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Autore: Roscoe24    05/07/2017    3 recensioni
"E, lentamente, incatenò di nuovo gli occhi su Magnus, che continuava a guardarlo con la stessa intensità che prima l’aveva costretto a distogliere lo sguardo. Nessuno l’aveva mai guardato in quel modo, ma si rese conto, sostenendo quell’occhiata, che avrebbe potuto farci l’abitudine."
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                                                And I can’t sleep ‘cause thoughts devour,
                                                                                                                                         Thoughts of you consume.




“Ad Alec non piace nessuno.”
Non ricordava in che modo fosse venuto a sapere che suo fratello aveva detto questa frase, parlando con Clary. Sapeva solo che si trovava spesso a rimuginare su quell’osservazione, da quando ne era venuto a conoscenza. Non era vero che a lui non piaceva nessuno: Izzy gli piaceva; lo stesso Jace gli piaceva, sebbene a volte – la maggior parte delle volte – fosse spocchioso ed arrogante; Max gli piaceva, con i suoi occhiali calati sul naso immerso in qualche fumetto. Era uno a posto, il suo fratellino. In gamba, ma discreto.
Nel buio della sua stanza, con gli occhi fermi nell’oscurità, Alec si rese spaventosamente conto che le uniche persone per cui provava simpatia appartenevano al suo nucleo familiare e si trovava, quindi, a chiedersi se fosse una cosa normale il fatto che, al di là della sua famiglia, lui non riuscisse proprio a simpatizzare con nessuno.
Clary?
No. Non ce la faceva proprio a sopportarla, almeno non quanto avrebbe voluto Jace, che ogni volta che Alec disapprovava una delle idee suicide e completamente illegali della mondana, gli lanciava un’occhiataccia come a dire sii gentile con lei. Ma lui non voleva essere gentile con qualcuno che rischiava di mettere a repentaglio la vita di chiunque solo perché l’unica cosa con cui ragionava erano le emozioni e dunque, per definizione, non ragionava. E poi non era obbligato a farsela piacere per forza: Jace si comportava in quel modo solo perché la vicinanza di Clary gli agitava le parti basse. A lui, che un interesse del genere non lo sfiorava neanche lontanamente, quindi, non fregava un granché di mostrarsi gentile o accondiscendente con lei.
Simon?
Pff, no. Se Clary, nonostante la sua natura semi-angelica, per lui rimaneva una mondana, Simon trasudava mondanità da tutti i pori. E poi parlava troppo. Blaterava di continuo come un disco rotto e fastidioso, incapace di fermarsi. La maggior parte delle volte, Alec non capiva nemmeno di cosa stesse parlando, deducendo che le sue allusioni facessero parte del suo mondo. Quindi no, nemmeno per Simon provava simpatia e nemmeno ci avrebbe provato: non avevano niente in comune che potesse far anche solo lontanamente pensare alla possibilità di un’amicizia.
Luke, forse?
Sotto alcuni aspetti, magari. Ma era pur sempre un adulto e cosa se ne faceva dell’amicizia di un adulto, quando era convinto che Jace si riferisse al fatto che Alec avesse pochi – per non dire nessuno – amici della loro età?
Ma che colpa ne aveva lui, dopotutto, se aveva passato tutta la sua vita dentro all’Istituto ad addestrarsi per diventare un cacciatore di demoni? Nessuna colpa. Non aveva mai avuto tempo per imparare il modo giusto di relazionarsi con la gente, era troppo impegnato a imparare come si centra un’ape in volo con una freccia. E lo sapeva fare, mica per niente era considerato uno degli arcieri migliori della sua generazione. Sviluppare un talento del genere richiedeva tempo, dedizione, sudore, fatica e sacrificio. Ma se le cosa stavano così, allora perché Jace e Izzy, guerrieri altrettanto dotati, avevano avuto anche il tempo di imparare a socializzare? Carattere. Era tutta una questione di carattere, si disse. Entrambi i suoi fratelli avevano una percezione di loro stessi estremamente elevata: Jace sapeva che qualsiasi ragazza sarebbe caduta ai suoi piedi con un solo sguardo; Izzy sapeva che ogni ragazzo avrebbe sbavato fino alla morte vedendola ancheggiare sicura sui suoi tacchi vertiginosi.
Sospirò.
Alec non aveva questa sicurezza perché aveva represso la sua sessualità per anni. Ecco qual era il problema. Inutile mentire anche a se stesso: la sua omosessualità lo rendeva insicuro. E sebbene lui si fosse accettato, ormai, sapeva benissimo che il Conclave e il mondo in cui viveva avrebbero storto il naso al pensiero che Alexander Lightwood aveva un debole per i ragazzi. Specialmente se un poco più bassi di lui. Specialmente se avevano gli occhi a mandorla, i capelli scuri, colorati ogni tanto sulle punte, un gusto esageratamente appariscente e una passione per il make-up glitterato.
E i riferimenti a Magnus Bane sono puramente casuali.
Certo, come no.
Eccolo, qualcuno che gli piaceva. Era inutile negarlo, Magnus l’aveva colpito dalla prima volta che l’aveva visto a quella festa dove volevano barattare il ciondolo da lui stesso creato con il suo aiuto. Ciondolo che, per inciso, Magnus aveva regalato ad Izzy perché su Alec sarebbe risultato ridicolo.
E sì, l’aveva sentito.
In realtà, aveva ripetuto nella sua mente tutte le parole pronunciate da Magnus nei suoi confronti da quando l’aveva incontrato. Da «E tu chi sei?» dopo che Alec aveva scoccato una freccia per far fuori quel demone che stava per ferirlo, a «Parlando di Alec, è più un uomo da fiori o da colonia?» - onestamente nemmeno lui sapeva cosa rispondere a quella domanda, dato che non ci aveva mai pensato a cosa gli piacerebbe ricevere.
E ancora «Bel ragazzo, prepara la tua squadra». E poi, la frase che più l’aveva scosso facendogli provare emozioni contrastanti: «Mi ti farò pro-bono». Una parte di lui avrebbe voluto saltargli addosso lì, in quello stesso istante. Avrebbe voluto chiudergli con un bacio quella bocca perfetta che pronunciava parole sfacciate senza provare il men che minimo imbarazzo. Avrebbe voluto afferrarlo per il bavero di una delle sue camicie sbrilluccicanti e mordergli le labbra, mangiandogliele di baci fino a fargliele diventare gonfie. Ma se questa parte di lui – quella istintiva che si assicurava di tenere celata al mondo – fantasticava su come sarebbe stato sentire la fisicità di Magnus contro la sua, l’altra parte di se, quella estremamente razionale e fastidiosamente imponente, puntava i piedi e gli vietava categoricamente di lasciarsi abbindolare dalle lusinghe di uno stregone che, con ogni probabilità, stava giocando al gatto e al topo con un ragazzo inesperto e ancora vergine. Chissà se Magnus poteva sentirlo, l’odore della sua verginità. Chissà se poteva percepire il nervosismo che gli faceva seccare la gola ogni volta che lo aveva vicino. Chissà se sapeva che, ogni volta che qualcuno pronunciava il nome di Magnus Bane, Alec drizzava le orecchie come un cane da caccia per carpire più informazioni possibili su di lui.
Chissà, chissà, chissà.
Era tutto un domandarsi.
Alec detestava tutto ciò: l’incertezza e l’instabilità, il non sapere.
E allora cambia le cose – gli suggerì una voce nella sua testa, una voce che assomigliava tremendamente a quella di Izzy. Si trovò, inspiegabilmente, a concordare con sua sorella. Izzy e Jace avevano imparato a socializzare perché avevano smesso di avere paura di manifestare interesse per qualcuno. Erano stati coraggiosi. E adesso era il suo turno. Scalciò le coperte e si alzò dal letto come se fosse stato spinto da chissà quale forza, come una calamita che viene attratta dalla superficie di un frigorifero.
Doveva fare un salto a Brooklyn.
 
                                                                                                   ***

Si sentiva un completo idiota. Quale parte di presentarsi a casa di qualcuno nel cuore della notte gli era sembrata un’idea eccezionale?
Fermò il pugno a mezz’aria con l’intenzione di bussare per la quinta volta e poi riabbassò il braccio lungo il corpo. Forse era meglio tornarsene all’Istituto, lasciar perdere e… morire di rimpianti, passando chissà quanto tempo a chiederti come sarebbe andata, invece, se avessi raccolto sufficiente coraggio da bussare a quella porta?
Ancora la voce di Izzy. Era irritante che la sua coscienza avesse la voce di sua sorella. E ancora più irritante era il fatto che le desse ragione, che volesse darle ragione.
Prese coraggio e, ignorando il cuore balzato alla gola, bussò. Rimase davanti alla porta – le mani allacciate dietro la schiena, le spalle rigide e il corpo teso – per qualche istante, prima di udire una voce ovattata dall’altro capo.
“Si?” Avrebbe riconosciuto la voce di Magnus anche se fosse diventato sordo. Il cuore gli martellò feroce in petto e la bocca gli si prosciugò, azzerando la capacità di articolare anche solo una sillaba.
“Se è uno scherzo, non lo trovo divertente.”
Alec improvvisamente rinsavì e trovò il modo di rispondere.
“Sono Alec,” balbettò come uno scolaretto alla prima cotta. Dio, quanto si sentiva stupido, in quel momento.
“Alec?” Il tono duro usato poco prima da Magnus scomparve.
“Lightwood.” Precisò, temendo che quella nota interrogativa nella voce dello stregone derivasse dal fatto che avesse rimosso la sua persona dalla memoria. Provò una fitta di dolorosa tristezza a quel pensiero, essendo consapevole che lui, invece, aveva impresso nella sua memoria ogni singolo dettaglio di ogni loro singolo incontro.
“Un attimo solo!” esclamò Magnus e fu davvero solo un attimo perché circa due secondi dopo aver parlato, aprì la porta in tutto il suo splendore: portava dei pantaloni di pelle nera, che gli aderivano perfettamente sulle cosce toniche, abbinati ad una camicia di raso bordeaux. Gli occhi erano truccati con una sottile linea di matita nera che scuriva ancora di più le sue iridi. Niente glitter sulle palpebre, notò Alec. Strano. Forse aveva dovuto fare tutto in fretta per rendersi il più presentabile possibile nel minor tempo a disposizione. Provò un’euforia infantile – come un bambino che riceve un regalo inaspettato – nell’immaginarsi Magnus che, colto di sorpresa, si imbellisce alla bell’e meglio per lui. Allora non l’aveva rimosso dalla sua memoria. Sorrise, compiaciuto di quella costatazione.
“Alexander, mio caro!”
Mio caro. Era rossore quello che stava mandando in fiamme ogni centimetro del suo viso? Certo che lo era, altrimenti significava che un incendio aveva preso residenza nella sua faccia. Ebbe voglia di sotterrarsi: possibile che non riuscisse a controllarsi nemmeno un po’?
“Non stare lì impalato, avanti accomodati!” Magnus aprì le braccia come se avesse voluto accoglierlo tra di esse – e Alec dovette soffocare il malsano impulso di gettarcisi senza alcun ritegno – facendo mostra della solita miriade di anelli e, ovviamente, dei glitter: non li aveva agli occhi perché entrambe le unghie dei suoi anulari erano colorate di argento decorato da fittissimi brillantini, mentre il resto delle sue unghie era laccato di un lucente nero. Alec costatò che non sembrava per nulla scocciato della sua improvvisata notturna.
“Cosa ti porta qui, mio giovane Shadowhunter?” Domandò lo stregone adagiandosi sul divano del suo coloratissimo salotto, mentre con una mano picchiettava nello spazio lasciato vuoto al suo fianco. Alec deglutì a fatica, rendendosi conto che lo spazio tra loro due sarebbe stato minimo, per non dire inesistente, se si fosse seduto al suo fianco. Avrebbe voluto rifiutare educatamente e dire che stava benissimo in piedi, ma entrambe le voci di Jace e Izzy gli risuonarono in testa.
Ad Alec non piace nessuno echeggiò Jace, in lontananza, come il lascito di un sogno distante.
E poi: comportarti esattamente nel tuo solito modo non ti aiuterà a cambiare le cose, Alec. Izzy, al contrario, gli suonò forte e chiara, come se fosse veramente lì con lui e gli stesse scandendo quelle parole direttamente nelle orecchie, con la voce ferma, tipica dei rimproveri, e la superiorità classica di chi ha imparato a gestire situazioni simili da un pezzo.
Quanto odiava i suoi fratelli in quel momento. Erano stati loro a cacciarlo in quel guaio, o quanto meno lo erano state le loro petulanti voci dentro sua la testa. Era colpa loro se adesso Magnus lo guardava in attesa che lui facesse qualcosa, ignorando il fatto che fosse un totale incapace in queste faccende. Stava annegando nell’imbarazzo. Ed era tutta colpa loro. Però non erano stati loro a muovere le gambe fino al loft di Magnus, quindi se lui era lì era perché voleva esserci, gli sussurrò una vocina suadente (che assomigliava terribilmente a quella di Magnus), quindi tanto valeva comportarsi come se lui fosse un normale ragazzo qualsiasi che sa gestire i rapporti con qualcuno che vorrebbe fosse qualcosa di più di un semplice amico. Così si sedette. E non appena lo fece, costatò che il suo ginocchio sfiorava quello di Magnus.
“Volevo vederti,” disse Alec con chissà quale coraggio, rispondendo alla domanda postagli dallo stregone poco prima.
Magnus si accese di una luce maliziosa e si voltò verso di lui, un gomito appoggiato allo schienale del divano, mentre la mano sosteneva la testa; il busto rivolto verso Alec e le gambe interamente sul divano, le ginocchia piegate in modo che i talloni andassero a sfiorare il sedere. Alec provò a non concentrarsi su quel particolare, che già di per se lo distraeva anche troppo, ma l’unica cosa che riusciva a percepire era la mano libera di Magnus sopra alla propria coscia. Realizzò quanto fosse pericolosamente vicina alla sua zona erogena e pregò con ogni fibra del suo corpo che la sua espressione non facesse trasudare quella sensazione di eccitazione mista a disagio che tutto ciò gli faceva provare. Disagio perché la rigidità in cui era stato cresciuto gli imponeva di respingere un gesto tanto impertinente; eccitazione perché quel gesto era così intimo che lo accendeva dentro in una maniera che non si vergognava a definire irruenta, come una marea crescente che si scaglia con sempre più impeto contro gli scogli.
“Vuoi dire che pensi a me, mentre cerchi di prendere sonno tutto solo nel tuo letto?”
Io penso a te sempre, avrebbe voluto rispondergli Alec, ma risultava un passo troppo accelerato persino per la sua nuova idea di non tenersi tutto dentro, quindi optò per una versione un po’ più blanda della risposta che avrebbe voluto dare.
“Anche, sì.”
Magnus assottigliò lo sguardo: “Anche?” Indagò, la voce morbida che si increspava in un suono simile alle fusa di un gatto scaltro. Alec sentì la necessità di deglutire, ma fece il gesto a vuoto: la sua gola era così arida che poteva benissimo venir scambiata per un deserto, la lingua ridotta ad una striscia di cartavetra.
“S-si… nel senso che io…”
Magnus alzò la mano dalla sua coscia e lo zittì tenendo l’indice alzato. Alec si sentiva un completo imbecille. Chissà cosa doveva pensare Magnus della sua totale incapacità di relazionarsi con qualcuno che gli interessava. Aveva cominciato a balbettare come un bambino e si sentiva così fuori luogo, adesso, che percepiva fremere nelle gambe la voglia di correre via e non assecondare mai più un’idea impulsiva come quella. E al diavolo qualsiasi cosa avessero detto Izzy e Jace nella sua testa. Era lui, adesso, quello che sentiva le mani immerse nel sudore per l’ansia, non loro.
Ma poi inspiegabilmente, Magnus gli sorrise e lui si rilassò un poco.
“Facciamo un gioco, ti va?”
“Un gioco?” Fece eco il cacciatore, senza riuscire a nascondere lo stupore nella voce.
“Hai sentito, bel visetto.”
Se esisteva un modo di morire felici, Alec era fermamente convinto che fosse quello. Il suo cuore si esibì in almeno tre capriole mortali, mentre nelle orecchie quelle parole gli risuonavano come una musica dolce, ma incalzante, che rendeva il tutto estremamente piacevole.
“D’accordo,” gli rispose con un sorriso, solo un angolo della bocca alzato, “che tipo di gioco?”
Magnus fu tentato di rispondere erotico solo per vedere tornare porpora il viso di Alec. C’era una meravigliosa innocenza nel suo rossore che lo rendeva adorabile. Ma poi decise di risparmiarlo ad un tale colpo basso e rispose, invece: “Il gioco delle domande.”
“Oh, d’accordo.”
“Comincio io, ti va?”
Alec annuì. Magnus si portò l’indice della mano – la famosa mano che era appoggiata sulla gamba di Alec e della quale sentiva un po’ la mancanza – sul mento con fare pensoso.
“Qual è stato il primo film che hai visto?”
Alec rimase di sasso, realizzando che non aveva mai visto un film. Non era una cosa da Shadowhunters, era una cosa da mondani. Lui, al massimo, aveva visto documentari storici sulla sua cultura.
“Non ho mai visto un film vero. Solo documentari.” Confessò, come se fosse colpevole di aver mancato una tappa importante nella vita di un ragazzo della sua età, ma Magnus sembrò non darci troppo peso.
“Vorrà dire, mio caro Alexander, che un giorno andremo al cinema insieme.”
E l’idea suonava così perfetta che Alec si trovò ad annuire – un enorme sorriso che andava da orecchio ad orecchio stampato sul viso. Magnus si prese un lungo attimo per contemplare quello spettacolo con gli occhi languidi, poi si decise a parlare.
“Adesso tocca a te. Ma non devi chiedermi la stessa cosa che ti ho chiesto io.”
“Va bene,” fece Alec, prima di concentrarsi. Una piccola ruga si formò tra le sue sopracciglia. Cosa poteva chiedere ad un uomo immortale? Un sacco di cose, in realtà. Ma tra la miriade infinita di domande interessanti che avrebbe potuto porgli, Alec scelse la più semplice: “Il tuo colore preferito?”
“In questo momento il verde,” rispose Magnus senza titubanza alcuna, incatenando i suoi occhi a quelli di Alec. E persino per lui, che era una schiappa a capire certe cose, risultò chiaro come il sole che si stava riferendo alle sue iridi. Il cuore fece un guizzo, come se fosse saltato improvvisamente giù da un trampolino altissimo.
“Il libro che ti è piaciuto di più?” Magnus lo colse di sorpresa, dal momento che Alec era ancora totalmente immerso nel loro gioco di sguardi.
“Ti suonerà sciocco, ma… un libro di fiabe. Mia mamma lo leggeva ogni sera a me, Jace, Max e Izzy quando eravamo bambini. Max era ancora troppo piccolo per capire le storie in pieno, ma avevo tutti i miei fratelli lì, in quei momenti, ed ero felicissimo.” Non aveva mai confessato a nessuno, fino ad ora, quanto quegli attimi lo riempissero di serenità. E fu contento di averlo fatto per la prima volta con Magnus.
“Non mi suona in alcun modo sciocco. Al contrario, la trovo una cosa molto dolce.”
Alec gli sorrise. Si stavano di nuovo guardando. Perché gli piaceva perdersi nei suoi occhi, gli piaceva guardare quel luccichio che brillava discreto in un angolo delle iridi di Magnus e sentire quell’esaltazione che gli chiudeva la bocca dello stomaco.
Passarono qualche istante in silenzio, occhi negli occhi, poi il cacciatore domandò: “Il tuo hobby preferito?”
“Truccarmi. E il tuo?”
“Hai detto che non si possono chiedere le stesse cose!” Protestò Alec, con poca convinzione.
“Fai un’eccezione per me.”
Alec si trovò a pensare che per Magnus avrebbe fatto molte cose, quindi se gli chiedeva un’eccezione, un’eccezione sarebbe stato ciò che avrebbe ricevuto. Pensandoci su, però, realizzò di non avere un hobby specifico, così rispose di getto: “Fare improvvisate nel cuore della notte.”
Magnus rise: “Sono sorprese più che gradite.”
Alec abbassò lo sguardo, improvvisamente incapace di reggere quello dello stregone, così intenso da destabilizzarlo. Ma Magnus, evidentemente, non si trovò d’accordo con quella reazione perché gli appoggiò due dita sotto al mento e, con delicatezza, gli alzò il viso.
“Non privarmi della bellezza dei tuoi occhi, Alexander. È crudele.”
Si era dimenticato come si faceva a respirare. Lui, Alec Lightwood, uno dei più letali cacciatori esistenti, ostinato e scontroso, forgiato dai duri addestramenti e abituato fin dalla tenera età a gestire, se non reprimere, ogni tipo di emozione per far prediligere la ragione, stava andando in brodo di giuggiole per quelle semplici parole, così sincere da fare male. Sentiva le gambe talmente molli che temeva le sue ossa si fossero sciolte. Nemmeno la sua spina dorsale gli sembrava tanto stabile, in quel momento. Avrebbe voluto trovare una risposta sagace a quella frase che di certo aveva colpito nel segno, ma non ne trovò nessuna. Come si poteva rispondere a tanta sincerità? Con altrettanta sincerità, forse.
“Non ti farei mai qualcosa che reputi crudele,” sussurrò così piano che persino lui faticò ad udirsi. E, lentamente, incatenò di nuovo gli occhi su Magnus, che continuava a guardarlo con la stessa intensità che prima l’aveva costretto a distogliere lo sguardo. Nessuno l’aveva mai guardato in quel modo, ma si rese conto, sostenendo quell’occhiata, che avrebbe potuto farci l’abitudine. Avrebbe potuto abituarsi ad essere guardato come qualcosa di importante. Provò la sensazione di essere non solo visto, ma addirittura notato, come se Magnus non percepisse nessun altro al di fuori di lui. E tutto ciò gli faceva attorcigliare le budella in una stretta spirale di acciaio perché provava esattamente le stesse cose per Magnus. Da quando l’aveva visto, altro non faceva che pensare a lui, a quello che stava facendo, a quello che gli piaceva o non piaceva. Da quando l’aveva visto, per Alec esisteva soltanto Magnus nella sua testa. Ed era una cosa che aveva cercato di reprimere. Dio solo sa quanto ha provato a scacciare l’eccitazione che lo faceva fremere da capo a piedi ogni volta che aveva una scusa ufficiale per andare a trovarlo, o quante volte avesse provato a reprimere i sentimenti che provava nei suoi confronti, pensando che tutto derivasse da un’illusione. Ma se Dio sapeva tutte queste cose, Alec sapeva che ciò che provava non era affatto un’illusione. Quello che provava era reale come il sole, come la pioggia di inverno, come le foglie che cadono in autunno e i fiori che sbocciano a primavera. Ciò che sentiva di provare per Magnus era una certezza, come la gravità: nessuno la vede, ma sappiamo che se siamo ancorati a terra è perché una forza invisibile ci aiuta a farlo. E per Alec era la stessa cosa: i suoi sentimenti non si vedevano, ma lui li percepiva chiari e forti dentro di sé e se avesse potuto trovare un modo per farli materializzare, li avrebbe usati come un coltello per tagliare quel velo invisibile che separava quello che aveva – una vita passata a nascondere se stesso per seguire regole rigide e antiquate – da ciò che avrebbe voluto veramente: Magnus. Avrebbe squarciato ogni dimensione – anche con i denti, se fosse stato necessario –  per poter stare con lui, per poter dare sfogo a ciò che lo consumava dentro e lo scuoteva come mai nient’altro aveva fatto, prima dell’incontro con l’uomo che si trovava al suo fianco.
Aveva la certezza, in quel momento, che tutto ciò che lo bruciava dentro non era frutto di un gioco – come aveva potuto fargli pensare la sua parte razionale, che gli aveva sempre fatto credere che Magnus, in lui, non vedeva altro che la soddisfazione di un capriccio – ma derivava da qualcosa di puro e genuino come poteva essere l’amore. E Alec sapeva che era destinato ad innamorarsi di quell’uomo che continuava a guardarlo come se fosse l’unica persona esistente su questo pianeta. Sapeva che erano destinati a stare insieme, se lo sentiva dentro, nelle viscere attorcigliate, nelle mani sudate, nel cuore che ormai aveva preso residenza in gola e batteva, batteva e continuava a battere sempre più frenetico come se ogni battito fosse un grido lasciato libero che gli urlava di seguire il suo istinto e sopprimere la ragione. E la soppresse. Lasciò da parte le insicurezze, le sue convinzioni di essere inadatto, totalmente incompatibile a determinate situazioni e, dopo aver posato le mani sul viso di Magnus, lo baciò.
Lo baciò perché non era vero che a lui non piaceva nessuno, perché a lui Magnus piaceva – e anche tanto – e voleva trovare il modo per dimostrarglielo.
Lo baciò perché sentiva una voglia crescente dentro di se di sapere che sapore avessero le sue labbra – perché non gli bastava più sapere che il suo profumo gli piaceva da morire e che ogni volta che quella fragranza gli rimaneva nelle narici, dopo che se n’era andato, lui passava la giornata a ripensare agli attimi in cui erano stati nella stessa stanza, anche se si erano ritrovati insieme per ragioni formali.
Lo baciò perché voleva di più, perché voleva prendersi ciò che desiderava. E lui desiderava Magnus, sopra ogni cosa.
Magnus sussultò, emettendo un sospiro sorpreso, e per un attimo Alec ebbe paura che l’avrebbe respinto, rifiutato, ma poi le mani dello stregone si strinsero intorno alla sua schiena e lo attirarono di più a se. Alec si trovò a sorridere sulle sue labbra, soddisfatto della risposta che aveva ottenuto, e poi continuò ciò che aveva cominciato. E mentre lo baciava, si stupì nel realizzare quanto gli venisse naturale farlo, quanto non solo lo trovasse piacevole, ma addirittura facile. E, in questo modo, capì anche che il carattere, o la pratica, in queste situazioni non servono a niente. Ci sono occasioni che vanno solo colte e si imparano a gestire solo nel momento esatto in cui ci troviamo a viverle.
Il suo cuore scalciava come un cavallo imbizzarrito, ma lui non aveva nessuna intenzione di domarlo. Non voleva rinunciare a quella sensazione che lo faceva sentire vivo come non mai. Non voleva rinunciare a sentire il corpo di Magnus contro il suo, le sue dita che gli artigliavano la maglietta, premendo sulla sua schiena, e la sua lingua che esplorava la sua bocca con tutta l’intenzione di farla diventare un luogo familiare.
“Se dovessi…” cominciò Magnus staccando la bocca dalla sua, le mani si spostarono sulla sua nuca, la voce rotta dal fiatone, “..se dovessi finire su un’isola deserta, quali sono le tre cose che porteresti con te?”
Alec rimase un attimo perplesso da quella domanda, ma ne approfittò per prendere fiato. Appoggiò la sua fronte a quella di Magnus, i pollici che gli accarezzavano le guance.
“Mi bastano due cose,” rispose senza esitazione alcuna, la voce roca. Staccò la fronte da quella di Magnus per poter guardare bene il suo viso, poi continuò: “Champagne,” gli baciò l’angolo destro della bocca, “Formaggio,” passò a baciargli l’angolo sinistro. “E una persona sola: te.” Gli premette le labbra sulle sue, lasciandogli un bacio a stampo.
Fu in quell’esatto momento che Magnus Bane, attraversato da un brivido elettrico, realizzò quanto avesse sbagliato a definire Alec innocente. O meglio, a pensare che fosse solo innocente. Quel ragazzo, il cui viso andava in fiamme appena riceveva un complimento, era capace di prendere in mano la situazione e dettare le regole a suo piacimento. Era come la cioccolata calda con il peperoncino: zuccherata, ma con una punta di piccante che rendeva tutto più saporito, più interessante.
Alec era dolce come la vaniglia e ardente come il fuoco. Innocente, ma anche seducente. Era un mix per il quale Magnus sentiva di aver già perso la testa da un pezzo.
“E tu, Magnus Bane,” sussurrò Alec, squadrando lentamente ogni centimetro del viso dell’uomo, “tu cosa porteresti?”
“Solo te, Alexander. Il resto potrei farlo comparire quando voglio.”
Alec, tenendo gli occhi incastrati in quelli di Magnus, rise, lasciando che la risata vibrasse in tutto il suo corpo – risuonò piuttosto liberatoria. Era un pezzo che non rideva così.
Magnus per tutta risposta fece comparire, davanti al divano, un tavolino di vetro su cui giacevano le due cose elencate da Alec.
E chi aveva bisogno di un’isola deserta, quando tutto quello di cui Alec aveva bisogno di trovava nel salotto di un loft a Brooklyn?
Magnus si allungò per prendere i due calici di champagne e ne passò uno ad Alec.
“A noi, Alexander.”
Alec fece tintinnare i bicchieri. Mai nessun brindisi gli era piaciuto come quello. Mai nessuna promessa gli era sembrata più sincera di quella che si erano appena fatti: a noi era la cosa più bella che si potessero augurare.
Noi era la cosa più bella che potessero diventare. 




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Ciao a tutti e ben ritrovati!
Innanzitutto, vi ringrazio per aperto la storia ed aver deciso di arrivare fino alla fine, lo apprezzo tantissimo!
La nascita di questa piccola shot – un po’ smielosa in alcuni punti, me ne rendo conto xD – è dovuta tutta al panel di Matthew e Harry durante la THOSCON di Parigi lo scorso 25 Giugno e ad alcuni momenti in particolare, tra cui:
- Matt che ha detto “Alec is a grump, a grump all the time. But it’s not his fault, it’s everyone else’s fault” facendo nascere l’inizio di questa storia, in cui Alec passa in rassegna le varie persone per cui non prova simpatia (anche se sappiamo che poi alla fine è tanto tenero e vuole bene anche a loro, a modo suo <3);
- C’è stato un momento, durante il panel, in cui un’ape stava girando intorno a Harry e Matt l’ha scacciata via. Da ciò è nata una conversazione tra i due in cui Harry ha chiesto a Matthew se fosse in grado di controllare la direzione delle frecce e quest’ultimo ha risposto che potrebbe riuscirci se prendesse bene la mira. E quindi ho pensato di poter unire le due cose e scrivere di Alec che è capace di centrare le api. Non so se sia davvero in grado di farlo, sebbene sia un bravissimo arciere, ma fingiamo di si!
- Alla domanda “Three things Alec would bring with him on a deserted island”, Matt ha risposto: “Alec would bring Magnus to a deserted island, they could portal out and just come back anytime for… dinner. Alec doesn’t need three things, he needs Magnus, champagne and cheese” e di conseguenza la mia testolina ha vagato fino a immaginarsi Magnus e Alec porsi la medesima domanda tra di loro e rispondersi più o meno come hanno risposto Matt e Harry.
Con questa OS non voglio in alcun modo togliere niente al primo bacio dei Malec nella serie perché, insomma, è perfetto, e ho voluto che in qualche modo aleggiasse comunque nell’aria usando War of Hearts come titolo e intro.
Detto tutto ciò, spero che abbiate trovato la storia di vostro gradimento e vi ringrazio ancora
tantissimo per averla letta!
Alla prossima!! :D


 
   
 
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