione, e che le lucine servono semplicemente a indicarmi immediatamente
e senza dubbio chi e se e quando e quanto desidera comunicare con me, allora…»
«Potremmo…
tralasciare questa parte, per favore?» domandò Danny, tra la supplica e i denti
stretti.
Uther
lo spiò appena per un momento, e Mordecai si limitò a tacere.
«Ma…
perché farlo, esattamente? Voglio dire, sanno delle cose che possono risultare
interessanti o è solo un… mestiere… una vocazione, o altro…?» domandò tuttavia
ancora Uther, lasciando volutamente la domanda aperta ad ogni possibilità,
tuttavia continuando a spiare Danny di sottecchi come per sincerarsi delle sue
condizioni mano a mano che la conversazione procedeva.
Danny
iniziò ad avere la singolare idea che quello potesse essere una specie di modo
in cui Uther intendeva, probabilmente inconsapevolmente, ottenere come una leggera
sorta di vendetta su di lui; o forse voleva semplicemente vedere, tanto per,
fino a che punto potesse arrivare prima di necessitare di precipitarsi fuori da
quella stanza e in strada per prendere lunghe boccate di aria fresca e cercare
di scacciarsi di dosso quella strisciante sensazione di inquietante brivido
freddo che gli percorreva ogni centimetro di pelle.
Mordecai
appoggiò la sua tazza sul piattino con calma attenzione, e incrociò le dita
delle mani tra loro, appoggiandosi con i gomiti sopra al tavolo con calma,
sembrando per qualche motivo molto più simile ad un’impressione di gentile
impiegato di sportello di un qualche ufficio, estremamente esperto nel suo
lavoro e pazientemente disponibile, e assolutamente non implicato in cose
paranormali come la necromanzia. Stava sorridendo in
quel suo modo delicatamente e sinceramente cortese.
«Per
molti motivi. Dipende dalla persona con cui sto parlando. Con alcuni ho
sviluppato una certa confidenza e una buona amicizia, nonostante inizialmente
mi parlassero perché io riferissi alcune cose ai loro cari ancora in vita in
tutto e per tutto. O per sistemare altre faccende, che eventualmente potevano
essermi compensate dai cari stessi ancora in vita. E quando si parla di
compenso, quella è la parte che ha a che fare con quello che potreste definire
un ‘mestiere’. In altre occasioni ci sono stati scambi di altro tipo, sì, anche
di informazioni. Ma non quelle che forse supponi, Uther. Non si tratta di… spiegare
la loro condizione per nutrire una specie di mia morbosa curiosità
eventualmente mascherata da scopi di ricerca parascientifica. Erano
informazioni totalmente riguardanti la realtà dei completamente e unicamente
vivi che voi stessi conoscete.»
«Hum… e immagino che occorrerà molto tempo, per sbrigare
queste conversazioni… post-mortem… vista la numerosità dei tuoi ‘clienti’.» constatò
Uther, tornando a far scorrere lo sguardo sulle numerose immagini incorniciate.
Sfortunatamente per lui, a Danny non fece una buona impressione doversi ricordare,
pur senza guardarli, quanto numerosi fossero quei volti ritratti.
«Oh,
non particolarmente. In realtà, diversi di loro magari non hanno desiderio o
necessità di comunicare con me per mesi o anni. Il tempo per loro è molto più
relativo che per noi.» rispose Mordecai.
«Già…
o forse dopotutto l’aldilà non è tanto entusiasmante da fornire spunto per
tante chiacchiere.» commentò salacemente Uther.
«Chi
ha mai parlato di ‘aldilà’?» replicò tranquillamente Mordecai.
«Potremmo
concentrarci su altro, per favore?» si ritrovò a domandare Danny, ora
decisamente col tono di chi ne ha notevolmente bisogno.
«Sì,
certo. Mi dispiace.» disse Mordecai. «Se preferisci, potremmo spostarci al
piano di sopra.»
«Non
ci sono ritratti anche lì?» chiese Uther.
«No.
La parte del piano di sopra è destinata al mio uso abitativo personale. E i
miei clienti sono perfettamente consapevoli del fatto che questa è l’unica
stanza dove vengono ricevuti.»
«Non
ricevi molte visite, vero? Da parte di… ‘completamente vivi’, intendo…» domandò
ancora Uther, in tono sottilmente significativo.
Danny
gli scoccò un’occhiataccia, ma notò che Mordecai stava sorridendo un po’ più
simpaticamente divertito, come se apprezzasse quel tipo di provocazione.
«Non
al di fuori del mio orario di ricevimento per quella parte dei miei clienti,
no, in effetti. Immagino vi riferiate alle condizioni di questa stanza. Ma non
è per far scena davanti allo sguardo di chi desidera comunicare con i suoi cari
e non può più farlo senza il mio aiuto, posto che esso possa effettivamente
permettere loro di farlo, il che dipende da moltissimi fattori… soprattutto
relativi alla condizione di coloro con cui desiderano comunicare, e per il
resto essenzialmente dal loro carattere e dai rapporti che hanno con chi vuole
comunicare con loro… per cui questa stanza è così isolata rispetto alla luce
esterna. In parte, è per permettermi di vedere chiaramente l’eventuale
accendersi anche solo debolmente delle luci per una richiesta di comunicazione,
e in parte è per creare un ambiente più confortevole per una comunicazione più
intima e confidenziale e tranquilla. Alcuni di loro, inoltre, hanno sviluppato
una curiosa auto-convinzione di percepire ambienti poco illuminati come più
idonei a loro. Ad ogni modo, di solito in piena estate raramente ricevo
richieste di appuntamento da completamente vivi. Naturalmente, voi non siete
miei clienti, ma ho piena intenzione di aiutarvi per il vostro problema. Che
temo non sia solo vostro… e che purtroppo… Ad ogni modo, gli amici di Kumals, e particolarmente nel vostro caso, sono miei amici.
Potrete fare su di me pieno affidamento, per tutto ciò che mi sarà possibile
fare. Per potervi dire in che cosa potrò effettivamente essere d’aiuto, avrò
bisogno di qualche ora per riflettere accuratamente. E, in ogni caso, vale per
ora e per il futuro, nel caso doveste tornare ad essere miei lieti ospiti qui…»
e qui Danny si rese conto che Mordecai stava guardando in particolare lui ora «Posso
assicurarvi senza dubbio questo: con l’eccezione di quel fantoccio che
purtroppo vi ha intrappolato e che si spacciava per me, chi entra vivo qui esce
altrettanto vivo, e chi vi accede non più completamente vivo, nelle uguali
condizioni lascia comunque questo luogo.»
Prima
di accorgersene, Danny stava tirando un profondo e udibile sospiro di sollievo.
E quando si ritrovò concentrati addosso l’occhiata di Uther tra l’incuriosito,
il sorpreso e il piuttosto divertito, e quella intenta e quasi altrettanto gentilmente
e sagacemente simpatetica di Mordecai, sospirò di nuovo ma stavolta in modo
arreso. Rinunciando persino al sentirsi di nuovo imbarazzato, si limitò ad
appoggiarsi pesantemente con le braccia e la fronte sul tavolino davanti a lui.
Ma
rialzò la testa, stupito, quando udì improvvisamente una risata breve ma
particolarmente cristallina e incredibilmente vitale oltre che sinceramente
divertita, e si rese conto che apparteneva al necromante.
Quel necromante che sembrava a vedersi un comunissimo
impiegato da uffici postali di un’altra epoca, un’epoca dove forse a volte le
persone onestamente e umanamente semplici, poteva forse essere che lo fossero
genuinamente in profondità, e che indipendentemente dall’arte o dal lavoro che
avessero scelto di praticare – o chissà, forse proprio e anche per quello –
erano esattamente la stessa persona, che fossero o meno nel loro luogo di
“lavoro artigianale”.
Soundtrack: Dormono sulla collina (Fabrizio De André)
(perché, trattandosi di storie di persone
non più in vita, non potevo non pensare a ‘Antologia di Spoon
River’ di Edgar Lee Masters)
Note
dello scribacchiatore: anche se temo che
questo capitolo mi sia venuto scritto in maniera piuttosto… avviluppata su se stessa diciamo?... e che possa quindi risultare un po’
pesante alla lettura, per quanto lo abbia riletto (e comunque risistemato,
insomma, ci ho provato eh? :p), continua per il
momento a piacermi abbastanza così… mi sembra uno stile abbastanza adatto al
personaggio di Mordecai, alla sua casa e alla sua… già, “arte” ;p
Ed ecco ancora due dei ‘4 di picche’ “in action” in combo… io
li trovo sempre divertenti.
Ed ecco (per chi se lo fosse dimenticato
da quando l’ho scritto in una nota precedente, non che abbia comunque un’importanza
capitale ricordarselo) il completamento del gioco speculare di cui vi avevo
detto, alias: come abbiamo avuto le ‘conversazioni pre-mortem’,
ecco quelle ‘post-mortem’ ;)
Al prossimo capitolo!