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Autore: Red_Coat    04/07/2017    2 recensioni
Genesis.
La mia vita, per te.
Infinita rapsodia d'amore
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DAL TESTO:
Un bagliore accecante invase la grotta, ed io capì che l'avevo raggiunta appena in tempo. Alzai gli occhi, e vidi uno splendido angelo con una sola ala, immensa, nera e maestosa, planare dolcemente su una roccia. Rimasi incantata, con gli occhi pieni di lacrime, a fissare la sua sagoma, fino a che non mi accorsi che i suoi occhi verdi come l'acqua di un oceano di dolore e speranza seguitavano a fissarmi, sorpresi e tristi.
Fissavano me, me sola, ed in quel momento mi sentii morire dal sollievo e dalla gioia
" Genesis! " mormorai, poi ripetei il suo nome correndogli incontro
C'incontrammo, ci abbracciammo. Mi baciò.
Ed io, per la prima volta dopo tanto tempo, piansi stretta a lui.
Genere: Avventura, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genesis Rhapsodos, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Vincent Valentine, Zack Fair
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo XVI


 
Il volo in elicottero fu emozionante, davvero tanto. Ero stata un paio di volte in aereo per brevi viaggi di piacere, ma mai in elicottero, e non avevo … non avevo mai visto il mare da quell’altezza!
Quando ero piccola, mio padre e mia madre ci portavano in vacanza in una località di mare stupenda, nel paese d’origine della mamma. Erano i giorni più belli dell’anno, per me, pieni gioia e avventura. Mi piaceva nuotare assieme ai miei nipoti più piccoli, giocare tra le onde con loro facendo finta che il tubo per respirare sott’acqua fosse una spada e noi impavidi avventurieri alle scoperta di terre inesplorate, e adorava anche tantissimo immergermi, per scoprire le bellezze che mi riservava il fondale.
Altre volte, soprattutto durante le vacanza di natale, decidevamo di partire per fuggire alle tormente di neve che affliggevano il nostro paese e passare un inverno più mite. Allora prendevamo in affitto una casa lì dove d’estate avevamo giocato ed eravamo fuggiti al caldo asfissiante e passavamo quasi tutti i pomeriggi a passeggiare sulla spiaggia, sferzata dagli impetuosi venti del nord che faceva agitare il mare e creava onde alte a volte anche fino a due metri. Anche quei pomeriggi, che poi dopo la morte di mio padre divennero per me, mia sorella e mamma occasioni per poter rivivere in qualche modo il passato e rafforzare ancor di più il nostro legame, continuando a sentire ancora la sua presenza con noi.
Per questo potevo dire di conoscere bene il mare, i suoi misteri e le sue meravigliose suggestioni.
Ma ora, mentre sorvolavamo la sua vastità dall’alto, la visione dell’oceano sotto i nostri piedi, delle sue acque calme, profonde e scure che allungavano le mani verso di noi senza riuscire mai a raggiungerci … rimasi senza fiato ad osservare, e fu forse quello il momento definitivo, in cui mi resi conto di trovarmi non semplicemente nel mondo della mia fantasia, ma in un altro mondo, un mondo variegato, vivo, reale!
Un mondo in cui avrei dovuto imparare a vivere, se non volevo essere trascinata dalla sua corrente. Avrei dovuto trovare qualcosa da fare, scegliere un posto in cui stare, e anche un mestiere da intraprendere che potesse aiutarmi a vivere in autonomia. Potevo scegliere di essere quello che volevo, come se cadendo dal cielo io fossi nata per la prima volta, ma …
non avevo che vent’anni, e anzi dentro mi sentivo anche molto più piccola di così.
Non sapevo affrontare la vita, non avevo mai fatto scelte senza chiedere il consenso di qualcuno di cui mi fidavo, e avevo talmente tanta frustrazione e rabbia dentro, per le cose che avevo perso e per quelle che non avevo avuto … da aver paura perfino di muovere un solo passo, pensando che tramite questo avrei potuto far del male.
Non guidavo la macchina, anche se avevo preso anche con ottimi voti la patente, né mi allontanavo dalla mia famiglia più di quanto, all’improvviso, mi ero ritrovata ad essere.
Quel pensiero, mi balenò in testa quasi all’improvviso. Sollevai gli occhi verso l’orizzonte, dove la grandezza del cielo si fondeva con quella altrettanto immensa del mare sotto di noi, e li puntai nello splendido spettacolo del sole al tramonto, rosso e grande sulla linea tra acqua ed aria che stava infuocando.
E allora mi ricordai di Stephanie, e di mia madre, di essere lontano, molto lontano da loro, e seppi che forse non sarei più potuta tornare indietro. Le avevo lasciate indietro, senza volerlo e senza sapere come ritornare. Il terrore che mi colse, il dispiacere profondo che imporporò le mie guance e inumidì i miei occhi fino a farli lacrimare … non passarono di certo inosservati a Zack che mi sedeva accanto, anche lui assicurato al sedile per mezzo della cintura e con in testa un paio di cuffie dotate di microfono che ci permettevano di comunicare tra di noi oltre il frastuono delle pale, e osservava il mio stesso panorama dal finestrino opposto.
Mi prese la mano, quasi all’improvviso, ed io sobbalzai rivolgendo il mio sguardo verso di lui e accorgendomi troppo tardi della mia espressione devastata.
 
-Tutto bene?- chiese, sorridendomi e alzando la voce per farsi sentire meglio.
 
Tentai invano di sembrare convincente, quando sorridendo tra le lacrime annuii velocemente un paio di volte, ricambiando la stretta per poi replicare tranquilla.
 
-Si.-
 
Ma come al solito lui non ne fu convinto. Ero rossa in viso, le lacrime continuavano a sgorgare avevo le guance praticamente bagnate. Mi sorrise di nuovo, e mi rivolse un altro di quei suoi sguardi comprensivi.
Quindi mi avvolse un braccio attorno alle spalle e avvicinandosi mi abbracciò ancora una volta, facendomi sentire tutta la sua presenza e la sua partecipazione, per poi tornare a guardarmi e scoccarmi un occhiolino mentre io lo fissavo sconvolta.
Scossi la testa, e sorrisi.
 
-Ancora qualche ora e saremo arrivati!- mi disse -Stanotte vedremo le stelle più belle di Gaia.-
 
Non credo proprio.” pensai, allargando il mio sorriso e annuendo per rispondere a quella sua affermazione. “Le più belle sono proprio qui di fronte a me, nei tuoi occhi.
 
\\\
 
Durò diverse ore, non so dire quante, forse tre o quattro, forse anche di più.
Per un po’ l’unica cosa che riuscimmo a vedere sopra di noi fu il cielo, e sotto noi il blu del mio grande amico.
Poi, dopo tre o quattro ore di volo, i primi lembi di costa del continente ovest iniziarono a delinearsi sempre più vicini, fino a cambiare completamente lo scenario sotto di noi in uno più variegato di alberi, vallate fertili e sterminate, boschi e praterie.
Quando giungemmo a Gongaga, erano già quasi le dieci di sera, e “le stelle più belle di Gaia” brillavano su di noi assieme alla bianca e pallida luna in un cielo blu scuro e intenso, gioiose di rivederci. O meglio, di rivedere lui, che per così tanto tempo era stato lontano da quei luoghi.
Due anni e mezzo, ormai. Era partito a quattordici anni e mezzo, e se non fosse stato per me non vi avrebbe mai più fatto ritorno.
Me lo disse mentre ci avviavamo a piedi verso il villaggio, a pochi chilometri da dove l’elicottero ci aveva lasciato. Mano nella mano percorremmo un piccolo sentiero sterrato che tagliava in due un’incantevole zona montuosa, fatta di cascate, fiumiciattoli e arbusti vari, e quando quella frase uscì dalla sua bocca, quasi per gioco, suonò quasi profetica. Così tanto che non potei non chiedere, cogliendo al volo l’occasione che di sicuro mi era stata offerta di proposito.
 
-Non sei contento di essere tornato?-
 
Lui mi guardò negli occhi, sorrise e per la prima volta vidi il suo sguardo spensierato annebbiarsi, anche se per qualche secondo appena.
 
-Si.- disse -Lo sono.- poco convinto egli stesso di quell’affermazione, e aggiungendo poi subito dopo, prendendomi nuovamente le mani tra le sue e fermandosi a guardarmi, ponendosi di fronte a me -Non vedo l’ora di farti conoscere i miei, sorellina. Vedrai, ti piaceranno!-
 
Lasciai che la tristezza scivolasse via, travolta da quel suo nuovo entusiasmo.
Sorrisi, e fissando la luce limpida della luna che si rifletteva nei suoi occhi replicai, sincera.
 
-Ne sono certa, fratellino.-
 
***
 
 ///Flashback///

-Fregati! Fregati da uno stramaledettissimo tizio di SOLDIER!-
 
Reno, indispettito, sbottò alla fine della corsa, piegandosi quindi affannato su se stesso a riprendere fiato, appoggiando i palmi aperti sulle ginocchia leggermente inclinate.
Poco dopo, appena qualche secondo, sopraggiunsero vicino a lui anche il resto della squadra, ovvero Rude e Cissnei, ugualmente indispettiti ed affannati.
Lui di più però, perché dei tre era stato quello che per un attimo s’era avvicinato di più all’obbiettivo.
 
-Qualche problema?-

Una voce seria e tonante si fece sentire a quel punto, sopraggiungendo alle loro spalle.
Tseng, che li aveva osservati da lontano, sorrise molto compostamente quando si ritrovò ad avere gli occhi dei tre colleghi puntanti su di sé.
 
- Ah! Quanto ti capisco adesso, compare!- esclamò in risposta il rosso, risollevandosi.
-Forse ora dovremmo parlarne di nuovo con il Presidente.- sospirò quasi esasperata Cissnei, anche leggermente sarcastica lanciandogli un breve sguardo.
 
Il turk wutaiano scosse la spalle e sorrise appena, fingendosi improvvisamente disinteressato.
 
-Dovreste, in teoria.- ribatté, vago.
-E in pratica?- proseguì Cissnei, ponendo le mani sui fianchi.
 
Tseng non rispose, limitandosi a scuotere le spalle e tornare a camminare, allontanandosi anche abbastanza in fretta da loro.
Reno, Cissnei e Rude lo guardarono quasi allibiti, poi il turk dai capelli rossi e dal manganello facile poggiò la sua fedele arma sulla sua spalla, inclinò leggermente la testa e inarcando le sopracciglia commentò, esibendosi in un ghigno.
 
-Credo che sia un vago ma deciso segno di disapprovazione.-
 
Rude annuì, aggiustandosi gli occhiali sul naso, e aggiunse cupo.
 
-Me too.-
 
Scuotendo le spalle mentre Cissnei scuoteva contrariata la testa.

///Fine Flashback///

 
***
 
Devo ammetterlo, non avevo mai pensato da profana di questo mondo, che il mio eroe Zack Fair potesse abitare e provenire da un villaggio così stupendamente caratteristico.
Ebbi modo di osservarlo assieme a lui l’indomani mattina, dopo una notte trascorsa a dormire in una vecchia casupola di legno proprio alle porte del villaggio che (chissà come mai) solo lui conosceva.
Dormimmo sdraiati per terra su un letto di vecchie lenzuola, perché ormai era troppo tardi per raggiungere un albergo e anche perché (e questa credo fosse la motivazione più vera), era suo desiderio incontrare i suoi genitori con la luce del giorno. Aveva paura, gli si leggeva negli occhi. Era in ansia perché non sapeva come l’avrebbero presa, e poi non aveva proprio la benché minima voglia di tornare a casa dai suoi.
Eppure … quando l’indomani al sorgere del sole salimmo su quell’altura e ci mettemmo lì, seduti ad ammirare l’alba che rischiarava l’orizzonte … per qualche istante guardando quel paesaggio lui sembrò quasi ritrovare sé stesso.
Me ne accorsi dal modo in cui mi spiegava ogni cosa di quel paesaggio, dal modo in cui le sue dita sfioravano piano le curve delle piccole colline nei dintorni e le linee rette delle dolci e fruttuose vallate in cui queste scivolavano piano, entrambi solcate da una lunga e serpeggiante strada di terra battuta che ad intermittenza collegava il villaggio al reattore, e dal suo respiro che pian piano andava rallentando sempre più, rilassandosi.
Proprio in una di quelle piccole conche in basso sul lato destro dello scenario, quasi protetto nel suo dolce palmo, se ne stava quieto il piccolo villaggio composto in prevalenza dalle case, simpatiche e vivaci sagome varianti in grandezza, ma dalla forma rotonda e dal tetto in tegole rotonde di ogni genere di colore ma prevalentemente rossastre.
Era un villaggio prevalentemente di contadini, e lo si poteva notare dagli appezzamenti di terreno che lo circondavano, anche se stranamente erano ormai pochi quelli effettivamente coltivati.
A completare quel quadretto allegro e tutto sommato solo un po’ spento poi, piccoli stralci di nuvole bianche correvano velocissimi sospinti da un piacevole venticello tiepido, solcando un cielo azzurro che pareva aver regalato un po’ del suo colore agli occhi di quel SOLDIER che mi aveva condotto fin lì.
Ciò che però mi aiutò a capire il desiderio di Zack di voler scappare via più di ogni altra cosa, fu la carcassa del reattore mako imploso, a pochi chilometri di distanza dal villaggio.
Scuro come una macchia di petrolio che si allungava coi suoi tentacoli nella distesa verde, circondato da uno spaventoso deserto che dava l’idea della vastità del danno da esso provocato …
Era orrendo. E non potei non notare quanto lo sguardo di Zack si sforzasse perfino di evitare d’incrociare la sua vista, per quanto questo fosse possibile.
 
-Quella è casa mia.- mi disse ad un tratto, indicando con l’indice della mano destra una piccola casupola blu dal tetto rosso cremisi quasi al centro dell’agglomerato, con vasi di fiori alle finestra superiori e una figura minuta, probabilmente una donna, vestita con un semplice abito blu scuro e in quel momento seduta davanti alla porta, su una sedia.
-E quella è tua madre?- chiesi, indicandola a mia volta.
 
Il suo sorriso si spense appena, il suo braccio si abbassò un po’. Per qualche istante non rispose, intristendosi, poi però tornò a guardarmi e annuì, quasi fiero.
 
-Si.- rispose, scacciando poi subito quel malumore e rianimandosi -Devi conoscerla, assolutamente.- aggiunse -E anche mio padre. Lui è una forza!-
 
Quindi si alzò, ripulì in fretta il pantalone della divisa e, con il sole ormai alto di fronte a noi, mi porse una mano, scoccandomi un occhiolino complice prima d’invitarmi con un gesto del capo a seguirlo.
 
-Andiamo?-
 
Sorrise, e annuii accento il suo aiuto. Mi rialzai, sistemai la gonna del vestito che mi aveva regalato e controllai che tutto fosse in ordine, quindi riportai lo sguardo su di lui che mi fissava felice, e senza chiedergli se fosse davvero pronto a farlo lo seguii, fiduciosa.
Avevamo parlato molto, la sera prima. Lo avevo ascoltato come i miei amici dicevano che sapevo fare, e alla fine penso che questo gli avesse fatto bene. Non avevo avuto neanche bisogno di convincerlo, perché ormai eravamo lì e una scelta era già stata fatta.
Ciò di cui aveva bisogno Zack in quel momento, e che evidentemente trovò in me, fu un appoggio necessario che lo aiutasse a sostenere il peso di ciò pensava avrebbe dovuto sopportare.
Anche se io sapevo già, in fin dei conti, che non avrebbe avuto bisogno di farsi perdonare niente, perché il solo fatto di essere di nuovo lì con loro avrebbe già di per sé fatto la differenza.
 
\\\
 
Così fu infatti, anche se in un modo completamente diverso da quello che entrambi ci aspettavamo.
Camminammo in silenzio mano nella mano fino a pochi metri dalla porta, dove la donna che se ne stava seduta senza parlare ad un certo punto si mise ad osservarci mentre avanzavamo, soprattutto lui che continuava a camminare impettito e improvvisamente rigido.
Sentii le sue dita stringersi attorno alle mie, lo sentii tremare appena e lo guardai preoccupata, ma lui non rispose al mio sguardo. Era serio … e nervoso.
Feci un rapido calcolo a mente, da esso risultò che dovevano essere passati appena un paio di anni o qualcosa in più, da quando era letteralmente fuggito dal suo villaggio, lasciando ai suoi genitori solo una rapida lettera in cui spiegava loro che sarebbe partito per inseguire i suoi sogni.
Ed ora … grazie a me, per me, era di nuovo lì, a sostenere lo sguardo di sua madre che lentamente si alzò dalla sedia e lo fissò sconvolta, quasi come se avesse visto un fantasma.
E mio Dio, non hai idea di come mi sentii quando lei mormorò il suo nome incredula, lui sospirò e si sforzò di sorriderle anche un po’ imbarazzato, alzando in aria timidamente una mano ed esordendo, sfoderando il migliore dei suoi sorrisi.
 
-Ciao mamma. Come stai?-
 
“Ciao mamma, come stai?”
Solo noi due sapevamo quanto in realtà avrebbe voluto dire ancora, ed il perché invece non lo fece. Non ebbe il tempo, e neanche la voglia in realtà, perché subito dopo sua madre lo raggiunse e lo strinse forte a sé, avvolgendogli le braccia al collo e affondando per qualche istante il naso nell’incavo del suo collo.
Lui rimase fermo così, trattenendo il fiato e le lacrime ed ascoltandola singhiozzare ripetendo il suo nome.
Per rispetto verso l’intimità di quel momento io volsi lo sguardo da un’atra parte, dietro di loro, e fu allora che lo vidi. Il signor Fair, lo riconobbi perché gli assomigliava in modo indiscutibile.
Li guardava con occhi sgranati ed espressione talmente assente da risultare quasi atona.
Mentre sua moglie continuava ad esternare senza freni la sua angoscia e la sua gioia.
 
-Zack! Tesoro mio, sei vivo! Sei qui!- gli disse, prendendogli il viso tra le lacrime e riempiendolo di baci -Oh, quanto ci hai fatto preoccupare! Lo sai, eh? Lo sai, tesoro?- concluse, fermandosi e guardandolo negli occhi.
 
Tornai a guardarli, loro due non si erano accorti di nulla.
Zack sorrise imbarazzato, ricacciando abilmente in dentro le lacrime, e stava per rispondere quando la voce di suo padre giunse a scuotere entrambi.
 
-Certo che lo sa, Vivian.- esordì, scuro.
 
Lui si voltò sorpreso, e arrossì di nuovo ancora di più.
 
-Lo sa eccome, non è così?-
-O-oh, papà!- bofonchiò a quel punto Zack, grattandosi la nuca col palmo della mano sinistra e abbassando lo sguardo imbarazzato solo per qualche istante, prima di concludere tornando a guardarlo -Io …- fece una pausa, intristendosi -Si … lo so.- ammise, abbassando di nuovo il volto -E … mi dispiace.-
 
Silenzio.
Lo vidi rabbuiarsi all’improvviso sotto il potente sguardo severo di suo padre, mentre la madre li fissava con gli occhi piani di lacrime di felicità e … per qualche breve istante avrei davvero voluto mandare tutto al diavolo, respingerli e abbracciarlo parlando per lui e spiegando loro che non era stato così facile come credevano, né così egoista. Era solo un ragazzo innamorato della vita ma cresciuto all’ombra della morte, che per sfuggirvi aveva deciso di lasciare tutto e inseguire un sogno quasi impossibile.
Ma non ce ne fu bisogno, perché proprio quando stavo per esplodere il Signor Fair si sciolse in un sorriso, e avvicinatosi lo abbracciò forte, battendogli un paio di pacche sulle spalle e invitando la moglie a unirsi in quell’abbraccio famigliare e caldo, avvolgendolo completamente.
Non ne fui sicura, perché le spalle di suo padre lo coprivano quasi completamente, ma … quasi per certo si lasciò sfuggire qualche lacrime, giusto il tempo per ringraziarli con un filo di voce.
Alla fine, quando l’abbraccio si sciolse, il Signor Fair picchiò un amichevole schiaffetto sulla sua nuca e rise divertito e felice.
 
-Ah, il nostro piccolo combinaguai! Tu guarda come gli sta bene la divisa, Vivian!-
 
La donna annui, sorridendo tra le ultime lacrime che ancora le brillavano negli occhi.
Zack sorrise, annuì, ancora vistosamente commosso e imbarazzato.
 
-Visto?- fece, cercando di darsi un tono -Ora sì che è figo tuo figlio, eh papà?-
 
L’uomo rise di nuovo.

-Figo?- chiese stranito, e Zack si morse un labbro guardandomi come se si fosse ricordato solo allora del linguaggio del posto, molto meno giovanile di quello di Midgar -Ma sentilo come parla il nostro giovanotto. Sei un giovanotto, adesso.- si fermò a guardarlo bene, spense un po’ il sorriso e nei suoi occhi apparve di nuovo quel luccichio nostalgico -Davvero, lo sei diventato.-
 
Aveva più o meno quindici anni l’ultima volta che i suoi lo avevano visto.
Ed ora … per causa mia …
Con molta, moltissima probabilità, se non ci fossi stata io, lui non li avrebbe mai più rivisti, e loro alla fine sarebbero invecchiati e morti straziati dal dolore di non averlo mai più rivisto, e non sapere neanche che fine avesse fatto. Non avrebbero neanche potuto piangere sulla sua tomba, mentre invece adesso … stavano piangendo di gioia, riabbracciandolo.
Distolsi di nuovo lo sguardo, gli occhi lucidi e un nodo in gola per l’angoscia e la gioia.
Era bello si, era giusto. Ma … non sarebbe dovuto essere così.
Avevo cambiato il corso della storia, e sebbene fosse ciò che stavo esattamente cercando di fare da che lo avevo incontrato, non ero sicura del come questo avrebbe influito su tutto il resto.
Si, insomma … come nei film di fantascienza, in tutti i libri che amavo scrivere e leggere.
Bastava un niente, e tutto sarebbe cambiato.
E quel niente era appena avvenuto.
 
-E questa bella ragazza, chi è? La tua fidanzata?-
 
La frase che ci riportò alla realtà, e mi restituì al centro dell’attenzione.
Detta ovviamente dalla signora Fair, che subito si avvicinò accogliendomi in un amichevole abbraccio.
 
-Scusaci tanto, piccola. Ci siamo lasciati prendere dall’emozione e ti abbiamo trascurata. -
-Oh, no. Non preoccupatevi.- feci imbarazzata, lasciando che mi prendesse sottobraccio e mi avvicinasse agli altri.
-Ah, già. - riprese Zack, tornando a sorridere -Lei è Valery, mamma. E no, ehm …- aggiunse imbarazzato -Non è la mia fidanzata.-
 
“Non ancora almeno.”
Sono sicura che l’abbia pensato, c’era qualcosa nello sguardo che mi fece dopo.
Sorrisi imbarazzata, abbassando lo sguardo. Maledetta faccia da cucciolo!
 
-Noi siamo …- provai a dire, ma Zack mi prevenne ancora.
-Lei è la mia sorellina, mamma.- spiegò con un sorriso, scoccandole un occhiolino -Quella che tu e papà non mi avete regalato per il mio compleanno, ricordi?- ridacchiò, i suoi genitori fecero lo stesso e mi guardarono curiosi e affettuosi -E’ arrivata a Midgar da un paese lontano, non sapeva dove si trovava e io l’ho soccorsa. In città non è una bella situazione per lei, così l’ho portata qui. Con voi starà bene, ne sono sicuro.-
 
Suo padre sorrise fiero, battendogli una nuova pacca sulla spalla e guardandomi.
 
-Molto romantico e gentile da parte tua.- osservò, scoccando a entrambi un occhiolino.
 
Ci guardammo, Zack sogghignò e io scossi il capo, nascondendo il viso tra le mani.
“Smettila!”
 
-Ho preso da te, papà.- replicò allegro, facendoci sorridere tutti.
-Ahah, poco ma sicuro!-
-Allora starai con noi, cara. Quanto ti fermerai?- chiese amorevole Vivian abbracciandomi.
 
Vacillai.
 
- Ehm … ecco, in realtà io …-
 
Ci stavo bene, ma non potevo restare per sempre. Dovevo vederti, e impedirti di fare sciocchezze.
 
-Tutto il tempo necessario.- rispose Zack -Per ora, tanto. >> concluse, scoccandomi un occhiolino.
-E tu?- replicò suo padre, tornando a guardarlo serio -Immagino dovrai tornare a Midgar, prima o poi.-
 
Zack tornò a scurirsi in volto.
Annuì tristemente.
 
-In effetti si … - disse, sincero -Dovrei tornare domani, ma chiederò al mio mentore qualche altro giorno di vacanza. Non c’è molto da fare adesso, a Midgar. Non sarà contento, ma voglio farlo.-
-Mh.- sorrise il signor Fair guardandomi -Mia cara, non so ancora molto di te, ma ti dobbiamo molto adesso. E faremo in modo che tu stia bene qui, promesso.-
 
E rieccoci.
Perché in quella famiglia erano tutti così gentili con me?
 
\\\
 
Rientrammo in casa, e mentre Zack nella sua camera si toglieva di dosso l’impaccio dell’armatura e suo padre svestiva gli abiti da commerciante, io e Vivian Fair chiacchierammo un po’, preparando la cena.
Lei mi parlò del figlio, raccontandomi qualche aneddoto di vita quotidiana degli anni passati lì con loro e facendomi ridere un pò, io le parlai di come lo avevo conosciuto ma non le dissi di provenire dal futuro, ne feci accenno ad altro di troppo complicato da spiegare.
Risolsi che mi ero ritrovata a Midgar senza sapere come, e che tornare dai miei non era facile ma stavo cercando un modo per farlo.
Mentre raccontavo, non potei fare a meno di notare le analogie con quello che sapevo io, della vera storia di Zack Fair.
 
-Povera piccola.- concluse ad un certo punto lei, rivolgendomi un dolce sorriso intenerito -Deve mancarti molto la tua famiglia.-
 
Quella frase mi colpì.
Tanto.
Ripensai a mia madre, a mia sorella Stephanie, e al modo in cui ci eravamo lasciate.
Come in ogni storia drammatica che si rispetti, avevamo litigato la sera prima con mia madre, per un motivo così stupido che neanche lo ricordavo.
E ora, ovviamente, mi sentivo in colpa.
E poi … se io ero qui, cosa mi era successo nel mio mondo? Dov’ero andata?
C’ero ancora? Ero morta? In coma? Dormivo?
Oppure ero semplicemente sparita, e loro avrebbero potuto tranquillamente pensare che me ne fossi andata, magari perché troppo offesa da quello che c’eravamo detti.
M’immaginavo già i loro pianti disperati e i loro appelli in tv per farmi tornare a casa, quando in realtà io non sarei mai voluta andarmene, ed era dall’inizio di questa strana storia che stavo cercando di tornare.
Ma … era tutto troppo complicato per poterlo spiegare a lei, che non avrebbe capito neanche con tutte le sue buone intenzioni.
E alla fine mi ritrovai a singhiozzare senza neanche capire come ci fossi arrivata, seduta al tavolo già apparecchiato per la cena, pensando a mia madre che da quando mio padre era morto non aveva fatto altro che prendersi cura di noi e spezzarsi la schiena pur di garantirci un futuro.
Non lo meritava, tutto il dolore che di sicuro ora gli avrei inflitto. Non lo meritava per niente.
 
-Oh …- fece la signora Fair, impietosendosi -Oh piccola, su con la vita. Su.- mi disse, avvicinandosi e prendendo confortatrice una mano -Non piangere, vedrai che un modo si troverà per farti tornare da loro.- tentò d’incoraggiarmi.
 
Fosse così semplice.” pensai amara “Non so nemmeno come ci sono arrivata fino a qui.
La guardai, prendendo fiato dalle lacrime per qualche istante, e ripensai a mio padre, ai suoi occhi fieri ogni volta che mi vedeva, e al suo ultimo sorriso prima di addormentarsi per sempre. Non potei non ricordare la sua mano fragile che stringeva la mia, e altre due lacrime bollenti di dolore scesero dai miei occhi fino a schiantarsi sulla stoffa del vestito che indossavo.
La ringraziai con un sorriso, le strinsi di più la mano.
E proprio allora Zack comparve sulle scale, vestito con un semplice pantalone verde bottiglia dalla foggia non poi così dissimile da quello della divisa da SOLDIER e pieno di tasche, e una maglietta azzurrina a mezze maniche.
 
-Ah, mamma!- fece, avvicinandosi a noi con un sorriso e incrociando le braccia sul petto fingendosi contrariato -Sei incorreggibile. L’ho lasciata sola con te appena cinque minuti e me la fai già piangere!-
 
Ridemmo tutti e tre, e la tristezza come al solito corse via, spazzata lontano dalla solita, innata allegria del mio fratellino.
 
-Hai ragione, Zack.- sorrise la donna, accogliendo il suo bacio sulla guancia con tanto di schiocco e poi abbracciandolo.
 
Zack la strinse forte, poi tornò a scoccarmi rapido un occhiolino rassicurante prima che lei potesse vederlo.
Sorrisi e arrossii.
 
-Scusami piccolina.- si schermì di nuovo la donna, appoggiando entrambi le mani sulle mie gambe in una carezza.
 
Scossi la testa rientrando in me.
 
-Non si preoccupi.- replicai gentile, scuotendo il capo e sorridendo serena.
-Oh, dammi del tu cara. Sei così dolce.- concluse lei.
 
Quindi dopo il mio ennesimo grazie e l’arrivo del Signor Fair, ci accomodammo a tavolo, e demmo inizio alla cena.
Era felice di avermi in famiglia, e io ero felice di stare con loro.
Zack … lui le somigliava molto, somigliava molto ad entrambi.
Era la gioia che sprigionavano a renderli fantastici. Potevi avere tutti i problemi del mondo, anche quelli più gravi, ma fino a che avresti potuto specchiarti nei loro occhi pieni di speranza e allegria nonostante tutto avresti sempre trovato il coraggio e la forza di fare la cosa giusta.
E sarebbe stato proprio quel coraggio, unito al tuo amore, ad aiutarmi a ritrovare la strada in quel mio personale, strano, pericoloso e inquietante paese delle meraviglie.
Il sorriso dello stregatto che illumina il cielo di notte e segna sempre la direzione giusta anche quando le nuvole lo offuscano.
 
\\\
 
C’era una piccola collinetta appena fuori il villaggio, a qualche minuto di cammino verso ovest.
Da lì si poteva guardare Gongaga dall’alto, nella sua interezza, e lasciar correre lo sguardo verso l’orizzonte spoglio, mentre il cielo azzurro si mostrava in tutta la sua interezza.
Fu su quella collinetta che Zack mi portò a vedere le stelle quella sera, subito dopo mangiato.
Camminammo lungo il sentiero sterrato che partiva dal villaggio e attraversava la fiorente vegetazione, mano nella mano e lui pronto a proteggermi al minimo pericolo anche se non ne avevo bisogno, quindi raggiungemmo l’orlo del precipizio e ci sdraiammo sull’erba fresca, gli occhi puntanti verso la volta e i sensi accesi dal fragrante profumo della vegetazione che ci circondava.
Era stupendo. Davvero … davvero tanto.
Un cielo così l’avevo visto solo una volta in vita mia, nella casa in cui ero nata e cresciuta e nella quale avevo lasciato il cuore. Mi scaldò il cuore, ma … senza neanche accorgermene presi a pensarti, e una lacrima rigò le mie guance.
Non so se quello che successe dopo fu volutamente dovuto a questo, o solo una piacevolissima coincidenza. Ad ogni modo Zack mi prese la mano, e sbattendo un paio di volte le palpebre per scacciare lacrime e angoscia tornai a guardarlo sorpresa.
Lui sospirò, continuando a guardare il cielo. Era … così serio, e preoccupato.
 
-Ho parlato con Angeal, prima di cena.- mi rivelò -Non è stato molto contento, ma ha detto che parlerà col direttore e vedrà di farmi avere qualche altro giorno di tempo per rientrare, a patto che dopo io mi metta sotto con gli allenamenti.-

Sorrise, tornando a guardare il cielo.

-Come se già non mi massacrasse abbastanza, rompiscatole.- ridacchiò, nostalgico e anche un pò sollevato.

Non riuscii a rispondergli.
Pensavo solo a quanto era stato disposto a rischiare per me pur sapendo che non avrei mai potuto ripagarlo come voleva.
Un bacio.
Un bacio solo, che mi sarebbe costato?
Lo pensai anche allora, lo ammetto. Ma ... non me la sentii. E così rimasi a fissare assorta e preoccupata il cielo, fino a che lui impensierito dal mio silenzio non chiamò il mio nome, stringendo di più la mia mano e riscuotendomi.
Mi voltai a guardarlo, senza preoccuparmi di nascondere gli occhi lucidi. Tanto con lui non sarebbe servito.

-Che c'è?- mi chiese premuroso, sfiorandomi la guancia destra con una carezza e asciugandola -Stai piangendo? Perché?-

Scossi il capo, chiudendo le palpebre.

-Niente ...- mormorai con un filo di voce e un peso enorme sul petto -Niente, davvero Zack. È che ...- presi fiato, tornando a guardare le stelle e sforzandomi di mantenere un minimo di contegno -Hai rischiato così tanto per me! Mi sento in colpa ...- risolsi, tornando a guardarlo e riuscendo finalmente ad aver il controllo sulle mie emozioni, o almeno quello che bastava per poter parlare senza affanni o balbettii -Mi spiace tanto di averti messo in questa situazione, non avresti dovuto farlo, come diceva Angeal.-

Lui mi guardò per qualche attimo negli occhi, una luce innamorata nei suoi. Quindi sorrise, si mise a sedere e mi trasse a sé, abbracciandomi forte e sconvolgendomi.
Ancora, ancora, ancora e ancora.

-Ma insomma sorellina.- mormorò con un mezzo sorriso accarezzandomi dolcemente la nuca -Quante volte devo dirtelo che sono io che ho voluto cacciarmici in questo guaio.-

Sorrisi, e lo abbracciai di rimando più forte, passando le mie braccia sotto le sue spalle.

-Tu sei un pazzo.- bofonchiai, confortata.

Lui ridacchiò, sciogliendomi dalla stretta e sfiorandomi col pollice della destra il mento.

-Oh, puoi dirlo forte! replicò divertito -Conosci qualcun'altro più pazzo di me? Fammelo sapere, voglio stringergli la mano.-

Ridacchiai anche io, battendogli una pacca sulla spalla e scuotendo il capo.
Poi mi feci appena un po’ più seria e tornando a guardarlo negli occhi gli chiesi, supplicante quasi.

-Promettimi almeno ... che non ti farai ammazzare.- sentendo tornare di nuovo quel nodo in gola, ma cercando d'ignorarlo.

Una piccola cosa avrebbe potuto cambiare il futuro.
Magari quella promessa ... avrebbe potuto fare la differenza.
Lui si portò una mano al cuore, raddrizzò la schiena e con sicurezza giurò

-Parola di SOLDIER, sorellina. Qualunque cosa accada, tornerò sempre da te, se dovessi averne bisogno.-

Nel concludere si fece più serio e mi lanciò un intenso sguardo complice e uno di quei suoi sorrisi birbanti che solo lui sapeva trovare, scoccandomi un altro occhiolino.
E allora io seppi che un patto era un patto, e nulla ci avrebbe potuto separare mai più, da allora in poi.

\\\
 
Il giorno della sua partenza, fu quello il giorno in cui mi portò a vedere l'alba per l'ultima volta.
E fu il più bello di tutti, anche per il carico di struggente malinconia che portò con sé.
Erano le cinque del mattino quando la voce di Zack chiamò dolcemente il mio nome, scuotendomi dal torpore del sonno profondo.
Non avevo mai dormito così bene come in quei pochi giorni lì a Gongaga, da quando ero arrivata in questo mondo.
I sensi di colpa e gli attacchi di panico si erano affievoliti ed era rimasto solo quel leggero sassolino a pesare sull’anima, e a farmi un po’ paura.
Gli attacchi di panico erano una costante anche nella mia vita precedente, a volte c’erano e altre no, senza un motivo apparente, ed io li odiavo.
Eppure ora, in quella casa, in quella stanza che un tempo era stata di Zack fino a che non era partito per Midgar, e con lui accanto a proteggermi e volermi bene … stavo iniziando a credere di potermene sbarazzare. Non temevo più nulla, tranne come sempre un prossimo attacco. Perché sapevo che quel leggero sassolino sul cuore sarebbe bastato per farmi ripiombare nel caos, se qualcos’altro sarebbe andato storto.
Ad ogni modo non volli rovinare quegli attimi, decisi d’ignorare il leggero soffio al cuore e aprii gli occhi, sorridendo.
Era il crepuscolo, la luce del mattino ancora era flebile e troppo poca per illuminare bene la stanza, anche se oltre il vetro della finestra, guardando bene verso l’orizzonte s’incominciava a intravedere il contorno dolce e morbido delle colline.
 
-Valery …- ripetè Zack, con un sorriso sporgendosi a guardarmi in viso -Sei sveglia?-
 
Sorrisi di nuovo. Era inginocchiato vicino al mio letto, e nel buio i suoi occhi coloro Mako scintillavano come quelli di un gattino curioso, riportando alla mia mente quelli di Romeo, il gatto che aveva avuto da piccolina in Texas e che piaceva tanto anche a mio padre.
Compagno di mille avventure, alla fine ero stata costretta a lasciarlo ad una vicina di casa.
Come tra poco avrei dovuto fare con lui, perché oggi sarebbe ritornato al suo dovere.
Spostai gli occhi verso l’orologio a muro di fronte a me, ma ovviamente nel buio non riuscì a scorgere l’orario esatto. Tuttavia, mi parve che la lancetta grande fosse proprio esattamente sulla quinta ora della notta.
 
-Sono le cinque del mattino, Zack ...- bofonchiai divertita, stropicciando un po’ gli occhi con le mani e appallottolandomi di più nelle coperte -Sei mattiniero.-
 
Lui ridacchio, bisbigliando.
 
-Lo sono sempre stato.- mi rispose, poi attese che mi alzassi mettendomi a sedere sul bordo del letto, e concluse propositivo, consegnandomi il vestito a fiori e il cappotto blu.
-Forza, vestiti e sbrighiamoci. Oggi è l’ultimo giorno che ho per vederla.- disse riferendosi all’alba, quindi mi lasciò sola nella stanza - Ti aspetto giù.-
 
Sorrisi sforzandomi di non sembrare troppo malinconica o triste. Ma appena richiuse la porta guardai i vestiti sulle mie gambe, poi spostai lo sguardo nel buio tutto intorno, e chiusi gli occhi ascoltai il silenzio, lasciando alle lacrime un po’ di spazio per scorrere assieme ai pensieri e ai ricordi.
Nei pochi giorni ch'eravamo stati assieme lì avevamo dormito abbracciati nella sua stanza, proprio come fratello e sorella, e ogni mattina presto ci eravamo alzati per guardare insieme il sorgere del sole prima di essere pronti ad accogliere tutto ciò che di bello aveva da regalarci quella nuova giornata in arrivo.
Mi piaceva tanto stare lì con lui, tornare dopo tanto tempo a respirare aria di campagna e sentire la natura che, seppur  malata e a tratti testimone di un passato molto più rigoglioso, fioriva e straripava intorno a me, accogliendomi.
Ma quell'oggi, tutto questo stava per finire di nuovo.
O meglio, stava per cambiare, trasformandosi in qualcosa di ancor più meraviglioso al tuo fianco.
Ma tutto cominciava con il ritorno di Zack a Midgar, per vivere tutta quella lunga serie di tragici eventi che presto l'avrebbero sconvolto, facendolo crescere.
Dolorosi ma necessari, amavano dire i grandi.
Personalmente penso che il dolore non è mai necessario, ma non è un concetto che si può spiegare ad un mondo come i nostri, soprattutto se questi non ha la minima intenzione di starti a sentire.
Ad ogni modo, ricordo ancora quel dì come se fosse appena passato, ogni singolo tono di ogni singola parola, ogni singola sfumatura di colore, e ogni ... ogni singolo soffio di quel vento che soffiando appena un po’ più forte e scompigliando i nostri vestiti e i nostri capelli sembrava volerci avvicinare ancora, più di quanto lo eravamo già, abbracciati l'una all'altro e seduti sul bordo del precipizio con le gambe penzoloni ad attendere che il sole schiudesse le sue porte.
Avrei voluto piangere, non so dire ancora, dopo tutto questo tempo, se di gioia o disperazione. Invece me ne stavo lì ad ascoltare il suo cuore, memorizzandone il ritmo deciso e vivace, giocando con la fantasia ad immaginarne la forma come quella di un volatile, un piccolo angelo della terra con forti e grandi ali per volare lontano, sperando che non finisse mai di farlo per il cielo, che quel pensiero non lo sfiorasse mai, perché quel mondo malato e triste aveva bisogno di cuori e visi come il suo, per riposare dalle sue brutture e fatiche. E ne avevo bisogno anche io.
Quando ero piccolina, in quella fattoria in cui ho lasciato il cuore, ogni giorno mio padre veniva a casa prima da lavoro proprio per portarmi su un altopiano simile, si metteva a sedere sul suo orlo e mi prendeva in braccio. Stringendoci osservavamo il cielo, senza parlare.
Proprio come io e Zack, in quel momento.
Grazie a lui, riuscii di nuovo e per la prima volta dopo tanto tempo a sentire mio padre accanto a me, come quando era in vita ed io non ero che una bambina.
Era tornato da me, attraverso l’immagine di Zack.
E fu così dolce il dolore che provai, che lacrime di commozione presero a scivolare lungo il mio viso. Avrei voluto che non finisse mai.
Ma il tempo scorreva impietoso, e l'ora della partenza si affrettava sempre più.
Lasciai correre ancora un poco il mio sguardo sullo scenario, cercando d'imprimere ogni cosa, anche minima, di quel momento come faccio con ciò che non vorrei mai più scordare. 
Il cielo era limpido, pulito e azzurrissimo come non lo era mai stato in quei tre giorni, il sole nascente oltre le colline rilucente come la gemma più preziosa degli Dei, e … quando infine venne l’ora di salutarci e ci alzammo, guardandoci occhi negli occhi e stringendoci vicendevolmente le mani … la sensazione di vicinanza e calore umano che ci pervase era così forte, così … indissolubile, da farci credere che sebbene non fossi mai andati oltre, a furia di ripeterle quelle parole eravamo davvero diventati come un fratello e una sorella, uniti da un legame indissolubile per l’eternità anche se distanti.
Tremavamo, e nessuno dei due aveva voglia di distogliere lo sguardo o arretrare per primo.
Avrei voluto dargli di più di un semplice abbraccio di commiato, ma poi pensai che cedere adesso avrebbe reso tutto più difficile.
Era il momento di separarci, era arrivato alla fine.
Sul treno ne avevamo parlato, io sarei rimasta lì a Gongaga, in attesa di quegli eventi che sarebbero dovuti inevitabilmente accadere e forse stavano già sconvolgendo il mondo che lui conosceva, mentre lui sarebbe stato in prima fila a combattere per il suo sogno, nella speranza di poter tornare da me dopo averlo realizzato.
Ma … proprio per questo continuavo a dirmi di no, che ancora una volta non avrei potuto farlo.
Tra poco sarebbe tornato a Midgar, alla sua vita da SOLDIER. E tra qualche anno … Aerith.
E se mi avesse dimenticato? Se lei gli avrebbe rubato tutto il tempo per tenerlo a sé? Ecco che ritornavano quegli interrogativi e quella maledetta gelosia che mi ero imposta di non provare.
In fin dei conti non potevo scordare che Zack non era mio, non poteva esserlo perché non era il suo destino.
E a dirla tutta io non sarei neanche dovuta essere lì.
Ma allora perché? Perché c’ero invece, e mi toccava vivere tutto questo come se fosse tutto dannatamente reale, anche quell’addio che mi lacerava il cuore?!
Ci scambiammo un rapido sorriso, ma era chiara a entrambi in realtà tutta la tristezza che i nostri occhi nascondevano oltre quello.
Cercai di resistere ancora per qualche istante, ma quando Zack mi sciolse dall’abbraccio e si staccò, lasciandomi anche le mani concludendo con un sorriso dispiaciuto.
 
-Credo sia ora. L’elicottero mi starà già aspettando.-
 
Non ce la feci più, e scoppiando di nuovo a piangere come una bambina lo abbracciai di nuovo, e più forte.
Avevo vent’anni eppure riuscivo ancora a comportarmi come una bambina di cinque, stupida che non sono altro.
Nel mio mondo chi mi voleva male diceva ch’ero infantile e ingenua, mentre chi mi amava mi descriveva come troppo sensibile.
Non sapevo da che parte fosse la ragione e da quale il torto, neanche adesso in realtà lo so, ma in quel momento non m’importava capirlo. Riuscivo solo a pensare che sarei rimasta di nuovo completamente sola e dispersa, e non volevo.
Non volevo che il mio bianconiglio fuggisse via lasciandomi senza bussola in quel paese di matti.
 
-Riportami con te, Zack.- lo supplicai singhiozzante -Ti prego …-
 
E lui, con la dolcezza di sempre, sorrise e mi strinse ancor di più a sé, lasciandomi qualche tenero bacio sulla nuca.
Attese qualche altro secondo, infine mi sfiorò con gli indici delle mani gli zigomi e la linea del mento, incoraggiandomi a guardarlo.
Alzai il viso e vidi i suoi occhi color Mako scintillare di dolcezza e serenità, e mi ricordai di quel mare stupendo che avevo visto venendo qui in elicottero, colpito dei raggi dorati del sole, che lo facevano sembrare magico come quello ove io e i miei ci recavamo in vacanza d’estate.
Ma anche la più bella delle spiagge non era nulla in confronto a quegli occhi così sorridenti, commossi e felici adesso. Gli avevo appena confermato che, in un modo o nell’altro, io lo amavo e non volevo perderlo, e … questo bastava, per lui.
 
-Hey …- mormorò, prendendo il mio viso tra le mani e baciandomi dolcemente la fronte -Qualsiasi cosa succeda, tu resterai sempre la mia sorellina. Lo sai, vero?-
 
Scossi la testa, tirando su col naso.
 
-Tu …- singhiozzai -Ti dimenticherai di me, io … io lo so!- protestai.
 
Zack sorrise, e mi strinse forte contro il suo petto avvolgendomi con le sue forti braccia ancora una volta.
Sentii il mio cuore struggersi in una morsa dolorosa, e quel silenzio ancor di più alimentò i miei timori.
Infine quell’ultimo abbraccio si sciolse di nuovo, e dopo avermi sfiorato con un sorriso la guancia col dorso della mano destra per asciugarmi le lacrime mi prese la stessa mano e mise nel mio palmo il suo telefono. Non quello di SOLDIER, ma quello vecchio stampo che aveva avuto prima di partire per Midgar la prima volta, quando era solo un ragazzo di campagna pronto a gettarsi nella mischia per inseguire un suo sogno impossibile.
Non era molto avanzato, ed era anche un po’ vecchio, tanto che le lettere e i numeri sui tasti di gomma erano quasi totalmente cancellati.
Ma sarebbe servito al suo scopo.
 
-Chiamami ogni volta che vuoi …- mi disse infine, in risposta alla mia espressione stupita -Io farò lo stesso con te.-
 
Quindi sorrise di nuovo, e mi sfiorò il naso come si fa con una bimba piccola spaventata.
 
-Ci sarò Valery. Sta tranquilla.- mi rassicurò -Ricordati la promessa.-
 
Sorrisi tra i pianti, e annuii riportando la mia attenzione sull’oggetto.
 
-Ti voglio bene, Zack.- mormorai infine, richiamando in dentro le ultime lacrime.
 
Lui allargò il suo sorriso, e una lacrime sfuggì anche dai suoi occhi. La prima, da quando ci eravamo conosciuti.
 
-Anche io.- rispose, senza preoccuparsi di nasconderla e continuando a ridere -Da morire.-


 

Valery e Zack

 





NdA: Salve a tutti di nuovo, ora che sono in pausa con "Yes,Sir" ho potuto finalmente tornare a dedicarmi alla revisione di questa storia, in particolar modo di questo capitolo che è stato particolarmente ostico perchè praticamente ho dovuto riscriverlo tutto d'accapo, in quanto la prima stesura era poco più che un abbozzo, e mancava molto di profondità.
Era scritta in maniera superficiale, e poco consona al personaggio e alle situazioni di cui volevo andare a narrare.
L'incontro di Zack coi suoi genitori è una delle fasi più commoventi, perchè nella vera storia non è mai avvenuto purtroppo, mentre in questa storia grazie a Valery il nostro piccolo grande eroe ha trovato il coraggio e la forza di tornare.
Volevo approfondire i suoi sentimenti, dare spessore ai loro e soprattutto raccontare Gongaga dal punto di vista di Valery, i suoi sentimenti nell'allontanarsi da Midgar e Gen e il suo sempre maggiore conflitto nello scegliere tra il suo fratellino e l'amore di una vita, ovvero il rosso.
Era mia intenzione farlo anche nella prima stesura, ma evidentemente non avevo gli strumenti adatti all'epoca, così ho dovuto lavorarci parecchio e oggi finalmente (anche grazie al lavoro svolto su "Yes,Sir!", devo dirlo) sono riuscita a dare a questo capitolo la luce che merita.
L'unica cosa di cui ho un pò paura è che in questi primi capitoli Valery risulti ora come una Mary Sue, seppur solo a volte. Lei non è così, affatto, è fragile, insicura e lotta contro sè stessa per sopravvivere, trovando in Gen la forza di combattere.
Spero si sia capito, e se così non è stato farò in modo di raddrizzare il tiro nei prossimi capitoli che la riguarderanno.
Infine, l'immagine che chiude il capitolo: Lo so che in questo punto della storia Zack non ha ancora quell'aspetto, ma visto che ho revisionato praticamente tutto quanto, ho voluto lasciarla perchè mi sembrava ancora attinente al capitolo, e comunque per rispettare la bambina che ero e che ha ideato e scritto per la prima volta tanto tempo fa questa storia.
Diciamo che ho un pò peccato di sentimentalismo, non me ne vorrete fare una colpa, no? ;) ^^
Questo è tutto dunque, spero vi sia piaciuto questo capitolo e come al solito attendo commenti.
A presto con ben due capitoli dedicati tutti al mio Gen, che nel frattempo sta per diventare il cattivo più braccato di Crisis Core <3
Bye :* ;D

 
   
 
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