Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: Laylath    06/07/2017    3 recensioni
(Seguito di Un anno per crescere).
Da quel fatidico anno che unì in maniera indissolubile un gruppo di ragazzi così diversi tra di loro, le stagioni sono passate per ben cinque volte.
In quel piccolo angolo di mondo, così come nella grande città, ciascuno prosegue il suo percorso, tra sorprese, difficoltà, semplice vita quotidiana. Si continua a guardare al futuro, con aspettativa, timore, speranza, ma sempre con la certezza di avere il sostegno l'uno dell'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Capitolo 27. Per un figlio.

 


 
 
“È solo una tisana che aiuta a rilassare e a prevenire le contrazioni, non è un vero e proprio medicinale” spiegò Elisa mostrando ad Ellie la scatolina con alcune bustine.
Guardò la sua paziente con aspettativa, cercando di trovare un minimo spiraglio a cui aggrapparsi.
Ci aveva riflettuto tutta la notte ed era arrivata alla conclusione di non poter accettare una resa totale senza nemmeno aver provato a combattere. E se fossero bastate le dovute precauzioni per far andare tutto bene? Sarebbe stato tremendo avere rimpianti simili, specie per una cosa così delicata come la gravidanza.
Ed effettivamente negli occhi della signora Fury c’era una piccola scintilla di dubbio, una parte di lei che voleva provare a seguire i suoi consigli e lottare per il bimbo che portava in grembo. Tuttavia fu una crepa che durò solo qualche secondo prima che la donna scuotesse la testa con un mesto sorriso.
“Ti ringrazio, cara, ma non me la sento. Preferisco che la natura segua il suo corso, sperando che lo faccia presto”.
C’era tanta pena e sofferenza in quell’ultima affermazione che la dottoressa si sentì stringere il cuore. Com’era possibile che quella donna, da lei sempre considerato positiva e forte, fosse caduta in uno stato di depressione simile? Certo la sua storia clinica non era facile, ma alla luce della speranza che le era stata offerta un cambiamento d’atteggiamento sarebbe stato normale.
Perché si vuole fasciare la testa prima di essersela rotta? – si chiese, lasciando le bustine sul comodino nel caso la gravida avesse cambiato idea. Era un gesto calcolato, certo, ma durante il tirocinio le avevano insegnato anche queste piccole strategie per far fronte a pazienti difficili con i quali ci si trovava a gestire uno strano gioco psicologico.
“Per il resto come è andata la mattinata? – chiese per cambiare argomento – Spero sia riuscita a riposare”.
“In parte sì – annuì Ellie, spostando poi lo sguardo su Riza – è tornato Andrew?”
“Non ancora – ammise la fanciulla, osservando l’orologio appeso alla parete e constatando come ormai fossero passate alcune ore – ma sono sicura che non tarderà molto”.
“È stata una follia dirglielo – sospirò la donna – e tremo all’idea di dover dire tutto a Kain”.
“Perché dirgli tutto? – obbiettò Elisa con calma – a Kain basta sapere che lei è incinta, non tutto il resto della storia. Quello che succederà potrà essere spiegato come una cosa che può accadere, senza dover entrare nei dettagli”.
“Mi pare una buona idea – si sollevò Riza – così almeno lui non verrà caricato di un peso eccessivo. Che te ne pare, mamma?”
“Potrebbe essere la soluzione migliore – pure Ellie sembrava rincuorata da quella scappatoia – sì, direi che per adesso faremo proprio così”.
 
Dopo una decina di minuti, tranquillizzata anche da quanto deciso, Ellie si addormentò.
Riza, approfittando della presenza di Elisa che si offrì di vegliarla, decise di andare in paese a fare alcune commissioni: era il giorno in cui doveva portare un po’ di spesa a suo padre e non poteva venire meno a questa responsabilità che si era presa nei suoi confronti.
Non era mai piacevole svolgere quella mansione: ogni volta che apriva la porta di quella vecchia villetta era come se sentisse un vecchio magone salirgli alla gola. Come se invisibili e polverosi artigli cercassero di gremirla per portarla di nuovo alla sua vecchia esistenza. La lusingavano con l’idea della sua vecchia camera, della cucina dove aveva passato tanto tempo in solitudine, con quel concetto di bozzolo protettivo che da ragazzina era riuscita a ritagliarsi in quell’ambiente stranamente ostile.
Questa volta gli artigli erano più lusinghieri che mai: dopo quanto era accaduto a casa l’idea di stare tranquilla in quella vecchia cucina le appariva allettante. Senza nemmeno preoccuparsi di avvisare suo padre del suo arrivo, si mise a lavare i piatti e a sistemare la spesa, cercando di ricreare quel piccolo angolo di tranquillità di cui aveva estremo bisogno. Aprendo meglio le imposte vide il minuscolo boschetto di salici che stava nel cortile… nascondeva quella parte della casa al resto del mondo: le dava l’illusione che tutti i suo problemi potessero esser lasciati fuori.
Sì, era spaventata, inutile negarlo: aveva paura che la sua famiglia crollasse da un momento all’altro sotto il peso di quella gravidanza inattesa. Era come se all’improvviso le fosse arrivata la spiacevole consapevolezza che nemmeno i Fury erano perfetti come aveva immaginato. Tra Ellie ed Andrew c’erano dei segreti che avevano fatto perdere quel senso d’unione che sempre li aveva caratterizzati. E anche a Kain stavano venendo taciuti i dettagli che riguardava la sua nascita: se da una parte serviva a proteggere almeno lui, adesso che ci pensava bene Riza non poteva fare a meno di sentirsene turbata.
Non doveva essere come la villetta degli Hawkeye, nascosta al resto del mondo con stanze piene di polvere e cose misteriose e segrete. La famiglia Fury doveva essere come la casa dove abitava: luminosa, aperta, piena di cose deliziose e visibili, senza nessuna oscurità a turbarla.
“Ah, sei qui”.
La voce sottile eppure cavernosa fece sobbalzare Riza, tanto che il piatto che aveva in mano le cadde e si ruppe sul pavimento. Alzando lo sguardo vide che suo padre era sulla soglia della cucina, una mano posata sullo stipite. Indossava una pesante vestaglia di flanella sotto la quale si vedeva uno stropicciato e sporco pigiama. Sicuramente aveva passato gli ultimi giorni immerso nei suoi studi e solo da poco aveva ceduto all’esigenza di riposo: il viso era più affilato del solito con profonde occhiaie a testimoniare la mancanza di sonno. Gli occhi, in genere attenti e brucianti di sete di sapere, erano come appannati dalla stanchezza e sembrava che facessero un grosso sforzo per mettere a fuoco la figura di Riza.
“Ciao, papà – salutò proprio lei, cercando di mantenere un tono di voce saldo nonostante lo spavento provocato da quell’improvvisa apparizione – sono… sono venuta a sistemare un po’ la cucina”.
“Certo”.
I suoi occhi azzurri la fissarono per qualche secondo e a Riza sembrò di essere letteralmente spogliata. Come se con un solo sguardo quell’uomo fosse stato capace di capire cosa stava succedendo, cogliendo ogni sua minima paura e senso di disagio. Per un secondo fu certa di veder apparire un sorriso sarcastico su quelle labbra secche e screpolate. Quasi un “ti aspettavi che la tua vita ormai fosse come un e vissero felici e contenti?”. Fu solo un secondo, ma bastò per destabilizzare Riza più di quanto non lo fosse già: sentiva il suo cuore battere all’impazzata, era come se fosse paralizzata davanti a quella figura che, nonostante lei fosse cresciuta, continuava a sembrarle enorme.
Non ha nessun controllo su di me – si ripeté, quasi a convincersi – non ha nessun controllo…
Distolse lo sguardo da lui e si chinò per iniziare a raccogliere i cocci del piatto rotto. Uno di quei frammenti le tagliò il dito, ma lei non ci fece caso: rimase china sul pavimento fino a quando non sentì quell’ingombrante presenza allontanarsi silenziosamente dalla cucina.
Improvvisamente quella casa le sembrò più ostile che mai.
 
Dieci minuti dopo Andrew stava percorrendo il paese per tornare a casa.
Aveva vagato a lungo per le campagne cercando di recuperare un minimo di controllo: man mano che la mattinata si era fatta avanti era come se uno strano incantesimo avesse mollato la presa su di lui, facendogli capire che era stato uno sciocco a scappare di casa in quel modo, lasciando la sua famiglia a preoccuparsi. Non si era nemmeno premurato di lasciare un biglietto, un comportamento davvero irresponsabile.
Davvero bravo a lasciare tua moglie in una simile condizione.
Se lo disse con rimprovero, per quanto non rinnegasse del tutto quello su cui aveva rimuginato nelle ultime ore. Era ancora profondamente ferito dal fatto che Ellie non gli avesse mai detto nulla a riguardo: capiva che, con molta probabilità, l’aveva fatto anche per evitargli un dolore, ma non era così che funzionava.
Questa strana tensione tra loro gli aveva fatto tornare alla memoria un brutto episodio risalente alla nascita di Kain. Il giorno dopo quel tragico parto lui si era svegliato e toccando il neonato gli era parso che non respirasse affatto.
“Andrew… che succede?”
“Mi dispiace, non… non respira… non… Ellie, mi dispiace tanto…”
“Che fai? No… Andrew, no! Dammelo!”
“Ellie, non…”
“Lascia stare mio figlio!”

Al ricordo di come avesse cercato di portare via il bambino ad Ellie serrò gli occhi. Anche quella volta aveva sbagliato, non si era dimostrato all’altezza: non aveva dato la minima fiducia a Kain, non aveva capito come stavano davvero le cose, ossia che stava solo respirando estremamente piano.
“Va bene… va bene, Andrew Fury, smettila! – si disse, scuotendo il capo e fermandosi in mezzo alla strada – Rischi di andare fuori di testa se continui così ed è l’ultima cosa che serve alla tua famiglia”.
In quel momento avrebbe voluto bere qualcosa di veramente forte, come uno dei liquori che aveva suo padre: aveva bisogno di sentire quel liquido rovente bruciargli la gola e restituirgli la lucidità che gli serviva per affrontare la situazione. Per qualche secondo fu tentato davvero di andare a casa dei suoi genitori, ma farsi vedere in quelle condizioni equivaleva a venir sottoposto ad una serie di domande alle quali non aveva nessuna voglia di rispondere.
Inutile anche andare da Vincent, non l’avrebbe potuto aiutare: la questione riguardava la sua famiglia ed era giusto, anche per rispetto ad Ellie, che rimanesse entro i confini delle quattro mura. E nemmeno Laura doveva venirne coinvolta, per quanto avesse una gran voglia di sfogarsi con qualcuno.
Del resto i panni sporchi si lavano in casa, no?
Affrettò il passo, temendo che l’impulso di andare da qualcuno dei suoi amici più fidati si facesse troppo pressante. Si accorse solo all’ultimo di star passando vicino alla villetta degli Hawkeye e praticamente sbatté contro Riza che era uscita di corsa dal cancelletto.
“Mi scusi – balbettò la ragazza, tenendo lo sguardo basso e non riconoscendolo subito – io… papà?”
“Ehi, che faccia – commentò Andrew, notando il viso sconvolto della figlia. Fu anche sicuro di vedere un lieve accenno di lacrime – che ti è successo? Ti ha detto o fatto qualcosa?” d’impulso la prese per le spalle e la strinse a sé. Proteggere Riza da quell’uomo, questa che era una parte della sua vita di cui era estremamente sicuro: era come se un tassello fosse tornato finalmente al suo posto. Sentire il corpo della ragazza che da teso si rilassava contro il suo lo fece sentire incredibilmente meglio.
“Lui? – chiese Riza con voce soffocata, mentre si premeva in maniera quasi spasmodica contro il suo petto – non ha detto praticamente niente. Eppure… eppure… è come se capisse tutto, come se fosse lì pronto a cogliermi nei momenti in cui sono triste. Mi sento come trascinata verso il suo baratro!”
“Devi smetterla di andare in quella casa da sola – scosse il capo Andrew – non mi piace per niente. Quanto all’essere triste, presumo di esserne in parte il responsabile, vero?”
Riza alzò il viso verso di lui e fu doloroso vedere quegli occhi castani che si abbandonavano alle lacrime.
“Sono una stupida egoista – pianse – con la mamma in quelle condizioni non ho potuto fare a meno di pensare che la mia felicità stesse andando a rotoli. Invece di fare qualcosa mi sono fatta travolgere dall’idea che tutto quello che avevo sognato si stia distruggendo”.
“Non è così – la consolò Andrew, accarezzandole i capelli – non si sta distruggendo proprio niente. Se hai avuto questa impressione perché sono uscito di casa senza dire niente, ti chiedo scusa. Non è stato un bel gesto”.
“Mamma l’ha immaginato che potessi essere sconvolto”.
“Sono semplicemente umano, bimba mia, come tutti noi. E capisco che in confronto a tuo padre ti siamo sembrati la famiglia perfetta… ma non lo siamo. Come vedi i problemi ci sono per tutti quanti e anche le crisi possono succedere. E… e se questa volta non sono stato il padre che volevi ti chiedo scusa: ti ho lasciato da sola ad affrontare un’emergenza”.
Lo disse con sincero rimorso: aveva passato ore a pensare a tutti quei bambini che non aveva mai visto, dimenticandosi che ne aveva due vivi a cui pensare. Perché in quel momento, ai suoi occhi, Riza appariva come una bambina sperduta nel bosco che chiama disperatamente aiuto.
“Promettimi che non ci lascerai più soli. Lo so… lo so che sembra una richiesta idiota, ma… ma ti giuro, vedere lui che sembrava quasi gongolare mi ha fatta sentire malissimo! E anche se non siamo una famiglia perfetta non importa. L’importante è che affrontiamo le cose assieme, è tutto quello che ti chiedo! Sono stata troppo sola…”
“Dannazione, certo che sei stata troppo sola – Andrew la strinse con forza – e questo non deve più accadere. Coraggio, adesso asciugati le lacrime e torniamo a casa: tua madre ha bisogno di stare serena, a dire il vero è un’esigenza che abbiamo tutti”.
“C’è Elisa con lei – spiegò Riza, scostandosi da lui per recuperare un fazzoletto e asciugarsi le lacrime – adesso sta meglio dopo un malessere avuto stamattina. Abbiamo pensato di non dire molto a Kain… insomma, lui ha saputo della gravidanza ma non sa degli aborti”.
“Questo è già qualcosa – sospirò Andrew, passandosi una mano tra i capelli, mentre iniziavano a camminare – sono fatti che non dovrebbe mai sapere”.
“Papà…” Riza si bloccò e lo prese per mano.
“Dimmi”.
“Elisa dice che forse, dato che questa volta la gravidanza è già al terzo mese avanzato, le cose potrebbero andare diversamente e che la mamma potrebbe avere il bambino. Credi che sia possibile?”
Andrew strinse con forte quella mano morbida e calda. Era una possibilità davvero meravigliosa e per qualche secondo fu pervaso da una strana sensazione di redenzione. Se questa volta le cose fossero andate in maniera differente?
“Tua madre ha detto che è destinata ad abortire”.
“Lo so – ammise la giovane – però… non lo so, Elisa ha detto che è sbagliato partire così negativi. Sostiene che dovremmo fare tutto il possibile e devo dire che mi trovo d’accordo con lei. Però se ripenso a tutto quello che ha passato la mamma quando ancora non la conoscevo… se poi andasse male ne uscirebbe distrutta”.
Andrew esitò.
Non sapeva cosa rispondere perché non poteva mettersi nei panni di Ellie. Non poteva obbligarla ad insistere per un qualcosa che la stava torturando. Certo da una parte era meraviglioso pensare che ci fosse quella possibilità e una parte della sua mente stava già galoppando verso scenari dove il bambino cresceva mese dopo mese nel grembo materno fino a nascere.
E cancellare finalmente tutti questi anni in cui le è sempre mancato qualcosa. Scacciare quel senso di colpa che l’ha torturata nel profondo della sua anima… sarebbe davvero desiderare troppo?
“Adesso torniamo a casa – si limitò a dire – così Elisa può tornare in ambulatorio”.
 
Ellie con un sospiro allungò dal mano e dal comodino prese la scatolina di carta che conteneva le bustine della tisana. Approfittando di quel momento di solitudine, mentre la dottoressa era scesa per prendere congedo da Riza, aveva compiuto quel gesto che in qualche modo perverso aveva bramato per tutte quelle ore.
Erano innocue bustine di carta velina, si intravedevano le erbe triturate finissime e si sentiva anche un profumo piacevole, simile a quello del ribes. A guardarle bene non erano differenti dalle semplici tisane rilassanti che la madre di Elisa faceva da una vita.
“È sono una tisana che aiuta a rilassare e a prevenire le contrazioni, non è un vero e proprio medicinale”
Le parole di Elisa sembravano incredibilmente rassicuranti: niente medicine, solo una piacevole tisana da bere. Proprio come quelle che avevano il potere di calmare il mal di stomaco o il mal di testa.
Prevenire le contrazioni…
La mano libera andò a toccare il ventre. Il bambino era lì, presumibilmente tranquillo, che ancora non aveva subito nessun particolare trauma. In quel momento non riusciva a provare odio per lui, era come se l’essersi finalmente rilassata le facesse vedere le cose in maniera più positiva.
No no! Grosso errore, Ellie! Non cullarti nell’illusione di qualcosa che non potrai mai avere.
Posò la scatolina sul comodino e si sistemò meglio, posando la schiena contro i cuscini. Vigliaccamente preferì non fare caso alla mano che era rimasta sul grembo.
“Ciao, meraviglia”.
La voce di Andrew la fece sobbalzare e arrossire: si era fatta cogliere in flagrante?
Lo osservò, fermo sulla soglia, quasi aspettasse il suo permesso per entrare. Aveva un aspetto tremendo, sebbene avesse cercato di darsi una sistemata almeno ai capelli; tuttavia non riusciva a nascondere il fatto che fosse uscito prestissimo senza nemmeno preoccuparsi troppo delle sue condizioni. Quella visione le fece un’incredibile tenerezza: le ricordò di quando lui era giovane ed in qualche modo tremendamente vulnerabile, di quando cercava di fare di tutto per aiutare Laura nelle difficili condizioni di ragazza incinta e non ancora sposata. E adesso era di nuovo così: pronto ad affrontare un problema più grosso di lui con tutta la forza di volontà di cui disponeva.
“Non pensavo fossi tornato”
“Ho incontrato Riza mentre rientrava a casa e abbiamo fatto la strada assieme”.
Non disse dov’era stato e cosa aveva fatto, né lei glielo chiese, non era necessario.
“Povera cara – sospirò Ellie – oggi le ho affidato tutto quanto mentre io sto qui ad oziare”.
“Dovresti riposare – scosse il capo lui, andando a sedersi nel letto e prendendole la mano – ho saputo del malessere che hai avuto. Non ha senso affaticarti e a Riza non pesa pensare alla casa. Ti senti bene?”
“Sì, adesso sì… senti, mi dispiace, ti giuro che non volevo mentirti – iniziò lei, sentendo l’esigenza di mettere a posto almeno quell’importante questione – ma in tutti questi anni quelle gravidanze cominciavano e finivano senza che nemmeno io ne avessi piena consapevolezza. E ogni volta mi sentivo così… così umiliata – dovette fare uno sforzo per dire quella parola – e scioccamente pensavo che se l’avessi saputo mi avresti considerata diversa. Sapevo benissimo che eri al corrente della mia situazione, ma mi sentivo più sicura al tenerti all’oscuro di tutti quegli episodi”.
“Ti sarei stato accanto, Ellie, come potevi pensare che ti avrei considerata diversa?”
“Non lo so… ma credimi, la prima esperienza fu tremenda e Kain era così piccolo e stava ancora molto male. Non volevo aggiungere problemi dove ce n’erano già tanti. E poi le altre volte è stato quasi automatico non dirti niente: volevo solo proteggere te e Kain, tutto qui”.
Andrew stava per ribattere, ma poi scosse il capo e le rivolse un dolce sorriso, come a dirle che non valeva la pena di rinvangare quel passato così doloroso.
“Abbiamo i nostri ragazzi a cui pensare – disse infine – ho saputo dell’idea di non dire niente a Kain circa le tue reali condizioni”.
“Non voglio assolutamente che viva con qualche senso di colpa – annuì Ellie con risolutezza – lui ne deve uscire indenne da tutta questa storia. Giuramelo, Andrew: già soffro all’idea che ci stia passando Riza, ma Kain no! Sono disposta a tutto per lui”.
“Anche ad andare avanti serenamente fino a quando il tuo corpo deciderà?” le chiese Andrew a bruciapelo.
Ellie lanciò una rapida occhiata alla scatolina di carta e così fece anche Andrew. Di colpo le loro mani si cercarono e si strinsero convulsamente.
Offrire una possibilità seppure labile?
È solo una tisana, non un vero e proprio medicinale…
“Ti sosterrò qualunque sia la tua scelta, Ellie Lyod – le disse Andrew – dovesse accadere oggi, domani, tra una settimana… tra un mese… dovesse anche andare dannatamente a buon fine”.
“No… no – ad Ellie venne da piangere – Andrew, ci stiamo imbarcando in un discorso troppo illusorio, me lo sento. Sarebbe una follia, una follia troppo dolorosa per entrambi”.
“Già, dolorosa… ma è anche doloroso vedere come lanci occhiate alle tisane che ti ha lasciato Elisa”.
“Cielo… cielo…” singhiozzò lei, posandosi pesantemente contro i cuscini. L’ondata di ottimismo era finita, adesso si sentiva nuovamente schiacciata dal peso di quella gravidanza inattesa. Non si era mai sentita così lacerata in vita sua; per Kain mai e poi mai aveva avuto dubbi simili: sapeva che doveva nascere e vivere a prescindere da quanto dicevano gli altri. Ma qui non capiva più dove finiva l’illusione e iniziava la realtà, dove i deliri causati dall’istinto materno lasciavano spazio ad una lucida analisi della situazione.
“Ellie, ascoltami – mormorò il marito, baciandola in fronte – faremo quello che vuoi tu. Se vuoi provare a prendere quelle tisane ti sosterrò, idem se deciderai di non fare niente. Ti sono stato accanto quando è nato Kain, non ti ho lasciato nemmeno quando rischiavi di morire: non importa come andrà a finire, mi hai già dato un figlio meraviglioso, non ti potrei chiedere altro. Voglio solo che tu stia bene, che faccia quello che ti senti”.
“Non lo so! Non so nemmeno io cosa sento!”
“Andiamo per gradi allora – cercò di calmarla lui, prendendo un fazzoletto e asciugandole le lacrime – per adesso pare tutto in ordine, non ha bisogno di quella tisana a prescindere. Adesso pensiamo bene a quello da raccontare a Kain come rientra da scuola e poi deciderai tu domani o dopodomani, quando vorrai”.
“È solo una fuga”.
“No, è il tempo che ti serve per decidere”.
 
“Buon pranzo, ci vediamo domani!” salutò Janet con entusiasmo, iniziando a correre nel sentiero che la conduceva verso casa.
“Buon pranzo!” rispose Kain, salutando con il braccio.
Attese che la ragazzina si voltasse del tutto e poi iniziò a correre pure lui verso casa. Non vedeva l’ora di vedere sua madre e congratularsi con lei per la bella notizia che aveva ricevuto quella mattina. Un fratellino in arrivo, ancora non ci poteva credere! Aveva faticato tantissimo per stare attento alle lezioni, per non lasciarsi sfuggire niente con Janet: in realtà aveva voglia di raccontarlo a tutti quanti. Sarebbe voluto andare in paese a dirlo a Roy, Heymans e Vato: sicuramente sarebbero rimasti di stucco.
Fratello maggiore! Diamine, divento fratello maggiore!
Gli sembrava incredibile e meraviglioso allo stesso tempo avere quel ruolo. Aveva sempre ammirato Jean ed Heymans per il loro essere fratelli maggiori: era come se avessero un’aura di importanza in più rispetto al resto di loro. E ora sarebbe toccato pure a lui.
“Sono a casa! – esclamò, entrando di corsa dall’ingresso principale. Poi, colpevolmente, si ricordò che sua madre poteva riposare e così abbassò il tono della voce, preferendo andare in cucina – Ehi, eccomi tornato!”
“Ciao, ragazzo – lo salutò Andrew. Stava finendo di apparecchiare la tavola, mentre Riza si destreggiava ai fornelli – tutto bene a scuola?”
“Certamente. Ma dov’eri stamattina?”
“Avevo delle commissioni importanti da fare… potresti venire con me nello studio? Ti voglio parlare e non voglio disturbare tua sorella”.
“Certo” annuì perplesso Kain, seguendolo nel salotto e poi nel suo studio. Non si era nemmeno curato di levarsi la tracolla con i libri di scuola. Gli sembrava che suo padre fosse strano, ma non riusciva a capirne il motivo. C’era qualcosa di sbagliato in quella casa: non stava emanando il senso di gioia e aspettativa che si confaceva ad un bimbo in arrivo
Il padre rimase a guardarlo per qualche secondo, le mani giunte davanti alla bocca, come se stesse raccogliendo le idee prima di parlare.
“Tua madre aspetta un bambino” disse infine.
“Lo so – annuì lui, con un sorriso felice – me l’ha detto Riza stamane. Oh, ma forse era un segreto? Nel caso farò finta di essere sorpreso quando me lo dirà la mamma”.
“No no, non è un segreto, diciamo che ha voluto esserne sicura prima di dircelo. Senti, Kain, è un po’ difficile da spiegare, ma tua madre non si aspettava di restare incinta. Non dopo più di quindici anni dalla tua nascita”.
“Beh, anche io ormai ci avevo messo una pietra sopra, però…”
“Il fatto è che non è una gravidanza semplice”.
Fu una frase detta con estrema pacatezza, ma per Kain fu come se un macigno gli fosse stato lanciato addosso.
“Sta molto male?” chiese con esitazione.
“No no, per ora sta bene… ma è un po’ come era successo per te. Ti ricordi cosa ti raccontava, no? Che ha rischiato di perderti più volte mentre ti portava in grembo”.
“È così anche questa volta? – gli occhi scuri del ragazzo si sgranarono, l’entusiasmo che lasciava il posto alla preoccupazione – Mamma rischia di perderlo?”
“Non lo sappiamo, comunque è necessario che stia tranquilla, va bene? Ha bisogno di tutto il nostro appoggio”.
“Posso andare da lei?”
“Certamente, ti sta aspettando. Però ricordati di tenere un tono di voce calmo”.
Kain annuì e uscì dallo studio.
Arrivato davanti alle scale esitò: nell’arco di pochi minuti l’entusiasmo era sparito per lasciare spazio ad una strana e fastidiosa angoscia. Adesso aveva paura di vedere sua madre.
Come la mia gravidanza?
I ricordi di quei racconti tornarono alla memoria. Certo, i suoi genitori li avevano intrisi solo del grande amore che portavano per lui, ma con gli anni li aveva in parte spogliati di quel tono fiabesco, arrivando alla nuda realtà dei fatti: sua madre aveva rischiato di perderlo più volte ed era quasi morta nel metterlo al mondo ad appena sette mesi di gestazione. Improvvisamente quella possibilità di morte si fece più concreta e dovette scuotere con forza il capo per cacciarla via.
Lasciando cadere la tracolla a terra si decise a salire quella rampa di scale, i gradini che sembravano non finire mai e fece quella decina di passi che lo portarono davanti alla camera dei suoi genitori
“Mamma?” chiamò flebilmente, bussando alla porta in modo così debole che a stento sentì il suono delle nocche contro il legno.
“Vieni” rispose una voce da dentro.
Kain annuì e si fece coraggio nell’abbassare quella maniglia. Non sapeva cosa aspettarsi: già l’idea di trovare sua madre ancora a letto adesso, dopo aver saputo delle difficoltà della gravidanza, gli dava un forte senso di fastidio. Non era abituato a vederla in una simile maniera: per lui sua madre era sempre forte, attiva, vitale… bella come l’aveva vista negli ultimi tempi.
Vederla leggermente pallida in quel letto gli fece profondamente male.
Oh no, no! Tu non devi stare male. Tu sei mia madre! – pensò in maniera frenetica, dando particolare enfasi all’aggettivo possessivo.
“Ciao, pulcino, è andata bene a scuola?”
“Sì – annuì lui, facendosi avanti e andandole accanto – e tu come stai?”
“Non male – sorrise lei – però, ordini di Elisa, è meglio che stia a riposo. Papà ti ha detto che cosa sta succedendo?”
“Sì, aspetti un bambino… io… congratulazioni, mamma” si sforzò di dire, cercando di recuperare l’entusiasmo di poco prima. Sul serio, come aveva fatto ad essere così lieto per tutta la mattinata?
“Grazie” rispose con semplicità Ellie.
Era un sorriso stanco il suo, come se si stesse obbligando a recitare quella piccola commedia. Poi Kain notò la mano che stava posata sul ventre e quel gesto in qualche modo lo tranquillizzò: quello rientrava nella normalità di sua madre. Essere amorevole e protettiva verso un figlio era il suo modo di agire.
“Andrà tutto bene, vero?” posò la sua giovane mano sopra quella materna.
“Sì, Kain, andrà tutto bene”.
Sembrava tanto una bugia, una di quelle che a volte gli adulti raccontano ai bambini a fin di bene, secondo il loro modo di vedere. Ma in quel momento Kain sentiva l’esigenza di credere a quella strana menzogna che intuiva senza riuscire a comprendere del tutto.
Ma lei farà qualsiasi cosa per un figlio – si convinse
– su questo non devo aver dubbi.





 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Laylath