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Autore: Kim WinterNight    08/07/2017    2 recensioni
[Sequel di 'Alive'.]
«Siamo giunti all'ultimo campo per Laura.
Stavolta però si ritrova ad avere qualcuno al suo fianco, qualcuno che però non è Marco.
Forse questa è la volta buona, forse la ragazza riuscirà a superare l'attrazione che da sempre la lega a qualcuno che non la ama.
Lei ci proverà, supportata da sua sorella Tamara, dall'immancabile e storica amica Viola e da tutti i loro compagni di avventura, sotto la supervisione di educatori e istruttori che non rinunceranno a mettere i ragazzi alla prova e a combinare un bel po' di casini.»
Come per le due storie precedente, troverete una colonna sonora diversa per ogni capitolo. Vi basterà cliccare sul collegamento presente sul titolo per essere rimandati direttamene al brano su YouTube.
Inoltre, come di consueto, il titolo della storia porta il nome di una canzone dei P.O.D. intitolata proprio 'Boom': vi consiglio di andarla a sentire! ;)
Buon ascolto e buona lettura e, come sempre, non esitate a farmi sapere il vostro parere ♥
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Youth Of The Nation'
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ReggaeFamily

Capitolo dodici: Heaven And Hell




L'attività di musicoterapia ci servì davvero; dopo la prima parte, facendo un conteggio dei voti che ognuno di noi aveva ricevuto, furono proclamati i vincitori, ovvero io, Marco e Tamara.

Dovemmo cantare un altro brano e trovare una citazione di nostro gradimento da dedicare al resto del gruppo; questo mi portò a riflettere ancora di più su ognuno dei miei compagni d'avventura, finché non mi resi conto che, a prescindere da tutto ciò che inevitabilmente ci divideva, eravamo legati dalla speranza di non arrenderci e di fare dei nostri limiti un punto di forza.

Perciò dedicai loro un brano reggae cantato da una ragazza molto talentuosa, il che fece piovere su di me ulteriori complimenti che sentivo di non meritare. Non avevo mai studiato canto, non possedevo nessuna tecnica e la mia performance non era stata granché. Ciò che davvero volevo comunicare era un messaggio chiaro: volevo che nessuno si arrendesse, che tutti guardassero al futuro anche se i loro occhi non potevano scorgere ciò che si palesava nel loro cammino, di pensare sempre positivo e amare la vita.

Perché è lei, la vita, il dono più prezioso che ogni essere possiede.


Ripensarci mi faceva sorridere e rendere conto di aver scaricato un sacco di ansia e malumore; ero molto grata a Maria Vittoria e Alfonso. Quando ci avevano annunciato che sarebbero tornati per un'altra attività con noi, ne ero stata subito entusiasta e già non vedevo l'ora che ciò accadesse.

«Lau, ci sei?» Tamara attirò la mia attenzione e mi riportò bruscamente alla realtà.

Eravamo in camera mia, ci eravamo tornate da poco, e stavamo aspettando che Viola si decidesse a entrare in doccia.

«Sì, ripensavo a prima... comunque non sono stata così brava con quella canzone, esagerati» borbottai.

«Macché. Sempre a sottovalutarti, che palle! Piuttosto, vi devo raccontare di Marco!» saltò su mia sorella.

«E adesso come facciamo? Io devo lavarmi! Venite a farmi compagnia in bagno?» ci propose Viola, raccattando qualcosa da mettersi.

«Ci sarà un caldo bestiale dentro quel bagno... e se lasciassimo la porta aperta? Tanto se arriva qualcuno ce ne accorgiamo io e Tami!» suggerii. Non avevo nessuna voglia di farmi una sauna proprio in quel momento, ero già pronta per andare a cena.

«Okay! Dai Tami, comincia a raccontare!» la sollecitò Viola, avviandosi a tentoni verso la sua meta.

Marta scese precipitosamente le scale in legno, producendo un baccano infernale. «Voglio sentire anch'io!» esclamò, piazzandosi accanto alla soglia del bagno.

Tamara andò a sedersi sul coperchio del water e io mi posizionai di fianco a Marta, pronta a scoprire cosa avesse combinato Marco.

«Allora... l'altra sera non avevo voglia di andare a dormire, dopo essere andata via dalla vostra stanza. Così sono scesa e sono andata verso la stanza dei ragazzi. Lì ho trovato Marco che studiava per i test d'ammissione, fuori in veranda.»

«Non capirò mai come fa a studiare al buio e a quegli orari improbabili...» commentai perplessa.

«Non chiederlo a me...»

«E quindi? Arriviamo al dunque!» si agitò Marta curiosa.

«Quindi mi sono seduta con lui e ho cominciato a giocare con i suoi capelli. Poi siccome avevo freddo, lui mi ha offerto la sua giacca e si è messo anche lui a giocherellare con qualche mia ciocca. Ma fin qui tutto okay, nella norma. Anzi, stavamo ridendo perché in lontananza si sentiva qualcuno fare karaoke, gente disagiata s'intende! Erano stonatissimi!» proseguì mia sorella.

«MI sembra di averli sentiti, è vero!» concordò Marta in tono divertito.

«Non era solo questo il racconto, vero?» intervenne Viola, la voce ovattata per via del getto dell'acqua sotto il quale si era infilata poco prima.

«No, aspettate, questo è niente!» Tamara sospirò. «Ieri, dopo che Lau e Vivi se ne sono andate dalla nostra stanza, io non avevo molto sonno. Così ho avvisato Giovi che sarei andata da Marco, sicura di trovarlo immerso nello studio o comunque sulla veranda della stanza dei ragazzi. Sono scesa e, come sapete, c'era abbastanza fresco ieri sera, così l'ho trovato con una coperta enorme e pesantissima addosso...»

Risi. «Di quelle matrimoniali in lana che ci sono anche nel nostro armadio?»

«Sì, esatto. Una di quelle. Stava studiando ed era seduto per terra, così mi ha offerto un pezzo di coperta e anche io mi sono seduta sul pavimento. Come al solito abbiamo cominciato a parlare e dire fesserie, mentre giocavamo l'uno con i capelli dell'altra. Niente di che, no?»

Ero sempre più curiosa e preoccupata. «Appunto, e...?» la incitai.

«E niente... oddio, aspettate che ancora non ci credo. Okay, riprendiamoci, ehm...»

«Oddio, Tami, non farci preoccupare!» disse Viola.

«Tranquille, ora proseguo! In pratica a un certo punto ha cominciato a lasciarmi carezze sui capelli e il viso, poi si è mezzo sdraiato su di me usandomi come cuscino... io non sapevo cosa fare, ero sinceramente basita, ma ho cercato di non darlo a vedere. Il top è stato quando mi ha dato un bacio sulla testa. Sono rimasta immobile e...»

«Cosa?!» strillammo noi tre all'unisono.

«Dimmi che non è vero!» esplose Marta, scoppiando a ridere.

«Giuro! E poi... poi me ne ha dato un altro e io lì ho capito che dovevo andarmene a letto. Anche perché, poco dopo, mi ha afferrato il mento ed era come se volesse sollevarlo verso di lui, per...»

Mi presi la testa tra le mani in preda alla disperazione. «Non è possibile, che stronzo! Che pezzo di merda!» esclamai indignata, non riuscendo a credere che davvero Marco fosse arrivato a tanto.

«Credici! Nel frattempo avevo i brividi per il freddo e lui mi ha chiesto: “Sei sicura che stai tremando per il freddo?”. Credeva forse che stessi tremando per l'emozione di averlo vicino? Ma è proprio un povero illuso! Vi giuro che a quel punto gli ho detto che volevo andare a letto e gli ho chiesto di riaccompagnarmi in camera mia. Meno male che non ha fatto storie!»

«Che squallore, ragazze, non ci credo... ma vi rendete conto che questo deficiente neanche due mesi fa voleva ricostruire con me un rapporto d'amicizia o d'amore e ora ci prova spudoratamente con mia sorella?! Mi fa schifo! Ma si può davvero cadere così in basso?» sbottai adirata. Ce l'avevo con lui, ma ancor di più con me stessa per aver anche solo rimpianto di non aver costruito qualcosa con lui in passato.

Solo ora mi stavo rendendo conto che avevo sprecato davvero il mio tempo e le mie energie, stando appresso a un coglione senza cervello, un pezzente che ragionava solo con ciò che regnava all'interno delle sue fottute mutande.

Ero veramente incazzata, ma sentivo anche una gran pena nei confronti di quel ragazzino stupido e insensibile; mi faceva pena perché era semplicemente vuoto e senza una morale, si dava tante arie ma alla fine rimaneva soltanto un involucro senza cuore né riguardo per il prossimo, un narcisista egoista ed egocentrico che non badava a niente quando si trattava di ottenere qualcosa che poteva procurargli piacere.

«Questo è davvero troppo, vi giuro! Io me ne vado, devo cercare Giovi. Adesso riderò ogni volta che me lo ritroverò di fronte, che penuria!» blaterò Marta, per poi lasciare la stanza.

A quel punto anche io scoppiai a ridere, rendendomi conto che non avevo nessuna voglia né intenzione di innervosirmi per un essere spregevole come Marco.

Il fatto che uscissi con Danilo non aveva niente a che vedere con lui ora, perché a quel punto non avrei potuto lasciarmi andare con Marco neanche se avessi voluto; mi faceva schifo, ribrezzo, mi disgustava in una maniera che non sapevo descrivere neanche a me stessa.

Tamara e Viola risero con me per un bel po' di tempo, e alla fine riuscii a vedere il lato tristemente ironico della faccenda; non dovevo pormi dei problemi, l'unico che stava facendo una grossa figura di merda era solo e soltanto Marco.

Dopo un po' riuscimmo a riprenderci dalle risate e io mi sentii molto più libera e rilassata.

«Vivi, ma... hai finito?» chiesi alla mia compagna di stanza, quando il getto dell'acqua si interruppe.

«No, devo ancora insaponare il corpo» rispose lei con semplicità.

Tamara si lasciò sfuggire un sospiro. «Ma Viola, sei lì dentro da almeno venti minuti!» esclamò.

«Ordinaria amministrazione...» bofonchiai, avviandomi verso il mio letto alla ricerca del cellulare.

«Ragazze! Muovetevi, tra un quarto d'ora si va a cena!» gridò Giovanna dal piano di sotto, dopo essersi posizionata sotto la finestra della mia stanza.

«Arriveremo in ritardo, sappilo» la avvertii. «Viola è ancora in doccia.»

«Viola, sbrigati!» strillò ancora l'educatrice.

Scoppiai ancora una volta a ridere e finii di sistemarmi, ripensando solo vagamente a ciò che avevo appena appreso da mia sorella.

Marco era davvero pessimo, come potevo essermi legata così tanto a lui in passato? E come avevo potuto permettergli di giocare con me?

Non riuscivo a perdonarmelo, ma ormai era acqua passata e non potevo certo castigarmi per sempre.

Però, sicuramente, potevo imparare dai miei stessi errori.


Per cena ci recammo in una trattoria, la stessa in cui eravamo stati anche l'anno precedente; la raggiungemmo a piedi, usando il bastone bianco, e devo dire che andò decisamente meglio rispetto alle altre volte.

Il paese era stranamente immerso nel buio e presto scoprimmo che c'erano stati dei problemi con la corrente nelle strade. Fu un'esperienza abbastanza interessante per tutti, anche per chi solitamente era abituato ad avere un livello di vista più elevato.

Il tragitto non durò troppo a lungo, ma io mi sentivo stanca e presto appresi anche non ero l'unica a sentirmi sfinita quel giorno; anche mia sorella riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti e, se non fosse stato per l'ottimo cibo che mandammo giù, probabilmente entrambe ci saremmo addormentate con la testa dentro il piatto o sul tavolo.

A un certo punto ci fu una scena piuttosto esilarante, per la quale dovetti trattenere le risate.

Marco era seduto alla destra di Tamara e i due ogni tanto scambiavano qualche parola, anche se spesso Nicolò si intrometteva e cercava di attirare l'attenzione con una delle sue fesserie.

A un certo punto sentii Tamara dirgli: «Stanotte dormi allora, ti lamenti sempre che sei stanco e poi...»

Lui rispose: «Tanto non ci riesco. Le alternative quindi sono due: o mi metto a studiare o vieni tu a farmi compagnia».

Rischiai di strozzarmi con un pezzo di pane e attesi la risposta di mia sorella, curiosa di scoprire come lo avrebbe rimbeccato.

«Marco, non so neanche se arrivo al residence, figurati se vengo a farti compagnia... non esiste, ho troppo sonno!»

Esultai interiormente per la fantastica risposta di mia sorella e mi ripromisi di farle i complimenti. Quel cretino non si meritava nient'altro che rimanere da solo a studiare o a fare ciò che gli pareva. L'importante era che smettesse di importunarci e che tenesse le mani a posto, per il resto non erano certo problemi miei.

Decisi di rientrare a piedi per evitare di addormentarmi sul furgoncino o in attesa di esso, ma purtroppo dovetti fare il tragitto a braccetto con Marco, il quale aveva optato per una passeggiata con la scusa di far scemare un po' l'effetto del vino che aveva bevuto durante la cena.

Come al solito aveva esagerato e non aveva saputo quando fermarsi, razza di imbecille. Più ci avevo a che fare, più sentivo un forte senso di repulsione farsi strada dentro me.

Ma, da qualche parte, esisteva ancora quella stupida e pedante attrazione, non riuscivo a scongiurarla del tutto e questo mi mandava letteralmente in bestia.


Mentre mi preparavo per andare a letto, misi su un po' di musica e nel lettore del mio telefono risuonarono le prime note di Heaven And Hell dei Black Sabbath; mi piaceva molto quel brano, specialmente perché a cantarlo era Ronnie James Dio. Lo avevo sempre apprezzato molto più di Ozzy Osbourne come voce di quella band, così lasciai scorrere la musica e mi ritrovai a canticchiare qualche parola del testo.


Sing me a song, you're a singer


Il primo verso della canzone sembrava fatto apposta per rappresentare l'attività di musicoterapia che avevamo svolto nel pomeriggio. Ma furono altre parole a colpirmi.

A volte ci sono dei momenti in cui, nonostante si conosce un brano da un sacco di tempo, ci si sofferma per la prima volta su una particolarità di esso a cui non si aveva mai prestato attenzione.

E a me accadde quando Ronnie cantò:


Well if it seems to be real, it's illusion
For every moment of truth, there's confusion in life


In poche parole e con la sua solita capacità di creare delle vere e proprie poesie, aveva descritto ciò che pensavo della vita e di quanto mi stava succedendo ultimamente.

Se ti sembra che qualcosa sia reale, be', non è altro che un'illusione, aveva detto. E cosa c'era di più illusorio dei sentimenti e dei pensieri che ognnuno di noi si creava nella sua mente?

A me era successo con Marco, mi ero illusa che fosse una persona diversa, che potesse essere adatta a me, e invece si era rivolato un vero e proprio idiota.

E come potevo essere certa che anche con Danilo non stessi sbagliando tutto? Forse non avrei dovuto pensarci, ma le mie esperienze mi avevano insegnato che non tutto è come sembra, anzi non lo è mai.

E Ronnie aveva anche detto che per ogni momento di verità bisognava aspettarsi solo confusione; come potevo dargli torto? La verità faceva male, era sempre così, e non sempre era utile a chiarirci le idee.

Per me quelle parole furono una rivelazione, così andai a letto con l'amaro in bocca e con la sgradevole sensazione di aver, ancora una volta, sbagliato tutto.

  
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