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Autore: kenjina    08/07/2017    1 recensioni
La situazione peggiorò quando trovarono un tavolo da biliardo libero e pronto solo per loro e, ovviamente, finì invischiato in un due contro due in coppia con la sua manager - almeno quella era una piccola fortuna in mezzo a tanta sfiga, si disse per farsi forza. Non avrebbe saputo di che morte morire, se avesse dovuto scegliere tra il Porcospino e la Scimmia; per non parlare della nuotatrice che, grazie a Buddha, non aveva mai giocato a biliardo e non sapeva neanche da che parte iniziare.
«Ehi, guarda che hai le palle piene tu, intesi?», gli fece Hanamichi, puntandogli la stecca contro.
Rukawa sollevò gli occhi al cielo. «Scimmia, non c'era bisogno di dirmelo. Che ho le palle piene di te lo sapevo da tempo».
(Tratto dal capitolo 17)
I ragazzi selvaggi son tornati, più selvaggi di prima... Ne vedremo delle belle!
Storia revisionata nell'Agosto 2016
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nobunaga Kiyota, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wild Boys'
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Capitolo 26

Complotti fraterni

 

 

 

Il ritmico rimbalzo della palla dal muro al pavimento era l’unico suono che proveniva dalla stanza semibuia. Aveva deciso di chiudere gli scuri scorrevoli per evitare la spiacevole vista della neve, e di conseguenza non pensare a lei, ma purtroppo non aveva ottenuto il risultato sperato. Era entrato in quello stato apatico dal loro ultimo incontro, quella mattina in ospedale, e nonostante i buoni propositi di farsi scivolare addosso le sue parole come acqua sotto la doccia, non faceva altro che riviverle di continuo.

«Ti odio, Kiyota! Ti odio così tanto da far male!»

L’aveva debilitato. Era lui a odiarla, non viceversa! Con che diritto lo faceva?

Ma era stata la frase successiva a farlo vacillare sul serio, compreso il suo strano sollievo nel vedere Rukawa in compagnia di un’altra.

«Spero ti fiderai un po’ di più della tua prossima ragazza, se mai ne troverai un’altra. Non c’è amore senza fiducia. E io mi fidavo ciecamente di te».

Cosa stava cercando di dirgli? Che lo aveva amato, a differenza sua? Era forse pazza? Lui era innamoratissimo di lei, dannazione, lo era ancora! Era stata lei a prenderlo in giro, non viceversa. Tutti sapevano della sua relazione con Rukawa, tutti tranne lui. L’idiota di turno che si era fatto imbambolare dai suoi modi stravaganti e dalla risata contagiosa, dal suo incredibile stile di gioco e gli adorabili capelli da strega.

Peccato che lo fosse davvero, una megera.

Continuò così per i successivi dieci minuti, palla contro il muro, rimbalzo a terra, ripresa con entrambe le mani; finché non udì bussare timidamente alla porta e fermò i suoi movimenti. La testa nera della sorellina fece capolino sull’uscio. Era in piedi, l’uso delle protesi era diventato quasi familiare e ogni giorno che passava utilizzava sempre più di rado la carrozzina, specialmente in casa e per corti percorsi.

«Nobu», lo salutò lei, stringendo le labbra in un sorriso tirato. «Sto provando a studiare, ma con questo rumore non riesco».

Il numero dieci del Kainan divenne rosso come il pallone che teneva in mano e lo poggiò in terra. «Scusami, Ari-chan. Ti serve una mano?»

Lei annuì. «Matematica».

Nobu sbuffò di divertimento. «Non ti entrerà mai in testa, eh? Forza, fammi vedere».

La seguì in camera e ringraziò il cielo della sua sorellina, che per qualche ora riuscì a distrarlo con le sue equazioni impossibili e i presunti risultati sbagliati del libro.

«Nobu», fece Arimi, a voce bassa per paura che il fratello la rimproverasse. «Vuoi per caso parlarne?». Non c’era bisogno di specificare l’oggetto della discussione; Kiyota lo capì al volo e si rabbuiò.

«Non ho molto da dire, Ari-chan».

«Non c’è proprio nulla che possa fare? Perché non provate a parlare civilmente?»

«E sentirmi dire altre bugie?»

«E se ti stessi sbagliando?»

Nobu incrociò le braccia al petto, imbronciato. «Non mi sto sbagliando, non questa volta. Ci sono stati tanti di quei segnali e io sono stato uno scemo per non essermene accorto prima».

«Fratellone, ho visto come stavate bene insieme. Non credo davvero sia possibile che stesse mentendo tutto quel tempo. Per quel poco che la conosco, Hime-san è una persona aperta, non starebbe con qualcuno se non lo volesse davvero. Per quale motivo avrebbe dovuto farlo?».

«Pff. A quanto pare non la conosco neanche io. Possiamo cambiare argomento, Ari-chan?».

La ragazza annuì, sconsolata. Si sentiva la sorella più inutile del mondo. Suo fratello stava soffrendo da settimane e lei non aveva la più pallida idea di cosa fare per farlo sentire meglio. E ne era sicura, anche la senpai Hime stava male.

Strinse le labbra quando lui lasciò la stanza, dichiarando di andare a scolarsi una coca-cola in cucina. Il suo sguardo si posò sul telefono appeso al muro del corridoio, proprio davanti alla sua porta, e un’idea geniale le venne in mente. Doveva solo aspettare che Nobunaga uscisse quel sabato pomeriggio: le aveva detto che Jin avesse organizzato un pranzo a casa sua con la squadra, non per festeggiare una vittoria ma per cercare di tirare su il morale ai suoi compagni.

Sperò vivamente che ci riuscisse.

 

*

 

Casa Jin non era mai stata così caotica – per la disperazione della signora di casa, che era sempre così pacata da non alzare mai il tono della voce più di un sussurro. L’intero Kainan King si era riunito per pranzo con la voglia di riprendersi dall’amara sconfitta contro lo Shohoku, soprattutto i più anziani che avevano visto sfumare la possibilità di vincere il loro ultimo campionato scolastico, prima dell’inizio dell’università. Quasi tutti stavano riuscendo nell’intento, per la gioia dell’organizzatore.

Tutti, tranne uno.

Nobunaga stava pizzicando il suo pranzo con la punta delle bacchette, quando sentì una mano sulla spalla scuoterlo. «Uh? Oh, Capitano, che c’è?»

Shin’chi Maki aggrottò la fronte, abbacchiato. «Non hai fame?»

L’altro si strinse nelle spalle. «No, non molta».

«Quel ramen lo ha preparato la madre di Soichiro, e sappiamo tutti quanto brava sia quella donna in cucina», tentò Muto, risucchiando rumorosamente il brodo dalla ciotola per confermare le sue parole.

«Non lo metto in dubbio», borbottò Nobunaga, buttando giù un boccone di malavoglia. «Uhm, sì, è decisamente buonissimo».

Maki sospirò con pesantezza, scambiando un’occhiata con Jin, dall’altra parte del tavolo. L’espressione serena di quest’ultimo, che fino a poco prima stava sorridendo e ridacchiando a qualche racconto scemo dei suoi compagni, cadde nel momento in cui vide l’unica persona che non si stava divertendo affatto – e sapeva per certo che la partita persa non era il motivo principale di tanta tristezza.

«Allora, vuoi deciderti a fare qualcosa per toglierti questa faccia da disperato, o devo farlo io?», sbottò il numero quattro del Kainan, per la prima volta sinceramente adirato. Nobunaga arrossì fino alla punta dei capelli e si fece piccolo piccolo sul suo cuscino, mentre il resto della squadra ammutoliva di colpo.

«Shin», lo rimproverò bonariamente Soichiro, ma quello non gli badò.

«Hai fatto un casino, Kiyota Nobunaga, e devi risolverlo. Punto. Non serve a niente mettere il muso e rovinare la festa agli altri».

«Io non ho fatto un bel niente, Capitano! È stata lei a–» Non riuscì a finire la frase, dato che un improvviso pugno sulla testa gli fece morsicare la lingua tra i denti.

«Quando siamo andati a trovare Sakuragi... vi siete incontrati, vero?»

«Uh… più scontrati, direi», borbottò Nobunaga, lanciando un’occhiata sbieca e imbarazzata alla squadra, evidentemente troppo interessata alla loro discussione per continuare a fare casino – maledette pettegole in pantaloncini. «Capitano, possiamo parlarne in un altro momento?»

«No».

Il numero dieci incurvò la schiena, abbattuto. «E cosa vuoi che dica?»

«Cos’altro è successo, per esempio. Fino all’altro giorno eri incavolato con il mondo, ora sembri un cane bastonato», spiegò Maki, abbassando il tono di voce. «Sono preoccupato per te, Nobunaga».

Il resto del Kainan, capendo che la discussione pubblica fosse finita, riprese a chiacchierare. Solo Jin rimase con un orecchio teso verso i due.

«Ha detto di odiarmi. “Ti odio così tanto da far male”», la scimmiottò, le nocche che divennero bianche come il latte per quanto stava stringendo i pugni. «E mi ha fatto intendere che… ecco, che fosse innamorata di me, davvero innamorata, a differenza mia».

«E questo ti turba?»

«Diamine, certo che sì!», s’inalberò. «Continua a raccontare frottole, nonostante tutto! Avrei dovuto dirle io, quelle cose, non viceversa».

Il numero quattro lo osservò in silenzio, mentre si arrovellava le cervella, e capì che non gli stesse dicendo tutto. «Cos’altro è successo?»

Nobunaga si mordicchiò il pollice, serrando la mandibola. «Non hai proprio sentito niente?» Al cenno negativo dell’altro, sbuffò. «Crede che stia uscendo con Nana, solo perché ci ha visto insieme alle piscine».

Il sempre pacato Soichiro quasi sputò l’acqua che aveva appena bevuto. «Cosa?!»

«Eh, quello che ho detto io!», replicò la Scimmietta. «Insomma, con tutto il rispetto, Jin-san, ma non è proprio il mio tipo».

«E meno male», ridacchiò la Guardia del Kainan. «Non mi piacerebbe essere un tuo rivale! Comunque, la Sakuragi è gelosa. È un buon segno, no?»

Dopo qualche istante di silenzio Nobu borbottò qualcosa, ma nessuno capì in che lingua stesse parlando. Solo in quel momento si rese veramente conto che sì, Hime era gelosa, ma non di chi credeva lui. Non certo di Rukawa.

L’illuminazione lo colpì come un poderoso pugno allo stomaco e gli mancò il fiato. I suoi amici e compagni di squadra gli chiesero spiegazioni, così raccontò loro che poco dopo fosse arrivato il Volpino con una bella ragazza – “la cugina del Porcospino, credo fosse lei” – e anziché essere disperata per il tradimento dell’amato, Hime gli era sembrata quasi sollevata di vederli insieme.

«Hai capito, Rukawa con una ragazza!», esclamò quel bisonte di Takasago, dando inizio alle speculazioni e alle battute sul fatto che stesse uscendo con la cugina del suo peggior rivale.

«Che sia qualche subdola tattica per indebolire Sendoh?», chiese un altro.

«Probabile; Sakuragi lo dice spesso: le volpi sono infime!»

«E comunque non credo saprebbe cosa farci, con una ragazza», commentò un altro, sghignazzando.

Soichiro, nel frattempo, si grattò il mento, pensieroso. «Forse dovrei parlarle. Alla Sakuragi, intendo. E dirle che Nana non è interessata a te e che la cosa è reciproca».

«Oh, no, senpai, non farlo», replicò Nobunaga, con le mani tra i capelli lunghi e neri. «Gliel’ho già detto e non è servito a niente. Merda, e se avessi davvero frainteso tutto? Se anche i suoi amici e quell’idiota del fratello avessero capito male?»

«Ti prenderei a sberle, se potessi», sbottò Maki, stringendosi la radice del naso tra le dita. «Le hai mai dato la possibilità di replicare e spiegarsi?»

«Certo che sì! E lei non ha aperto bocca!»

«Forse perché era troppo sorpresa da quella doccia fredda che le hai gettato addosso, di punto in bianco?»

«Ma–»

L’occhiata gelida del senpai Maki gli fece morire le parole in bocca.

«Supponiamo che abbia frainteso, che lei sia sempre stata sincera e tu un’idiota», iniziò Shin’chi. «Come hai intenzione di rimediare?»

Nobu boccheggiò come un pesce fuori dall’acqua per troppo tempo. Non ne aveva la più pallida idea. Non era neppure sicuro che, qualsiasi cosa avesse fatto, sarebbe riuscito a ricucire il loro rapporto. Aveva ragione, lei, a dirgli che bisognasse fidarsi dell’altro – lui aveva fallito miseramente. E una parte di lui, inconsciamente, sperò che i suoi amici si sbagliassero, che lui avesse avuto ragione fin dall’inizio e che lei fosse una bugiarda.

L’idea di averla accusata inutilmente, di averla fatta soffrire disprezzandola in tutti i modi, di aver perso tempo lontano da lei, era un pensiero così doloroso e nauseante che persino un tradimento gli pareva più accettabile.

«Kiyota, ti senti bene?», domandò Muto, vedendolo pallido come un fantasma.

Il numero dieci non rispose. Si limitò ad alzarsi, ringraziare in un borbottio Jin per l’ospitalità e corse via.

 

*

 

«Quindi vai con quella Azamui a fare jogging

«Yoga, Hana! Yoga!», replicò lei, ridendo. Per quella prima seduta si era ovviamente conciata malissimo, come sempre: pantaloni larghi e leggeri, rigorosamente bianchi, sopra due paia di calze a maglia in lana; la maglietta che Kaede le aveva comprato in ritiro e una felpa bianca; ma d’altronde quello era il suo pessimo gusto in fatto di abbigliamento e Hanamichi non poté far altro che ricambiare il sorriso.

«Sembri una gelataia in pigiama», le fece notare, con una mano davanti alla bocca per non riderle in faccia.

Hime gli tirò contro la cuffietta in lana. «Tornerò per le sei, credo. Ordiniamo porcherie da asporto per cena?»

«Ma che domande fai? Certo che sì!»

La gemella lo abbracciò con affetto. «È sempre bello sapere che posso contare su di te, fratellone».

Lo lasciò poco dopo, sorridente come un ebete. La sua Hicchan.

Non fece in tempo a prendere d’assalto il frigorifero, che il telefono di casa squillò. Chi poteva essere a quell’ora? Che Mito e gli Altri volessero dargli buca per la consueta uscita pomeridiana? «Casa del Tensai Sakuragi, chi ha l’onore di chiamarmi?»

Sentì una timida risata dall’altra parte della cornetta e non la riconobbe subito.

«Sakuragi senpai, sono Arimi. Arimi Kiyota».

Il suono di quel cognome gli annebbiò la vista per qualche istante, ma si impose calma. Quella era la dolce e piccola Ari-chan, non quel demente del fratello. «Ehilà! Qual buon vento?»

«Volevo sapere come stava la tua schiena; ho sentito che ti sei fatto male».

Hana, di riflesso, si accarezzò la zona lombare. Avrebbe dovuto fare i suoi esercizi, prima che se ne dimenticasse. «Va alla grande, Ari-chan! Lo sai che niente e nessuno può fermarmi, no? Ahaha! E i tuoi progressi con le gambe?»

Chiacchierarono sugli ultimi aggiornamenti, dato che era da qualche tempo che non si sentivano, finché la ragazza non gli spiegò il vero motivo della chiamata. «E Hime-san come sta?»

«Benone, credo. Insomma, per quanto bene possa stare dopo che quella scimmia di tuo fratello le ha spezzato il cuore», sputò con rabbia. «Scusami, Ari-chan, ma la situazione mi fa imbestialire».

La sentì sospirare, affranta. «Lo posso immaginare, ma mi chiedevo… ecco, volevo fare qualcosa per quei due testoni. Insomma, si vede lontano un miglio che si amano!»

«Ah! Se Kiyota fosse stato davvero innamorato di mia sorella, avrebbe ascoltato quello che aveva da dire. Insomma, sono stato il primo a pensare che il Volpino se la facesse con Hicchan, ma mi ha assicurato che non fosse così e le ho creduto subito – cioè, quella pettegola di Ayako me lo ha riferito; Hicchan non vuole parlare di questa storia».

«Nemmeno Nobu. Insomma, se si tratta di un grosso malinteso come temo, non credi dovremmo aiutarli? Sono stanca di vedere mio fratello in queste condizioni, e immagino anche tu Hime-san».

Hanamichi gonfiò le guance, poggiando la fronte contro il muro. Non voleva che la sua sorellina soffrisse di nuovo per quell’idiota. D’altra parte, stava soffrendo ugualmente per la sua lontananza e indifferenza. Non sapeva dove sbattere la testa, se non contro quella della Scimmia.

«Che avevi in mente?»

Arimi fu felice che Sakuragi non potesse vedere il suo rossore, quando confessò di non avere alcuna idea e che l’aveva chiamato nella speranza che potesse aiutarla a trovare una soluzione.

Hanamichi sospirò. Si sedette per terra, schiena contro il muro e una mano sul ponte del naso. Era molto tentato di rifiutare l’offerta e lasciare le cose come stavano. Kiyota non meritava una ragazza come la sorella, così come non gli avrebbe mai perdonato la gigantesca mancanza di rispetto nei suoi confronti. Ma amava Hime più di se stesso e, se fosse servito a farla stare meglio, avrebbe fatto qualcosa per aiutarla. Due sberle, la Scimmia Selvaggia, le avrebbe prese ugualmente. «So che me ne pentirò, Ari-chan. Me ne pentirò sicuramente, ma sì. Cerchiamo una soluzione».

 

*

 

Hime si guardò intorno, nella piccola piazza in cui si era data appuntamento con Reiko Azamui. Era arrivata da dieci minuti e stava già saltando per tenersi calda. Non doveva stupirsi del fatto che la nuotatrice fosse in ritardo: non era cugina di Sendoh per niente!

«Eccomi!», esclamò una trafelata Reiko. «Perdonami, ho perso il treno per un soffio e ho dovuto attendere quello successivo, che mi ha fatto fare il giro del mondo prima di arrivare qui».

Hime scosse il capo, sorridente. «Nessun problema. Sono già rodata con i ritardi di Akira».

«Ah, è nel DNA della famiglia, è impossibile arrivare in orario per tutti noi», replicò con fare drammatico Reiko, sistemandosi la sciarpa attorno al collo. «Allora, l’altro giorno mi dissi che avessi un altro impegno, oggi. Vuoi occuparti di quello e poi andiamo a yoga? Le lezioni iniziano ogni ora, quindi non avremmo problemi».

Hime si grattò il naso, nervosa. «No, non è il caso, davvero».

«Si tratta di Kiyota, vero?»

La rossa chinò lo sguardo, trovando più interessante la punta delle scarpe sporca di neve. «Uh… sì. Avevo un appuntamento al canile per adottare un cagnolino e regalarglielo per la fine dell’anno. Il suo è scappato quest’estate, credo che lo avesse spronato a correre come un forsennato e ha perso la presa del guinzaglio. Il solito idiota, praticamente». Hime sospirò, imponendosi di non ridere. «Era un pensiero che avevo in testa dal giorno in cui me lo raccontò; insomma, non si sostituisce un cane così, però… ecco, magari avrebbe potuto fargli piacere. Ad ogni modo, ora non ha più importanza».

Reiko la osservò con i suoi grandi occhi blu e la prese sotto braccio. «Sai cosa ti dico? Che dovremo andarci ugualmente».

«E per cosa?»

«Perché i cani sono stupendi e ti farebbe bene distrarti un po’ tra abbai e scodinzolii. Poi vedrai tu cosa fare. Magari trovi il cane adatto a te, che so!»

Tralasciando il fatto che se avesse davvero portato un cane in casa sua madre sarebbe morta di paura e sarebbe andata in paranoia per l’igiene, alla fine Hime dovette cedere a tanto entusiasmo – e come rifiutarla, se le sorrideva in quel modo? Maledetti cugini Sendoh/Azamui e i loro maligni metodi di convincimento!

Camminarono a braccetto, tra chiacchiere frivole e i preparativi di fine anno, compresa la festa a sorpresa per il compleanno di Kaede.

«Immagino che non sarà felice della cosa», commentò Reiko, pensando al numero undici dello Shohoku.

«No, decisamente no. Odia le sorprese ed essere al centro dell’attenzione – a meno che non si tratti di basket: allora sì che è una prima donna!»

«Vi conoscete da molto?»

«Da quando eravamo pargoli. Conservo i ricordi migliori della mia infanzia insieme ad Hanamichi ed Ede».

«Ed è sempre stato così taciturno?»

Hime strinse le labbra. «Lo è da quando la madre morì. Insomma, non è mai stato un grande chiacchierone, ma… beh, non la prese affatto bene. Sai il polsino nero che porta sempre al braccio? Glielo regalò qualche settimana prima di andarsene e da allora non ha mai smesso di indossarlo durante le partite e gli allenamenti. È il suo modo di averla sempre accanto, in un certo senso».

Reiko non aggiunse altro, ma pensò che fosse un gesto molto dolce da parte sua. «Cosa pensavi di fare per la festa a sorpresa?»

Hime ridacchiò. «Una cosa molto banale, in realtà. Sai che il tema saranno gli anni 70, no? Beh, allo scoccare della mezzanotte, dopo i festeggiamenti per il nuovo anno, Sana canterà un’altra canzone – buon compleanno - insieme a un intero coro di dementi. Vuoi unirti alla festa? Aki è dei nostri».

«Oh, sì! Farò solo finta di cantare, però. Sono un po’ stonata».

«Dici così perché non hai mai sentito Hanamichi sotto la doccia! Oh, eccoci arrivati», fece Hime, osservando l’insegna del canile. Dalle vetrine del piccolo locale provenivano guaiti e latrati ovattati. Con il freddo di quei mesi, le avevano spiegato al telefono, avevano dovuto spostare i loro ospiti a quattro zampe all’interno dello stabile, invece che lasciarli nel cortile. Lei aveva annuito, comprensiva; come l’idiota che era, si era sempre domandata come facessero a camminare senza scarpe, soprattutto con la neve sotto le zampe.

Scosse il capo, grattandosi ancora una volta la punta del naso lentigginoso. Stava tergiversando nuovamente e solo perché non aveva idea di cosa fare. Forse avrebbe potuto adottare un cucciolo e regalarlo alla sorellina, Arimi. Ne sarebbe stata felice, ne era sicura.

«Allora, entriamo? Mi sto congelando», la spronò Reiko, che la vide indecisa.

Con un sospiro, Hime annuì. Magari, come le aveva detto la sua nuova amica, le avrebbe fatto davvero bene.

 

 

 

 

Continua...

 

 

   
 
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