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Autore: Sacapuntas    05/07/2017    0 recensioni
Sin dal giorno in cui il suo sangue si è mescolato agli scoppiettanti carboni ardenti, Eric Coulter ha la reputazione di essere il ragazzo più spietato, rude, indifferente e gelido della suo nuova Fazione. La sua fama lo precede, ma la cosa non sembra disturbarlo minimamente, e si gode i suoi vantaggi da Capofazione in completa solitudine. Ma a volte basta solo una parola di troppo, un profumo particolare e due grandi occhi ambrati per stravolgere e riprogrammare la mente di qualcuno.
Sentitevi liberi di aprire, leggere e, se la storia vi appassiona, lasciare una recensione, mi renderebbe davvero felice!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15 - Che vi piaccia o no



Stamattina mi sono svegliato con un solo pensiero: Jonathan Royston.
Ho curiosato un po' nel computer di Quattro, quando lui non era nel suo ufficio. Certo, avrei potuto utilizzare quello di Max, ma difficilmente il Capofazione si muove dal suo studio, ed inoltre documenti come questi passano prima dal Rigido, che poi dovrà controllarli, aggiornarli e in seguito consegnarli al suo capo.
E poi, la sensazione di superiorità che ho provato nell'invadere la privacy di Eaton è stata alqualnto appagante.

Il concetto di password di Quattro è molto astratto. Ne ha almeno sette. E tutte e sette sono "Abneganti".
Volevo vedere se Jonathan avesse qualche dato compromettente con cui avrei potuto incriminarlo. Volevo accusarlo di qualcosa, qualsiasi cosa, per poi mandarlo in prigione o per strada insieme agli altri Esclusi -e quindi aiutare Elizabeth a scalare la classifica e toglierle un problema dalla testa-, ma qualcos'altro ha catturato la mia attenzione.
Il fatto che la Simulazione di Jonathan fosse la migliore (classificata, appunto, al primo posto) era un fatto noto ormai a tutti. Il ragazzo ha impiegato sette minuti e ventinove secondi per finire la prova e ritornare alla realtà, ma non è questa la cosa straordinaria.

Una delle paure di Jonathan è quella di essere schernito in pubblico, e quindi umiliato. La prima cosa che ho pensato, quando controllavo i dettagli della sua Simulazione, è stata che deve sentirsi davvero terrrorizzato quando Elizabeth è nei dintorni, dal momento che la Candida non fa altro che lanciargli frecciatine e prendersi gioco di lui ogni volta che ne ha l'occasione.
Poi, però, ho smesso di ridere e fantasticare su Elizabeth quando ho notato, accuratamente nascosto in mezzo ad una miriade di cartelle e documenti, un file rinominato con la parola "Anomalia" che, in quel momento, mi è saltata agli occhi come la luce di una torcia in una stanza buia.

Anomalia, mormoravo pensoso, mentre aprivo la cartella e aspettavo che il file si caricasse. Le informazione contenute in quel file hanno acceso in me un'inimmaginabile gioia e, allo stesso tempo, vergogna e disprezzo per me stesso, che stavo per ripetere l'errore che mi ha torturato ogni giorno -e soprattutto ogni notte- per più di un anno.
Il documento citava le seguenti parole:

"Nome: Jonathan Royston
Età: 16
Fazione di nascita: Intrepidi
Fazione attuale: Intrepidi
Problematica: Anomalia riscontrata durante la Prima Simulazione

Descrizione della problematica: La quinta paura dello Scenario di Jonathan Royston comprendeva una numerosa folla di giovani ragazze e ragazzi, intenti a prendersi gioco del soggetto e deriderlo, beffeggiandolo con insulti e battute. Il soggetto era visibilmente turbato e infastidito da tali atteggiamenti. L'anomalia si è riscontrata nel momento in cui Jonathan Royston ha fatto sì che
una pistola (arma simile a quelle utilizzate durante gli allenamenti) comparisse dal nulla  su un tavolo, anche questo oggetto partorito dalla sua stessa mente, e non ostacolo prefissato della Simulazione.
Non è il primo episodio individuato della Simulazione: nel corso dello Scenario, altri casi come questi si sono ripetuti.
Il soggetto richiede ulteriori studi.
"

Ho stampato il documento, e l'ho conservato sotto il materasso del letto del mio appartamento.
Non sono sicuro di volerlo fare, accusare Jonathan di essere un Divergente davanti a Max, il Capofazione che potrebbe sbatterlo fuori dalla Residenza senza nemmeno dargli la possibilità di salutare i suoi genitori. Accusarlo potrebbe essere la soluzione a molti problemi: Elizabeth avrebbe meno rogne con cui convivere, la sua ansia diminuirebbe, diventerebbe più aperta nei confronti degli altri, ora che non devono stare incollati a Jonathan come cani fedeli e adulare ogni sua impresa.
Quando ci penso meglio, mi rendo conto che tutti i problemi che si risolverebbero andrebbero solo a beneficio di Elizabeth. E quando mi rendo conto che sto per rovinare la vita ad un ragazzo per migliorare quella di un'iniziata, è troppo tardi.

In un battito di ciglia, il volto bruno di Amar mi si para davanti. I lunghi capelli neri raggruppati in dreadlock sporchi di sangue e sparpagliati a ventaglio intorno alla testa, gli occhi scuri socchiusi, come se stesse dormendo, e la bocca serrata in un'espressione dura. È questo l'ultimo ricordo che ho di Amar Frampton, il giovane uomo che mi ha aiutato a sopravvivere alle Simulazioni.
Se lo meritava davvero? Essere accusato di cospirare contro i suoi superiori? Essere accusato di essere Divergente?

La risposta già la so. Ed è questo che mi tormenta tutti i giorni.
Quando non hai la risposta ad una domanda, ti viene facile cercare il ragionamento più logico per trovarla, magari scervellarti un po' perchè muori dalla curiosità di volerla scovare. Ma, nel mio caso, non c'è bisogno di nessun ragionamento. Nel mio caso so che la risposta non mi piace per niente, e allora la ignoro.
Ignoro tutto quello che è successo. Tutto quello che ho fatto.
Però non lo dimentico. Non potrei mai.
Sono pensieri del genere, la coscienza di aver compiuto gesti tanto ignobili e rivoltanti, che mi convincono del fatto che non potrò mai cambiare ed essere una persona normale, un ragazzo di cui poterti fidare, con cui poterti sfogare, con cui anche semplicemente parlare.

Intorno a me la confusione della mensa aumenta, e le voci e le urla degli Intrepidi si accavallano le une sulle altre, tant'è che pensare diventa quasi difficile. Quasi.
Al mio tavolo, Samuel Remak e Alice Bythe -nel curiosare nel computer di Quattro mi sono preso la briga di imparare i cognomi dei miei iniziati- stanno discutendo animatamente su alcuni compagni che si trovano sotto la linea rossa nella tabella del secondo modulo. Richard Knowlton interviene poche volte, fissando i due ragazzi con i suoi occhi verdi dalla forma spiovente.
Anche Elizabeth interviene, più spesso rispetto all'Erudito, esprimendo le sue opinioni -stranamente positive- su un certo Aaron Soberman, un interno che fino ad oggi si è rivelato un individuo tranquillo e curiosamente piacevole. Inoltre, si è classificato terzo durante il primo modulo. Ho sempre avuto una certa simpatia per i più forti.
Tranne Jonathan, ovviamente.

I gomiti mi fanno male: li ho tenuti appoggiati sul duro legno del tavolo per parecchi minuti, le mani intrecciate davanti a me, le labbra che appena sfiorano le mie dita segnate da piccoli tagli e cicatrici. Non ho detto una sola parola, da quando mi sono seduto, Quattro deve averlo notato.
Tengo gli occhi chiusi, perchè tutti questi pensieri mi fanno girare la testa, e un singolare bruciore mi sta tormentando la gola, diffondendosi per poi provocandomi un doloroso pizzicore al naso.
Penso che sia la voglia di piangere. Per la prima volta dopo anni.
Ma anche solo l'idea di un tipo come me che piange mi fa ridere. Sarebbe ridicolo. E da deboli, soprattutto.
Però Elizabeth piange spesso.
Ed Elizabeth è tutto tranne che debole.

Sento il tocco caldo e delicato della Candida, seduta accanto a me a distanza di sicurezza, sfiorare il mio ginocchio da sotto il tavolo. Apro gli occhi pigramente, voltandomi quasi impercettibilmente verso di lei, cercando di farmi scudo con le mani ancora intrecciate davanti al mio viso. Gli altri sembrano troppo impegnati nella loro conversazione per badare a noi, ma la sicurezza non è mai troppa.
Elizabeth aggrotta le sopracciglia in una tacita domanda, come se chiedesse: "Cosa c'è che non va?".

Sospiro, sapendo che non posso mentirle riguardo al mio umore. A lei importa davvero.
Ritira la mano dalla mia gamba per portarsela sotto il mento, e fissa i suoi occhi mozzafiato sui miei, affamata di risposte e spiegazioni. È così bella che quasi mi fa dimenticare di essere in mensa, circondato da persone che potrebbero vedere questo nostro intenso scambio di sguardi in qualsiasi istante.
Purtroppo, però, non potrei mai dimenticarmelo.

"Sono stanco." bisbiglio distrattamente, sotto i suoi occhi sempre più esigenti, sfiorando con lo sguardo l'intera sala e particolar modo i ragazzi seduti al nostro tavolo. Ma Elizabeth sa che la mia non è una stanchezza fisiologica. Sa che non ho bisogno di riposare o dormire. Elizabeth sa che sono semplicemente stanco di fingere. Fingere di non sopportare la sua presenza quando vorrei soltanto prenderla fra le mie braccia, umiliarla ed odiarla quando invece non posso stare senza di lei.
La Candida annuisce e posa lo sguardo sul suo piatto vuoto. Lo rialza in fretta, aprendo i suoi enormi occhi dopo aver preso un profondo respiro.
"Ho bisogno della vostra attenzione." dice, e la sua voce si confonderebbe a quelle degli iniziati del tavolo, se non fosse che lei è Elizabeth e le sue parole ammutoliscono sempre tutti, cessando qualsiasi conversazione. "Tutti quanti."

I tre iniziati alzano lo sguardo sulla ragazza, abbandonando la loro discussione e guardandola con un'espressione di pura perplessità dipinta in viso. Anche Quattro, seduto alla destra della Candida, si volta verso di lei con un sopracciglio alzato e la bocca serrata , distogliendo l'attenzione dal cibo nel suo piatto.
Appoggio gli avambracci sul bordo del tavolo, e fisso gli occhi sul bicchiere davanti a me.
Tutti aspettano che la ragazza parli. Elizabeth esita soltanto un momento, poi la determinazione ricompare nella sua espressione, ora quasi austera.

"Io ed Eric stiamo insieme." dice, con voce sicura e profonda, scandendo ogni parola in modo che sia chiaro a tutti quelli seduti al nostro tavolo. Elizabeth prende una forchetta e ci giocherella nervosamente con fare disinvolto. Per qualche motivo, il suo sguardo si fa più tagliente quando si posa su Samuel. La ragazza lo indica con un piccolo movimento della posata. "Che vi piaccia o no."

Stringo gli occhi e la bocca per un attimo, come se fossi attraversato da uno spasmo di dolore. Poi mi rilasso. Sono bastate poche parole per farmi provare l'emozione più intensa della mia vita, più intensa di quando Elizabeth mi ha baciato sotto la quercia, più intensa di quando l'ho vista spogliarsi davanti a me.
Tutto ciò che abbiamo tentato di tenere nascosto per giorni e giorni, tutti i nostri sforzi e i nostri sacrifici... Tutto svanito nel giro di pochi secondi.

In mensa il frastuono è tale che mi è quasi difficile sentire quello che la Candida dice. Ma, al nostro tavolo, il silenzio è devastante, teso come una corda di violino.
Samuel contrae la bocca, ostentando rabbia e -probabilmente- delusione. Il mondo del Candido si sta sgretolando proprio davanti a lui, ed io mi sorprendo a non trarre piacere dai suoi occhi appena lucidi e dai suoi pugni stretti sul bicchiere che si sta leggermente deformando sotto la forza delle sue dita.
Alice non ha un'espressione diversa, solo che la sua tende più al "Penso di poter svenire da un momento all'altro" che alla minaccia di un'imminente esplosione di rabbia. Richard è forse quello meno terrorizzato: ha gli occhi spioventi spalancati e la bocca socchiusa, chiaramente sorpreso, ma non riesco a trovare traccia di sgomento o preoccupazione per l'amica nel suo volto dalla pelle olivastra.

L'espressione di Quattro, seduto accanto alla Candida, è esilarante, nonostante la l'atmosfera tesa e carica di elettricità. Ha un sopracciglio alzato, l'altro aggrottato, gli occhi chiusi a fessura come se stesse cercando di capire se Elizabeth stia scherzando o meno, e le labbra schiuse. Sul suo viso, più che rabbia, leggo incredulità. Pura incredulità.

Elizabeth sta torturando il tavolo con la forchetta, segnando tanti piccoli fori sulla superfice lignea. La ragazza non sembra essere a disagio neanche un sesto di quanto lo sono i suoi commensali, al contrario, il suo bellissimo volto è indifferente alla situazione, come se non avesse rivelato ciò che tenevamo segreto da settimane, ma avesse informato i suoi compagni di un fatto da nulla.

I capelli le ricadono sul viso, e lei li scosta mentre alza lo sguardo su di me. Ci guardiamo per pochi istanti, sotto gli sguardi increduli, spaventati, furiosi degli iniziati e di Quattro, poi lei sorride e i suoi occhi si assottigliano e brillano di una luce mai vista prima nel momento in cui un ampio sorriso le si forma sulle labbra.
Non riesco a non ricambiare con un sorriso appena abbozzato.

"Cosa vuol dire che state insieme?" chiede Alice con un filo di voce, chinandosi in avanti per farsi sentire meglio.
"Nell'unico senso possibile. Stiamo insieme. Lui è il mio fidanzato, io sono la sua fidanzata." Elizabeth apre leggermente i palmi delle mani, come ad affermare un'ovvietà. Non riesco a togliermi lo sguardo inceneritore di Samuel di dosso. "Non c'è nulla da capire."
"Ma voi due vi odiate!" esclama Richard, quasi ridendo.
"Era tutta scena." rispondo con voce roca senza pensarci, tracciando con il polpastrello una linea invisibile sul bordo del mio bicchiere.
"E i continui rimproveri?"
"Scena."
"E la punizione dell'altro giorno? Quando l'hai trascinata fuori dalla mensa?" mi chiede Alice sull'orlo della disperazione.
"Scena." faccio spallucce, evitando di incontrare gli occhi ambrati della Pacifica.

Segue un lungo silenzio. Gli sguardi degli iniziati guizzano da me ad Elizabeth, che ora ha le braccia conserte sul tavolo e studia la reazione di tutti. Alla fine ride debolmente, e la sua voce cristallina si confonde con il chiasso della mensa.
Appoggia la mano sulla mia, con la quale stavo tormentando i rebbi di una forchetta, ed al suo tocco mi irrigidisco.
Non sono ancora abituato ai contatti fisici in pubblico, e lei lo sa, per questo mi accarezza le nocche della mano destra con il pollice, tracciando piccoli cerchi dai quali si irradia un'invisibile scia di calore.

Ora tutti gli occhi sono fissi sulle nostre mani, una sopra l'altra. Persino Quattro, che ancora non ha cambiato espressione, si sporge oltre Elizabeth per osservare quel che a me sembrava essere un gesto impensabile fino a ieri.
Elizabeth mi guarda, i suoi occhi sono pieni di affetto e, non vorrei sbagliarmi, sembra quasi fiera di me.

Sento un grugnito furioso e, quando mi volto, Samuel si è già alzato e ora si sta dirigendo fuori dalla mensa a grandi falcate, ondeggiando le spalle per schivare coloro che si mettono sulla sua strada. Inconsciamente, cerco di ritirare la mano da sotto quella di Elizabeth, ma lei, al contrario, la stringe, come se mi stesse pregando di restare.
La ragazza sospira, tutti gli sguardi sono puntati sul suo piccolo visino freddo e deluso dalla reazione di Samuel. Si volta alla sua destra, verso Quattro, e alza lo sguardo per incontrare i suoi occhi blu notte.

"E tu?"  la voce ferma non vacilla sotto il peso delle sue stesse parole. "Non dici nulla?"
"Cosa vuoi che dica?"
"Non vuoi esprimere un tuo giudizio, come hanno fatto loro?" la Candida indica con un debole gesto della mano Alice e Richard. Poi indica il posto vuoto dove poco prima era seduto il Candido. "O lui?"
"Elizabeth..." comincia, strizzando gli occhi come se stesse facendo uno sforzo enorme a parlare. Segue Samuel con lo sguardo, prima di tornare a fissare la ragazza. "Senti, a me non importa. Non devi cercare il consenso degli altri, nè tantomeno il mio. Per me puoi stare con chi ti pare e piace." i nostri sguardi si incontrano da sopra la spalla di Elizabeth. "Anche se si tratta di uno come Eric."

"Be', è incoraggiante." mormoro senza troppa convinzione, non rivolgendomi a nessuno in particolare.
"Ma secondo me dovresti andare a parlargli." conclude, indicando con un cenno del capo il Candido dal cuore spezzato che si confonde con la folla in movimento.
"Per dirgli cosa?"
"Qualsiasi cosa."

Elizabeth ride debolmente, mentre prende un sorso dal suo bicchiere.
"Non dovreste darmi carta bianca."
"Elizabeth!"
"E va bene!" esclama esasperata, roteando gli occhi al cielo.

Quando Elizabeth si alza e sparisce a sua volta fra la folla di Intrepidi vestiti tutti allo stesso modo, io non oso proferire parola. Dopotutto, non c'è nient'altro da dire. Se non che mi sento quasi in colpa: Samuel era uno dei pochi amici di Elizabeth, e a causa della nostra relazione ho rovinato tutto. Senza contare, poi, che Alice non sembra essere entusiasta della notizia.
"Dovresti andare anche tu." mi dice all'improvviso Quattro, la sua voce è così bassa che faccio fatica a sentirla.
"Non penso che ad Elizabeth farebbe piacere."
"E da quando ti preoccupi di cosa fa piacere a lei?" chiede ridendo, anche se dubito che la cosa lo diverta davvero. Mi volto e lo fulmino con lo sguardo.
"Da quanto stiamo insieme, non pensi?" la risposta sembra ammutolirlo per qualche istante. Anch'io rimango in silenzio, ignorando lo sguardo di Alice che è ancora fisso su di me. "Però forse hai ragione." dico velocemente mentre mi alzo, abbandonando il mio tavolo per attraversare la mensa che brulica di Intrepidi.

Ci metto un po' a capire dove si siano cacciati i due Candidi. Poi, però, dopo qualche minuto di camminata nei freschi tunnel della Residenza, una voce alta, ora distorta da un preoccupante tono furioso, si propaga e rieccheggia fra le fredde pareti della Fazione, ed il mio primo pensiero va subito ad Elizabeth.
Non voglio che affronti Samuel da sola: non lo conosco, e non ho idea di come potrebbe reagire.

Mi affretto a seguire la fonte della voce, stando attento a correre poggiando il peso sui talloni in modo da fare meno rumore. Quando finalmente capisco da dove proviene quello sbraitare senza sosta, mi trovo davanti al dormitorio degli iniziati. Appoggio le mani sulla gelida parete e mi sporgo leggermente per sbirciare all'interno.
Il dormitorio è un'enorme stanza dai muri tinti di grigio scuro, dove ricorrono più e più volte i simboli della Fazione. Una ventina di letti corrono sulle pareti, alcuni sono rifatti, altri sono disordinati e le lenzuola penzolano dal bordo.
Alla fine li vedo, al centro dell'ampio corridoio che separa le due file di letti, non troppo vicini per vedermi, ma non così lontani da impedirmi di origliare.

"Pensavo fossi migliore di così, Elizabeth!" sta urlando Samuel, la voce roca che si spezza quando pronuncia il suo nome. Non ci metterei le mani sul fuoco, ma sembra sul punto di scoppiare a piangere. Grida così forte che le sue parole mi arrivano chiare e concise, e vorrei non lo facessero, perchè una rabbia incontrollabile sta correndo nelle mie vene.
"Così come?" grida di rimando la ragazza, la schiena poggiata su una delle colonne che separa la sezione dei letti da quella delle docce.
"Mi stai prendendo in giro?!" il Candido spalanca le lunghe braccia, in un chiaro gesto esasperato. "Da quanto tempo è che va avanti questa storia?" 
Elizabeth esita prima di rispondere, e quando lo fa la sua voce si abbassa di parecchio.
"Settimane." incrocia le braccia sul petto, e sul suo volto compare un gelido sguardo di sfida.

Le spalle di Samuel cedono, assumendo una forma spiovente mentre abbandona le braccia lungo i fianchi, esausto. Schiude la bocca  e per un attimo si volta da un'altra parte, come se stesse cercando qualcun altro nella stanza, come se ci fosse qualcuno che possa fornirgli una spiegazione.
"Settimane..." ripete il Candido, a voce così bassa che per un momento penso che non abbia aperto bocca.
"Mi puoi dire qual è il problema? So che Eric non ti è mai piaciuto, ma-"

"No, Elizabeth!" la voce di Samuel si alza improvvisamente e la ragazza sussulta. Vorrei intromettermi e separarli, minacciando Samuel e dirgli di non provare mai più a spaventare la mia ragazza in questo modo. Invece non lo faccio, ed osservo il giovane Intrepido che fissa Elizabeth con gli occhi che brillano per le lacrime sotto la forte luce del dormitorio. "A me non piace la matematica, a me non piace lanciare coltelli, a me non piace il cibo della mensa. Ma Eric? Eric lo odio. C'è una gran differenza fra il non farsi piacere qualcuno ed odiarlo!"

Elizabeth tace. La sua piccola figura non arriva neanche alle spalle di Samuel, ma in questo momento mi sembra comunque più forte di lui. Una delle sue amicizie più forti si sta disfacendo per colpa dei miei sentimenti nei suoi confronti, eppure lei sembra avere tutto sotto controllo. Dovrei sentirmi in colpa, ora, ma di certo non lascerei che Elizabeth venga corteggiata da un individuo così senza personalità come Samuel Remak.

"Eric mi rende felice." è l'unica cosa che dice, e la sua affermazione mi colpisce per la seconda volta nell'arco di una giornata. La prima è stata quando ha rivelato che io ero la sua famiglia di fronte a sua sorella, e ricordo che in quel momento mi sono sentito invincibile, immortale, completo. "Forse non ne sono innamorata, forse non lo è neanche lui. Ma per come stanno le cose adesso, voglio restare con lui, e non capisco come tu possa..."
"«Non capisco» di qua, «Non capisco» di là!" sbraita, interrompendola bruscamente. "Capisci cose impossibili, eppure non capisci che io ti amo da quando eravamo piccoli, Elizabeth!"

L'espressione della ragazza muta di colpo. Il suo viso perde colore e lei spalanca gli occhi, la sua maschera di indifferenza si frantuma lasciando spazio alla reazione più spontanea che abbia mai visto sul suo volto angelico. Elizabeth è sconvolta, ma lei cerca di nasconderlo, o almeno di contenere la sua sopresa.
Si passa una mano fra i lunghi capelli, e quando le ricadono sulle spalle il suo sguardo si addolcisce appena.
Dev'essere dura, ora, per Samuel, avere davanti Elizabeth bella come non mai, e sapere che i suoi splendidi occhi cercano quelli di un'altra persona, e mai i suoi. Che le sue dita già si intrecciano con quelle di un ragazzo, e che il fortunato non è lui. Che le sue labbra hanno assaporato quelle di un altro, e che mai sfioreranno le sue.
La Candida fissa il pavimento.

"Ed è ovvio che tu non provi la stessa cosa." Samuel dà il colpo di grazia, la voce distorta dallo struggente sentimento che è finalmente riuscito a condividere con la sua amata, e la bocca della ragazza si storce in una smorfia di dolore. Quando lei rialza lo sguardo, l'angolo della sua bocca accenna appena un movimento verso l'alto, ed io riconosco il particolare sorriso triste di Elizabeth che di solito è accompagnato da qualche lacrima.

"Tu non mi ami Samuel. Lo pensi e basta. Tu non potresti mai amarmi." Elizabeth fa distrattamente un passo indietro, sfiorando con lo sguardo il dormitorio per poi fissarlo di nuovo sul Candido. "Nessuno potrebbe, forse neanche Eric."
"Ma io ti conosco da quando sei nata! Sono stato io quello che ti è stato accanto per sedici anni! Io quello che ti separava dalle risse! Io quello che ti copriva raccontando balle a tua madre quando tu sgattaiolavi fuori casa la notte per andare in giro per la città! Io dovrei essere accanto a te, io dovrei essere il tuo ragazzo! Non un individuo tutto muscoli e minacce che in poche settimane mi soffia il posto!"

Elizabeth sembra non respirare. Ora sul suo viso sembra essere ricomparsa la sua solita espressione severa e il suo sguardo pericolosamente tagliente. Contrae la bocca, come se nelle sue ossa si fosse insidiata una furia incontrollabile che minaccia si liberarsi e travolgere il povero Candido.

"Quel posto non è mai appartenuto a te." sibila in preda al disgusto "Non è mai appartenuto a nessuno. Il fatto che tu abbia dato per scontato che dopo tanti anni di amicizia sarei caduta ai tuoi piedi, la dice lunga su quanto tu mi conosca. Dici di amarmi, dici di conoscermi. Ed io ti assicuro, Samuel, che tu non hai mai fatto nè una cosa nè l'altra."
Le sue parole colpiscono Samuel come una pugnalata al cuore: la sua espressione muta da una alterata ad una di totale sconforto, come se avesse corso una lunga e faticosa maratona e alla fine qualcuno gli avesse detto che non è riuscito a conseguire la sua tanto bramata vittoria.
Poi, però, le sue guance si infiammano di colpo, e in pochi istanti il suo viso si accende di rabbia, come un incendio che parte da una manciata di foglie secche e cresce tanto da bruciare un bosco intero.

"Non ti voglio mai più vedere." ringhia il Candido, la sua voce rotta dal pianto imminente mi fa uno strano effetto. "Neanche se fossi l'ultima Intrepida della Residenza. Stammi lontana. Non voglio vederti mai più."
"Sarà complicato, dato che sediamo allo stesso tavolo ogni giorno."
"Mi sono stancato del tuo sarcasmo, Elizabeth!" grida, a voce così alta che ho paura che qualcun altro oltre a me possa accorrere alle sue urla. Non ho mai sentito nessuno gridare in maniera così disperata, ed il fatto che la prima volta si sia verificata con Samuel mi confonde. Dopotutto, non avrei mai potuto immaginare che avesse così tanta aria nei polmoni: Samuel, il ragazzo che in mensa non parla mai.

Sento passi provenienti dall'interno del dormitorio che si avvicinano all'ingresso, quindi mi affretto a nascondermi dietro l'angolo più vicino, che mi permette comunque una vista e un udito relativamente ottimali. I passi sono così pesanti che li collego subito al Candido.
Quando, improvvisamente, si fermano, mi sporgo e la mia testa fa capolino da dietro il muro. Samuel è in piedi vicino alla porta dove poco prima stavo origliando, lo sguardo rivolto verso l'interno della grande sala degli iniziati.
"Sai, a volte penso che non avrei mai voluto incontrarti." dice, rivolgendosi ad Elizabeth. "Forse ho sbagliato a diventare tuo amico."
Detto questo, il ragazzo sparisce nei tenebrosi tunnel della Residenza e la sua sagoma si confonde con le ombre che le debole luci azzurrine proiettano sui muri.

Aspetto qualche secondo, poi mi dirigo a passo cauto e lento verso il dormitorio. Appoggio distrattamente una mano sullo stipite di pietra della grande porta a due battenti.
Faccio appena in tempo a vedere Elizabeth che si accascia esausta sul letto più vicino, sedendosi sul bordo e prendendosi la testa fra le mani.
Sono indeciso se parlarle o no, ma alla fine le mie gambe si muovono da sole, portandomi proprio di fronte a lei.

La Candida non sembra aver sentito i miei passi, e quindi, quando si accorge della mia presenza, sussulta e tira su col naso, sorridendo debolmente.
"Ehi..." mormora, senza che quel sorriso abbandoni le sue labbra, prendendomi la mano.
Mi abbasso, inginocchiandomi di fronte a lei in modo che i suoi occhi lucidi e arrossati siano alla mia stessa altezza.
"Hai sentito tutto, vero?" si sposta i capelli da un lato e li raccoglie in una treccia fatta da dita sottili e tremanti.

"Mh-hm." rispondo affermativamente, infilandomi fra le sue gambe e cingendole i fianchi con le mani. "E sono fiero di come hai affrontato la situazione."
"Gli ho spezzato il cuore. Era il mio migliore amico." dice lei a voce bassa, giocando con il bordo della mia giacca.
"Non sarebbe stata un'amicizia duratura, prima o poi sarebbe scoppiato. Forse è successo in un contesto spiacevole ma... È successo, ormai."
"Forse hai ragione..." mi tira a sè, ed io appoggio la testa sul suo petto mentre lei mi accarezza i capelli.

Restiamo così per un po', finchè una voce roca non arriva alle nostre orecchie. Alzo la testa di scatto allarmato e mi stacco immediatamente dall'abbraccio, colto in un gesto tanto intimo con Elizabeth, e mi volto verso la porta. La Pacifica corpacciuta è sulla soglia dell'ingresso del dormitorio, con un'espressione che oscilla dal terrore alla confusione. 
"Ho interrotto qualcosa? Ho sentito un bel po' di rumore..." chiede avvicinandosi a noi, buttando la giacca su un letto.
"C'è stata una discussione, ma ora va tutto bene." dice Elizabeth prima di alzarsi e andare incontro all'amica. Entrambe si fermano a pochi passi da me.

Mi siedo sul letto, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e tenendo la testa bassa come se fossi colpevole di quel gesto così affettuoso e spontaneo.
"Vorrei parlarti un minuto." non riesco a vedere Alice, perchè sono troppo impegnato a fissare il pavimento, però posso sentire il suo sguardo sulla mia nuca. "Da sole."
"Non c'è bisogno che Eric..."
"No, ha ragione." interrompo Elizabeth e alzo gli occhi verso la Pacifica, che ora mi guarda sbalordita, sorpresa dal mio intervento. "Avete bisogno di parlare fra voi due, ammesso che ci sia niente da dire."

Mi alzo e passo di fronte ad Elizabeth senza voltarmi per guardarla. Quando ormai penso di essere sfuggito alla tensione di quell'atmosfera, la mia ragazza mi afferra per un polso e mi guarda con espressione preoccupata, in una silenziosa richiesta di rimanere.
"Va tutto bene." le sussurro, sperando che Alice non mi senta.
Elizabeth mi guarda, sotto questa luce nei suoi occhi esplodoro innumerevoli striature di rosso, dorato e castano, incastonati come due pietre preziosissime e tristi su un viso pallido e magro.
"Ci vediamo dopo?" chiede a mezza voce, tanto bassa che capisco cosa ha detto solo dal movimento delle sue labbra.
"Ci vediamo dopo." le confermo.

Lancio uno sguardo ad Alice, che sta fissando la scena mentre si morde l'unghia del pollice, le braccia incrociate sul petto e visibilmente nervosa. Quando i nostri occhi si incontrano, uno spasmo mi fa chiudere la mascella di colpo, rendendo i miei lineamenti più spigolosi.
Elizabeth mi guarda, poi guarda l'amica, e lì il suo sguardo rimane finchè la Pacifica non balbetta una risposta.
"Se volete... Baciarvi, fatelo ora." borbotta velocemente, mentre si gira per darci le spalle.

Elizabeth si alza sulla punta dei piedi, e si tiene saldamente alle mie braccia mentre mi stampa un lungo e tenero bacio. Quando Alice si volta, Elizabeth non ha ancora staccato le sue labbra dalle mie.
La ragazza ha un sussulto, e si porta una mano al petto, all'altezza del cuore, come se potesse avere un infarto da un momento all'altro. La sua reazione è stranamente esilarante, ed io non riesco a nascondere un sorriso divertito, mentre la Candida soffoca una risata contro il mio petto. Le accarezzo i capelli con una mano, senza staccare gli occhi dalla sua amica corpacciuta.

"Cos'è, Pacifica, ne vuoi uno anche tu?" dico sorridendo, peggiorando la situazione e mandando in tilt il cervello della ragazza.
"Cosa...! NO! Devo ancora abituarmi all'idea di... del vostro... Sì, insomma, di questo!" esclama, aprendo le braccia in nostra direzione.
Lascio andare Elizabeth, che affianca l'amica e le posa una mano sulla spalla come a confortarla in seguito ad un tragico trauma.
"Già." dice, mentre mi lancia un ultimo sguardo fugace. "Anche noi." 
   
 
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