Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: ElenaNJ    07/07/2017    2 recensioni
[crossover con Cosmowarrior Zero]
Siamo nel 2984 e la rinata Federazione Terrestre è sotto shock: Tadashi Daiba, il suo amatissimo Primo Ministro, è stato assassinato da un individuo identificato come... Harlock!
Warius Zero, di ritorno da una lunga missione ai confini del cosmo, è contattato in gran segreto da Yuki Kei e, messo al corrente degli inquietanti fatti che fanno da contorno e precedono il delitto (tra cui il sospetto di una cospirazione ai livelli alti del Governo e la sparizione di gran parte dell'equipaggio dell'Arcadia), decide di portare a termine la missione che gli era stata affidata quattordici anni prima: catturare Harlock.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cap 8 Un passero cantò fra i rami della vecchia quercia e Tori spiccò il volo alla sua ricerca.
Harlock si sfilò il guanto e fece scorrere la destra sul tronco coperto di muschio.
Quell’albero era morto da decenni, ormai, tuttavia svettava ancora solido sulla cima della collina come quando da bambino ci s’arrampicava sognando di raggiungere le stelle.
Tutto uguale, tutto diverso.
Si chinò a estirpare un vilucchio attorcigliato alla base della croce ai suoi piedi e la sfiorò con la punta delle dita.
Eccomi qua. Ci ho messo un po’, ma sono tornato.
Un anno, due mesi e sei giorni.
Sospirò. Tornare su Futuria era stato difficile. Rientrare nell’Arcadia ancor di più.
Nonostante il sole abbagliante che gli investiva le spalle e la schiena, il gelo di quella sala computer sventrata e la sensazione di solitudine che aveva provato nel rendersi conto che Tochiro se n’era davvero andato per sempre lo fecero rabbrividire.
Spero che tu approvi la mia decisione, amico mio, perché non è stato per niente facile prenderla.
Si lasciò cadere all’indietro sull’erba e chiuse l’occhio. Il cinguettio degli uccelli si trasformò nel fischio della tormenta contro i pannelli che coprivano la vetrata in frantumi della sua cabina, il prato soffice nel pavimento duro e sconnesso sotto il suo sacco a pelo.
Dietro le palpebre chiuse, il pensiero che rimettere in funzione quella nave non avesse ormai alcun senso, che il suo desiderio di farlo fosse solo un
altra fuga nel passato e le sue esitazioni un altro modo per tentare di sfuggirgli s’affacciarono di nuovo alla sua mente.
Riaprì l’occhio, si sfilò l’altro guanto e stese  le mani contro l'azzurro del cielo.
Il calore del sole sui palmi era lo stesso della tazza fumante colma di quell’intruglio che Maji e Yattaran chiamavano grog e delle dita sottili di Mime strette attorno alle sue davanti al fuoco.
L’Arcadia non è soltanto la tua nave, Harlock!
Già.
Si risollevò a sedere, piegò il ginocchio contro il petto e rivolse i palmi verso la tomba.
Ed ecco il risultato, amico mio!
Calli e duroni sotto ogni giuntura delle dita, tagli, bruciature e abrasioni in vari stadi di guarigione su ogni centimetro dei palmi e dei dorsi a ricordo di mesi e mesi passati a spalar neve, sgomberar rottami, smontare componenti guaste e sostituirle con pezzi di ricambio, stender cavi, saldare pannelli, avvitare grate, riparare mobili scassati e grattar via polvere, grasso, segni di bruciature e macchie d’olio più o meno da ogni cosa, incluso se stesso.
E sai una cosa? Mi è piaciuto. Ora capisco perché eri sempre così allegro, dopo aver trafficato coi tuoi macchinari.
Anche se la sua schiena, le sue ginocchia e diversi altri punti del corpo di cui un tempo ignorava persino l'esistenza non erano affatto d’accordo, essere così impegnato e stancarsi così tanto da non avere il tempo di tormentarsi coi soliti, cupi pensieri era stato rilassante.
Per dirla come Yattaran: "Svegliarsi all’alba come un gallo, lavorare come un mulo, mangiare come un leone e dormire come un ghiro… questa sì che è vita!"
E a volte gli era capitato persino di sorridere, senza ombre, proprio come un tempo.
Poi era arrivato il momento d’avviare il computer e accendere i motori. Aveva stretto fra le mani le barre lisce e odorose di cera del timone… e anche se tutto era proprio come prima, niente lo era stato più davvero: il grido dei rotori, la vibrazione del pavimento, la resistenza della guida… Tutto uguale, tutto diverso.
Avevi ragione tu. Ogni cosa si può riparare o sostituire, tranne le persone.
E l’Arcadia, per lui, era stata anche e soprattutto quello. Sospirò.
Non è più la nostra nave, amico mio. Ma non sono triste… e nemmeno pentito.
Adesso, l’Arcadia era la nave di Mime e Masu, di Maji e Mayu, di Yattaran e del Dottore, di Yuki e Tadashi e di tutti quelli che l’avevano aiutata a spiccare di nuovo il volo.
È cambiata. Come tutti noi… come me. Ma non vuol dir forse anche questo, vivere?
Respirò a pieni polmoni. L’aria era fresca e carica del profumo di viole, erba e terra bagnata.
Scostò la falda del mantello, aprì la bisaccia e tornò ai piedi della vecchia quercia.
Nel suo cartoccio, il pugno di terriccio era umido e soffice contro il  palmo e il germoglio che aveva coltivato durante il viaggio era alto appena cinque o sei centimetri, ma le foglie erano d’un verde così brillante da sembrar finte. Sarebbe cresciuto al riparo del vecchio albero, ci si sarebbe appoggiato e alla fine l’avrebbe scalzato e se ne sarebbe nutrito fino a sostituirlo del tutto.
E una nuova generazione crescerà all’ombra della nostra e un giorno la sostituirà, però...
– Harlock!
Mayu emerse dal versante sud del pendio e si piegò senza fiato, le mani sulle ginocchia, l’ocarina che penzolava sopra due mazzolini di fiori malconci, i pantaloni e gli stivali macchiati d’erba e terriccio fin sotto il ginocchio. Tirò su la testa e lo squadrò sospettosa.
– Non vorrai mica farlo senza di me, vero?
Harlock scosse il capo, sollevò verso di lei il germoglio e prese dalle sue mani il mazzetto ridotto peggio. Posarono i fiori ai piedi della croce e s’accosciarono fra le radici della vecchia quercia. Non ci misero molto. La pianticella era piccola, il terreno umido e soffice. Le loro dita s’incontrarono nel premerlo tutt’intorno a quel fusto sottile come un rametto.
– Capitano – la voce di Yuki – È andato bene il viaggio di ritorno?
Harlock s’alzò, strofinò i palmi sul didietro dei pantaloni, le andò incontro e tese la sinistra per aiutarla a salire l’ultimo tratto di pendio, visto che era ripido e scivoloso e lei aveva il braccio destro occupato.
– Ti risponderò quando ti deciderai a chiamarmi Harlock. Non sono più…
Lei strinse forte le sue dita e gli sorrise radiosa.
– Tu sarai sempre il mio Capitano… Harlock.
Una parte di lui, quella che odiava con tutto se stesso, gli sussurrò che avrebbe ancora potuto averla.
No.
In ogni donna, lui avrebbe sempre cercato Maya e Yuki meritava la felicità che aveva già trovato accanto a un uomo che non inseguiva fantasmi del passato.
– È andato bene.
La tirò su e lei lasciò andare la sua mano. Il sorriso lasciò il posto a una smorfia di disappunto.
– Mayu! Quante volte te lo devo dire di non correre a quel modo? Vuoi romperti l’osso del collo, per caso?
Mayu incrociò le braccia dietro la testa, imbronciata.
– Uffa, Yuki! Smettila di trattarmi come una bambina! Ho quindici anni, ormai: sono una donna!
Yuki la squadrò dalla testa ai piedi.
– Allora comportati come tale – sbuffò – Ma guardati... sei tutta sporca di terra!
Lei rise.
– Non penso che gli altri si formalizzeranno. Rilassati, Yuki! Siamo in famiglia, mica a uno di quei vostri noiosissimi pranzi di lavoro...
– Già – la fronte di Yuki si spianò – Ma ciò non toglie che tu stia diventando un vero maschiaccio, Mayu! Diglielo anche tu, Capitano!
Lui la trovava incantevole: guance rosse, un sorriso innocente sulle labbra delicate di Emeraldas e una luce vivace negli occhi scuri e intelligenti di Tochiro.
Aveva pensato d’averli perduti per sempre...
Che sciocco. In ogni germoglio c’è sempre qualcosa dell’albero che l’ha generato.
– Capitano... Harlock!
Ritornò in sé al suono della voce di Yuki e al movimento del suo braccio che gli strattonava la manica.
– Ti perdi ancora nei tuoi pensieri, eh? Certe cose non cambiano proprio mai.
Un lieve movimento nell’incavo del suo braccio destro gli fece pensare che invece molte cose cambiavano, nella vita: alcune laceravano il cuore, altre lo colmavano di gioia.
Si chinò su di lei e scostò i lembi della coperta che avvolgeva il bambino.
Anche se gli avevano dato il suo nome, Phantom Harlock Daiba gli somigliava ben poco: era un bimbetto paffuto, roseo e tranquillo, coi capelli ribelli di Tadashi e i colori di Yuki.
Per nulla intimorito dalla sua altezza, dalla cicatrice e dalla benda nera, tese le braccine con un gorgoglio, gli afferrò una ciocca della frangia e tirò per farlo avvicinare ancora di più.
– E così – Harlock liberò i capelli, con qualche difficoltà: quel bimbo aveva una presa d'acciaio e una tenacia impressionanti, per essere ancora tanto piccolo – Tu saresti il mio figlioccio, eh?
Guardò Yuki.
– Ti somiglia.
Come sempre, le sue parole, il suo tono e il suo atteggiamento non riuscivano a esprimere neppure un’infinitesima frazione dell’emozione che provava. Come sempre, Yuki doveva aver capito lo stesso, perché glielo porse, rossa in viso e con gli occhi lucidi.
– Vuoi tenerlo un po’, Capi… Harlock?
Erano passati quindici anni dall’ultima volta che aveva preso in braccio un bambino così piccolo, eppure il ricordo di Emeraldas che gli metteva per la prima volta Mayu fra le braccia riaffiorò vivido e intenso nel sentire il peso e il calore di quell’esserino passare dalle mani di Yuki alle sue. Proprio come allora, qualcosa emerse prepotente dalla parte più profonda della sua anima e seppe con assoluta certezza che quello era l’inizio di qualcosa che sarebbe durato tutta la vita.
In fondo, non c'è bisogno d’un vero e proprio legame di sangue per sentirsi parte d’una famiglia... dico bene, amico mio?
Guardò verso la croce. Proprio in quel momento, il pianto disperato d’un altro bambino echeggiò fra i rami insieme alla voce di Tadashi.
Aveva un tono stranamente supplichevole e Harlock si sporse a guardare oltre il ciglio della collina.
L’eroico Primo Ministro del Governo Federale Terrestre arrancava lungo l’altura, un fagottino rosa strillante che gli si dimenava fra le braccia. Mayu s’affacciò a sua volta e ridacchiò.
– Mirai ha proprio deciso di farlo ammattire. Poveraccio, scommetto che non era questo, il futuro che immaginava!*
– Mayu!
– In effetti, nessuno di noi se l’aspettava – Il Dottor Zero s’inerpicò lungo l’ultimo tratto della salita, si diede un paio di colpetti sulle spalle, posò a terra la borsa che portava a tracolla e si stiracchiò – Io e Masu avevamo quasi perso le speranze, ormai... vero, Mi?
La gatta saltò fuori dalla tasca del suo camice, si strusciò contro la caviglia di Yuki e andò ad acciambellarsi al sole con uno sbadiglio indolente.
– E invece... bang! Due in un colpo solo! – Yattaran arrivò a tutta birra, per nulla stanco per l'ascesa, e prese a correre in circolo attorno a Yuki – E alla prima botta, anche! Quello scemo non è un uomo, è una doppietta di precisione!
– Yattaran! – Yuki era rossa come un peperone – Ma che dici?!
– Avrei dovuto scommettere di più sul loro primo anno – Maji aiutò Mime a superare una lieve sporgenza e allargò le braccia – Lo quotavano otto a uno, un punto in più in caso di gemelli; con appena cento crediti sarei stato a posto per... ops!
Yuki girò lo sguardo dall’uno all’altro dei suoi ex sottoposti, paonazza.
– Avete fatto scommesse su... su questo?
Yattaran sogghignò.
– Eh, se solo sapessi!
– E chi ha vinto? – Mayu evitò per un soffio uno scappellotto dietro la nuca e si rifugiò dietro a Yattaran – Qualcuno ha fatto jackpot?
Maji si limitò a guardare Mime che, con assoluta nonchalance, tirò fuori dallo scollo della tunica una fiaschetta di metallo e bevve un lungo sorso che la fece risplendere come una stella.
Si misero tutti quanti sul bordo della collina ad aspettare Tadashi, che arrivò dopo altri sei o sette minuti buoni, rosso in viso, sudato e così rigido da sembrare ingessato.
– Oh, insomma, Mirai, sta’ buona – la sua espressione impacciata e preoccupatissima mentre cullava la figlioletta era davvero comica – Cosa c’è? Hai fame? Hai freddo? Hai mal di pancia? Accidenti, ma quand’è che inizierai a parlare?!
La sollevò in alto, se la poggiò contro la spalla, le massaggiò la schiena e lo stomaco, provò a distrarla con versi e smorfie: niente.
– Va avanti così da quando siamo usciti – rise Mayu – Un vero strazio!
– Avanti, Mirai... smettila, ti prego!
Le urla aumentarono d’intensità e il povero Tadashi si guardò attorno, smarrito come neanche il primo giorno nello spazio. Per metà impietosito e per metà divertito, Harlock partì in suo soccorso.
Affidò il suo biondo, sorridente omonimo a Mayu e s’avvicinò a Tadashi.
Passò il braccio sotto al suo, prese la bambina, le fece poggiare la testa nell’incavo del suo avambraccio e la cullò adagio canticchiando quella vecchia canzone. Il pianto s’arrestò di colpo; la piccola lo guardò attenta coi suoi grandi occhi castano–verde, l’ascoltò rapita per qualche minuto e s’addormentò, i pugnetti chiusi sotto il mento e l’aria beata.
Mayu sbuffò dal naso, le lacrime agli occhi mentre si sforzava di non scoppiare a ridere in faccia a Tadashi, che osservava lui e la bambina a bocca aperta.
– Ma tu guarda – Tadashi si ficcò le mani in tasca e gli rivolse lo stesso broncio indispettito di quand’era un ragazzino – Se vuoi te la regalo, Harlock.
Yattaran rise.
– Eh, l’ho sempre detto, io: il Capitano ci sa proprio fare, con le donne! Da zero a cent’anni, sono tutte innamorate di lui!
Yuki posò una mano sulla spalla di Tadashi.
– È perché lui è tranquillo – ridacchiò – Mentre tu, quando prendi in braccio Mirai, hai la faccia di uno che stia cercando di disinnescare una bomba a orologeria.
Tadashi incrociò le braccia sul petto.
– Per forza: ha un caratteraccio impossibile, quella bambina! Mi chiedo da chi abbia preso!
Yuki, Mayu, Mime, Maji, Yattaran e il Dottore si guardarono l’un l’altro, fissarono prima lui e poi Mirai e scoppiarono a ridere. Il broncio di Tadashi si fece più pronunciato.
– Bé? Che vorrebbe dire questa pantomima?
– Che i frutti non cadono mai lontano dall’albero, Tadashi – ghignò Harlock – E dato che Yuki è una persona calma e posata...
– Oh, no, Harlock! – Tadashi si grattò la nuca – Non ti ci mettere pure tu!
Li squadrò tutti con aria offesa, poi non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere anche lui.
Anche Harlock si sorprese a sogghignare mentre osservava incantato il visetto tondo di quei due bambini in cui già si vedevano, fusi in un’incredibile, magnifica mescolanza, i tratti dei genitori.
Proprio come semi... volano verso il futuro portando dentro di sé il legame con il passato, il ricordo dell’amore che li ha generati.
Si sentì commosso e pensò una volta di più che quello era il vero miracolo, la vera immortalità per un essere umano.
E noi abbiamo il dovere di fare da ponte fra passato e futuro, di nutrirli, guidarli e proteggerli finché non prenderanno il nostro posto. Un giorno, i semi che oggi abbiamo sparso diventeranno dei grandi alberi, e noi potremo riposare alla loro ombra...
– Aaah! Che vedono i miei occhi?! – un grido poderoso quanto stridulo lo strappò dai suoi romantici pensieri – Mayu! Harlock! Disgraziati! Come osate toccare i miei piccoli con quelle manacce sudicie?!
Per nulla affaticata dagli anni e dalla salita, Masu posò a terra un cesto da pic-nic grande quanto lei, schizzò fra Maji e il Dottore e andò a piantarglisi di fronte, gambe larghe e mannaie in pugno.
– Non lo sapete che i neonati sono delicatissimi? – le due lame, sfregate una contro l’altra, sferragliarono ed emisero sinistre scintille – Filate a lavarvi quel lerciume di dosso o giuro che vi faccio a fettine sottili sottili, vi metto a marinare tutta la notte in acqua e limone e poi vi cucino alla marinara col peperoncino di Cayenna!
– Tutte le donne sono innamorate del Capitano, da zero a cent’anni – Yattaran stese la tovaglia, si sedette sull'erba accanto al cesto e tirò fuori dalla bisaccia che portava alla cintola il modellino d’un incrociatore Federale – Con un’unica eccezione...
– Già – il Dottor Zero s’accomodò accanto a lui a gambe incrociate, aprì la sua borsa colma di bottiglie, ne stappò una e si concesse un’abbondante sorsata – La stessa eccezione alla regola che vuole che lui non fugga mai di fronte al nemico.
– A questo punto – Maji sollevò un dito, serissimo – Ci sarebbe da dubitare che Masu sia una donna.
– Secondo me, non è neanche umana.
– Piantatela di dire corbellerie, cialtroni! – Masu si girò a fronteggiare il trio – Soprattutto tu, Dottore da strapazzo! È così che vegli sulla salute dei nostri nipotini? Ma io quelle bottiglie te le spacco tutte in testa, hai capito?!
Il Dottore s’alzò, si mise davanti alla borsa e si rimboccò le maniche.
– Non provarci nemmeno, vecchia megera! Mi sono costate un occhio della testa e le due in mezzo sono per il Capitano: devo mantenere la promessa d’offrirgli da bere e pagare la scommessa su Yuki e Tad... ops!
Yuki sgranò gli occhi.
– Dottore… Harlock! Anche voi?!
Il Dottore prese una bottiglia, la stappò e ridacchiò.
– Non te la prendere, Yuki! Scommettere su tutto è una nostra tradizione, lo sai – tirò fuori una pila di bicchieri di carta e li riempì – E a tal proposito, propongo un brindisi a Taro, Kiddodo e Doskoi.
Calò il silenzio mentre ognuno prendeva il proprio bicchiere.
Harlock sollevò il suo.
– A Taro, Kiddodo e Doskoi, allora – guardò in alto e poi verso la tomba – A tutte le vittime di quell’incubo… e a tutti coloro che hanno dato la vita per farlo finire.
– Prosit.
– Prosit.
Vuotò il bicchiere d’un fiato. Era un vino delizioso, ma gli lasciò un gusto amaro in bocca.
Erano morti davvero in tanti… non solo per salvare lui, certo, ma anche per quello.
Abbassò il bicchiere. 
Vi onorerò vivendo al massimo delle mie possibilità, giorno dopo giorno, non come l'eroe che avrei voluto essere, ma come me stesso.
– Che fai, pirata da strapazzo? Cerchi già di traviare la mia figlioccia con le tue pessime abitudini?
Alla testa del suo gruppetto d’ufficiali, Zero gli rivolse un cipiglio minaccioso. Harlock lo ricambiò con un ghigno sprezzante.
– Senti chi parla – guardò con ostentazione l’orologio e restituì il bicchiere vuoto al Dottore – Sarà almeno mezz’ora che t’aspettiamo, soldato da operetta. Cos’è, ti sei perso per l’unico sentiero che porta quassù?
Gli tese la mano libera. Lui l’afferrò, la strinse proprio dove le sue nocche erano più ammaccate e prese Mirai dalle sue braccia.
– Eccoti qui. Spero davvero che il futuro sarà radioso per la tua generazione, piccola.
Un giuramento.
Non c’era bisogno di parole né della comunione mentale generata da una macchina per capirlo: bastava il suo sguardo in quel momento, lo stesso di quando aveva stretto al petto la famiglia che non aveva saputo proteggere e non avrebbe mai più riavuto.
Harlock gli diede una pacca sulla spalla.
– La nostra è vissuta in mezzo alle guerre, ma saprà regalare la pace alla sua, ne sono sicuro – serrò le dita attorno al suo omero e ridacchiò soddisfatto quando trovò il nervo sovrascapolare – Detto questo, non osare mai più ignorare una mia domanda.
Zero sobbalzò e si liberò con una scrollata.
– Non mi sono perso io – grugnì – Ho perso un uomo.
Grenadier gli mollò una poderosa manata sulla schiena ed esplose in una risata.
– Io te l’avevo detto, Zero: ci vuole il guinzaglio, con quel rompiscatole!
Eluder si strofinò il mento.
– Davvero? Quando non è con te, di solito è affidabile e molto puntuale, quindi magari non è lui che dovremmo tener sotto controllo.
– Fino a prova contraria, io sono qui e lui no. E poi non è affatto vero che ho una cattiva influenza! Semmai sei tu che...
Rai si mise in mezzo.
– Non cominciate nemmeno, ragazzi – le sue braccia corte e la sua statura non lo aiutavano certo a tener separati quei due – E soprattutto non urlate, che ho un mal di testa infernale!
– Forse avremmo dovuto andarlo a cercare a casa – Marina si torse le mani – Non vorrei che gli fosse successo qualcosa.
Tetsuro fece capolino da dietro la sua schiena e si tolse il cappello.
– Non rispondeva nessuno, ve l’ho già detto. Avrò suonato per almeno un quarto d’ora, prima di raggiungervi.
Kaibara tirò e lisciò uno dei suoi lunghi baffi.
– Non credo che corra pericoli, a parte quello di crollare per la stanchezza – andò ad accomodarsi accanto al Dottor Zero e tirò fuori dal taschino la sua pipa – Anzi, tra il processo, la stampa, tutte le cerimonie che s’è dovuto sorbire nell’ultimo mese e quegli altri impegni di cui non ha voluto dir niente a nessuno, mi sa che è proprio quel che è capitato. Starà dormendo come un sasso buttato da qualche parte e non lo sveglierebbe nemmeno un terremoto, figuriamoci il ronzio della trasmittente o del campanello.
Mayu abbandonò il suo rifugio dietro la schiena di Yattaran, afferrò un bicchiere e lo riempì.
– Se una certa ex-spia, ex-cacciatrice di taglie l’ha trovato dove le avevo consigliato di fargli la posta, temo che invece dormirà ben poco, poverino! – ridacchiò – Io non lo cercherei e non lo aspetterei per altri due giorni, come minimo.
Harlock si grattò la nuca. “Sorriso innocente”, aveva pensato?
In quel momento la sua espressione era identica a quella di Tochiro quando lo prendeva in giro con le sue illazioni maliziose e i suoi doppi sensi… e pareva proprio godersela almeno quanto lui.
Sospirò. Il sospetto che sarebbe rimasta una bambina ancora per poco s'intensificò nel vederla porgere il bicchiere a Tetsuro e afferrargli gioiosamente il braccio.
– Come, come? Sylviana e Ishikura…?
– Ehm… Grenadier, lo so che lei ti piaceva, ma…
– Evvai! – Grenadier levò in alto il pugno in un gesto di trionfo – Lo sapevo che quell’asino ce l’avrebbe fatta! Sganciate, gente!
Zero osservò il suo equipaggio metter mano al portafogli tra mormorii di scontento e mise Mirai fra le braccia di Marina.
– Pare che le pessime abitudini del tuo equipaggio e le loro turpi “tradizioni” si siano trasmesse al mio – scrocchiò le dita – Come pensi di scusarti, pirata da strapazzo?
Il cuore di Harlock accelerò il battito, l’adrenalina cominciò a pompare nelle sue vene.
Si mosse verso la quercia, un ghigno di sfida già a increspargli le labbra come se fosse la cosa più naturale del mondo, le membra leggere e le mani che gli prudevano come quando s'erano scontrati la prima volta, quasi vent'anni prima.
 – Scusarmi? Io? Devo aver capito male, soldato idiota – sfoderò la Gravity Sabre e gli fece cenno di farsi sotto – Forse volevi supplicarmi, in ginocchio e in tutta umiltà, d’insegnarti una volta per tutte come si tira di scherma in modo decente?
Zero si fermò a dieci passi da lui, la solita espressione strafottente e sicura di sé stampata sul viso.
– Oh, vedo che non ti sei dimenticato del nostro piccolo conto in sospeso – sfoderò la sua arma e si esibì in un saluto da manuale – Stavolta non finirà in pareggio, perciò te lo dico fin da subito: non metterti a piangere, quando finirai col culo per terra.
– Vale anche per te. Non chiamare la mamma quando quella spada ti volerà via di mano perché non riesci a starmi dietro.
Harlock sollevò la lama. Zero si mise in guardia.
– Nei tuoi sogni!
Si lanciarono uno contro l’altro.





* Il nome “Mirai” (未 来) significa "futuro".




E... fine! Finalmente!
Alla fine non ce l'ho fatta e lo zucchero è abbondato, ma un lieto fine per tutti (o quasi) ci stava, no? :)




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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero), creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti i diritti per questi personaggi sono © Leiji Matsumoto, Toei Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

   
 
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