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Autore: Princess_of_Erebor    09/07/2017    18 recensioni
May è una giovane donna che vive nel XXI secolo. Un giorno si ritrova magicamente nella Terra di Mezzo, vedendo così realizzato il suo sogno più grande. Si unirà alla Compagnia dei Nani di Thorin Scudodiquercia e combatterà al loro fianco; vivrà esperienze uniche e incontrerà l'amore della sua vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Fili, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO XII

Il sapore dei sogni







I quindici viandanti procedevano in fila indiana. I grossi tronchi d’albero, che parevano diventare sempre più alti e più fitti intorno a loro, impedivano alla luce di filtrare sullo stretto sentiero attraverso Bosco Atro. Il silenzio era tale che il rumore dei passi che calpestavano le foglie secche suonava alle loro orecchie come un tonfo sordo. L’aria divenne presto pesante, al pari delle teste dei compagni, che ad ogni passo si domandavano quanto sarebbe durato un simile supplizio; avevano l’impressione che gli alberi li stessero osservando con una certa malevolenza e quella sensazione di disagio non li abbandonò per l’intera giornata di cammino. Quando si fermarono per la notte – in uno spiazzo circolare pieno di radici contorte che sbucavano dal terreno – erano tutti esausti, di cattivo umore e poco inclini alla conversazione. Consumarono una ridotta porzione del cibo avuto in dono da Beorn, preparandosi per una notte buia e meno confortevole del solito. Benché facesse caldo avrebbero gradito una bella fiamma, più per risollevare gli animi con un po’ di luce che per scaldare le membra. Tuttavia evitarono di accendere il fuoco, consci dei rischi che correvano: la foresta appariva ostile e temevano di peggiorare la situazione, attirando insetti ed altre possibili creature malvagie che vivevano in quel posto tetro.
May dispiegò la coperta e si coricò su un fianco; avrebbe preferito dormire a pancia in su, come faceva ogni volta in cui si sentiva irrequieta, ma le fu impossibile assumere quella posizione, per via delle radici nodose dei tronchi secolari che affondavano nella sua schiena. Provò a chiudere gli occhi e rilassarsi, senza alcun risultato; aveva ragione a detestare quel posto più di ogni altro membro del gruppo, essendo l’unica a conoscerne le reali insidie. Stava considerando l’idea di alzarsi e fare compagnia a Kili, al quale spettava il primo turno di guardia, quando uno scricchiolio di foglie calpestate alle sue spalle la fece sussultare: voltandosi con uno scatto saltò in piedi e, d’istinto, tese le mani in avanti nell’atto di difendersi, facendo quasi arrivare un pugno in faccia a Fili, che lo parò prontamente col braccio.
“Che mi venga un colpo! Sei tu?!” esclamò May, abbassando la guardia.
“Più o meno. Sono un Nano contuso”, rispose lui con una punta di sarcasmo.
Lei scoppiò in una risata. “Ti chiedo scusa. Temevo che fosse qualcun altro… O qualcos’altro. Questa foresta non mi piace per niente, non posso fare a meno di rimanere vigile!”.
Fili annuì.
“So che vuoi dire, ma credo che dovresti riposare, o almeno provarci: domani ci attende un’altra lunga passeggiata qui dentro… Se tutto va bene!”.
“Grazie di avermelo ricordato!” ribatté May, sbuffando. “Tu, piuttosto, eri venuto a dirmi qualcosa?”.
“Io, beh… Forse" dichiarò lui, fissandola con intensità.
La fanciulla si fece ansiosa; non riusciva ad immaginare cosa lo avesse spinto da lei a quell’ora in cui tutti (o quasi) dormivano. Doveva trattarsi di una questione impellente.
“Fili, va tutto bene?”.
“Sì, certo. Mi chiedevo se, dopo aver passato le ultime due notti accanto a me, tu fossi pronta a ricevere ancora un po’ del mio calore…”.
May fu grata all’oscurità – non troppo fitta – che celava agli occhi di lui le sue guance, ora in fiamme. Avrebbe gridato “sì” con tutto l’ardore del suo cuore innamorato, se un improvviso pudore non si fosse impadronito di lei.
“Vedo che sta diventando un’abitudine” replicò, sorridendo imbarazzata.
“Una piacevole abitudine”, puntualizzò Fili. “Ebbene, confesso che ho deciso di dormire insieme a te ogni notte, fino alla fine della missione”. Si avvicinò a lei con un sorrisetto audace che fece arrossire May ancora di più, provocandole un brivido lungo la spina dorsale. La donna sapeva che il Nano non si stava burlando di lei.
“Beh, se è questo quello che vuoi…” disse infine, in un sussurro.
Si distese nuovamente a terra e si arrese alle braccia di Fili, che l’avvolsero dolcemente da dietro sotto la coperta; con il petto del giovane contro la sua schiena e il respiro di lui tra i capelli, May si sentiva al sicuro e si addormentò quasi subito, le labbra curvate in un sorriso felice.
 
 
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La compagnia si rimise in marcia di buon’ora. Gli animi non si erano alleggeriti durante la notte e nessuno consumò la colazione con vero appetito, tranne Fili e May; uscire il prima possibile da quel luogo oscuro costituiva la priorità, l’unico pensiero che invadeva le menti stanche dei viaggiatori. Finalmente, il ponte elfico menzionato da Gandalf apparve davanti a loro: era crollato e, per attraversare il ruscello dall’aspetto malsano senza toccare le acque incantate, furono costretti ad arrampicarsi su grossi rami intricati e saltare sulla riva opposta. Si guardarono intorno speranzosi, ma imboccando di nuovo il sentiero la situazione non accennava a migliorare. L'aria si era fatta irrespirabile e pronunciare una semplice parola richiedeva uno sforzo non da poco. Gli alberi, sempre più scuri e minacciosi, sembravano decisi a ostruire il passaggio ostacolando la marcia. Molti dei Nani camminavano senza guardare dove mettevano i piedi, finendo con l’inciampare ad ogni passo, che diventava più faticoso del precedente. Un’inspiegabile sonnolenza li colse tutti, dal primo all’ultimo.
May sentiva la testa girare come se fosse ubriaca e, più di una volta, Fili dovette sorreggerla per evitare che cadesse bocconi.
D’un tratto Thorin, in testa alla fila, si arrestò: pareva disorientato.
“Perché ci siamo fermati?” domandò Kili, andando a sbattere contro la schiena dello zio.
“Il sentiero… E’ scomparso!” disse Thorin, sospirando scoraggiato. “Avanti! Dobbiamo trovare il sentiero!”, gridò.
 
May si lasciò cadere sul tappeto di foglie appoggiando la schiena contro un gigantesco tronco e Bilbo sedette sfinito vicino a lei; gli altri, intanto, si davano da fare per cercare la via.
“Questo posto è pieno di ragnatele!” notò il signor Baggins, infilando la mano in una di queste.
La fanciulla finse di non aver udito; ben sapendo cosa sarebbe accaduto di lì a poco, era determinata a cambiare argomento mettendo da parte i ragni.
“Come mai non gliel’hai detto?”, chiese a bruciapelo.
“Detto cosa? A chi?”.
“Della cosa che hai trovato… A Gandalf. Ieri ti ho sentito parlare con lui, non volendo”.
L’espressione stupita e lievemente infastidita dello Hobbit non servì a far pentire May di essersi spinta oltre.
“Ecco, non saprei. Stavo per dirglielo, in realtà. Forse non l’ho fatto per…”. La mano destra di Bilbo scivolò lentamente nella tasca del panciotto, in cerca di qualcosa. “Per non trattenerlo con questioni di poca importanza che potevano essere rimandate”.
Quella spiegazione avrebbe potuto convincere qualcun altro, ma non May. Lei sapeva che la vera ragione per cui lo Hobbit aveva taciuto il suo segreto allo stregone era molto meno nobile: l’influenza dell’Anello cominciava ad avere i suoi effetti su Bilbo, il quale stava scoprendo un innaturale attaccamento verso quell’oggetto magico dotato di una volontà propria.
 
“Non ricordo questo posto!” borbottò Balin, confuso. “Io non riconosco niente!”.
“Dev’essere qui… Non può essere sparito!” vociò Dori, angosciato.
“A meno che qualcuno non l’abbia spostato…”, rifletté Dwalin ad alta voce.
“Come se fosse possibile spostare un sentiero!” osservò Nori.
“Ma non capite? Stiamo girando in tondo, ci siamo persi!” sbottò Bilbo spazientito, alzandosi in piedi.
“Non ci siamo persi”, lo corresse Thorin. “Ci dirigiamo ad Est”.
“Ma da quale parte è l’Est? Abbiamo perso il sole!”, si lagnò Bofur.
“Ora basta!”gridò Thorin, esasperato. “Dico a tutti: siamo osservati!” concluse, in un bisbiglio.
 
“Dobbiamo trovare il sole. Lasciatemi salire in cima!” si offrì Bilbo, indicando un grosso albero: “In tal modo sapremo da che parte andare!”.
Guardando lo Hobbit che si arrampicava su per i rami, May si sentì perduta; si avvicinò a Fili, senza sapere se lo faceva per essere protetta da lui o per proteggerlo. Conosceva il pericolo che incombeva su di loro, e il senso d’inquietudine che gravava su di lei da quando era entrata in quell’abominevole bosco sfociò in puro terrore, non appena si udì un rumore sospetto: alzando lo sguardo, ella vide agitarsi le fronde degli alberi circostanti. Peccato non ci fosse vento. Immediatamente, i compagni sguainarono le armi; Kili tese l’arco e Fili si parò di fronte a May dandole le spalle, pronto a farle da scudo. Prima che la donna potesse aprire bocca o tentare un qualsiasi movimento, si ritrovò circondata da un esercito di mostruosi ragni giganti; con profondo orrore, li vide sollevare da terra gli amici – uno ad uno – dopo averli arrotolati come salami in grandi e raccapriccianti ragnatele.
 
 
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May si svegliò immersa nelle tenebre. Non aveva la benché minima idea di quanto tempo fosse trascorso dal momento in cui aveva sentito un pungiglione colpirla alla schiena; tutto ciò che ricordava era un dolore lancinante, e poi buio assoluto. Riaprendo gli occhi, che le mostravano lo stesso buio ostinato, sentì le ciglia sfiorare qualcosa di vischioso e non ebbe bisogno di riflettere, per capire che si trovava intrappolata all’interno di una robusta ragnatela. Provò a muovere braccia e gambe, ma i muscoli le dolevano a tal punto da farle dubitare di averli utilizzati negli ultimi anni; si sentiva terribilmente debole e stanca. Un lezzo nauseabondo riempiva le sue narici facendola respirare a fatica. Il veleno dei ragni l’aveva colpita duramente. A dispetto della sofferenza, il suo pensiero volò ai compagni; avrebbe dato qualunque cosa per rivederli sani e salvi… Per rivedere lui. Rimpiangeva di non avergli rivelato i propri sentimenti quando ne aveva avuto l’occasione.
“Se uscirò viva di qui gli parlerò, magari durante una delle prossime notti che passerò con lui”, si disse. Sorrise al ricordo delle intenzioni espresse da Fili, e in quell’istante l’oscurità parve diradarsi.
Se solo Bilbo non fosse stato catturato… Se fosse riuscito ad indossare l’Anello in tempo per liberare lei e gli altri!
All’improvviso, May si sentì precipitare nel vuoto alla massima velocità e capì che qualcuno aveva tagliato i fili ai quali era appeso il fagotto che la conteneva; un grido soffocato le sfuggì nell’attimo in cui urtava qualcosa, probabilmente il terreno, quantunque si sarebbe aspettata un atterraggio più duro. Percepì diverse mani che armeggiavano frenetiche con la ragnatela che l’avvolgeva, finché l’aria fresca non le riempì inaspettatamente i polmoni: era libera! Si alzò barcollando, meravigliandosi di riuscire a muoversi in perfetta autonomia. Fili e Dwalin, che l’avevano tirata fuori, le sorrisero aiutandola a togliere i residui di ragnatela da braccia e capelli; gli altri Nani erano attorno a lei, intenti anche loro a scrollarsi di dosso quella robaccia. Stavano tutti bene e, notando l’assenza dello Hobbit, May intuì che – proprio come aveva immaginato e sperato – era stato lui a recidere i fili di ciascun bozzolo.
“Grazie a Durin sei salva!” mormorò Fili, quando tutta la sporcizia fu eliminata dai vestiti della fanciulla.
Colta da un impeto di tenera gratitudine, fuori di sé dalla gioia di rivederlo, May gettò le braccia al collo del giovane, nascondendo il viso tra le sue trecce d’oro; lo strinse più forte che poté mentre Fili ricambiava l’abbraccio, sorpreso e raggiante.
“Dov’è lo scassinatore?” esclamò Thorin, accorgendosi che lo Hobbit mancava. “Bilbo!” chiamò a squarciagola.
“Sono quassù!”, rispose una voce dall’alto.
In quel momento, i ragni sopraggiunsero in gran numero da ogni lato del bosco e da ogni albero, circondando la compagnia; i Nani, tuttavia, non furono colti impreparati e si lanciarono all’attacco, amputando zampe e infilzando corpi. May sguainò la spada tenendosi il più possibile vicina a Fili; si stava giusto domandando di quale utilità potesse essere agli altri, quando vide un ragno particolarmente ripugnante afferrare il povero Kili, bloccandolo con le zampe e impedendogli di usare la spada. Senza lasciare alla creatura il tempo di osare nuove mosse e prima che qualcuno potesse intervenire al suo posto, la donna balzò in avanti e trafisse l’occhio sinistro del ragno, il quale si divincolò mollando la presa; Kili si voltò e lo colpì nella pancia, uccidendolo con un sol fendente.
“Ottimo lavoro sorellina!”, si congratulò il Nano.
“Via! Adesso!” Thorin si mosse per fare strada.
May estrasse in fretta la spada dalla carcassa del ragno, la ripose nella guaina e si mise a correre al seguito degli amici, che non andarono lontano: un piccolo esercito di Elfi Silvani li aveva accerchiati, puntando le frecce contro di loro.
“Non credere che non ti uccida, Nano” disse una voce limpida, rivolgendosi a Thorin: “Lo farei con piacere!”.
La fanciulla sbirciò oltre le spalle di Ori e riconobbe il principe Legolas, figlio del Re di Bosco Atro.
“Perquisiteli!” ordinò un’altra voce, stavolta femminile, prima che altre voci ripetessero il medesimo ordine in lingua elfica. May non dovette voltarsi per sapere chi era stato a parlare: Tauriel, capo delle guardie del Re. La trovò decisamente più affascinante dal vivo, così come lo era Legolas; era strano per lei trovarsi davanti quei due personaggi, tanto discussi e tanto amati nel mondo reale. Per quanto la riguardava, lei non nutriva una particolare simpatia per l’una o per l’altro, sebbene li considerasse due guerrieri valorosi.
Fili fece un passo verso May, ma fu fermato da una guardia che lo ispezionò scrupolosamente da cima a fondo sottraendogli tutte le armi che aveva con sé, fino all’ultimo pugnale che il Nano teneva ben nascosto nel cappotto. Ai compagni toccò lo stesso trattamento e, una volta perquisiti, ricevettero l’ordine di seguire gli Elfi, dai quali furono spinti in avanti verso una sorte che si prospettava assai sfavorevole.
 
La Città degli Elfi era situata a poche miglia dai confini orientali di Bosco Atro in un’immensa caverna scavata nel fianco di un declivio scosceso, che si inoltrava profondamente sotto terra. Altre piccole, numerose caverne si aprivano sulle pareti, ma niente a che vedere con le dimore degli orchi: i saloni degli Elfi Silvani erano più luminosi e più puliti. Inoltre, vantavano una raffinatezza senza eguali.
Dopo aver attraversato uno stretto ponte sotto il quale l’acqua scorreva turbinosa e fragorosa, i viandanti – scortati dalle guardie – giunsero al Portale del Re. Mentre i battenti si chiudevano rumorosamente alle loro spalle, May si augurò che Bilbo fosse riuscito a sgattaiolare dentro, invisibile; soltanto lui, infatti, avrebbe potuto tirarli fuori dal grosso guaio in cui si erano cacciati. Sempre che i ragni non l’avessero catturato, o peggio… A questo la giovane non poteva pensare senza rabbrividire. Alzò la testa e, malgrado lo sconforto, si lasciò incantare dalla magia della Città, che aveva l’aspetto di un enorme albero con scalinate, sale e ponti tutt’intorno; in ogni dettaglio, anche il più insignificante, si percepiva l’amore degli Elfi per la natura e i boschi. May ne era colpita. Quel posto le ricordava Gran Burrone, con la differenza che nel reame di Re Thranduil lei e i suoi amici non erano attesi, né benvenuti. Le guardie marciarono lungo una serie di gallerie illuminate da torce appese al muro e, infine, condussero i Nani nelle segrete del regno, dove li rinchiusero per ordine del sovrano.
 
 
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May venne spinta con poca delicatezza dentro una cella che uno degli Elfi chiuse subito a chiave. Non appena le guardie si furono allontanate, la prigioniera poggiò la fronte contro una delle fredde sbarre di cui era fatta la porta, stringendola con rabbia tra le mani. Le veniva da piangere. E adesso? Non le restava che attendere l’arrivo di Bilbo, se mai si fosse fatto vivo per salvarli. E se lo Hobbit non ce l’avesse fatta ad introdursi lì dentro? Se avesse smarrito l’Anello nella foresta, durante la lotta contro i ragni?
“Devo smetterla di torturarmi con questi pensieri inutili”, si rimproverò tra sé e sé. Gettò un’occhiata oltre le sbarre e, alla fioca luce delle lampade che rischiaravano il corridoio vuoto, May notò che non c’erano altre celle lì intorno. Con un sospiro, si girò per osservare quella che le era stata assegnata: si presentava come una prigione spoglia e stretta, ma facendo qualche passo si accorse che stranamente si sviluppava in lunghezza. Quasi lanciò un grido, quando intravide un’ombra muoversi verso di lei dall’altra estremità della cella buia; una voce echeggiò attraverso quello spazio angusto e la donna trasalì.
“May! Quale fortuna inaspettata!”.
“Fili?!”.
L’inconfondibile sorriso del Nano e le sue braccia forti che la stringevano a sé bastarono a convincere May che non era preda di allucinazioni; la speranza, che credeva svanita, si ridestò nel suo cuore.
“Ma com’è possibile?” chiese, sciogliendosi timidamente dall’abbraccio. “Pensavo che non fosse previsto più di un prigioniero per ciascuna cella!”.
“Pare non sia proprio così”, rispose Fili. “Mentre mi portavano qui, ho visto che rinchiudevano Dori e Ori assieme… Gente strana, questi Elfi. Oh, che sbadato! Non ho fatto gli onori di casa”, continuò con fare burlone, “Benvenuta nella mia nuova dimora! Ti offrirei una fetta di torta, ma sai come siamo fatti noi Nani, l’ho mangiata tutta…”.
Il suono delle loro calde risate ruppe la fredda quiete che li opprimeva; mai le mura di quel carcere erano state testimoni di giocosità e vivacità, prima d’allora.
Improvvisamente la voce di Thorin, proveniente da uno dei piani superiori, li raggiunse adirata e tonante, rimbombando per il pianerottolo; gridava parole in lingua nanica.
“Che significa?” domandò May fingendo di non capire, pur sapendo cosa stava succedendo.
“E’ il nostro idioma”, spiegò Fili. “E ciò che ha detto non lascia presagire nulla di buono” sospirò, rabbuiandosi di colpo.
“Ho paura che mio zio abbia rifiutato l’aiuto del Re degli Elfi. Un accordo, credo”.
May si passò le mani tra i capelli; non sopportava la situazione in cui si era ficcata. Si era illusa di poter sostenere il peso della missione con tutte le conseguenze che ciò avrebbe comportato, tuttavia cominciava a sentirsi stanca e inadeguata. Avrebbe volentieri gridato per dare sfogo alla sua frustrazione, se Fili non fosse stato presente: prima i troll, poi i giganti di pietra, i goblin, e ancora gli orchi, i ragni, ora persino gli Elfi… E la parte peggiore non era ancora arrivata!
“Il dì di Durin si avvicina” disse, camminando nervosamente avanti e indietro. “Come faremo ad uscire di qui? E dov’è finito Bilbo? L’abbiamo perso di nuovo e chissà se lo rivedremo…”.
Fili avvertì la disperazione in lei e ne fu addolorato.
“Sono certo che Bilbo sta bene e che lo riavremo presto con noi! E’ uno scassinatore all’altezza del suo titolo, se la caverà!” la rassicurò lui, facendosi più vicino. “Quanto a noialtri, ce ne andremo di qui in qualche modo. Te lo prometto!”. Il suo tono era tanto persuasivo quanto affettuoso, ciononostante May lo ascoltava a malapena; l'apparente calma del giovane non contribuiva a diminuire la sua smania di libertà.
Perché Fili non si ribellava? Perché doveva sempre mostrarsi così dannatamente composto e tollerante?
“Vorrei che fosse davvero come dici…” replicò lei, mirando il riverbero delle torce al di là delle sbarre.
Fili poggiò le mani sulle spalle minute della donna e, con dolcezza, la costrinse a voltarsi.
“May, guardami: agitarsi non serve a niente. Per quanto può valere ti ho fatto una promessa, ed ho intenzione di mantenerla”.
Lei chinò il capo; non era in grado di reggere quello sguardo fiducioso e penetrante.
“Tu non ti fidi di me”.
“Cosa?! Fili, come puoi pensare questo?”.
“Mi sembra evidente”.
Le mani di Fili scivolarono via dalle spalle su cui erano amorevolmente posate e lui si allontanò fissando il pavimento, andando a rifugiarsi nell’angolo più buio. La delusione che trapelava dalla sua voce ebbe su May l’effetto di una lama arroventata conficcata nel torace; se il Nano avesse manifestato rabbia nei suoi confronti, lei non avrebbe provato un dolore maggiore.
“Come potrei non fidarmi di colui che amo?!” gridò, tra le lacrime che inarrestabili avevano preso a solcarle il volto.
 
Silenzio.
 
“Fili, non capisci?! Io… Io ti amo!”.                                                                   
 
Silenzio.
 
Il cuore di May batteva con una tale furia da farle sospettare che lui potesse udirlo. La giovane si rese conto che quello non era esattamente il momento né il luogo più romantico per dichiararsi, ma ormai era tardi per tornare indietro. Dal fondo della cella Fili non camminò, bensì fece un unico grande salto per raggiungerla, quasi si aspettasse di vederla scomparire da un istante all’altro, risucchiata dall’oscurità insieme con quelle parole che per tanto tempo aveva sognato di sentire da lei. Prese con delicatezza il viso di May tra le mani e, carezzando con i pollici le guance arrossate dal pianto, premette le sue labbra contro quelle della fanciulla.
Un lungo, avvolgente e meraviglioso bacio, dapprima dolce per poi divenire carico di passione, nel quale Fili riversò tutto il desiderio che provava per lei. Un ardente desiderio alimentato da un sentimento puro e profondo che non avrebbe più saputo tacere. Avidamente, lentamente, assaporò quelle suadenti labbra. Non sapeva saziarsene. L’avrebbe baciata per ore, per giorni interi, fino a consumarsi la bocca. Il sapore di lei lo stordiva. Era estasiato.
Il corpo di May fu pervaso da mille brividi che sapevano di beatitudine. La donna si era lasciata rapire dall’ebbrezza di quel bacio tenero e sensuale, che ricambiò con tutta la dolcezza e il fervore di cui era capace. Aveva chiuso gli occhi, il tempo si era arrestato. Le proprie difese, crollate. La volontà, paralizzata. La ragione, preda di un’improvvisa foga dei sensi. Quando si fermarono per riprendere fiato, i due innamorati si persero l’uno negli occhi dell’altra per un attimo che parve infinito. Lui scostò delicatamente una ciocca ribelle dalla fronte accaldata di lei, e vide brillare nelle sue pupille una strana luce: il riflesso di un mite turbamento del cuore.
“Ti amo anch’io, May. Con tutto me stesso!”, sussurrò Fili con voce tremante.
“Ti amo dall’istante in cui il mio sguardo si è posato per la prima volta su di te a Casa Baggins. Se solo sapessi quante volte ho sognato questo momento… Con quanta impazienza l’ho atteso! Temevo che non sarebbe mai giunto! Mi struggevo in silenzio ogni giorno, ogni minuto dal desiderio di parlarti, di sapere… Ho creduto di impazzire!”.
Si chinò leggermente in avanti e appoggiò la fronte contro quella di lei; i due si guardarono e sorrisero, travolti da una gioia che non avevano mai conosciuto. Si trovavano rinchiusi all’interno di una prigione, eppure – per la prima volta nelle loro vite –  si sentivano veramente liberi. May non riusciva a crederci: lui l’amava. L’amava davvero! Sfiorò con la punta delle dita quei baffi intrecciati che adorava; le girava la testa e sarebbe caduta, se Fili non l’avesse tenuta fermamente stretta a sé.
“Lascia che ti copra col mio cappotto” bisbigliò lui, guardandola con apprensione. “Stai tremando!”.
“N-non ho freddo. Sei tu…” balbettò May, arrossendo.
Allora Fili prese quelle mani candide tra le sue e le portò al petto, premendole sulla veste: May sentì il cuore del giovane martellare violentemente contro il suo palmo, come se volesse schizzargli via dal corpo per essere afferrato.
“Sei tu…”, ripeté Fili in un sussurro dolcissimo.
La fanciulla strinse le mani di lui nelle proprie e, adagio, le scostò dal quel petto ansante per portarle al viso; ne sfiorò il dorso con le labbra, più e più volte. Lo fece con movimenti così lenti e teneri che Fili, folle d’amore, lasciò scivolare una mano dietro la sua nuca e con l’altra, poggiata nell'incavo della sua schiena, la spinse contro si sé per esplorarne la bocca con crescente sensualità, lasciandola senza respiro. Era impossibile staccarsi da lei; era inebriato dal suo profumo, intenso e irresistibile. La baciò ancora, profondamente. E ancora.
May si abbandonò contro di lui, lasciandosi trasportare dalla passione che – implacabile – ardeva già in lei.
Il mondo si era dissolto. Esistevano soltanto loro due: le labbra unite, i corpi avvinghiati, i cuori esultanti. Loro due soltanto. Almeno, così credevano.
 
“C-chiedo scusa… Mi rincresce interrompervi”, disse una vocina familiare oltre la porta. “Io… Vorrei liberarvi!”.
“Bilbo!” gridò May, al culmine della felicità.
“Shhh… Non farti sentire, per carità! Ci sono guardie in giro!”, mormorò lo Hobbit gettando uno sguardo inquieto dietro di sé. Girò le chiavi nella serratura e i due prigionieri balzarono fuori.










 
  
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