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Autore: Agent Janice    07/07/2017    1 recensioni
«Sono l'Agente Phil Coulson, lavoro per la Strategic, Homeland, Intervention, Enforcement & Logistic Division. Sei al sicuro adesso.»
Questa che (spero) state per leggere è la storia che ho creato intorno all'Agente Phil Coulson, mio personaggio preferito dell' MCU e dela serie TV "Marvel's Agents of S.H.I.E.L.D."
La storia comincia nel 2002, circa dieci anni prima gli avvenimenti del film "Marvel's The Avengers" e della "Battaglia di New York", ed ha come protagonista una ragazza, personaggio di mia invenzione, che non ha un vero nome se non il codice 3-1-7 che l'Istituto in cui è segregata le ha affibbiato. Non rivelo di più su di lei, non sono brava nei riassunti vi rovinerei i punti interessanti dei primi capitoli. E' una storia di lotta tra bene e male, come la 'casa delle idee', la Marvel, ci insegna e che, se riesco a portare a termine, dovrebbe ripercorrere e rivisitare alcune delle vicende salienti che abbiamo visto sia nei film, sia nella serie tv.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maria Hill, Melinda May, Nick Fury, Nuovo personaggio, Phil Coulson
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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11. Sotto al St. Johnes, la tana del drago.


Il cielo era completamente coperto dalle nuvole, rendendo il buio di quella tarda notte ancora più denso. In quell'angolo isolato alla periferia di Los Angeles l'insegna in ferro battuto del St. Johnes incombeva sul gruppetto di agenti che si stava preparando a disturbare il vecchio sanatorio ormai abbandonato da anni.
Coulson e Janice arrivarono sul luogo con una macchina della Strategic, un fuoristrada nero con l'inconfondibile aquila bianca stilizzata stampata sulla fiancata: «Ci siamo...»
Coulson slacciò con una mano la cintura e alzò l'altra verso Janice: «Sei pronta?»
«Sí, signore.»
Gli rispose battendogli il cinque un po' sorpresa dal fatto che il suo super-severo mentore non si fosse ancora calato nel ruolo di agente.
Scesero di macchina e si avvicinarono alle altre due vetture della Strategic parcheggiate nello spiazzo di fronte al cancello d'ingresso del St. Johnes. Janice si fermó a presentarsi al gruppo di agenti, che stava preparando l'attrezzatura tecnico/scientifica, con cui avrebbe fatto squadra.
Secondo le loro divise c'erano: due agenti della divisione ingegneria e due agenti del reparto scientifico.
Fu l'agente Roland, una donna della divisione scientifica, a presentarsi per prima e ad introdurla nel gruppo.
Nel frattempo Coulson si incamminò per raggiungere il Direttore Fury che era già davanti al cancello e stava impartendo ordini a sei agenti specialisti. Raggiungendolo vide due di loro rimanere al fianco del direttore mentre gli altri quattro andarono a disporsi di vedetta ai fianchi del cancello.
«Agente Coulson»
«Direttore Fury»
I due si salutarono formalmente con un cenno del capo, tono completamente diverso da quello che avevano avuto al telefono soltanto un'ora prima.
«Come l'ha presa?» domandò Fury dando un'occhiata da lontano a Janice che stava facendo domande sull'attrezzatura all'agente Roland.
«E' un po' turbata ma affronterà questa faccenda in modo professionale, vedrà.»
«Chissà da chi avrà preso...» un accenno del loro rapporto di amicizia scaturì da quell'affermazione. Coulson non sapeva se prenderlo come un complimento, in ogni modo gli fece ricordare un episodio di appena un anno prima.

Prima di Janice aveva già avuto degli agenti sotto la propria ala, una dei quali era scomparsa in missione ormai da un anno. L'agente in questione era Akela Amador*. Lui conosceva bene le potenzialità della donna: era intelligente, aveva talento da vendere ed era coraggiosa.
Purtroppo ne conosceva anche la debolezza, era totalmente riluttante al lavoro di squadra. Per questo nel suo addestramento aveva provato a riempire questa sua lacuna, forzandola ed insistendo.
Alla fine, fiducioso, l'aveva assegnata ad una squadra scelta per introdursi in una delle basi di un criminale noto alla Strategic per il suo ruolo nel mercato nero, T. Vanchat**. La missione finì male, il resoconto della seconda squadra inviata fu tragico.
In poche parole l'aveva mandata a morire.
Aveva sbagliato tutto e lei ci aveva rimesso con la propria vita.
In quel periodo prese in considerazione di abbandonare il proprio progetto con Janice, di lasciare il suo ruolo a qualcuno di più competente di quanto era stato lui.
Sapeva che Fury lo avrebbe redarguito dicendogli che non ci sarebbe stata alcuna alternativa valida a lui, ma aveva già pianificato di parlarne con l'Agente May, sua fidata collega e migliore amica, nessun altro avrebbe potuto finire l'addestramento della ragazza meglio di lei.
 

***

Ricordò che durante una di quelle sere passate a rimuginare sulla faccenda e a bere per annegare il rimorso, il campanello di casa sua dovette suonare diverse volte prima di riuscire a catturare la sua attenzione.
Si alzò dal divano strizzando gli occhi sperando che una volta riaperti la stanza avrebbe smesso di girare. Ovviamente non successe, così si sforzò di alzarsi ed imboccare il percorso giusto per arrivare alla porta senza inciampare o picchiare da tutte le parti.
«Chi é?» biascicò appoggiando la fronte alla porta e chiudendo gli occhi cercando di recuperare lucidità.
«Coulson?» la voce di Janice suonò preoccupata dall'altro lato.
L'uomo borbottò qualcosa di incomprensibile anche a se stesso.
Impiegò qualche attimo per trovare le chiavi, beccare la serratura ed aprirle la porta.
Janice non credette ai propri occhi.
Camicia spiegazzata e mezza aperta. Capelli in disordine. Barba incolta. Occhi rossi ed a mezz'asta. Un odore acre di alcool e di sudore.
Da uno degli uomini più ordinati che avesse conosciuto...
«Oh cavolo, cosa ti é successo?» entró in casa offrendoglisi come appoggio e lo aiutó a raggiungere nuovamente il divano. Tornó indietro a chiudere la porta.
«É riservato...» le rispose.
«Strano...» la ragazza alzò gli occhi al cielo aiutandolo a sedersi, poi tornò a guardarlo. Aveva gli occhi lucidi e rossi: «Quant'é che non dormi?»
«Che giorno é oggi?»
Janice rimase a bocca aperta, un po' sgomenta dal comportamento dell'uomo, in quel momento totalmente diverso da come lo conosceva.
«Ti preparo del tè. Vediamo di toglierti un po' di alcol di dosso.» Si tolse giacca e l'appese all'attaccapanni: «Posso usare la cucina?»
L'uomo si sdraiò mugugnando un 'sí'.
Dopo qualche minuto fece mente locale, si rialzò a sedere e si girò verso la cucina: «Aspetta... Tu... tu che ci fai qui? Chi ha firmato il permesso?»
Janice mise l'acqua sul fuoco, cercó di perdere tempo prima di rispondere, quando sentí un tonfo alle sue spalle. L'uomo si era seduto a tavolino con le braccia incrociate appoggiate sul ripiano e la testa sprofondata in mezzo ad esse.
Gli si sedette vicino cercando di aggiustargli i corti capelli.
«A dire il vero, vedendo te... mi vergogno un po' a dirti il perché...»
«Grazie, sono lusingato...» il tono sarcastico risultó ovattato da dentro le braccia di Coulson.
«Mi sentivo sola. Questa settimana, mentre eri al Triskelion***, ho lavorato con un'altra squadra...»
«Come é andata?»
«Uno schifo...»
«Buono, già meglio di 'un disastro'.»
Janice gli tiró un nocchino sulla punta dell'orecchio che sporgeva sopra alla spalla.
«Ahia...»
Passó un attimo di silenzio.
«Quando non sei nei paraggi mi trattano un po' come un animale da circo...»«Ti hanno fatta saltare dentro un cerchio di fuoco...?»
«Lo sai che da ubriaco hai un pessimo senso dell'umorismo?»
Dal tremolio delle spalle dell'agente Janice capì che stava ridendo.
«Sei tu a sbagliare...» il tono di Coulson si fece serio, alzó la testa sorreggendosela con le mani: «...anche quando sarai un agente ci sarà sempre qualcuno che ti sottovaluterà, o che avrà paura della tua natura.» socchiuse gli occhi infastidito: «Scusa, mi sta salendo il mal di testa...»
«Intanto, guardo se l'acqua é pronta...»
Janice si alzó dal tavolo avvicinandosi ai fornelli pensando alle parole dell'uomo. L'acqua nel pentolino era vicina a bollire, dato che non doveva fare un infuso staccó il gas, cominciando a cercare la scatolina di té verde che l'agente teneva nei ripiani sopra al lavandino.
«Ti stavo dicendo...» riprese Coulson: «Ci sarà sempre qualcuno che ti discriminerà, che ti tratterà male, che ti farà star male. Tu non devi permettergli di sentirsi dalla parte della ragione. Abbi rispetto ma allo stesso tempo fatti rispettare. Tieni la testa alta, fai quello che ti dicono e fagli vedere che si sbagliano, che sul campo non potranno fare a meno di te. Che le tue abilità rendono la...» le ragioni per cui aveva bevuto quella sera tornarono a galla, strinse le labbra ad una fessura per un attimo, inarcando gli angoli della bocca verso il basso, tiró un lungo sospiro arrendendosi alla sensazione schifosa: «...rendono la squadra più ricca non più pericolosa.»
Janice notó quella sua espressione tipica nei momento di disagio o preoccupazione. Portó due tazze piene di té al tavolo e si sedette di nuovo vicino a lui.
«Credimi Coulson, ci provo... ma spesso non é facile. Hai tirato su un addestramento assurdo pur di farmi padroneggiare le mie abilità senza problemi. Ci siamo fatti un culo cosí...» Janice mimó le dimensioni: «...e niente, nessuno mi da credito. É dannatamente frustrante.»
«Vedrai che poi le cose si sistemeranno. Impareranno a conoscerti e farai parte di un team che crede in te. E chi non ti ha dato credito si mangerà il fegato.»
«Questa cosa mi fa girare le scatole. Anche solo per rendervi orgogliosi. Intendo a te e al Direttore, per farvi capire che non avete perso il vostro tempo con me...»
Si guardarono per un attimo, Janice si rese conto di aver ulteriormente rabbuiato lo stato d'animo dell'uomo e stava cercando di capire cosa gli stesse succedendo.
«Sai cos'é brutto in questo momento?»
«Il mio aspetto?»
«Anche...» scherzó lei rivolgendogli una mezza linguaccia tra i denti.
«Avere il potere di poter alleviare gli stati d'animo negativi di chiunque e non di quell'unica persona che fa parte di quelle poche che ti danno fiducia.»
Lo sguardo di Coulson si intenerì, nonostante le fitte alla testa che stavano aumentando: «E' normale. Non vorrei nemmeno che tu mi aiutassi altrimenti.»
«Mi fai sentire 'normale'... » gli fece una smorfia per sdrammatizzare:«...dopo tutti gli allenamento passati a diventar tutt'uno con il mio potere, mi fa quasi schifo come sensazione...» 
Entrambi ci sorrisero sopra e Coulson un po' sollevato provó a bere il té, anche se non gli piaceva granché, lo teneva per gli ospiti, non per sé.
«So che non ti piace, ma devi tirare giù dell'acqua per far passare il mal di testa.»
«Si, dottoressa...»
«Bastasse questo, non dovrei sorbirmi un altro anno di esami.»

Finito il loro té tornarono sul divano a guardare un po' di televisione.
Coulson stette un po' ad occhi chiusi per far passare il mal di testa.
Dopo un po' Janice gli dette una tocco di gomito sul fianco per chiamare la sua attenzione: «Apri un attimo gli occhi, guarda come ti somiglia questo attore?» gli sorrise sorpresa indicando lo schermo dove l'attore in questione stava interpretando il ruolo di un transgender****, e in quel momento stava dando consigli sullo studio ad un ragazzo: «Oddio...» Coulson rimase senza parole dalla somiglianza.
«Ora sappiamo che aspetto avresti da donna...»
«Mi sa che nella vita ho sbagliato tutto...» aggiunse lui.
«Giuro, non ti sto prendendo in giro...» Janice gli lanció uno sguardo malizioso: «... direi che sono anche un po' invidiosa...»
«Dei capelli ricci, vero? Li sto invidiando anche io.» Si passò istintivamente le dita sulla stempiatura e poi tra i corti capelli.
Passarono un po' di tempo a seguire il film e poi Coulson appoggió il braccio sulla spalliera del divano e con la mano diede un buffetto affettuoso sulla guancia della ragazza.
«Jan?! Grazie di essere passata stasera.»
«Ed averti preparato il té?» scherzò lei.
«Nope... ed avermi fatto superare la serata senza fare cazzate.»
«Cosa avevi in mente?»
«Volevo lasciar perdere il nostro lavoro ed affidarti a qualcun altro.»
«Ti avrei odiato a morte. Perché poi?» si scostò dalla spalliera e si giró verso di lui per parlare faccia a faccia.
«Perché...» Coulson si strofinò la fronte cercando di mettere in ordine le idee. Tra il mal di testa e la confusione che gli aveva portato l'alcool aveva paura di rivelare qualcosa di classificato... ma stava male:«...é successo qualcosa che mi ha fatto sentire un fallimento.» Si rimuginò sul posto, come se stesse scomodo: «Ho fatto un enorme sbaglio di valutazione e penso di aver combinato un disastro.» distolse lo sguardo per un attimo. «Di quelli da cui non puoi tornare indietro...» si rigirava le mani una dentro l'altra in un tic nervoso.
Janice si tolse le scarpe e tirò su le gambe sul divano appoggiandosi alla spalla dell'agente posandogli una mano sopra alle sue per farlo calmare.
«Beh non lo sei. Un fallimento, intendo. Ti conosco ormai da sei anni e ritengo tu sia un uomo ed un agente come pochi al mondo. E' la prima volta che ti vedo così sconvolto, non so cosa sia successo ma so per certo che un solo errore, ammesso che lo sia davvero, non determina ciò che si è.»
Cercò di sollevargli il morale: «Molti dei tuoi colleghi darebbero un rene per essere come te e per essere nella tua posizione...»
Lo sapeva, perché aveva sentito quell'invidia sulla propria pelle. Alcune volte era stata pura incredulità, qualcuno si era chiesto come un agente, da loro reputato anonimo, come Coulson fosse arrivato ad essere così vicino al Direttore.
«E quale sarebbe la mia posizione?»
«Essere l'occhio Buono di Fury.»
«Cosa? Mi chiamano cosí in accademia? Mi fa sembrare raccomandato...»
«Nope, é cosí che ti chiamano Maria Hill e il Direttore stesso.»
Janice negli anni passati alla Strategic aveva legato molto con la donna. Non erano proprio amiche del cuore, ma qualche volta erano uscite a mangiare qualcosa insieme dopo le riunioni di aggiornamento sul suo stato nell'INDEX. Trovava la compagnia dell'agente Hill piacevole e d'ispirazione.
«Coulson?»
«Mmh?»
«Hai cambiato idea vero?»
«Sì, domani mattina riprendiamo l'ultima sessione di strategia.»
«Prima però ricordati di confermare il mio permesso di uscita di stasera.»

***

In quei pochi attimi passati a ricordare quell'episodio, intorno a lui il gruppo di agenti aveva finito di organizzarsi ed era pronto ad entrare in azione.
«Benvenuti a Silent Hill...» si fece scappare Coulson osservando l'alto muro di mattoni che circondava la struttura mentre si aggiustava il giubbotto in kevlar in modo che non gli ostruisse i movimenti.
Janice gli si affiancò, seguita a ruota dall'agente Roland, e guardò oltre l'inferriata dove si poteva scorgere una parte del groviglio di erbacce che li separava dalla scalinata che portava dal portone principale.
A parte un senso di inquietudine che le correva lungo la pelle sotto alla divisa, il luogo non le era familiare.
Non poteva far finta che dentro di lei non martellasse il pensiero che quella missione poteva rivelarsi soltanto un'illusione e che non li avrebbe portati a niente se non, nel peggiore dei casi, ad una trappola. Ma perchè? Si domandò. Cosa potrebbero volere da me dopo tutto questo tempo?
«Squadra ai vostri posti...» la voce del Direttore mise tutti in riga, distogliendo la ragazza dai propri pensieri.
Fury con un gesto invitò un agente alle spalle di Janice a procedere per aprire il cancello.
«Agente McKlone, il perimetro è libero?» domandò rivolgendosi ad uno del reparto ingegneria che stava scansionando i dati ricevuti dai droni spia in perlustrazione: «Il perimetro è libero, signore. Possiamo procedere.»
Il primo agente passò vicino a Janice per raggiungere il cancello con in mano le cesoie ed involontariamente la urtò appena con un braccio, per lui fu abbastanza da farlo scansare di scatto come se avesse preso la scossa.
Paura e malessere accarezzarono i sensi della ragazza mettendola in imbarazzo, sapeva di esserne la causa. Combatté contro l'istinto di farsi indietro ricordando i consigli di Coulson, quindi non diede segni di incertezza a cui far aggrappare il timore dell'uomo. Fury la guardò e sorrise compiaciuto.
Dopo diversi minuti, finalmente con un *clack* la spessa catena che teneva unite le ante del cancello cedette sotto alle cesoie dando all'agente il pretesto di poter tornare in fondo alla fila e stare il più lontano possibile da Janice.
Fury, fece finta di non notare la poca professionalità del suo sottoposto, afferrò saldamente il cancello e spinse facendo cigolare i grossi cardini arrugginiti, degli agenti gli si affiancarono per aiutarlo e lasciarlo libero di sgusciare nel cortile e farsi largo tra i rovi e le erbacce verso l'ingresso dell'edificio.
Arrivati davanti al grosso portone d'ingresso rimasero stupiti da quanto era pericolante e messo male. Gli ingegneri si assicurarono attraverso l'avanzata tecnologia della Strategic che non vi fosse anima viva all'interno.
Dopodiché Coulson si affiancó ad altri agenti ed insieme smontarono l'anta pericolante sganciandola dai gangheri.
Janice, arma in mano e torcia della divisa accesa, sfidó per prima il fitto buio ed entró per prima nell'edificio affiancata a ruota dal Direttore.
I fasci di luce bianca degli agenti che man mano entrarono dietro a loro rivelarono un largo corridoio con due porte sulla destra, UFFICI ed APPUNTAMENTI ed una sulla sinistra affiancata da un casotto in vetro, ormai opaco dagli strati di polvere che vi si erano incrostati negli anni, con sopra riportata la scritta: INFORMAZIONI. Percorsero quel corridoio finendo in un grosso atrio con due ascensori sul fondo proprio di fronte a loro.
Erano posizionati in mezzo a due rampe di scale in stile ottocento, in legno e pietra. Vicino alla rampa di sinistra c'erano due porte frangi-fiamma moderne che portavano a due diversi reparti, PSICHIATRIA e NEUROLOGIA, mentre alla destra c'era un unico reparto di PSICHIATRIA INFANTILE affiancato da quello che una volta doveva esser stato un piccolo bar.
Fury si avvicinò agli ascensori scrutandone le condizioni, mentalmente si ripetè le parole della fonte anonima. Aveva menzionato dei piani inferiori...
Passandosi le dita sul mento strofinando la corta barba, rifletté sul da farsi.
«Tre squadre di perlustrazione, cerchiamo i generatori e vediamo cosa ancora funziona di questo posto.»
Si formarono immediatamente tre squadre, Coulson e Janice rimasero insieme e seguiti dall'agente Roland si diressero nel reparto alla loro sinistra: NEUROLOGIA.
Il gruppo percorse il corridoio del reparto in rigoroso silenzio facendo attenzione a ciò che vedevano, scrutando l'interno delle stanze dove si potevano scorgere diverse sedie a rotelle e diversi letti con cinghie di contenimento, scaffali pieni e ripiani mobili con sopra vassoi in metallo, stetoscopi, elettrodi e diversi arnesi arrugginiti e rovinati dall'umidità e dal tempo.
Nel corridoio il pavimento era coperto di polvere, detriti e persino da pezzi interi di intonaco crollati dal soffitto in corrispondenza di un'arrugginita tubatura ormai quasi del tutto scoperta che ne percorreva l'intera lunghezza, gocciolando acqua in diversi punti.
Alla sola luce delle torce quell'ambiente così malridotto e decadente risultava ancor più tetro, quell'atmosfera condizionò i pensieri di Coulson che cercò di immaginare quella che sarebbe potuta essere stata la realtà di Janice in tredici anni vissuti in un posto del genere.
Si inumidì le labbra diverse volte scrutando nel buio, cercando di evidenziare qualcosa di importante con la torcia.
Incrociando lo sguardo di Janice interruppe quel silenzio.
«Tutto bene?» La ragazza gli annuì distrattamente passandogli vicino, concentrata nella sua ricerca. Dopo qualche istante si rese conto che probabilmente l'agente Coulson si stava preoccupando per lei e gli rispose cercando di rassicurarlo: «Inquietudine che sprizza da ogni granello di polvere di questo luogo a parte... non ho ancora visto niente di familiare.»
L'uomo si sentì stranamente sollevato da quelle parole. Sollievo apparente, che durò poco perché la ragazza, entrando nella penultima stanza aggiunse sottovoce: «Ho una brutta sensazione addosso... anche se ormai sono solo macerie e polvere, questo posto è ancora denso di sofferenza...» si girò verso l'uomo per vederne il viso.
«Puoi vedere quello che è successo qui?» la domanda proveniva dall'agente Roland.
Janice ne rimase sorpresa: «No, ma posso averne una sensazione...» anche Coulson si avvicinò incuriosito per ascoltarla.
«E' come avere un presentimento, però su qualcosa che sai esser reale...» si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore cercando di trovare le parole giuste per spiegare cosa sentiva: «Sono come delle sensazioni-fantasma, sono flebili ma posso sentirle perchè hanno impregnato questo luogo per diversi anni...» si guardò attorno: «...in molti hanno aspettato e sperato che i propri cari tornassero a prenderli, che li riportassero a casa...» aggrottò la fronte sentendosi vicina a quelle sensazioni: «Per i primi anni l'ho sperato anche io...» si voltò a guardare Coulson: «...non so come mai ad un certo punto abbia smesso.»
L'uomo non trovò le parole per risponderle, silenziosamente tornò nel corridoio con lei, seguiti a ruota dall'agente Roland che al contrario di lui aveva ragionato una risposta: «Probabilmente ti avranno fatta credere che quella fosse la tua normalità...»
Janice si ricordò del sistema usato per farla obbedire e vi collegò le parole della donna. Le fece spallucce dandole mentalmente ragione.
Arrivati in fondo al corridoio il gruppetto si stava accingendo ad aprire l'ultima porta che chiudeva l'esplorazione del reparto, quando un fruscio percorse improvvisamente il corridoio e la corrente riprese a scorrere nell'impianto dell'edificio illuminandolo per qualche attimo come l'Enterprise.
Fu questione di poco tempo ed alcune lampadine nel corridoio e nelle stanze scoppiarono facendo trasalire Janice.
Gli agenti rimasero al buio, in silenzio, ipotizzando quanti dei loro colleghi fossero rimasti fulminati nel riattivare il generatore.
Si sentì un second fruscio ed il corridoio si illuminò di una luce fioca, da quelle poche lampadine sopravvissute.
Roland si incamminó verso la hall per raggiungere il Direttore e ricevere i nuovi ordini, Janice la seguì fermandosi però dopo qualche passo. Coulson era rimasto davanti a quell'ultima porta rimasta chiusa. Nella poca luce, sempre più utile delle sole torce, notò il cartello scolorito "SOLO PERSONALE ADDETTO".
Provò ad aprirla, pensando di trovare un magazzino di medicinali e strumenti. Con sua sorpresa la maniglia girò facendolo entrare in una vera e propria stanza... vuota e buia, dando una rapida occhiata aiutato dalla torcia notò che tutte le luci al neon erano state rimosse.
Janice lo raggiunse aiutandolo ad illuminarne l'interno. Dopo qualche attimo attirò l'attenzione dell'uomo verso il soffitto: «Guardi lassù, Coulson...»
Guardando il soffitto videro che la crepa della tubatura rotta sul soffitto del corridoio aveva continuato la sua corsa fin dentro quella stanza rivelando che la parete di fondo era semplice cartongesso, rovinato dall'umidità nel punto in cui toccava il soffitto.
I due cominciarono a picchiettare la parete in cerca di indizi sulla presenza dei cardini o direttamente di punti di cedimento. Nel frattempo vennero raggiunti dal resto del team.
«Trovato qualcosa?» domandò Fury entrando nella stanza.
«Non lo so ancora...» gli rispose Coulson continuando a tastare la parete.
Due agenti del reparto ingegneria gli si affiancarono usando degli scan particolari che in poco tempo rivelarono dove dovevano spingere per far scivolare la parete verso l'interno di una stanza, dove li aspettava un'altra porta chiusa, questa volta a farle la guardia c'era un pannello elettronico acceso e lampeggiante che segnalava ERRORE. 
«Sembra una partita di Dungeons & Dragons...» commentò uno degli agenti avvicinandosi al pannello. Quell'uscita fece sorridere Coulson che stava ironicamente pensando la stessa cosa. Più si avvicinavano al drago, porta, dopo porta gli ostacoli aumentavano.
Coulson e Fury si scambiarono uno sguardo d'intesa, senza aggiungere niente l'agente superò il Direttore facendo cenno agli altri di allontanarsi. 
Dalla fondina sganció un piccolo detonatore a tempo, lo applicó sulla porta all'altezza della serratura e si allontanó di qualche passo, istintivamente, dando le spalle alla porta, incroció le braccia al petto.
Dopo pochi secondi un tonfo sordo riecheggió nella stanza precedente e nel corridoio, facendo cadere qualche altro calcinaccio ma sbloccando la porta che nascondeva l'ingresso ad un grosso ascensore.
«Voi due...» Fury indicó due agenti nel gruppo: «...rimanete qui, di guardia.» i due uomini chiamati in causa annuirono e si disposero ai lati della stanza per lasciare il via libera agli altri.
Coulson premette il tasto di chiamata, fortunatamente il grosso ascensore era funzionante, ed una volta arrivato al piano aprì le proprie porte al team di agenti.
L'agente entrò per primo, rendendosi conto che era molto simile agli ascensori che si trovano negli ospedali, ampio abbastanza da poter trasportare una barella. 
Janice seguendolo alzò lo sguardo al soffitto, riconosceva quell'abitacolo: «Direttore, sono già stata qui...» si appoggiò alla parete vicino a lei e con una mano ne sfiorò la superficie. Fu un attimo, un flash, un ricordo si fece largo nella sua mente mostrandogli il volto di una donna, gli occhi grigi e uno sguardo glaciale. 
«Stai calma! Hai capito? Devi stare calma!» Nonostante le parole di conforto la voce uscì in tono brusco e con un diverso accento dalla bocca di Janice. Rimasero tutti sbigottiti tranne Fury e soprattutto Coulson, che aveva già visto la ragazza avere quella sorta di 'ricordo-vivido'. La sera dell'incidente alla Asklepius la ragazza aveva parlato con il suo accento, ripetendo le parole che gli aveva rivolto quando l'aveva trovata.
Anche questa volta, passato quel momento di smarrimento, gli occhi di Janice tornarono presto vigili e sorpresi di trovarsi al centro dell'attezione. 
«Tutto bene?» domandò il Direttore in tono preoccupato. 
«Sì, signore...Scusi...» evitò di guardare Coulson, era confusa perchè erano anni che non le succedeva di avere una visione del genere. 
«Cominci a ricordare?»
«Sì, signore... ero su un lettino, legata...» si guardò i polsi, sentendo ancora la sensazione dei lacci di contenimento: «...un'infermiera cercava di farmi calmare. E' stata la prima cosa che ho visto quando vennero a prendermi.»
«Questo significa che è davvero...» cominciò il Direttore.
«...l'Istituto.» Janice e Fury finirono la frase all'unisono. 

 

Note:

*Akela Amador:  
personaggio già nominato in questa fanfiction, è presente nel mondo MarvelTV ed appare nell'episodio 1x04 "Spy Eye" di Marvel's Agents of S.H.I.E.L.D.

** Vanchat:  criminale nell'ambito del mercato nero di armi e di tecnologia aliena (chitauriana), dopo la Battaglia di New York (Marvel's The Avengers) viene nominato spesso nella serie tv Marvel's Agents of S.H.I.E.L.D. negli episodi: 1x01 "Pilot" e 1x04 "Spy Eye" e lo vediamo nell'episodio 1x11 "The Magical Place". 

***Triskelion: base principale dello S.H.I.E.L.D. dove vi è stabilita la sede ufficiale.  

****il ruolo di un transgender: il film in questione è reale ed è intitolato "The Adventures of Sebastian Cole" dove Clark Gregg (l'attore interprete di Coulson) interpreta il ruolo di Henry/Henrietta Rossi, patrigno del protagonista che decide di fare coming-out nei primi minuti del film. 




 
   
 
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