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Autore: trottola    06/07/2017    1 recensioni
In una città di cemento che non fa dormire mai, dove ognuno rincorre i propri sogni o tiene fede ai suoi obblighi, la sola possibilità per scrollarci dalle spalle la polvere della fatica è quella di ritrovarsi con uno sconosciuto a sorseggiare caffè e menta.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Entra in casa dopo aver frugato nella tracolla di cuoio il tempo necessario per ritrovare le chiavi nel marasma di biro, lucidalabbra, salvaslip, accendini e quel libro cacciato lì alla rinfusa, nella speranza di andare avanti almeno di una pagina o due accovacciata nello spazio d’aria che le concede la metro all’orario di punta. In quella città anche le cinque del mattino è orario di punta. Poi finisce sempre per gingillare con il cellulare come un’adolescente o, peggio, abbioccarsi di netto, così, all’improvviso, con il corpo in un equilibrio improbabile sul sedile. Forse addirittura con un goccia all’angolo della bocca, ma chessenefrega, nelle grandi città almeno possiamo goderci il mantello dell’anonimato. Non aveva mai sperimentato i colpi di sonno finora; non aveva mai pensato che si potesse arrivare, sì, propria distrutta, a fine giornata. O meglio, a inizio. Butta per terra la borsa ed è un attimo che si ritrova in mutandine e reggiseno, accende il bollitore, recupera la camicia da notte abbandonata come uno straccio su una sedia della cucina, sul tavolo ancora gli avanzi di una cena, un pranzo. Ha lasciato la vita sparpagliata su mobili e pavimento, diciotto ore prima, e già le sembra che un fiume di esperienze l’abbiano attraversata e che la casa sia un relitto scampato per miracolo alle sue ripetute dimenticanze. Venti telefonate di lavoro, un turno da 8 ore, una lezione da quattro, una video chiamata, un brainstorming, un pacchetto di sigarette. Fare tutto a ritmi accelerati le permette di allontanare da sé pensieri, preoccupazioni, persone con una facilità che le dà le vertigini. É come essere perennemente in una nuvola di euforia, panico, adrenalina e ansia. E spossatezza. É il mio obiettivo, dice al telefono alla voce che le arriva dall’altra parte del mondo. Per giustificare le chiamate perse, le disattenzioni, le sigarette, l’alimentazione sballata. Il borbottare del bollitore la riporta, almeno per un momento, alle antiche abitudini che si è lasciata alle spalle per inseguire quel sogno. Riempe l’ultima tazza pulita con l’infuso di foglie di menta. All’ultimo ricorda le ciabatte e di infilarsi una felpa addosso, è il due di febbraio, anche se la fronte le sembra sempre che sia rovente dopo una giornata con il respiro in gola. Esce sul balcone di quel suo appartamento-casa-scatola ed è ancora buio, qualcosa in lontananza potrebbe abbozzarsi di luce dell’alba, ma siamo a Tokyo, e ci sono solo palazzi a perdifiato. Ritrova le sue spalle, la vestaglia spessa con motivo tartan, avanza verso di lei l’aroma del caffè che tiene fra le mani, fino alle sue narici.
-Buon giorno.
Ed anche lei si posiziona con i gomiti sulla ringhiera gelida.
-Buon giorno.
-Sei mattiniero oggi?
Si rivolge a lui sempre con esagerata allegria, sono le cinque del mattino giù di lì, viene da un turno massacrante, non ci sono motivi di essere così pimpante, ma è come se fossero gli ultimi botti di Capodanno, la candelina rimasta accesa sulla torta di compleanno che ti sforzi di spegnere con un faticoso soffio di respiro. É la sua riserva di energia prima di chiudersi nelle sue sei ore a malapena di sonno.
-Incontro con gli americani, devo rivedere dei progetti.
Per lui invece è tutt’altra faccenda. La giornata inizia lì, su quel balcone disadorno di una condominio dormitorio in mezzo all’asfalto; con la sua tazza di caffè nero bollente, lei immagina che un tipo come lui il caffè lo beva amaro. Come una punizione.
-Parli come un agente del Kgb.
Si sta accendendo una sigaretta. La prima e ultima della sua giornata. Insieme al caffè. Forse amaro. Quella non gliela toglie nessuno. Sorride, e forse è il suo modo di ridere.
-Magari..mi aspetterebbe una giornata molto più interessante.
Lo smalto sulle unghie dei piedi sembra ormai un brutto voto cancellato male. Stringe le dita con vergogna e nello stesso istante si chiede vergognarsi poi di cosa?
Socchiude gli occhi, sarà stata la nuvoletta di fumo che gli è arrivata in faccia e non si capisce se il fumo lo sazia o lo consuma. Ha l’aspetto di uno che è andato a letto mezz’ora fa. O probabilmente le occhiaie sono solchi perenni a prescindere da quanto riesca a dormire serenamente. Tossisce, si strofina gli occhi, cercando di togliersi chissà quale fatica fossilizzata sulle palpebre.
-Coraggio che siamo già a martedì.
Lui sorride di nuovo. É una coincidenza, un fortuito accavallarsi di orari della metro e turni di lavoro, però, dai, infondo ammettilo, che iniziare la mattina con me ti fa piacere. Lo pensa ed immediatamente se ne vergogna, peggio dell’imbarazzo per lo smalto delle unghie dei piedi dimenticato lì come un telo da mare bagnato nello zaino.
-Adoro la menta.
Nonostante la sigaretta e il caffè e la distanza dei corpi, il profumo di quella bevanda calda gli arriva come un invito alla festa del compagno più ambito.
-Mi piace bere qualcosa di caldo prima di andare a letto, mi rilassa.
-Farei volentieri a cambio.
-Oggi vedo che siamo carichi.- dice lei sempre ironica, sempre su di giri, poi aggiunge -Se vuoi facciamo a cambio davvero, sono così distrutta che riuscirei dormire dopo il caffè, anche se mi sniffassi tutta la coca della Colombia.
-Non si direbbe che sei distrutta.
Cambia posizione, lentamente, appoggia la schiena alla ringhiera, braccia incrociate a trattenere quel poco calore che gli ha lasciato il caffè nelle viscere. Nonostante la vestaglia, la sciarpona di lana rossa che gli cola giù dalle spalle, i guanti tagliati, i calzettoni e le ciabatte da nonno, sembra che il respiro gli si possa congelare in gola da un momento all’altro.
-é il due febbraio, sono le cinque del mattino…
Esita, giusto il tempo di un battito di ali di mosca, ma per lui è già abbastanza da provare fastidio. Gli hanno sempre insegnato che si può essere indulgenti con i cani, i bambini e i vecchi, ma mai con sé stessi, sarebbe altrimenti una forma di narcisistica mollezza di spirito.
-... te ne stai lì….. con le infradito... secondo me qualcosa hai tirato per forza.
Le infradito, le unghie dei piedi con i rimasugli rosa fluo, ecco, l’ha notato, adesso penserà che sono una sciatta. Butta lo sguardo sul profilo dei palazzoni dello skyline e gli vorrebbe dire a mo’ di ripresa, come se dovesse pagare un riscatto, che una che ha vissuto per tutta l’infanzia in una casa con le porte di carta di riso è abbastanza temprata da non temere il freddo di nessun inverno. Gli vorrebbe dire che è forse l’unico uomo sulla faccia delle Terra che riesce ad essere elegante, anche appena sveglio, con gli occhi pesti e con dei calzettoni che nemmeno sua nonna. Che sua nonna l’aveva abituata fin da piccola ad alzarsi prestissimo i giorni di festa per andare a cercare le vongole sulla spiaggia. Si toglievano le scarpe e potevano arrivare con l’acqua fino alle ginocchia, anche se era novembre, dicembre, gennaio. Se c’era il sole, si pranzava fuori, in pieno inverno, a casa sua. Era la prima a fare il bagno in primavera e l’ultima a salire su dal mare in autunno. Gli vorrebbe vomitare addosso tutte queste confidenze, ma deve prepararsi per dormire sonni tranquilli, è meglio evitare, magari un’altra volta.
-Sono giovane e piena di forze, tu sei conciato da ricovero.
Tira un impercettibile sospiro di sollievo quando la sente rispondere, ancora una volta, con ironia, capisce che non ha percepito, un istante prima, la sua esitazione fra le parole, il suo bloccarsi, riprendere, incespicare. É il due febbraio, sono le cinque del mattino e te ne stai con quelle gambe nude appoggiata a quella ringhiera gelida. Ma lei avrebbe sicuramente frainteso, avrebbe pensato che lui a quella carne nuda non ha tolto gli occhi di dosso, mentre invece lui è solo colpito dal fatto che una ragazza riesca a sopportare così tanto il freddo, ma non sono tutte freddolose le donne in Giappone? Pensava che la tempra tedesca facesse eccezione nell'universo femmineo. Per fortuna è riuscito a deviare il discorso e spostarlo più in basso, dalle cosce, fino ai piedi, sì fino ai piedi, come se anche la caviglie potessero nascondere qualcosa di scandaloso.
-Gli uomini di altri tempi hanno molto da insegnare in fatto di stile a voi giovani.
-Noi giovani? Parli come se fossi molto più vecchio di me.
É vero, si sente molto più vecchio di lei, eppure potrebbero essere coetanei. Quanti anni ha lei?
-Comunque se vuoi la prossima volta preparo dell’infuso di foglie di menta anche per te.
Lui si stacca dal ferro della ringhiera, quasi pronto a rientrare, a cominciare la sua giornata. Non c’è ancora uno spiraglio di luce nella mattina di Tokyo, eppure c’è una tabella di marcia irragionevole e disumana da seguire. Lei si morde le labbra, serra le dita dei piedi. La prossima volta. Non sono due che si danno appuntamento, come le è venuta l’avventatezza di osare di imporre un rituale a quelle loro colazioni notturne? Si sente stupida, come se avesse smascherato una sorpresa.
-No, meglio il caffè, altrimenti non mi sveglio.
-Sì, certo.
-Però potrei cominciare pure io a bere l’infuso di menta a letto.
Lui la guarda, adesso è lui quello ironico e le sorride, e lei capisce che l’ironia è tutta un’altra cosa, non sono le sue frasette pungenti buttate lì, quelle le potrebbe osare anche una bambina. L’ironia è quella sua cascata gelata e rovente insieme che la sentire all’improvviso desiderata e repellente allo stesso tempo. Si sente avvampare dalla pancia, fino a risalire all’incontrario il tragitto dell’infuso di menta, fino alle labbra. Ma cosa ha detto poi di male? Nulla. É lei che è oscena. Cosa va a pensare? No, no è lui che è osceno, perché mica tutti gli uomini ti sorridono così. Lei ne ha conosciuti di maschi, amici, compagni, amanti, ci ha sempre giocato, scherzato insieme, non si è mai tirato indietro, eppure non si è mai sentita così turbata. Non capisce se l’abbia appena umiliata o se invece le abbia fatto un complimento. É dire che lui è in pantofole, ha gli occhi cerchiati di sonno arretrato, non si sta nemmeno sforzando, lui, di metterla in imbarazzo.
-..ma alla fine credo che arriverò a chiudere gli occhi con un bicchiere di votka fra le mani.
-Come una vera spia russa.
Si riprende in fretta lei, non si lascia mica chiudere all’angolo senza nemmeno avere l’ultima parola.
Lui sorride.
-Da.
La guarda di nuovo, ancora con lo stesso sguardo. Forse lui è semplicemente così ed è lei a cercare significati criptati. Inchioda così tutte e non potrebbe fare diversamente. Lui neanche se ne rende conto: presta attenzione ai gesti, alle parole, a come modula le frasi e seleziona gli aggettivi, ma poi non sa che basta un suo sguardo ed è fregato. Attacca, colpisce e mostra il fianco allo stesso tempo. E nemmeno lo sa.
-Dasvidania Tovarish.
Non le lascia il tempo di replicare, di chiudere. Del resto per lui la giornata inizia, è lui quello che deve correre ora. Mentre lei se la può prendere calma, ma calma non è per niente. Sarà la stanchezza, si dice. O forse quel modo di fare di lui che non ha ancora capito se le piace. Rientra in casa. Nel buio cerca con nervosismo il cellulare nella tracolla di cuoio. Si accuccia esausta sul materasso, dentro al sacco a pelo. Sembro proprio una disgraziata. Nonostante il sapore della menta le invada tutto il palato vorrebbe piangere. É stanca e alla fine quello di cui avrebbe veramente bisogno è una carezza. Il messaggio è stato inviato ore prime, ma lei se l’è lasciato lì a decantare, aspettando quel momento, già sapendo la malinconia che l’avrebbe asserragliata prima di addormentarsi.
Buona notte Maki.
Le è arrivato il suo abbraccio, il suo pensiero, ha percorso oceani di distanza e fusi orari per giungere fin dentro al suo sacco a pelo. Le è arrivata la sua virgola d’amore. E adesso può dormire tranquilla.
  
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