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Autore: Kanako91    06/07/2017    3 recensioni
Sullo sfondo della tragedia dei Sindar del Doriath, Galadriel deve scendere a patti con la sua volontà e gli ordini di una regina, mentre Maedhros deve pagare la lezione che aveva cercato di impartire ai suoi fratelli.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Celeborn, Dior Eluchíl, Figli di Fëanor, Galadriel, Maedhros
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Tempi di Alberi, di Fiori e di Frutti'
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Mai più si rialzerà - II. Caduta


Mai più si rialzerà


II. Caduta






Nella sala dalla volta stellata, tra i capelli neri di Dior Eluchíl si mescolavano quelli argentati di Nimloth, come la notte bagnata dai raggi di Rána. Lei si era lasciata dietro una scia di sangue nello strisciare verso il marito e, dalle orme insanguinate, Nelyafinwë poteva ricostruire il percorso che aveva fatto Curvo da quando aveva tagliato la gola della regina a quando era caduto sotto le lance delle guardie.

Vicino al battente scardinato del portone, Kano coprì con il mantello il volto pallido e pacifico di Moryo.

Nelyafinwë aveva sbagliato.

Aveva creduto che mandare avanti Tyelko e Curvo, seguiti da qualcuno meno coinvolto di loro, avrebbe aiutato i due a raffreddare gli animi brucianti per il desiderio di vendetta.

«Un ladro indossa ciò che è nostro».

Quelle erano state le parole di Tyelko, quando Pityo e Telvo avevano riportato le voci che circolavano.

«Deve restituircelo, appartiene a noi e non alla sua famiglia di Elfi Scuri» aveva continuato Tyelko. «Ascoltami, Nelyafinwë: chiamiamo a raccolta gli eserciti e marciamo sul Doriath».

«Sarà facile ora che la Cintura si è dissolta» aveva detto Curvo. «Vittoria garantita, a dispetto di qualsiasi esitazione».

L’incendio era stato appiccato e, mentre aspettavano la risposta alla lettera che Nelyafinwë aveva inviato, il malcontento era serpeggiato tra i soldati, che si erano radunati intorno alla sua fortezza. Gli erano tornate alla mente le voci su quel che avevano fatto i suoi due fratelli nel regno di Findaráto. Sapeva che avrebbero fatto lo stesso a lui.

Dior non aveva risposto e Nelyafinwë aveva ceduto.

Aveva davvero creduto che l'influenza di Moryo avrebbe riportato l’equilibrio. Dopotutto, negli ultimi anni, si era calmato molto e non avrebbe reso palesi i suoi intenti, come avrebbe fatto invece la presenza di Kano.

Come si era sbagliato. Quanto aveva sbagliato.

Che importava ormai? Il suo errore di valutazione lo aveva pagato a carissimo prezzo.

«Russandol!»

Nelyafinwë sollevò lo sguardo verso Pityo che attraversava il portone spalancato.

«Ci sono morti lungo tutti i corridoi». Pityo lanciò un rapido sguardo a Kano inginocchiato per terra, il suo viso si indurì e proseguì verso Nelyafinwë.

«Anche le guardie che hanno fatto questo scempio sono morte» disse Telvo, da dietro una colonna.

Scempio.

Nelyafinwë rivolse lo sguardo ai cadaveri del re e della regina. Negli occhi, un altro re dai capelli neri, disteso nel suo stesso sangue, si sovrappose a Dior.

Chi aveva compiuto lo scempio per primo?

Pochi passi più in là, pur coperto dal mantello, Tyelko non sembrava aver goduto della vendetta che aveva tanto desiderato. E Curvo… La sola idea di mandare un messaggio a Sud faceva salire nella gola di Nelyafinwë il gusto amaro della bile.

Non sarebbe dovuta finire così.

Avrebbe dovuto condurre lui l’attacco, forzare Dior a delle trattative e spiegargli che i loro eserciti erano pronti e che non avrebbero avuto pietà. Magari questa volta avrebbero avuto davanti un re che capiva davvero la situazione.

Invece, Nelyafinwë non faticava a immaginare l’approccio di Tyelko. Se gli aveva rivolto almeno un frazione di quelle parole infuocate con cui aveva aizzato gli eserciti, quell’esito non era sorprendente.

Strinse i pugni. Avrebbe dovuto saperlo.

Lo aveva saputo nel profondo.

Eppure…

«Sire!»

Un soldato attirò la sua attenzione fuori dalla sala del trono ed esitò sulla soglia, senza accennare un passo avanti.

«Quali nuove?»

«Non abbiamo trovato i due bambini» disse il soldato. «Né il Silmaril. Né la Collana dei Nani».

Com’era possibile? Aveva incrociato alcuni uomini di Moryo, che gli avevano assicurato di aver intravisto i due figli di Dior attraverso le porte, in piedi al fianco di Nimloth.

«Abbiamo trovato giochi e segni del loro passaggio, ma dei bambini nessun’altra traccia» disse il soldato.

Nelyafinwë si incamminò verso il portone. «Portami a vedere quel che avete trovato» disse e si rivolse agli Ambarussa. «Date indicazioni per portare fuori i corpi dei nostri fratelli e richiamate i soldati sparsi».

Telvo annuì e Pityo disse: «Ho già chiamato a raccolta fuori dalle grotte quelli che ho incontrato nel mio giro».

Nelyafinwë si fermò vicino a Kano e attese che lui sollevasse la testa. Aveva le sopracciglia aggrottate, le labbra serrate, come se volesse dire qualcosa e si stesse trattenendo dall’esprimere la sua frustrazione.

Lui sentiva quel che si agitava in Kano, ma non era il momento. Doveva capire cos’altro era successo e di quanto avrebbe dovuto crescere la sua rabbia. Perché Nelyafinwë era furioso, e il dolore non faceva che alimentare quelle fiamme.

Era pur sempre il primogenito di Fëanáro. Certe cose, aveva scoperto ad Angamando, le sentivano allo stesso modo.

Quegli ultimi anni si stavano rivelando un dolore atroce dietro l’altro.

«In mia assenza, lascio a te la guida, Kanafinwë» gli disse, slacciò dal fianco la spada di loro padre e gliela porse.

Kano si alzò per prenderla, gli occhi vuoti, e annuì.

«Come vuoi, Nelyafinwë».

Lui lasciò la sala del trono dal soffitto di stelle e la morte che ne copriva il pavimento, per seguire il soldato in una saletta in cui erano distesi tappeti con immagini di prati e fiumi, le pareti dagli angoli segnati da tronchi scolpiti e rivestite di arazzi con animali che facevano capolino tra gli alberi. Sparsi per terra c’erano giocattoli di legno, laccati e intagliati, blocchi per le costruzioni, e bestie di stoffa e paglia.

«È tutto in disordine» disse il soldato, «come se non avessero smesso di giocare–».

«Sì, vedo anch’io» lo zittì Nelyafinwë, ma non osò muovere un altro passo in quella saletta. I suoi stivali erano luridi di sangue e fango, non aveva il cuore di rovinare quel santuario infantile.

Dove erano finiti i bambini? Chi li aveva strappati ai loro giochi?

Tu, Nelyafinwë, tu.

«Sire, abbiamo trovato chi può dirci qualcosa sui figli di Dior».

Nelyafinwë si voltò per trovare un altro dei suoi soldati con una mano stretta intorno al braccio di uno degli uomini di Tyelko, con i capelli in disordine, del sangue sull’armatura e sul viso, l’aria scocciata di chi avrebbe avuto di meglio da fare.

«Cosa sai dei bambini?»

Il soldato scrollò le spalle. «Stavano cercando di fuggire con una balia, li abbiamo presi».

Nelyafinwë mosse un passo più vicino al soldato di Tyelko, ergendosi in tutta la sua altezza, e ottenne l’effetto sperato: il soldato perse l’aria strafottente che doveva aver imparato dal suo signore. Forse iniziava a rendersi conto di cosa aveva detto.

«E perché non hai pensato di informarmi prima?»

«Perché non avevano con loro il Silmaril e ora non li abbiamo più noi» squittì il soldato.

Nelyafinwë poteva giurare di sentire qualcosa pulsare sulla tempia. «Dove sono?»

«Nella foresta».

Nelyafinwë incontrò lo sguardo del suo soldato, che era impallidito.

Nella foresta.

Nelyafinwë ricordava cosa avevano sentito nella foresta mentre marciavano verso Sud-Ovest. I segugi di Tyelko erano stati impazienti di lanciarsi alla caccia, ma suo fratello, dopo aver perso i primi, aveva badato bene a tenere le sue bestie al guinzaglio per evitare di perderle tutte.

Da quando era caduta la Cinta di Melyanna, quelle terre erano in balia delle creature che prima ne erano rimaste fuori.

Ma il soldato di Tyelko non sembrava rendersi conto di quel che aveva appena detto.

«E come mai sono nella foresta?»

Nelyafinwë notò il suo soldato deglutire. Aveva riconosciuto quel tono.

Non si poteva dire lo stesso del soldato di Tyelko, che rispose con fare sbrigativo: «Il capitano ha detto che erano inutili e quello era il giusto prezzo per la morte del nostro signore».

Nelyafinwë lo colpì con un manrovescio, che gli fece sputare qualche goccia di sangue, e guardò il suo soldato.

«Recuperate anche gli altri responsabili, togliete loro armi e armature» gli disse. «Saranno disciplinati appena avremo lasciato questa maledetta foresta»



Le chiome degli alberi sparivano nell’oscurità della notte e Nelyafinwë non aveva il coraggio di alzare la testa per abituare gli occhi a quella tenebra. Sapeva che nessuna stella lo avrebbe aiutato, c’erano state nubi cariche di neve in arrivo da Nord e l’aria si condensava in sbuffi pallidi a ogni respiro.

Quello avrebbe potuto aiutarlo a ritrovare i bambini.

Sempre che non siano già morti per il freddo.

Nelyafinwë scacciò quel pensiero, che aveva la voce di Finno, dura e senza pietà dopo la traversata dell’Helcaraxë. Era riuscito ad ascoltare quel racconto una volta sola, per quanto sua zia Írimë avesse cercato di parlargliene ancora, nel tentativo di spiegare gli sguardi sprezzanti di Turukáno e l’assenza di Elenwë al fianco della piccola Itarillë.

I figli di Dior erano molto più piccoli di lei quando aveva iniziato la traversata dell’Helcaraxë.

Delle tracce a terra gli fornirono la distrazione di cui aveva bisogno.

Nelyafinwë si accovacciò, per percorrere con le dita il segno nel manto di erba e foglie ormai marce. Era un segno troppo vecchio, di almeno due giorni, per essere dei figli di Dior o di chiunque fosse fuggito dalle Mille Caverne.

Avresti dovuto portarti un segugio e uno dei giochi di quei bambini.

La voce di Tyelko era beffarda e Nelyafinwë sapeva che si trattava di uno scherzo della sua mente.

Ma cosa mi posso aspettare da uno che andava a caccia con Findaráto? Lui ammazzava la selvaggina con i suoi canti atroci.

La risata costrinse Nelyafinwë a stringere un pugno al petto e chiudere gli occhi. Perché doveva immaginare cosa avrebbe commentato Tyelko? Non aveva alcuna utilità. Era solo un pugnale rigirato nella sua carne, in una ferita ancora aperta e sanguinante sotto gli abiti e l’armatura.

Perché te lo meriti, e questa volta la voce suonava come Curvo. Volevi impartirci una lezione, dimostrarci che la vendetta contro Lúthien e il suo bamboccio mortale non ci avrebbe condotti da nessuna parte, che era una deviazione dal nostro giuramento. Per questo ci hai lasciati alla guida dell’esercito, per farci scontrare con la dura realtà.

Complimenti, fratello maggiore, ci sei riuscito.

Nelyafinwë si alzò e riprese a camminare tra gli alberi. In lontananza, i segugi di Tyelko abbaiavano e latravano da più punti. Non lo rassicurava che fossero stati presi in mano dai suoi soldati, quelle bestie riconoscevano un solo capobranco, e ora era morto.

Avrebbe dovuto lasciarli liberi, che seguissero il loro destino. Non li avrebbe obbligati a seguire un esercito in cui non avevano alcun interesse.

E di sicuro un branco di segugi avrebbe dato del filo da torcere alle bande di Orchi che infestavano le terre abbandonate. Forse alcuni di loro sarebbero anche sopravvissuti ai mannari con cui si contendevano le prede.

Ma per adesso servivano, dovevano rimediare all’idiozia dei loro compagni elfici.

Tieni d’occhio Pityo e Telvo, fratello, gli mormorò la voce di Moryo. Se i servitori di Tyelko hanno fatto questo, cosa credi vorranno i nostri fratelli? Sono anche loro belve feroci che hanno perso il capobranco.

Un tronco portava un segno orizzontale, una tacca, come un marchio del passaggio di qualcuno. Ma era troppo in alto per essere stato lasciato da due bambini.

Dov’erano?

L’immagine di Pityo e Telvo che giocavano nella boscaglia da piccoli emerse dagli alberi di Neldoreth, le loro risate risuonarono nelle sue orecchie insieme al suono di foglie al vento. Nelyafinwë chiuse gli occhi e premette le dita sulle palpebre, finché le stelle non sostituirono quei ricordi.

Non poteva. Non poteva associare gli Ambarussa a quei bambini.

Ci erano riusciti i suoi fratelli, poteva riuscirci anche lui.

Un fruscio tra gli alberi e Nelyafinwë si voltò di scatto, la speranza che montava, sciocca, inutile.

Un tintinnio di metallo.

Nelyafinwë deglutì un sapore amaro.

Era solo uno dei suoi soldati. Il viso cupo, le spalle ricurve sotto il mantello.

«Sire, non ci sono tracce» disse il soldato e si fermò a una doppia dozzina di passi da lui. «Neppure i cacciatori di Turkafinwë riescono a trovarli».

Nelyafinwë annuì e fece segno con la mano di andare. Con un tintinnio di metallo, il soldato si allontanò, lasciandolo solo con la nausea montante.

Non avrebbe dovuto lasciare andare avanti Tyelko e Curvo.

Non avrebbe dovuto contare su Moryo perché facesse quello che era il suo dovere.

Nelyafinwë era il fratello maggiore, era lui il capofamiglia dalla morte del padre. Avrebbe dovuto prendersi cura lui dei suoi fratelli, guidare l’esercito verso il Doriath, stabilire la strategia e garantire che la rispettassero tutti.

«Gli parleremo, certo», aveva detto Tyelko. «Lo convinceremo di persona a restituirci quel che è nostro. Dopotutto le nostre parole saranno più efficaci delle tue lettere garbate».

Era stato uno sciocco irresponsabile a credere a Tyelko. Sapeva benissimo come parlava lui, come rincarava la dose Curvo, e come Moryo avrebbe potuto sbottare qualcosa sugli Elfi Scuri alla prima provocazione.

Eppure li aveva lasciati andare.

Kano lo aveva guardato con disapprovazione, solo gli Ambarussa erano stati entusiasti della strategia.

E i risultati li aveva appena visti.

La sua mente tornò a quella saletta con i giochi sparsi sui tappeti. Giochi di bambini piccoli, molto più piccoli di Tyelperinquar quando Finwë era morto. Dopotutto, quanto tempo fa avevano saputo della nascita degli eredi del Doriath? Ricordava quel momento, come se fosse stato il giorno prima.

«Dior Eluchíl ha appena avuto due gemelli» aveva riportato Telvo e Tyelko aveva ghignato.

Quanto tempo era passato? La notizia della morte di Lúthien era stata veloce a diffondersi, aveva potuto sentirla nel canto degli uccelli, ma quella sul Silmaril arrivato in mano a Dior era stata lenta a giungere. E solo poco prima era arrivata quella della nascita dei figli.

Quanti anni potevano avere? Pochi, con ogni probabilità, nemmeno mezza dozzina. Erano ancora nell’età dei giocattoli, erano così giovani.

Nelyafinwë poteva capire la morte di loro padre, poteva sforzarsi ad accettare quella della regina.

Ma i bambini…

Li avevano persi. Due bambini.

Dior Eluchíl ha appena avuto due gemelli.

Nelyafinwë premette la mano contro un albero e, con la bile e il dolore, sputò fuori anche gli ultimi brandelli di rispetto di sé rimasti.







Nota dell'autrice


E così giunge al termine questo dittico sul Secondo Fratricidio.

Questa parte mi ha creato non pochi mal di pancia, e ne ha creati anche a Chià, quindi non so. È una di quelle cose che non volevo scrivere ma, nel fare ricerche e nello scrivere "Nessuna resa" è stato necessario affrontare.

Lo trovo uno dei momenti più bui delle vicende che si svolgono intorno alla Guerra dei Gioielli, per tutti i personaggi coinvolti in entrambi gli schieramenti, e non ho potuto fare a meno di chiedermi: cos’è successo a Nelyo a questo punto della storia? Perché ha fatto andare avanti Tyelko e Curvo che chiaramente erano butthurt per questioni personali? Perché è successo quel casino dei gemellini abbandonati nel bosco? Come ha fatto a salvarsi Elwing?

Se nella prima parte ho provato a rispondere all’ultima domande e in parte a quella sui gemellini, in questa ho cercato di esplorare un po’ tutto questo, senza fare favori a nessuno – perché non mi piace fare favoritismi (nonostante il mio cuore tenda a stare tra gli Umanyar).
Ovviamente, quando si ama qualcuno si accettano anche i difetti e sarebbe ridicolo santificarli a povere vittime, così come sarebbe ridicolo giustificare le azioni dei Feanoriani perché hanno il giuramento, sono dannati e quant’altro.
Questo è un momento orribile e ho cercato di trattarlo nel modo migliore possibile (secondo ipotesi e headcanon tutti miei).

Spero che a questo punto siano chiare le dinamiche che ho ipotizzato per la seconda Caduta del Doriath e il Secondo Fratricidio!

Ovviamente "Nessuna resa" non è nella stessa continuity di questa storia (niente past!Nelyo/Finno qua, né Nelyo avrà alcun incontro privato con Elwing), ma lo è con le altre della raccolta in cui si trova. Giusto per dare un’idea del filone che sto seguendo (e se un giorno finirò di scrivere la mini-long su Írimë sarò molto contenta).

Altra nota, la spada di Fëanáro: mi piace pensare che fosse il simbolo del ruolo di comandante delle schiere feanoriane, ancora più dopo l’abdicazione di Nelyo e il passaggio della corona alla Casa di Nolofinwe. Mi piacciono gli oggetti-simbolo, è un must per me!

Credo di aver scritto un sacco di parole inutili, yay!

Sono in anticipo di due giorni, ma direi che tyelemmaiwe può considerare pure questo capitolo un “buon compleanno” (c’è Nelyo, anche se non proprio come sarebbe opportuno per il compleanno eh eh)!

Ci vediamo tra due settimane con l’ultimo racconto prima delle vacanze estive... qualcosa di un po’ complesso, ecco.

Grazie a chi ha letto!

Kan


   
 
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