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Autore: PawsOfFire    08/07/2017    4 recensioni
Russia, Gennaio 1943
Non è facile essere i migliori.
il Capitano Bastian Faust lo sa bene: diventare un asso del Tiger richiede un enorme sforzo fisico (e morale) soprattutto a centinaia di chilometri da casa, in inverno e circondato da nemici che vogliono la sua testa.
Una sciocchezza, per un capocarro immaginifico (e narcisista) come lui! ad aggravare la situazione già difficoltosa, però, saranno i suoi quattro sottoposti folli e lamentosi che metteranno sempre in discussione gli ordini, rendendo ogni sua fantastica tattica fallimentare...
Riuscirà il nostro eroe ad entrare nella storia?
[ In revisione ]
Genere: Commedia, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
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Ero riuscito a ricongiungermi con i miei uomini.
O almeno...quasi tutti.
Maik...la sua storia è estremamente buffa. In ospedale aveva rifiutato qualsiasi tipo di medicinale, definendolo “un male per l’anima”
In particolare, quando rifiutò una trasfusione di sangue, una giovane infermiera, fervente sostenitrice del partito, iniziò a sostenere che fosse un Testimone di Geova e che non avesse dunque mantenuto il giuramento di fedeltà alla nazione rinunciando al suo credo.
Costei aveva un fidanzato stanziato poco lontano, un certo Otto Von Habsburg, Sergente SS conosciuto in zona più per i debiti a carte che per le azioni militari. Venne chiamato a gran voce dalla fidanzatina all’ospedale per un’attenta analisi al paziente nel quale, col passare dei giorni, sembrava palesarsi sempre di più la sua appartenenza ad una razza inferiore.
Visto che la sua affiliazione alle SS non doveva passare inosservata, il Sergente si presentò al campo con due macchine, dieci uomini e tre cani.
Penetrò nell’ospedale con la pistola sguainata ed un cane sbavante, ordinando a gran voce una perquisizione di tutto il reparto.
Dopodiché lasciò il cane ad una recluta e scomparve misteriosamente con la fidanzata.
I suoi nove uomini, tutti appena usciti dalle caserme con esperienza pari ad un carciofo con le mostrine, rovesciarono l’ospedale alla ricerca dei misteriosi pazienti indesiderati dal partito.
Ad un certo punto due iniziarono a litigare.
Ad un terzo scappò il cane.
Quindi, dopo aver deciso all’unisono che l’unico modo per riconoscere un Untermensch* da un buon cittadino tedesco era chiederglielo, fecero un giro di domande velocissime ed uscirono dall’ospedale in otto, visto che uno era stato morso al polpaccio da uno dei pastori tedeschi.

~

Le tormentate vicende di Maik non finirono qua.
Dopo diversi comportamenti aggressivi nei confronti del personale medico, in particolare verso le due infermiere russe, Irina e Galina, l’equipe di dottori si vide costretta a chiamare una terza persona: il temutissimo Maggiore della sanità Walter Weiss.
Herr Weiss, croce di ferro di prima classe durante la Grande Guerra e adesso prestante servizio in campo medico, era divenuto famoso per le sue ricerche sul Pervitin e, soprattutto, per la sua personalissima variante azzurra capace di portare il fruitore in uno stato totale di berserkr per qualche ora, prima di morire brutalmente, schizzando sangue da ogni orifizio come una fontanella dei giardinetti pubblici.
Attualmente stava cercando qualcuno in grado di resistere ai terribili effetti collaterali della sua droga.
Si era presentato una domenica piovosa con la sua bella divisa da ufficiale carica di mostrine. Infermiere e dottori lo aspettavano all’ingresso, impettiti e coordinati nel saluto come una perfetta coreografia teatrale.
Lui, monocolo e naso adunco, trascinava gli stivaloni neri sullo stranamente lucido pavimento dell’ospedale, lasciando tracce di spesso fango marrone al suo passaggio.
“Dov’è l’uomo” disse ad un certo punto, con voce bassa e spaventosamente rauca.
Biermann, ansioso di far carriera, lo guidò verso una spessa colonna di una navata laterale.
Lì, legato con una spessa catena di metallo come un cane, sedeva Maik Gerste, il pericolosissimo paziente zero. Bendato malamente, Wolfmann ignorò completamente il Maggiore Weiss, preferendo leccarsi le ferite come un cane rognoso.
“Inizialmente abbiamo provato a somministrare cure per la rabbia ma mi creda, Herr Weiss, non hanno fatto effetto. Le dirò di più. Nessuno riesce ad avvicinarlo. In molti hanno ricevuto graffi e morsi...e non siamo nemmeno sicuri che parli la nostra lingua...”
“Ha detto abbastanza” tuonò il Maggiore. In risposta Biermann divenne piccolo piccolo ed iniziò a succhiare nervosamente la punta della penna in preda ad una forte astinenza da fumo.
“Caporal Maggiore Maik Gerste...” l’uomo si chinò verso di lui, fissandolo negli occhi. L’altro smise di leccarsi per ricambiare l’occhiata, una sfida vera e propria che durò diversi minuti.
“Lei è l’uomo che cerco.”
Maik, in risposta, grugnì.
“So riconoscere il valore di un soldato. E lei, Herr Gerste, è esattamente quello che sto cercando.”
Maik improvvisamente venne catturato dal discorso. Negli occhi scintillava una strana nota di ammirazione, così diversa dalla noiosa rassegnazione che ero solito la leggere nel suo sguardo.

“Qua dentro” mormrorò Weiss, picchiettando un dito guantato contro un tubetto bianco “c’è il segreto della vittoria. La chiave finale. Dica solo una parola. 
Una sola. 
E vinceremo questa guerra.”

Furono momenti di tensione infinita.
E, nella mia testa, sapevo esattamente cosa sarebbe successo.
Maik avrebbe sorriso sinceramente, mostrando gli inquietanti canini più appuntiti del normale.
“Sono l’uomo che sta cercando”
E così fu.
Si lasciò slegare come un agnellino e partirono assieme, camminando fianco a fianco come due pari.

~

Quindi, a conti fatti, ci ritrovammo in quattro.
Trovammo alloggio in un agglomerato di isbe poco confortevoli ma ancora perfettamente arredate. Una accanto all’altra, con i loro tetti grigi ed i muri di legno marcio, sembravano infinitamente tristi.
Klaus e Martin erano sani come pesci.Floridi e ridanciani, stavano seduti per terra a giocare a carte. Tom dormiva appoggiato ad alcune cassette di legno, mascherando la cicatrice in testa indossando il cappello di tre quarti.
Dimissioni anticipate anche per lui, nonostante il braccio non si fosse ancora saldato del tutto, esattamente come la mia gamba. Ma, senza stecche, sembrava molto più sano rispetto a me ed alla mia stampella.
Parlammo poco e, soprattutto, nessuno nominò Maik. Eravamo completamente ignari del suo destino ma, nonostante tutto, mi sentivo terribilmente tradito.
Cercai di pensarla positivo – se si fosse rifiutato probabilmente sarebbe stato condannato ed infine abbattuto come una bestia rabbiosa – ma, in quanto suo direttissimo superiore avrei sperato una remora in più, qualcosa che facesse presagire che, tutto sommato, nutriva un po’ di fiducia nella mia persona.
Fu un duro colpo alla mia autostima. Mi chiusi in un angolo a bere. Fiete si accucciò accanto a me, orecchie dritte, pronto ad abbaiare al primo scocciatore di passaggio.
Ma non arrivai nemmeno a mezza bottiglia che la gracile figura di Tom si palesò davanti a me.
“Capitano, non faccia quel muso lungo”
“Lei non capisce” bofonchiai, portandomi nuovamente la bottiglia alle labbra.
“Si dimentichi di Maik. E’ uno spirito libero, sicuramente starà meglio adesso, ovunque lui sia.”
Prese un lungo respiro. Poi continuò.
“C’è una cosa qua fuori...e vorrei presentargliela. Si fidi, le piacerà”

Credo di non meritare un commilitone come Tom. Sono molto più grosso di lui e, nonostante avesse un braccio rotto, mi diede comunque una mano a sollevare il mio ingente peso da terra. Mi sistemò la stampella sottobraccio e a questo punto fu solo questione d’orgoglio perché, altrimenti, avrebbe sostenuto la mia camminata zoppicante fino a quel minuscolo spiazzo di terra strappato agli alberi dove, imponenti, alloggiavano alcuni carri armati nuovi di zecca.
“Guardi qua, Capitano Faust! Non è una meraviglia?”
Tom era euforico. Saltellava come un fanciullino davanti al gigante corazzato dalle tinte mimetiche. Le probabilità di ricevere un secondo Tiger erano inferiori allo zero e non fui così stupito quando mi ritrovai faccia-a-faccia con il nuovissimo Panther.
“E’ carino” commentai. Ovvio, non era la stessa cosa. Questo, in confronto alla Furia enorme e prepotente, sfigurava con le sue linee alleggerite da carro medio.
“E’ affidabile?” chiesi, studiandone la superficie.
“Non esattamente. Così mi hanno riferito. E’ ancora un po’ capriccioso ma se tu avrai fiducia di lui...”
“Lui avrà fiducia in te”
E’ strano pensare ad una macchina come qualcosa di vivo e senziente ma, in quanto dipendenti da essa, spesso comunicavamo con lei, ringraziandola ed insultandola per eventuali vittorie e disfatte. Forse è la pazzia della scatola da scarpe, la claustrofobia di essere compressi in cinque metri di terrore.
Sorrisi.
“E allora sia così. Furia Nera seconda, benvenuta nel gruppo.”
Speriamo sia degna del suo predecessore.

~

Scrivemmo il suo nome a caratteri cubitali sul cannone e la battezzammo con una bottiglia di vodka vuota. Fui quasi commosso dalla cerimonia fin quando Fiete decise di marcare il territorio su uno dei cingoli. A quel punto divenne un feroce inseguimento al cane ed il Panzer venne dimenticato, immobile nella sua assoluta potenza.

~


Il giorno dopo un furgone carico di uomini venne a farci visita.
Erano tutti giovanissimi. Ricordo ancora quando partii io per la guerra ed eravamo tutti uomini, seppur giovani. Adesso sono...ragazzini. Non credo superino la ventina, credo abbiano circa diciotto anni.
Ed uno di questi, spavaldissimo e sorridente, si avvicinò a me, cogliendomi di sorpresa mentre fingevo interesse sul nuovo manualetto del Panther. Nonostante fossi un discreto lettore e questi libretti fossero in qualche modo aspramente comici, in essi ricercavo le fanciulle disinibite del Tiger, manuale che custodisco ancora con gelosia tra i miei spiccioli averi.
“Che schifo” commentai ad alta voce “si impegnano a fare tutte queste vignette quando l’unica cosa interessante sono le donne in costume” che, in questo volumetto, scarseggiavano terribilmente, sostituite da orchestre e schiere di angioletti che si ripresentavano in più pagine e che, francamente, non mi interessavano.
Fu dunque in questo frangente che il giovinotto si presentò a me a braccio alzato e postura esemplare. Devo ancora chiedermi perché alle reclute insegnino a salutare così bene.
“Postura perfetta, ragazzo mio” lo derisi, fingendo genuino interesse. Lui divenne tutto rosso e fece uno smagliante ed orgoglioso sorriso.
“Merito del duro addestramento in caserma, Signor Capitano!”
“Bene”
ridacchiai “Nel caso dovessi scorgere la punta di un Mosin-Nagant** che mira alla tua testa, salutalo nello stesso modo. Sono sicuro che deciderà di risparmiare un teatrino così...patetico.”
Il giovane mantenne una posizione impassibile, nonostante potessi leggere nei suoi occhi infinita tristezza. Non era un’accusa nei suoi confronti, in realtà. Per quanto adorassi praticare del sano nonnismo sui giovani camerati, il sistema iniziava davvero ad irritarmi. Il saluto è perfetto ma...il resto?
“Signor Capitano, io...mi chiamo Daniel Kemple e...sono il suo nuovo Marconista.”
In effetti mi ero dimenticato di questa figura. Teoricamente Maik ne occupava il ruolo ma la sua cooperazione era quasi nulla. In realtà dubito abbia mai sistemato i collegamenti radio in vita sua.
“Mi...mi hanno detto di rivolgermi a lei, ecco...” il suo volto completamente rosso tradiva il suo portamento inflessibile da regolamento.
“Riposo. Kemple, hai detto? Sei mai stato in missione?” Gli chiesi, fingendomi più interessato ad una macchia sulla divisa che alla sua figura.
“Mai stato in missione, signor Capitano! Questo è il mio primo giorno, signor Capitano!”
Cambio controproducente. Maik, nonostante tutto, era un grandissimo cecchino, nonché infallibile mitragliere.
E questo...lo squadrai per bene. I capelli radi scuri, il viso perfettamente ovale con due guance piene e rosse che parevano narrare echi di una vita sana...
“Età?”
“Vent’anni compiuti signor Capitano!”
Un cucciolo, praticamente. Ero disperato. Avevamo solo sei anni di differenza ma da noi due pareva esserci almeno una decade. Come fisico, carattere, esperienza...tutto.
Ed io dovevo badare a lui.
Il giovane doveva aver notato il mio immenso disappunto e sembrava sul punto di scoppiare a piangere per avermi deluso.
“Cerca di essere almeno bravo la metà del tuo predecessore, il Caporal Maggiore Gerste. Lui riusciva a centrare un coniglio in un occhio da cinquecento metri e...”
“Signor Capitano! Perdoni la mia inesperienza, signor Capitano!”
Santo cielo. Stava piangendo per davvero. Nei centri d’addestramento non usano più gli stivali sugli stinchi come ai miei tempi?
“La...io non...io non lo so ma posso imparare! Glielo giuro sulla terra dei nostri padri, signor Capitano! io...”
“Va bene così, va bene così. Sistema le tue cose e ne riparliamo dopo.”
Il giovane tirò su forte col naso e si congedò con un saluto perfetto.
Sarei riuscito a portarlo sano e salvo fino alla fine della guerra?

Note:

* Sub-umano. Persone che i nazisti ritenevano appartenere a razze inferiori.
**Fucile di precisione russo.


 

 

   
 
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