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Autore: ClaireOwen    06/07/2017    3 recensioni
[Bellarke - Modern.AU]
“Mi dispiace.”
Sussurra timidamente.
E sa che dovrebbe porgere le sue scuse ad ognuno di loro ma vuole essere sicura che sia proprio lui ad udirle per primo.
Ad ogni modo se c'è una cosa che Bellamy Blake sa fare è stupire e stavolta lo fa riservandole un sorriso docile, spiazzante; china leggermente il capo, prega che nessuno si sia reso conto di quella sua impercettibile reazione perché di certo non è riconosciuto dagli altri come una di quelle persone affabili e gioiose, effettivamente non è dispensando sorrisi che il maggiore dei fratelli Blake si è guadagnato il rispetto da quel branco di scapestrati.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Raven Reyes, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IX
 
Si guarda un’ultima volta allo specchio poco prima di lasciare il monolocale, un pizzico di agitazione le fa sussultare il petto.
Il riflesso le mostra una ragazza con i capelli biondi e sciolti che le cadono dolcemente sulle spalle in ordinati boccoli, è una ragazza come tante e quell’immagine la terrorizza: ha paura, di non essere abbastanza per un compito simile, del resto si vede così ordinaria.
Eppure il viso appare più sereno di quel che sente di essere ed in un certo senso tale visione le infonde una, seppur minuscola, sicurezza in più.
Ed è proprio quest’ultima che la convince a lasciarsi alle spalle l’immagine di sé riflessa nella cornice specchiata.
Grazie al cielo il percorso in macchina è breve e le lascia poco tempo per pensare, tutto ciò che riesce a fare quindi è tentare di visualizzare nella sua mente le fotocopie del manuale che Kane le ha fatto recapitare; in quelle due nottate non ha quasi dormito per studiarlo a fondo.
 

In realtà Marcus l’aveva chiamata dicendole che non era importante che lo leggesse per intero anteriormente alla prima lezione ma Clarke non ne aveva proprio potuto fare a meno.
La verità è che non lo aveva fatto solo perché temeva di arrivare impreparata al compito che andava a svolgere ma anche e soprattutto perché sentiva il disperato bisogno di tenersi ancora una volta occupata.
Nei pochi giorni precedenti aveva tentato di parlare con Raven della mail di Lexa senza ottenere alcun risultato.
Ogni volta che provava ad aprire bocca la sua lingua rimaneva impastata ed attaccata al palato; le aveva provate tutte, aveva persino immaginato un ipotetico discorso.
Ogni mattina quando percorreva a passo svelto la strada che la separava dall’atelier cercava di pensare al modo migliore per raccontare all’amica di quanto era accaduto.
A nulla era servito.
Così di sera tardi, quasi fosse un rito, prendeva in mano il cellulare, scorreva i nomi sulla rubrica sino ad arrivare a quello di Harper ma ogni volta che stava per avviare la chiamata, le sue dita rimanevano bloccate a mezz’aria, pochi centimetri separavano i suoi polpastrelli dallo schermo eppure quelli, ogni volta, erano sufficienti a far desistere la giovane donna.
Allora Clarke per armarsi contro i ricordi che tentavano ferocemente di assalirla sprofondava nella lettura dettagliata di quel manuale, si proiettava nel futuro, cercava d’immaginarsi all’opera, di capire come applicare al meglio le metodologie esposte dalle dispense.
 

Quando si ritrova a parcheggiare, nella sua mente ha già visualizzato i primi tre capitoli ed un sorriso soddisfatto le inarca appena le labbra.
Solo scendere dall’autovettura la riporta davvero a contatto con la realtà, con ciò che di lì a poco accadrà ed inevitabilmente il battito cardiaco accelera un po’.
Clarke Griffin ha paura, qualcuno potrebbe chiamarla ansia da prestazione ma per lei è qualcosa di più, di nuovo teme di non essere adatta, di non riuscire in quell’arduo compito che è aiutare gli altri.
Del resto come può farlo se non è in grado di aiutare sé stessa?
Questo interrogativo le logora i pensieri e diventa in fretta un mantra inquietante nella sua testa.
Fin quando almeno, entrando nell’edificio, trova Marcus Kane in giacca e cravatta pronto ad accoglierla.
Le basta scorgere il suo sorriso cortese per ritrovare la necessaria tranquillità.
“Eccola, la nostra eroina! Pronta?”
La ragazza cerca di sorridere ed annuisce appena, Marcus che sembra aver compreso perfettamente il suo stato d’animo le poggia una mano sulla spalla e accompagnandola verso la sala adibita ad aula le sussurra:
“Tranquilla, è normale avere un po’ d’ansia ma sono sicuro che andrà tutto bene. Nel frattempo devo presentarti una persona, i ragazzi non arriveranno prima di venti minuti e voglio illustrarvi le ultimissime cose.”
Quel fare paterno le infonde una nuova sicurezza e la ragazza segue l’uomo a passo serrato
“Grazie.”
Dice con un filo di voce, poi l’altro le sorride ed alza  le spalle.
E’ il movimento del suo corpo robusto e appena invecchiato a comunicarle che lui è lì per quello.
Percorrono qualche corridoio, un paio di rampe di scale ed infine una dicitura incisa nel marmo bianco di un’arcata imponente indica loro che si trovano nel dipartimento di arte moderna così i due si fermano dinnanzi ad una porta leggermente socchiusa.
Marcus la guarda di nuovo: i suoi occhi nocciola si puntano fedelmente nei suoi acquamarina.
Clarke si ritrova ad annuire, lo sguardo impaurito è però colmo di determinazione e così l’uomo senza esitare dischiude l’uscio che rivela una piccola sala adibita ad aula, prima di entrare la bionda scorge una manciata di banchi disposti in modo ordinato in tre file e del materiale da disegno posto su ognuno di essi.
Qualcosa dentro lei freme.
Solo quando scorge Kane già all’interno della stanza, si decide a seguirlo e una volta lasciatasi alle spalle il dipartimento non può che dischiudere le labbra: le pareti sono colme di volumi ed in fondo all’aula un’enorme finestra inonda il luogo di una luce brillante e calda.
“Clarke…”
Marcus la richiama vedendola assorta nella contemplazione di quel posto.
“Come ti dicevo vorrei presentarti il tuo collaboratore nonché supervisore del progetto.”
La bionda si volta di scatto mordendosi un labbro per essersi lasciata prendere dalla distrazione ed in quel preciso istante i suoi occhi si scontrano con due carboni ardenti.
“Bellamy Blake.”
Quel nome che conosce così bene le arriva in modo ovattato alle orecchie, dopo tutto non ha bisogno di udirlo davvero per collegare quello sguardo alla persona cui appartiene.
L’instabile equilibrio a cui si è aggrappata finora crolla in men che non si dica.
Un groviglio di emozioni assale il suo sistema nervoso donandole una scossa che le fa tremare le mani.
Sente le guance arrossarsi e si ritrova incapace di reagire.
 
-
 
“Aspettami qui, torno tra pochi minuti.”
Kane non gli ha dato modo di rispondere ed il giovane Blake si ritrova  ad annuire ad una porta che l’uomo si è già socchiuso dietro le spalle.
Non è agitato.
Del resto questo è un lavoro come un altro, l’ennesimo impiego che lo avrebbe visto ai margini dell’azione.
Quindi no, non è agitato, piuttosto leggermente frustrato, ecco tutto.
Ma Bellamy Blake sa perfettamente che non può proprio farci nulla, nonostante la sua vita si sia divertita a tirargli brutti scherzi, alla fine dei giochi è stato lui ad arrendersi.
Avrebbe potuto continuare a studiare in Australia ma non lo aveva fatto.
Avrebbe persino potuto farlo adesso – proprio come Marcus gli aveva alacremente suggerito - ma no, ha già deciso che è tardi e poi ha davvero bisogno di ottenere la sua personale indipendenza, non importa quanto dovrà sacrificare ancora, deve farlo, o teme che non riuscirà mai a ritrovare la sua serenità.
Di fatto Bellamy Blake vuole solo smettere di essere un peso per la sua famiglia, per suo padre, sa che se non ha ancora accettato il pensionamento è solo per lui ed Octavia.
Così, esattamente come gli altri giorni, si accomoda su una delle due sedie accanto alla scrivania che funge da cattedra e tira fuori dal suo zaino un vecchio volume dell’ Iliade.
L’unico libro che non si è ancora mai stancato di rileggere, l’unico in grado di spegnere del tutto la sua mente e catapultarlo lontano nei secoli, nei luoghi.
 
Così è mentre l’ira di Achille nei confronti di Agamennone viene fermata in extremis da Atena, che la porta accostata si riapre, il maggiore dei Blake però non distoglie subito lo sguardo dal poema, cerca invece di ritrovare il segno perso per la distrazione e prova a leggere ancora un po’, vuole arrivare quanto meno alla fine del verso.
Solo un nome udito quasi da lontano ha il potere di distoglierlo del tutto dal libro.
“Clarke…”
La voce di Kane lo allontana in modo brusco dall’avvincente guerra tra Achei e Troiani e i suoi occhi passano in fretta dalle minuscole parole della vecchia edizione, al perimetro della stanza, poi, quasi subito vengono rapiti da una chioma bionda che gli da le spalle e tutto nella mente di Bellamy si fa finalmente chiaro.
Mentre la osserva voltarsi la consapevolezza lo fa suo.
E’ lei: il viso chiaro e tirato, le labbra rosee che si morde in segno di rimorso per essersi persa nel panorama dipinto fuori la finestra, sa bene che è così, lo immagina perfettamente, lo sente. Ora, finalmente, trova un significato allo scontro fuori l’ufficio di Marcus in Università.
E’ un attimo, il tempo che basta per far sì che tutto abbia finalmente un filo logico, quando i suoi occhi si scontrano con l’azzurro, capisce che non ha più bisogno di alcun chiarimento, ha finalmente ricomposto il puzzle al quale per giorni non trovava risoluzioni.
Marcus lo presenta mentre il suo cuore accelera arbitrariamente i battiti e Bellamy nonostante tutto, proprio non riesce a scacciar via una smorfia ironica mentre tiene ancora gli occhi ancorati a quelli di lei.
E’ agitata, lo percepisce, sbatte le palpebre  e con un dito gioca nervosamente con una ciocca di capelli ma soprattutto non dice nulla, i nervi tesi sotto la pelle.
“Non c’è bisogno.”
Si affretta a dire, l’uomo più anziano aggrotta le sopracciglia in risposta.
“Ha ragione.”
La voce di Clarke si libera nella stanza.
“Ci conosciamo.”
Continua il giovane.
“Già, da parecchio.”
Conclude lei.
Mentre Clarke e Bellamy parlano, rimbalzandosi le frasi come stessero giocando una partita a tennis, il professor Kane sposta quasi incredulo lo sguardo da uno all’altra.
“Dovete perdonare la mia gaffe allora.”
Dice infine, poi con un gesto enfatico si sposta verso la cattedra e fa segno alla ragazza bionda, rimasta in disparte, di avvicinarsi.
“Sapete? Questo potrebbe esserci d’aiuto, sono sicuro che non ci sarà nemmeno l’imbarazzo che può venirsi a creare in queste situazioni quando a collaborare sono due perfetti sconosciuti… Ad ogni modo vi avevo detto che vi avrei dato le ultime raccomandazioni per cui mettetevi comodi.”
Bellamy si risiede ed osserva di sottecchi Clarke fare lo stesso.
Vorrebbe essere in grado di essergli indifferente ma, nonostante gli sforzi, gli sembra impossibile. Percepisce il suo odore agrodolce ed un brivido freddo gli percorre velocemente la schiena.
Le parole di Kane non possono nulla contro i ricordi che lo riportano alla prima volta in cui si è trovato letteralmente costretto a notare Clarke Griffin, a riconoscere quel profumo.
 
 
Sapeva chi era ma non aveva mai sentito l’impulso di curarsi di lei.
Clarke, l’amica di Octavia, la stessa che ogni tanto, a mensa, sedeva al tavolo affianco al loro abituale con sua sorella e qualche altro moccioso del primo anno.
Fu proprio lei quel giorno a risolvere quello che Jasper aveva definito come un terribile problema, o meglio una disgrazia.
 
“Andiamo ho prenotato il campo da una settimana!”
Jasper sbuffava mentre camminava avanti e indietro nel cortile scolastico.
“Hei Jordan, finirai per consumare tutto il suolo a forza di camminare così.”
La voce di O’ aveva distratto il maggiore dei Blake, il suo sguardo vigile si era posato subito sull’esile corpo della ragazzina per assicurarsi che fosse tutto okay, appena dietro di lei riconobbe poi la sagoma di quella che ormai era diventata la sua inseparabile amica: Clarke Griffin.
“Allora si può sapere cos’è successo?”
Gli occhi di Octavia si assottigliarono in attesa di una risposta.
“E’ successo che Nathan e Bryan ci hanno dato buca all’ultimo momento dalla spassosissima partita di paintball che Jasper si era impegnato ad organizzare.”
Tagliò corto Raven.
“Che razza di finocchi.”
Il commento tagliente di John aleggiava nell’aria e provocò un riso piuttosto mesto tra Bellamy e Atom mentre la giovane Reyes si prodigò a sferzare una gomitata sullo stomaco di Murphy e sorrise soddisfatta in direzione delle ragazze appena arrivate.
“Se non troviamo due sostituzioni siamo spacciati… Tra mezz’ora dobbiamo essere lì e ormai è troppo tardi per disdire la prenotazione.”
Jasper sembrava davvero turbato ma questo sorprese davvero poco i suoi amici, lo stesso non fu per la giovanissima Griffin che effettivamente lo conosceva troppo poco per spiegarsi l’esagerata delusione quindi non riuscì ad impedirsi di aggrottare le sopracciglia.
“Andiamo Jordan non lagnare, vedo che posso fare…”
Dopo aver lanciato un’occhiata alla reazione della bionda, il maggiore dei Blake fece per allontanarsi scorrendo la rubrica sul suo telefono.
“Aspetta Bell, forse non c’è bisogno…”
Raven guardò intensamente le due ragazze e rivolse un sorrisetto intriso di furbizia  agli altri.
Gli occhi di Octavia s’illuminarono mentre sul viso di Clarke, che aveva capito tutto, sopraggiunse un’espressione leggermente preoccupata.
“Dovremo riequilibrare le squadre… Scommetto che non riusciranno mai a reggere i nostri ritmi.”
“Murphy falla finita con la tua dannata misoginia, sei un po’ cresciuto per avallare ancora certe teorie, non trovi?”
Harper lo fulminò con lo sguardo e l’altro rispose con una certa noncuranza
“Vedremo…”
“Siete davvero sicure che ne avete voglia?”
Clarke che fino a quel momento era stata in disparte, sembrava sul punto di voler dire qualcosa ma si bloccò non appena intravide l’espressione decisa ed eccitata sul viso dell’amica che annuì in modo eccessivo al fratello maggiore.
 
“Temo di non avere i vestiti adatti.”
Confessò la biondina ad Octavia mentre le due sedevano sui sedili posteriori dell’utilitaria di Bellamy.
“Tranquilla, ti daranno una tuta protettiva!”
“E se non dovesse bastare?”
O’ avrebbe poi spiegato al fratello che genericamente a Clarke non importava poi molto dei suoi abiti ma quel giorno era diverso, avrebbe avuto un appuntamento e dato che la partita di paintball le avrebbe impedito di fare tappa a casa, era terrorizzata all’idea di fare un’impressione sbagliata a quel Finn Collins se si fosse presentata tutta impiastricciata di colori.
Inutile dire che il maggiore dei Blake non riuscì del tutto a scrollarsi di dosso la prima impressione che aveva avuto su di lei.
Così improvvisamente la ragazza si sentì uno sguardo addosso che sapeva non appartenere alla sua amica, quasi istintivamente posò i suoi occhi sullo specchietto retrovisore.
Lì, incastonati nella superficie specchiata gli occhi scuri e profondi come pozzi di petrolio di Bellamy Blake la osservavano con una punta di arroganza.
“Andiamo principessa, siamo nel Ventunesimo secolo, esistono le lavatrici!”
John Murphy si lasciò scappare una sghignazzata che fece gelare il sangue di Clarke.
“Potresti evitare di chiamarmi così?”
Rispose lei rigida e con lieve stizza.
Bellamy allora, dopo aver sbuffato impercettibilmente, cercò nuovamente di osservarla dallo specchietto, il viso si era adombrato e i suoi occhi del colore dei lapislazzuli non si curavano più di lui ma erano rivolti lontano, fuori dal finestrino abbassato.
 
Ma non fu nemmeno in quel momento che il maggiore dei Blake prestò davvero attenzione alla ragazza, ovvio, forse fu proprio tramite il gioco di specchi che notò i suoi occhi così grandi da ospitare il mare in tempesta al loro interno eppure quel particolare non fu abbastanza per magnetizzare la sua attenzione.
Le squadre, almeno secondo la contorta teoria di Murphy, erano calibrate: due donne e due uomini l’una, forse lo erano persino più di quando a giocare c’erano Nathan e Bryan, aveva ammesso con una smorfia laconica.
Bellamy, capitano come sempre, aveva insistito per avere Octavia in squadra con lui e a sua volta la minore aveva implorato il fratello di prendere Clarke con loro, dunque Atom era stato l’unico che aveva davvero scelto senza badare ad alcuna richiesta.
Dall’altro lato la scelta di Murphy era ricaduta su Jasper, Harper e Raven  che indubbiamente formavano un formidabile team avversario.
E lo stupore del maggiore dei Blake arrivò proprio quando la partita stava per volgere al termine, non avrebbe mai potuto immaginare infatti che i due superstiti della loro squadra sarebbero stati proprio lui e la principessa.
 
E pensare che a pochi istanti dall’inizio la ragazza le aveva confessato di non aver mai giocato a paintball, né di aver tantomeno mai impugnato un’arma giocattolo per colpire deliberatamente qualcuno.
“Diamine Griffin e me lo dici solo ora?”
“Pensavo fosse solo un passatempo…”
Lui allora scosse la testa con fare esasperato
“In un certo senso lo è ma… devi sapere che siamo molto agguerriti quando si tratta di sfidarci.”
La ragazza si massaggiò una tempia in segno di resa.
“Forse possiamo ancora rimediare però.”
Il suo sguardo si puntò sul grande orologio-timer posto nella sala giochi, il loro campo era ancora occupato e non sarebbe stato disponibile prima di qualche minuto.
“Vieni con me.”
Le disse prendendole la mano di fretta senza nemmeno far davvero caso alla leggera scossa che il contatto provocò sulla sua pelle olivastra.
I due arrivarono in un’ampia sala nel cui limite vi erano dei bersagli concentrici, Clarke ne aveva visti di simili quando cambiando compulsivamente canale, in preda alla noia, le era capitato di guardare delle sfide di tiro con l’arco in televisione.
Il maggiore dei Blake aveva imbracciato uno dei fucili che la sala metteva a disposizione, non erano gli stessi che avrebbero utilizzato per la partita di paintball muniti di vernice colorata, no, questi sembravano molto più minacciosi ed il ragazzo se ne accorse quando lo sguardo di lei osservò la finta arma con un velo di preoccupazione.
“Tranquilla principessa, sono dei semplici fucili a piombini. Tu piuttosto sei pronta a diventare una vera dura? ”
Lei annuì ma ancora non del tutto convinta accennò solo un ghigno incerto.
Bellamy le si avvicinò piano, facendo del suo meglio per sfoderare uno sguardo rassicurante e le porse l’inconsueta arma, lei tentennò appena prima di imbracciare il fucile e rivolgere i suoi occhi al bersaglio.
Ma dopo pochi secondi, la ragazza, rendendosi conto di procedere solamente dando retta al suo istinto, cercò qualche conferma
“Quindi devo solo appoggiarlo sulla mia spalla?”
Chiese lasciando che il suo sguardo ricadesse nuovamente sul volto di lui mentre cercava di posizionarsi nel modo migliore.
Lui rispose avvicinandosi “Si…”
Poi con delicatezza portò le sue mani sul braccio di lei, la pelle chiara e fredda per via dell’aria condizionata, era lasciata scoperta dalla canottiera che indossava e Bellamy poté percepire tramite quel leggero tocco quanto ogni muscolo della giovane fosse teso.
Con l’altra mano scivolò lentamente sulla spalla per raddrizzare la postura e nel mentre cercava di spiegarle al meglio cosa dovesse fare
“ Un po’ più in alto…”
Farfugliò chinandosi per fare in modo che le sue labbra fossero più vicine all’orecchio di lei ma proprio mentre la frase abbandonava la sua bocca per librarsi nell’aria della stanza e le sue mani facevano pressione sulla pelle nuda della ragazza, un profumo acre e dolce al tempo stesso gli inebriò le narici.
Fiori d’arancio.
Lo stesso identico odore che aveva sentito quando da bambino si era ritrovato a correre in un frutteto della California; d’improvviso una sensazione di pace e spensieratezza lo colse; gli sembrava quasi di esser tornato quello stesso bimbo spensierato in vacanza con i suoi genitori, pronto ad esplorare ogni angolo dell’agriturismo in cui soggiornavano.
Bastò poco per capire che quel profumo apparteneva a lei, fu quando si allontanò appena dal suo volto infatti che esso si fece sempre più lieve, strinse appena la presa su di lei, fu un riflesso istintivo, non era sicuro di gradire tanta distanza da quell’inebriante fragranza…
La osservò dall’alto, il viso di lei era concentrato, un occhio puntato saldo dietro il mirino e l’altro socchiuso, imparava alla svelta, si disse scuotendo lievemente il capo, ancora leggermente frastornato da quella sensazione che aveva appena provato.
“Si, così va bene… Adesso guarda e impara.”
Disse infine allontanandosi rapidamente e raccogliendo dal distributore un altro fucile.
 
 Alla fine Octavia nonostante la sua indiscutibile agilità era stata eliminata dall’infallibile mira di Jasper, mentre Atom che aveva resistito fino a poco prima, per eliminare Harper, era stato colpito da Murphy alle spalle…
Tipico di John: non guardava in faccia nessuno, figuriamoci le regole di galateo nel combattimento.
Successe così che Bellamy Blake e Clarke Griffin si trovarono accucciati dietro l’imponente struttura in legno del campo che avevano affittato.
Consapevoli che dall’altro lato John e Raven, unici superstiti della squadra avversaria li stavano aspettando.
“Ti avevo detto che avremmo dovuto dividerci.”
Bisbigliò lui mentre la fulminava con lo sguardo.
“E’ solo una partita a paintball Blake.”
Il ragazzo soffiò lievemente stizzito
“Si da il caso che io non sia abituato a perdere…”
Lei in tutta risposta sbuffò ed un ciuffo di capelli le cadde sul viso.
Prima che potesse pensarci sola però Bellamy impugnò il fucile con le munizioni di vernice nella mano sinistra e con un movimento repentino le sistemò la ciocca dietro l’orecchio.
“Non devi… possiamo distrarci.”
Clarke aveva abbassato lo sguardo, presa alla sprovvista dall’intimità di quel gesto avventato mentre al maggiore dei Blake piacque pensare che il suo viso si fosse colorato di rosso, nonostante l’ombra della struttura non gli permettesse una grande visibilità.
Erano rimasti ancora un po’ così, in silenzio, solo loro due: l’allieva e il maestro, spalla contro spalla accucciati e incapaci di capire quale fosse la tattica migliore.
Fu ancora Bellamy il primo a parlare
“Senti facciamo così, io esco allo scoperto, attiro la loro attenzione… Con buone possibilità riuscirò a far tiro su entrambi prima che mi prendano a loro volta…”
Lancia un’occhiata fiera sulla sua tuta rimasta bianca, immacolata, senza alcuna macchia di vernice colorata.
“Tu invece sgattaioli fuori e invadi il loro campo, io cercherò di distrarli il più possibile e tu riuscirai a rubare la loro bandiera, tanto hai visto dov’è, no?”
Clarke scosse la testa.
“Moriremo.”
Disse con un filo di voce, riconoscendo troppo tardi che forse quel termine fosse un tantino fuori luogo.
“Non ce la faremo comunque, tanto vale provare!”
L’altra lo guardò serrando le labbra, improvvisamente seria, calata completamente nella tattica del gioco, il suo tale coinvolgimento, lo stesso che poco prima aveva criticato, lo fece sorridere.
“Ci sottovaluti, Clarke.”
E così dicendo il ragazzo uscì fuori allo scoperto sperando che la cara amica di sua sorella si ricordasse il piano mentre ascoltava le voci di Murphy e Raven che lo avevano identificato.
 
Vinsero.
Il suo piano aveva funzionato alla grande e la piccola Griffin era stata impeccabile nell’evitare di farsi notare.
Un moto di soddisfazione lo colse, è vero lo avevano colpito ma ciò non toglieva nulla alla loro vittoria.
Octavia abbracciò l’amica non appena uscì dal campo
“E tu che ti preoccupavi di sporcarti, alla fine sei l’unica rimasta pulita!”
Se Clarke prima rise senza alcuna preoccupazione addosso ma semplicemente alimentando quella felicità genuina e fanciullesca, qualche secondo dopo prese O’ per le braccia e con fiato corto si preoccupò
“Che ore sono?”
“Quasi le cinque, perché?”
“Merda. Sono in ritardo! Devo muovermi…”
Sparì così, con la vittoria in pugno e disperdendo al vento, in una corsa contro il tempo, tutta la gioia per la vittoria.
Ed In quel momento Bellamy Blake rimase deluso perché festeggiare senza chi ha condotto la squadra alla vittoria non è mai la stessa cosa.
 
-
 
Kane ha parlato ha per dieci minuti filati e lei è riuscita a captare solo alcuni frammenti delle sue frasi
“I ragazzi posso uscire dalla classe solo uno per volta e preferirei che Bellamy li sorvegliasse”
Oppure:
“Se ne avrete mai bisogno potrete usufruire della fotocopiatrice per un numero limitato di copie che poi vi comunicherò.”
Osserva Bellamy che come lei appare completamente distante.
“Potete usare qualsiasi strumento che abbiamo disposto sui banchi ma spetta a voi occuparvi del mantenimento e della pulizia di pennelli e qualsiasi altro tipo di materiale.
Marcus conclude
“A fine corso organizzeremo qualcosa per concludere al meglio ma su questo avremo tempo per metterci d’accordo, ora vi lascio, tra cinque minuti i ragazzi saranno qui, su quel foglio trovate l’appello. In bocca al lupo!”
Quando l’uomo si richiude la porta alle spalle Clarke sprofonda nella sedia mentre Bellamy espira sonoramente.
“Non ho sentito una singola parola di ciò che ha detto.”
Annuncia con una sorta di spavalderia laconica il moro.
Lei lo scruta da capo a piedi, a volte pensa che al vecchio Bellamy: l’adolescente arrogante e sbruffone ogni tanto piace fare ancora capolino, non è mai sparito del tutto e questa affermazione ne è la prova.
Lo rimprovererebbe se solo fosse stata attenta, la vecchia Clarke lo avrebbe fatto ma lei non è più quella ragazzina spensierata, oggi men che mai.
“Siamo in due, più o meno.”
Ammette con un filo di voce.
Il maggiore dei Blake ride di gusto e la ragazza non può far altro che guardarlo leggermente accigliata
“Chi se l’aspettava principessa? Tu completamente distratta ed incastrata con me a tenere una lezione per dei ragazzini che probabilmente saranno fotocopia esatta della nostra versione  di qualche anno fa. Ah, se i noi stessi del passato potessero vedere!”
Clarke vorrebbe riprenderlo ma non riesce più a pensare.
Le ultime frasi pronunciate dal più grande la fanno riflettere.
Forse è vero, anche loro erano così: dei ragazzini pieni di problemi che riuscivano ad affrontare solo quando se ne stavano tutti insieme.
Del resto all’epoca non erano in voga le terapie, non avevano avuto altra scelta se non quella di stare uno affianco all’altro. Ma adesso potevano fare la differenza e se la Clarke adolescente avesse potuto vedere quanto stava accadendo, sicuramente sarebbe stata fiera, forse sarebbe stata in grado anche di non commettere quegli errori madornali le cui conseguenze fanno ancora oggi eco nella sua vita.
D’improvviso ascolta Bellamy schiarirsi la voce ed istintivamente incrocia il suo sguardo, lui non dice nulla, tiene le labbra serrate e gli fa cenno con la testa di guardarsi alle spalle.
 
Eccoli.
Un gruppo di ragazzini sta entrando disordinatamente nell’aula, un vociare acuto riempie quel luogo e pian piano i banchi si popolano di visi e colori variegati.
Sente il cuore arrivarle in gola, rimane immobile ad osservarli, senza essere in grado di dire nulla, sa che dovrebbe parlare: deve presentarsi, catturare la loro attenzione, forse persino avvisarli che dovrebbero starsene in silenzio invece di fare tutto quel casino.
Ma nulla.
Clarke è immobile e il suo più grande timore, quello di non essere all’altezza, quello del panico che la sovrasta rendendola inerme, sta tragicamente prendendo forma.
Poi accade qualcosa.
Sente un principio di calore sciogliere la rigidità del suo corpo, il cuore si riassesta o quantomeno lascia che la sua gola non sia più stretta in una morsa, a Clarke sembra di riuscire nuovamente a respirare dopo troppo tempo passato sott’acqua.
I suoi occhi scivolano alla mano che ha tenuto lungo il fianco per tutto il tempo: non è sola, quasi avvinghiata a lei c’è quella di Bellamy che la stringe, percepisce la pelle calda e ruvida di lui a contatto con la sua e la bionda cerca di appropriarsi di tutta l’energia scaturita da quel tocco.
Inizia quindi a parlare, le parole rimbombano nell’aula senza che lei sia in grado di coglierle davvero, da fiato ad un flusso di pensieri che non è in grado di riconoscere ma con la coda dell’occhio vede il maggiore dei Blake annuire e allora capisce che ciò che sta dicendo non è un completo disastro, che va tutto bene se ha la sua approvazione.
Piano la stretta di lui si fa sempre meno presente fin quando il contatto si scioglie del tutto.
Ora è pronta, si siede e lui la emula prendendo il posto accanto al suo.
Gli occhi si posano sul foglio e comincia a scorrere i nomi, solo quelli, niente cognomi, non è una professoressa, è un’ancora, una via che quei ragazzi devono imparare a percorrere senza timore, dunque inizia a dar fiato e quei nomi cominciano ad avere dei volti che la ragazza cerca di far propri dentro sé.
“Gilbert.”
Un giovanissimo ragazzo con i capelli corvini alza la mano, la pelle chiarissima fa da contrasto con la gamma cromatica che sfoggia tra occhi e chioma.
“Jason.”
Il viso pulito dietro due grandi, forse troppo, occhiali da vista.
“Cassandra.”
Un volto paffuto e dolce, gli occhi luminosi come un ruscello limpido di montagna.
“Charlotte.”
Una bambina quasi, l’ovale ancora tondo, due occhietti vispi molto più scuri dei capelli biondo cenere.
 
 L’aula è di nuovo vuota.
Nell’aria è rimasto un odore acre: gli ormoni, riflette sovrappensiero.
Bellamy è ancora fuori, ha detto che sarebbe andato a prendere due caffè alla macchinetta al piano terra e Clarke si permette di girovagare tra i banchi.
Su ognuno di essi c’è un foglio con un albero disegnato sopra: è un esercizio elementare, aiuta a capire come ognuno di quei ragazzi vede il mondo.
Così ci sono foglie e fiori colorati, fusti dai colori autunnali, disegni abbozzati ed altri riprodotti fino all’ultimo dettaglio.
Rami spezzati, tronchi esili o estremamente grandi, uccellini di contorno, nuvole e poi…
Ce n’è uno che cattura la sua attenzione.
Nessun colore. Solo un leggero chiaroscuro delineato in modo più o meno accurato con la matita.
E’ un albero al centro di una radura, non c’è nient’altro, solo un terreno appena accennato, non c’è cielo, non c’è animale che popola l’illustrazione.
Sembra una quercia, si ritrova a pensare mentre si siede al banco, ed è spoglia, i rami sono secchi, vuoti.
Le venature del legno appena schizzate.
Gira il foglio per leggere il nome a cui appartiene quel disegno che tanto le ricorda i suoi:
Charlotte.
Solo il nome, senza cognome, proprio come ha scelto lei durante l’appello.
Ed una stretta al cuore la sorprende, cerca di ricordare il suo viso ma è troppo presto, chiude gli occhi ma immagini sovrapposte la confondono, le rimane solo un senso di profonda inquietudine, avverte un pizzico di amarezza, sa bene che l’arte sa fare anche questo, forse sa fare soprattutto questo.
Si lascia andare ad un sospiro.

“Che c’è? Sei già stanca?”
La voce di Bellamy è ronica ma amichevole e a Clarke fa uno strano effetto, non è abituata a sentirla così.
Nell’arco del tempo il tono che le ha dedicato è sempre stato diverso: diffidente in primo luogo, severo a volte, persino riluttante e poi di punto in bianco, in una sera d’estate, è stato incerto e velato dal desiderio.
Ma mai il maggiore dei Blake si è concesso ai suoi occhi come un amico e forse quel principio di confusione che sente in fondo allo stomaco è perché non sa come reagire a questo nuovo equilibrio.
“Grazie.”
Si lascia sfuggire.
Il moro ridacchia mentre le porge il caffè
“Non devi, ne avevo un maledetto bisogno per cui…”
Non conclude, lascia solo intendere.
Gli occhi di Clarke indugiano un po’ e poi si piantano sulla tazzina in plastica fumante.
Non era per il caffè, solo… per prima.
Ma non lo dice anche se realizza che senza di lui probabilmente non sarebbe riuscita ad abbattere quel muro di panico che si era venuto a creare tra lei e il resto del mondo.
“Dovremo darci una mossa a ripulire, non muori dalla voglia di tornare a casa? Perché io non credo di essere in grado di poter passare più di qualche altro minuto qui dentro.”
“Hai ragione, mettiamoci all’opera, avanti.”
E così dicendo, prova ad allontanarsi dalla strana sensazione che l’assale ogni qual volta si ritrova sola con il maggiore dei Blake e comincia a raccogliere matite e pastelli, si riscopre contenta di non aver tirato fuori tempere ed acquerelli o la prima giornata sarebbe stata infinita, passata a pulire ogni cosa.
Poggia tutto il materiale nell’armadietto sito vicino alla cattedra di cui Kane gli ha fornito una copia di chiavi.
Poi si permette di sedersi sul tavolo e osserva Bellamy ancora frastornata, lo vede raccogliere con cura i disegni e sistemare ogni sedia sotto il banco.
Non si è ancora soffermata su ciò che è accaduto in quel pomeriggio, non ha davvero realizzato che da quel momento lei e Blake lavoreranno fianco a fianco ogni settimana.
Non riesce ancora a capire cosa pensa di tutta questa faccenda, si sente solo estremamente confusa e si abbandona a quel torpore ancora per un po’, sorprendendosi a sorridere lievemente mentre quel ragazzo sistema in una pila ordinata tutti i disegni, muovendosi come se avesse un’estrema paura di rovinarne il contenuto.
“Ecco qui.”
Dice poggiando i fogli accanto a lei, inevitabilmente il suo sguardo si posa sulla pila e la ragazza cerca di nascondere un piccolo sussulto quando nota che il primo è proprio la quercia spoglia in bianco e nero.
“Piuttosto inquietante, per essere uscito fuori dalle mani di un’adolescente, non trovi?”
Osserva il ragazzo con una serietà che la sorprende.
“Lo avevo pensato anche io prima…”
Confessa lei.
“Pensi che funzionerà?”
Ora risulta quasi apprensivo, capisce subito che si riferisce al corso.
“Deve. Ci adopereremo affinché ci siano dei risultati.”
E non sa perché si è riferita al plurale, dopo tutto Bellamy non è che una sorta di sorvegliante, il suo ruolo non è davvero incisivo eppure Clarke riconosce che le risulta impossibile immaginare come potrebbe riuscire in quell’impresa senza di lui. 


Angolo autrice: Yuuh! Eccomi di nuovo qui tra voi.
Finalmente libera dagli esami, non durerà molto ma è già qualcosa, conoscete già il motivo del ritardo ma insomma da adesso in poi cercherò di essere più puntuale, promesso.
Ad ogni modo vorrei dirvi due cose:
spero che il capitolo renda, l'ho lasciato in cantiere per un po' e sono riuscita a terminarlo solo stamattina, mi auguro quindi che non risulti confusionario e aspetto conferme dato che sono piuttosto ansiosa di sapere cosa ne pensate :)
Infine mi sono resa conto della complessità della trama e spero tanto che non vi dia fastidio, iniziando a scrivere non avevo idea di dove mi portasse questo esperimento, ora la storia si sta delineando nella mia testa e credo che continuerà a svilupparsi in modo più o meno complicato.
C'è molta carne al fuoco e mi dispiace se tra Bellamy e Clarke le cose non vadano proprio a passo super-spedito, confido però che saprete apprezzarlo comunque... Mi sono resa conto che volevo lasciare il giusto spazio ad ogni vicenda e in parte ad ogni personaggio, so che potrete capire.
Nel frattempo vi mando un abbraccio forte,
vi ringrazio per tutto l'affetto ed il calore: siete davvero indescrivibili!

 
   
 
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