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Autore: crazy lion    09/07/2017    4 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Ciao a tutti!
Mi scuso tantissimo per il ritardo. Ho avuto dei problemi familiari che mi hanno tenuta lontana dalla scrittura per un sacco di tempo.
Questo è l'ultimo aggiornamento prima di settembre o ottobre. Si tratta di un capitolo veramente lungo. Nemmeno io mi aspettavo che sarebbe venuto così, ma era necessario spiegare un po' di cose e fare certe riflessioni. Gli eventi si svolgono nel giro di quattro giorni e poi passano al lunedì successivo. Spero mi perdonerete per la lunghezza. Vi dico la verità: non vivo tutto questo serenamente. Insomma, mi rendo conto che i capitoli hanno una lunghezza un po' irregolare e non ho mai scritto così tanto, quindi, davvero, scusatemi! Forse dovrei prenderla più con filosofia e dire che i personaggi mi hanno portata dove hanno voluto, vero? Sì, probabilmente è così.
Ci tenevo a dire due cose:
se non ho parlato prima di questo capitolo di una decisione che ha preso Madison, è stato perché è un personaggio secondario e ho trattato altre tematiche molto più importanti e delicate. Per cui, sappiate che questa scelta è assolutamente consapevole e voluta.
L'altro giorno, mentre scrivevo una scena di questo capitolo che riguarda la gattina di Andrew, il mio gatto aveva fatto  la stessa cosa che farà Chloe. Ho avuto una paura! Per fortuna poi tutto è andato bene.
Buona lettura! Auguro a tutti di passare delle bellissime vacanze!
 
 
 
 
 
 
Oggi il dolore mi ha tagliato il corpo in due e, dove una volta c’erano orbite piene di fiori, il buio mi cola come sangue dagli occhi.
(Fabrizio Caramagna)
 
 
 
La speranza è quella cosa piumata
che si posa sull’anima
canta melodie senza parole
e non smette mai.
(Emily Dickinson)
 
 
 
 
 
 
84. FORSE TUTTO ANDRÀ MEGLIO
 
Se qualcuno, anche solo una settimana prima, avesse detto a Mackenzie che quella notte avrebbe dormito un sonno  profondo senza fare nessun incubo, né agitarsi, né piangere, probabilmente la bambina avrebbe sorriso amaramente e pensato:
Non sarà mai così.
Eppure, quando quella mattina aprì gli occhi, si sentì rilassata e riposata come non succedeva da parecchi giorni. Sospirò di sollievo e si stiracchiò, decisa a godersi ancora per un po' la piacevole sensazione che si prova stando sotto le coperte nel proprio letto.
Grazie, Signore pensò.
Era merito suo se si sentiva così bene. Forse, da allora in poi, le cose sarebbero andate diversamente, avrebbe avuto meno incubi e anche la scuola avrebbe potuto non essere così male. Probabilmente, si disse, esagerava quando si agitava al pensiero che sarebbe iniziata a breve.
Aprì le finestre e respirò profondamente, godendosi l'aria fresca. Ascoltò gli uccellini che cinguettavano allegri salutando un nuovo giorno e pensò che le sarebbe piaciuto moltissimo essere come loro, anche solo per un momento. Avrebbe tanto desiderato sentirsi felice, come gli uccellini e tutti gli altri animali parevano sempre essere.
"Devo continuare a sperarci" si disse.
Rifece il letto e, quando alzò gli occhi, lo sguardo le cadde sull'orsacchiotto dentro il quale c'era il medaglione con la foto della sua famiglia. Le sue mani si mossero senza che lei lo volesse - o forse sì? -. Non avrebbe saputo dirlo con sicurezza. Si ritrovò il medaglione fra le mani senza quasi essersi resa conto di averlo tirato fuori. Lo strinse così forte che le nocche iniziarono a farle male. Sapere che, oltre ai ricordi, quello era l'unico oggetto che le ricordava i suoi genitori in modo così vivido, le trasmetteva una terribile sensazione di vuoto. Pensò a Hope. Lei non avrebbe avuto nemmeno i ricordi. Povera bambina! Se in quel momento Mackenzie fosse stata abbastanza lucida, si sarebbe detta che avrebbe dovuto essere lei a raccontare dei genitori alla sorellina, ma l'unica cosa che riuscì a fare fu domandarsi se ne avrebbe mai avuto la forza. Insomma, non riusciva a parlare di loro quasi con nessuno, a parte con i genitori adottivi qualche volta. Stava sudando e respirando sempre più affannosamente. Doveva fare qualcosa. Iniziò a respirare profondamente, provando a dominare il panico che rischiava di assalirla. Vedere di nuovo quella fotografia l'aveva svuotata di ogni energia, facendole perdere la speranza che, forse, la sua vita avrebbe potuto migliorare.
 
 
 
La sveglia suonò alle 8:00. Demi la spense quasi subito, ma Andrew si alzò.
"Bene" disse, "è meglio che faccia colazione e poi vada al lavoro."
"Sei proprio sicuro?" gli domandò la ragazza, apprensiva.
"Sì. Sono stanco e un po' debole, ma sto molto meglio ed è solo merito tuo."
"È anche tuo. Sei stato tu a trovare la forza di superare quei brutti momenti."
"Sarà, ma se non ci fossi stata tu non ci sarei mai riuscito. Come posso ringraziarti per tutto quel che hai fatto?"
"Non devi! Ti ho aiutato con il cuore e tu per me avresti fatto lo stesso. Solo questo conta" gli rispose con semplicità.
"Sai che ti amerò per sempre, vero?" le chiese lui, abbracciandola e baciandola.
"Anch'io!"
Demi si lasciò trasportare dalla dolcezza di quel bacio, stretta tra quelle braccia che le parevano le più sicure e protettive del mondo.
"Stamattina devo portare Mackenzie e Hope a fare i vaccini" disse Demi, quando si furono sciolti dall'abbraccio. "Nel sito della scuola e dell'asilo dove vorrei iscriverle c'è scritto che non posso farlo se non porto un certificato medico che attesti che sono state vaccinate contro la pertosse, l'epatite B e C e un sacco di altre malattie."
Aveva già fatto alcuni vaccini alle sue figlie, dato che lei era favorevole e che, oltretutto, erano obbligatori per legge. Tra i vari documenti che aveva ricevuto dalle assistenti sociali non c'erano solo quelli relativi all'adozione, ma anche alcuni altri che la polizia aveva trovato a casa dei genitori naturali delle bambine, che riguardavano le visite mediche che avevano fatto. I poliziotti avevano tenuto i documenti originali dandone una copia a Lisa, anni prima, quando la donna aveva preso in carico il caso di Mackenzie e Hope e lei aveva ritenuto giusto e necessario darne una anche a Demi, oltre ovviamente agli esami e alla spiegazione delle varie cure che erano state fatte alle bambine in ospedale, la notte e i giorni seguenti all'omicidio al quale avevano assistito. Demi aveva portato anche quei documenti ad Andrew, pensando che servissero. Il Giudice, però, in aula non ne aveva parlato, probabilmente non l'aveva ritenuto necessario
"Perché hai rifatto i vaccini alle bambine tempo fa? E poi quando? Non me ne avevi mai parlato!" esclamò Andrew.
"È stato poco dopo che le ho portate a casa. Ho parlato con la pediatra e lei ha detto che, anche se c'era scritto che Mackenzie era già stata vaccinata, Hope probabilmente non aveva ricevuto quella cura. Ha ritenuto che vaccinare di nuovo Mac sarebbe stata la cosa più giusta e mi ha assicurato che la bambina non avrebbe avuto nessun danno di alcun genere. Così è stato."
Onestamente, la ragazza aveva sempre avuto un po' paura riguardo ai vaccini, perché aveva sentito alcuni casi, dei quali si era parlato in televisione, in cui dei bambini si erano ammalati della stessa malattia per cui erano stati vaccinati, oppure avevano avuto reazioni allergiche. Alcuni erano persino morti… Tempo prima, quando aveva fatto il primo vaccino ad entrambe, aveva chiesto molte cose alla pediatra a riguardo.
"Io spesso ho sentito dire che il vaccino provoca, in rari casi, problemi come l'autismo" disse Andrew, "ma non ci ho mai creduto."
"La pediatra mi ha detto che sono stati fatti molti studi sui farmaci utilizzati e che non c'è nessuna prova scientifica che il vaccino porti ad avere questa terribile malattia. Mia mamma a me li ha sempre fatti fare, come alle mie sorelle e il massimo che abbiamo avuto è stata un po' di febbre, che è assolutamente normale. Hope e Mackenzie non hanno avuto nessun sintomo dopo l'iniezione, mesi fa, per cui sono abbastanza tranquilla."
"Capisco; e quando porterai Mackenzie a fare quegli esami per capire se soffre del disturbo post-traumatico da stress?"
"Questa settimana, se riesco. Spero che, oggi o domani, dopo i vaccini il medico mi rilasci i certificati che dovrò portare a scuola e all'asilo, poi domani dovrò andare a parlare con le direttrici degli istituti - ho preso appuntamento con loro qualche giorno fa - e forse, se avrò tempo, nel pomeriggio porterò Mackenzie in ospedale a fare quegli esami. Spero solo di non stressarla troppo. Non vorrei mai che stesse male per colpa mia."
Catherine aveva detto che quegli esami avrebbero potuto essere fatti più avanti, ma Demi preferiva sapere i risultati il più presto possibile. Certo, però, se stare così tanto in ospedale avesse messo ansia alla bambina, lei non l'avrebbe forzata.
"Secondo me devi semplicemente andare lì sia oggi che domani e vedere come reagirà" le disse Andrew.
"Già."
 
 
 
Mackenzie ripose il medaglione nel peluche e chiuse la zip con mani tremanti. Lo rimise dove l'aveva trovato e, in quel momento, sentì che le gambe le stavano cedendo. Si inginocchiò e appoggiò le mani sul pavimento per sostenersi. Aveva troppa paura di cadere e sbattere la testa. Non rimase lì a lungo, più che altro perché non voleva che la mamma la trovasse in quello stato. Si sdraiò sul letto, sopra le coperte e rimase immobile. Non aveva nessuna intenzione di alzarsi e tantomeno voleva andare a fare colazione. Lo stomaco le si era chiuso, com'era già successo , qualche volta, nei giorni precedenti.
"Tesoro?"
Era la mamma. Aveva bussato. La bambina si alzò a fatica e andò ad aprire la porta. La donna era già vestita e pettinata. Mackenzie non provò nemmeno a sorridere. Sapeva che in quel momento non ci sarebbe riuscita. Andò a prendere un foglio e una penna e scrisse:
Sì?
"Volevo dirti che la colazione è pronta. Scusami se ti ho svegliata, avrei dovuto entrare e vedere se stavi dormendo."
Non importa. Ero sveglia da un po'.
Come ogni mamma del mondo, anche Demi aveva un sesto senso e si rese subito conto che Mac stava di nuovo male. La vide pallida e notò che era sudata. Aveva il respiro un po' affannoso.
"Come stai?" le domandò.
Non molto bene, credo. Ho preso di nuovo in mano il medaglione.
Una lacrima le rigò il viso e, assieme alle poche parole che aveva scritto, aiutò Demi a capire la situazione. Vide il dolore dipinto sul volto di Mackenzie e, com'era successo altre volte, si sentì in colpa perché sapeva che non avrebbe mai potuto avere la forza di farlo andar via. Avvertì un enorme peso al petto, che per un momento le mozzò il fiato, ma cercò di non dare a vedere che anche lei, in quel momento, si sentiva male.
"Oh, Mac!" esclamò, stringendola fra le braccia mentre la bambina iniziava a piangere.
Non faceva nessun suono. Versava lacrime in assoluto silenzio tremando da capo a piedi, come una fragile foglia che, provando ad affrontare il gelido vento d'autunno, cerca di non cadere a terra e di rimanere attaccata all'albero. Mentre la piccola singhiozzava e lei la coccolava e la accarezzava, continuando a ripeterle che sarebbe andato tutto bene, Demi cominciò a
pensare.
"Il dolore ti scava dentro, fino a ferire la tua anima"
aveva sentito dire una volta, anche se non ricordava né dove, né da chi. C'erano persone che si arrendevano, che non riuscivano a sopportare la vita e decidevano di porvi fine. Lei non le aveva mai giudicate stupide o egoiste, si disse, mentre il ricordo di ciò che Andrew aveva provato a fare riaffiorava nella sua mente. C'era chi si chiudeva nel proprio dolore come in una nicchia, allontanandosi pian piano dal mondo esterno e non lasciando entrare nessuno né niente, né le persone più care, né sentimenti positivi. Lei aveva provato tante volte questa sensazione quando era stata autolesionista e in clinica le era stato detto che questo sentimento è comune anche in chi soffre di depressione in forma più o meno grave. Alcuni riescono a riprendersi dopo un certo periodo e a tornare a vivere se non bene, almeno meglio, altri invece no. Rimangono bloccati per sempre. La ragazza non giudicava nemmeno queste persone, credendo che anche coloro che non riescono a reagire al dolore vanno rispettati. Infine, c'era chi si piegava al dolore, ma senza spezzarsi, come aveva fatto lei e come stavano ancora facendo Andrew e Mackenzie. Stavano provando con tutte le loro forze a lottare, ad affrontare la vita e il mondo e ad andare avanti nonostante a volte, forse, sentissero che sarebbe bastato pochissimo perché la loro anima si frantumasse. Lei aveva superato tutto questo, era uscita dai suoi anni più bui; ma c'era chi aveva ancora bisogno di lei per trovare ancora più forza e fare la stessa cosa. Non avrebbe potuto mandar via il dolore del fidanzato o della figlia, ma forse sarebbe stata in grado di continuare ad aiutarli a lenirlo e, a Dio piacendo, questo avrebbe cominciato a diminuire.
Mackenzie si stava calmando. Adesso respirava più profondamente e piangeva di meno. Tremava ancora, ma si sentiva sicura fra le braccia della mamma ed era convinta che presto quel brutto momento sarebbe passato.
"Come stai ora?" le chiese la donna, accarezzandole la testa.
Meglio, grazie.
Sorrise di nuovo, più apertamente di prima e Demi, vedendo quel sorriso che illuminava il volto della bambina, provò un enorme sollievo. Avrebbe voluto chiederle se se la sentiva di parlare di quel che aveva provato, ma poi decise di non farlo, almeno per il momento. Non voleva che Mackenzie si agitasse di nuovo.
"Hai fame?" le domandò.
Sì!
Rientrarono tenendosi per mano. Andrew e Hope erano già in cucina. L'uomo stava dando alla bambina del latte con alcuni biscotti inzuppati.
"Si è svegliata, alla fine" disse Demi. "Stanotte ha dormito come un sasso!"
"Beata lei" fu il commento di Andrew. "Comunque sì, si è svegliata pochi minuti fa. Ha cominciato a piangere, ma quando l'ho presa in braccio si è calmata subito; vero, piccolina?"
Hope sorrise.
Demi preparò per Mackenzie una tazza con latte e cereali e poi prese in mano il cellulare.
"Non mangi?" le chiese il fidanzato.
"Prima voglio guardare una cosa."
Entrò su Facebook e Twitter e vide che molti fan le avevano scritto dei messaggi in quei giorni. Alcuni le chiedevano semplicemente come stavano le bambine, mentre altri le domandavano se lei ed Andrew stavano insieme. Un messaggio la colpì in particolare. Diceva:
 
Se siete fidanzati, perché volete tenerlo segreto? Non è che state insieme solo perché tu vuoi farti pubblicità?
 
"Oddio, che stronzo, o stronza" commentò la ragazza.
"Che succede?" Demetria passò il cellulare al suo ragazzo, che quando lesse quel messaggio rimase basito. "Questo non è un tuo fan" disse dopo qualche secondo.
"Dobbiamo rilasciae una dichiarazione alla stampa, o farci intervistare il più presto possibile, amore" riprese lei, sospirando. "Non voglio che le persone pensino questo di me, né di te."
"Sapessi quanti articoli pieni di calunnie o di insinuazioni ci sono in giro al momento!"
"Cosa?" Demi alzò la voce. Non ne sapeva niente. Non leggeva il giornale da alcuni mesi. Era stata presa da altre cose molto più importanti: prima la situazione critica del suo ragazzo, poi quella della figlia. "Perché non me l'hai detto?"
"Me ne sono accorto poco tempo fa. Lo so solo da qualche giorno. Comunque hai ragione, dobbiamo mettere le cose in chiaro una volta per tutte. Chiamiamo Helen Smith e rilasciamo un'intervista, Demi. Tempo fa è stata molto gentile con voi tre, giusto?"
"Sì, certo! Potremmo fare così, ma quando? Tu questa settimana sei oberato di lavoro."
"Già; facciamo la prossima?"
"Se Helen può sì, va bene. La chiamerò e vedrò cosa mi dirà. Intanto rispondo a questo tizio." Riprese in mano il cellulare e scrisse:
 
Non credo tu sia un mio o una mia fan. I veri lovatics non insinuerebbero mai una cosa del genere. Ti assicuro che non è così come dici. Io ed Andrew stiamo insieme perché ci amiamo.
 
"Secondo te è offensivo, o troppo duro come messaggio?" chiese poi ad Andrew.
"No, assolutamente!" esclamò.
Dopo aver mangiato qualcosa al volo l'uomo dovette scappare. Aveva del lavoro da finire prima del processo del pomeriggio seguente.
Demi, invece, spiegò alle bambine che avrebbero dovuto fare il vaccino. Ripeté ciò che aveva detto loro la prima volta:
"È una puntura che la pediatra vi farà per proteggervi da alcune malattie. Farà un po' male per qualche giorno e potreste avere febbre, ma non dovete preoccuparvi."
Ovviamente Hope non aveva ben capito quel discorso. Demi sperava che la piccola non si sarebbe agitata troppo durante quella visita. Per sicurezza, dopo averla cambiata e vestita disse alla bambina di prendere un giocattolo che le piaceva molto. Lei corse accanto al cesto dove teneva tutti i giochi e prese una bambola vestita da indiana, che indossava un abito lungo fino ai piedi e aveva i capelli raccolti. Mackenzie, invece, non volle portare niente con sé. Pensava di essere abbastanza grande da poter affrontare quella puntura senza bisogno di giocattoli che la
calmassero.
Lo studio della pediatra era pieno di genitori e bambini, la maggior parte dei quali erano molto piccoli. Demi quindi si rassegnò: avrebbero dovuto aspettare parecchio. Si accomodò su una sedia della sala d'attesa dell'ambulatorio e Mackenzie le si mise accanto. Demetria avrebbe voluto provare a riparlarle di ciò che era successo poco prima, ma quello non era il luogo per farlo. Mackenzie, intanto, prese una rivista e cominciò a sfogliarla. Non c'era altro da fare, e siccome aveva scorto, tra le pagine, un articolo sui gatti, si era incuriosita. Il giornalista sosteneva:
 
È dimostrato che le fusa dei nostri amici gatti ci aiutano a superare la tristezza, a rilassarci e a tranquillizzarci. Inoltre sono molto utili per le persone che soffrono di depressione.
 
Mackenzie pensò che le sarebbe tanto piaciuto avere un gatto, un giorno. Certo, il cane che avevano era meraviglioso, ma la bambina pensava di rivedersi molto caratterialmente in un micio, perché era tranquilla e riservata, ma allo stesso tempo bisognosa di affetto, come il gatto.
"Cosa leggi?"
Mackenzie le passò il giornale e, dopo un po', Demi disse che trovava l'articolo molto interessante. La bambina stava per rispondere che avrebbe voluto un gattino, quando la porta dello studio della pediatra si aprì.
"Dovete fare tutti il vaccino?" chiese.
Tanti genitori risposero di no, altri di sì e la donna, che non riceveva mai su appuntamento, chiamò Demi per prima.
"Questa poi!" commentò un uomo, guardando prima la cantante e dopo la dottoressa.
"Che cosa intende, signore?" gli domandò quest'ultima.
"Fa entrare prima loro perché quella ragazza è famosa, oppure perché preferisce i negri ai bianchi?"
Si sollevò un'ovazioone generale. La moglie di quello che aveva appena parlato gli tirò uno schiaffo e gli disse di vergognarsi.
"Lei è un razzista del cazzo!" esclamò Demi.
Le era venuto spontaneo dirlo. Non avrebbe voluto essere così maleducata, ma del resto quel tipo lo era stato. Chissà, forse qualcuno  di coloro che l'aveva sentita sarebbe andato a raccontarlo a qualche giornalista una volta uscito da lì, ma a lei non importava.
"Come si permette?" le rispose l'uomo.
"Come si permette lei? Dice una cosa orribile e ha anche la faccia tosta di farmi questa domanda?"
Mackenzie guardava quel signore, alto e dalla figura imponente, con occhi pieni di paura, ma anche di rabbia, un furore che faceva sempre più fatica a controllare. Se avesse potuto guardare dentro se stessa avrebbe sicuramente visto che le cicatrici inflitte dai bambini che in casa famiglia avevano chiamato lei e Hope in quel modo erano ancora lì. Se, però, allora quei commenti l'avevano fatta piangere, ora era il contrario. Non sarebbe crollata, non più. Avrebbe semplicemente voluto dare a quell'uomo un altro schiaffo, ma non voleva abbassarsi a tanto. Si stupì di tali pensieri: non li aveva mai fatti, prima. Non fu l'unica a provare quella sensazione, comunque, perché anche Demi sentiva tutto ciò. Notò quello sguardo pieno d'ira e di sofferenza. La rabbia che luccicava negli occhi di Mackenzie era quasi inquietante. Non credeva che una bambina di sei anni potesse avere tale espressione al contempo incazzata, ferita e dolente sul volto.
"Non lo faccio per nessuno di questi motivi, signore" rispose la pediatra, che decise di intervenire per evitare che la situazione degenerasse. La sua voce era incolore, machiunque vi avrebbe letto tanta rabbia. "Semplicemente, ho visto che Demi è l'unica ad avere due bambini e ho deciso di vaccinare prima loro per questo. Se non fosse che suo figlio non ha colpe, la caccerei via dallo studio. Si vergogni!" esclamò, gelida, poi fece cenno a Demetria di
seguirla.
"Vi chiedo scusa a suo nome" disse loro quando furono  entrate, mentre cominciava a preparare l'occorrente per le vaccinazioni. "Non avrei dovuto reagire così, forse. In fondo non dovrei dare giudizi, né sgridare i genitori dei pazienti mentre faccio il mio lavoro, ma non ho potuto trattenermi. Non sopporto una tale cattiveria."
"Non si preoccupi" le rispose Demi, sorridendole. "Comunque grazie."
La prima a fare il vaccino fu Hope. Demi la fece sedere su un lettino e la pediatra le disse di farle appoggiare il braccio sinistro ad uno dei braccioli. Lei ubbidì e cercò di distrarre la bambina facendole vedere la bambola e tenendole la mano.
"Adesso," disse la pediatra dopo averle passato su alcune vene del braccio un po' di cotone imbevuto di disinfettante, "sentirai una leggera puntura." Le mostrò un ago a forma di farfalla. "Vedi? Ora questa ti pungerà un po', ma non ti farà male, promesso."
Hope guardava quel piccolo oggetto un po' perplessa e non aveva capito tutto ciò che la donna le aveva detto, ma non sembrava essere agitata. Quando sentì che veniva punta, però, cominciò a piangere prima piano, poi sempre più forte. La pediatra cominciò a dirle parole rassicuranti per farla calmare e cercò di fare il più piano possibile.
"Ecco, abbiamo finito! Sei stata bravissima!" esclamò alla fine. Dato che la bambina piangeva ancora e che nemmeno le parole di Demi sembravano servire a qualcosa, l'altra donna si alzò e aprì un cassetto della scrivania. "Guarda cosa ti do?"
Le passò una caramella morbida alla fragola. Demi gliela scartò e gliela diede e Hope cominciò a masticarla, sorridendo, come se poco prima non fosse successo niente.
Demetria ringraziò la pediatra, che disse che faceva così con tutti i bambini e che quella tecnica funzionava sempre.
Mackenzie non pianse durante il vaccino. Rimase sempre immobile quasi tutto il tempo. Ebbe solo una piccola contrazione ai muscoli del braccio quando sentì la puntura, ma era normale.
"Sei stata coraggiosa!" fu il commento della dottoressa, che le sorrise.
A Mac piaceva la pediatra. Le aveva fatto una bellissima impressione già molti mesi prima, quando Demi le aveva portate a fare alcuni controlli. Ovviamente anche lei fu molto felice di ricevere quel piccolo dolce.
Il medico preparò per le bambine i due certificati che sarebbero serviti a Demetria per iscriverle a scuola.
"La ringrazio tantissimo" le disse quando la donna glieli passò.
"Si figuri, è mio dovere. Ora potrà presentare questi a scuola e non ci sarà nessun problema."
"Perfetto!"
Una volta uscite, Mackenzie guardò la mamma e poi scrisse:
Sono stata male, lì dentro.
"Mi dispiace per ciò che quell'uomo vi ha detto, amore."
Non è stato solo per questo.
Demi guardò interrogativa la figlia. Cos'altro le aveva fatto male?
Quando siamo entrate in quello studio e ho sentito l'odore del disinfettante, mi sono ricordata di quella notte e del fatto che l'ospedale dove siamo state portate aveva il medesimo odore spiegò la piccola. Non ricordava bene quanto accaduto quella notte, nemmeno dopo l'omicidio. Forse ne parlerò con la psicologa disse ancora Mackenzie.
Demi stava per commentare che le sarebbe piaciuto lo facesse anche con lei, ma non lo fece. Preferì dare un bacio alla bambina e lasciarla in pace. Tuttavia non sapeva mai con sicurezza se si stava comportando nel modo giusto. Non la forzava a parlare, ma se invece quello non fosse stato l'ateggiamento corretto? Avrebbe dovuto chiedere a Catherine qualche consiglio in
merito.
Il giorno seguente, dopo aver lasciato Hope dalla madre, andò con Mackenzie a visitare la scuola elementare che si  trovava vicino a casa sua. Per fortuna né lei né Hope avevano avuto reazioni avverse ai vaccini, a parte un po' di dolore che Demetria aveva cercato di far diminuire applicando del ghiaccio. La scuola dove aveva deciso di iscrivere la figlia era pubblica. L'aveva scelta non tanto perché in quel tipo di istituto non si doveva pagare nessuna retta, ma piuttosto perché era vicina a casa e quindi Mackenzie non avrebbe dovuto andare lontano o, peggio, stare via diversi giorni per tornare, magari, solo nei weekend. Era ancora troppo piccola per farlo.
La Direttrice della scuola, la signora Carlisle, fu molto gentile con entrambe. Era una donna di mezza età, con i capelli grigi, bassa e un po' grassa, ma carina e ben curata. Si vestiva in modo semplice e parlava con dolcezza.
Le fece accomodare nel suo ufficio, una stanza grande, ariosa e luminosa, con una scrivania al centro.
"Come già saprete," iniziò, "negli Stati Uniti si studia dal lunedì al venerdì. Da noi gli orari vanno dalle 8:00 alle 16:00. Abbiamo una mensa, ma gli studenti che abitano qui vicino possono scegliere se fermarsi qui o tornare a casa. La pausa pranzo dura un'ora, dalle 13:00 alle 14:00. Le materie che si studiano sono quelle classiche: inglese, scienze, matematica, geometria, educazione fisica, educazione civica, geografia e storia."
A Demi non parve affatto strano che la donna non avesse nominato la religione. Negli Stati Uniti i bambini vengono educati, dal punto di vista religioso, a casa e confermano il loro Credo partecipando alle funzioni e rispettando i dogmi della loro religione. Se sono cattolici posono anche intraprendere un cammino per fare la prima Confessione, ricevere la Comunione e la Cresima. E poi, certo, c’erano anche le scuole religiose, ma la ragazza non aveva voluto farne frequentare una a Mackenzie.
"Si impara anche una lingua straniera?"
"Sì, il francese, ma quella di studiare le lingue straniere non è ancora una pratica molto diffusa nelle scuole elementari. Ora mi parli un po' di Mackenzie."
Quando le due donne si erano sentite al telefono, Demi le aveva detto che Mackenzie non parlava e che era stata adottata, ma la signorina Carlisle desiderava avere qualche informazione in più sul suo passato in modo da riuscire, anche con gli insegnanti che la bambina avrebbe avuto, ad aiutarla al meglio.
"Sì, certo. Mackenzie, per favore, siediti qui fuori. Io e la Direttrice dobbiamo parlare da sole."
Non voleva che la piccola soffrisse ancora di più sentendo parlare dei genitori. Stava già abbastanza male.
Quando la bambina uscì, Demi raccontò alla donna tutta la storia delle sue figlie e il problema di Mackenzie, aggiungendo che ultimamente non era stata bene. Le spiegò anche che la stava portando da una psicologa infantile e che le avrebbe fatto fare degli esami per capire se, come la signorina Chambers sospettava, Mackenzie soffriva di PTSD.
"Non si preoccupi," le disse la Direttrice dopo aver ascoltato molto attentamente, "parlerò io con gli insegnanti di Mackenzie. La bambina potrebbe scrivere quando verrà interrogata, così da riuscire a fare tutto come gli altri. L'importante è che riesca a seguire le lezioni, ma se scrive così bene come lei dice, non avrà problemi a scuola. Forse la cosa più complicata sarà la relazione con i compagni che ovviamente dovranno sapere della sua difficoltà, ma mi auguro davvero, di tutto cuore, che Mackenzie si farà molti amichetti qui."
"Lo spero anch'io!"
"Ha il certificato?"
"Certo!"
La Direttrice lo lesse e scrisse tutto al computer; fece poi compilare a Demi il modulo d'iscrizione.
"Ah," aggiunse poco dopo, "questa scuola ha qualcosa di particolare: gli studenti restano sempre nella stessa classe e sono gli insegnanti a spostarsi, così i bambini rimangono tutti insieme e non cambiano compagni ogni volta."
Demi pensò che quel metodo era strano: non l'aveva mai sentito, prima d'allora, in un'altra scuola. Negli Stati Uniti è normale che siano gli scolari a cambiare classe, non il contrario. Forse fare diversamente sarebbe stato meglio per i bambini, si disse Demi. Avrebbe fatto fare loro molta meno
confusione.
"La maestra darà ai bambini, a inizio anno, un foglio con su scritto quali libri bisognerà comprare. Tra qualche giorno, qui a scuola, verranno affissi dei cartelloni con i nomi dei bimbi di prima elementare divisi per sezione. Ci saranno solo due prime quest'anno. Abbiamo avuto poche iscrizioni rispetto al passato."
"Ho capito. La ringrazio per le informazioni."
Dopo poco la Direttrice salutò entrambe e disse a Mackenzie che non vedeva l'ora di averla in quella scuola, una cosa che diceva a tutti i bambini che venivano ad iscriversi e che li rendeva sempre molto felici.
Mi piace questa signora, mamma scrisse la bimba. È molto carina e gentile.
"Sì, hai ragione. Anche a me ha fatto una bellissima impressione."
Uscite da scuola, le due andarono a comprare uno zaino, dei colori, matite, qualche gomma da cancellare, delle penne e alcuni quaderni a quadretti. Fu Mackenzie a scegliere tutto e tornò a casa soddisfatta. Aveva la sensazione di stare diventando grande e la cosa le
piaceva.
Quando Demi andò a prendere Hope, fu molto felice di vedere che a casa dei suoi genitori c'era anche Selena. Le due amiche si abbracciarono e si diedero un bacio. Non si vedevano da un po' e si scusarono a vicenda per non essere più riuscite a contattarsi.
Dianna propose a demi e alle nipoti di fermarsi lì a pranzo e la ragazza accettò volentieri. Anche Selena decise di rimanere.
Durante il pasto si parlò più che altro di lavoro.
"In pratica ho quasi finito di girare quel film, che tra qualche mese dovrebbe uscire nelle sale" stava dicendo Madison.
"A scuola come va, invece?" le domandò Selena.
"Beh, ho finito quest'anno, a giugno."
"Ah sì, giusto. A volte dimentico quanto tu sia cresciuta" commentò la ragazza e sorrise.
"Non mi hai ancora detto in che college hai scelto di andare!" esclamò Demi. "So che bisogna sceglierlo molto prima di finire il liceo, o sbaglio?"
Madison la guardò per qualche secondo, restando in silenzio. Era seria. Demi non l'aveva mai vista così.
"Non ho mai detto di volerci andare" rispose alla fine.
"Io pensavo che tu…"
Ora Demetria non sapeva cosa dire. Aveva sempre creduto che la sorella avrebbe continuato gli studi. Tuttavia, non voleva dare l'impressione di essere dispiaciuta. Non lo era. In fondo Madison lavorava già come attrice ed era sempre stata molto brava a conciliare la scuola e la sua professione.
"Ti arrabbi se ti dico che non proseguirò gli studi?" le chiese la sorella, con voce tremolante.
Era un po' spaventata, Demi lo vedeva anche dai suoi occhi che continuavano a guardare prima lei e poi un punto indefinito della stanza. Continuava ad intrecciare le mani e a muoverle.
"Maddie, tranquilla, non sono arrabbiata! Perché dovrei? Semplicemente, credo che tu sia molto brava e intelligente e mi dispiace un po' che tu non prosegua."
"Nemmeno tu l'hai fatto" osservò la ragazzina.
"È vero, ma non devi fare le mie stesse scelte solo perché mi vuoi bene."
"Non è questo. Semplicemente, ho pensato che per me la carriera di attrice è più importante e mi dà più soddisfazione di ogni altra cosa che faccio. Compirò diciotto anni a dicembre e quindi, in ogni caso, avrei dovuto aspettare per iscrivermi al college, visto che l'età minima per entrarci è quella, ma ho deciso di fare la scelta che mi sembrava più giusta per me."
"Non è stato facile, per lei, convincere noi di questa cosa" disse Dianna. "Sapessi quanto io e Eddie abbiamo insistito per farle capire che sarebbe stato meglio per lei proseguire! In fondo è molto giovane e avrebbe avuto un sacco di tempo per lavorare. Comunque si sa, no? In questa famiglia siamo tutti testardi." Mentre parlava la donna sorrideva. Nemmeno lei era arrabbiata con Madison. "Anche a noi dispiace, ma non ce la siamo mai presa con lei."
"Infatti," proseguì Eddie, "le abbiamo detto che secondo noi stava facendo uno sbaglio, ma che era abbastanza grande per scegliere da sola e abbiamo preferito lasciarla libera. Ovviamente se non avesse avuto un lavoro sarebbe stato tutto diverso e probabilmente in quel caso, se avesse deciso di smettere, ci saremmo arrabbiati."
"Perché non me l'hai detto prima? Da quanto tempo hai deciso?" chiese Demi alla sorella.
"Da un anno circa, anche se fino a pochi mesi fa mi ero lasciata uno spiraglio aperto. Pensavo che avrei potuto comunque cambiare idea. Ne avevo parlato solo con mamma e papà, nemmeno Dallas lo sapeva fino a giugno."
"Per questo non c'è stata nessuna cerimonia, né alcuna festa" osservò Demi.br /> Andrew era stato così male che non ci aveva nemmeno pensato. Lei aveva finito la scuola a sedici anni, quindi non le sembrava poi così strano che sua sorella l'avesse terminata a diciassette, ma comunque non se l'aspettava.br /> "Già. Ho sostenuto un esame, che a giugno ho dovuto rifare perché avevo sbagliato alcune cose in una materia e non ero passata, e poi ho avuto il diploma. Non ho fatto la festa perché la situazione che stavamo vivendo era dolorosa e non mi è sembrato il caso. Ad ogni modo non mi è dispiaciuto non festeggiare, davvero. Va bene così."br /> "Quindi non me ne hai parlato nemmeno allora perché Andrew stava male?"
"Esatto; avevi già abbastanza problemi e non volevo litigare e che ce l'avessi con me."
"Madison, non me la prendo mai con te! So che sei una ragazza giudiziosa e mi fido delle tue scelte. Se fare l'attrice ti rende felice, allora continua su questa strada, abbi fiducia nei tuoi sogni e non smettere mai di crederci. Adesso abbracciami!"
Tutti si commossero profondamente. Le ultime frasi di Demi erano state molto dolci, oltreché estremamente mature. Avevano infuso in Madison coraggio e speranza e in tutti gli altri un meraviglioso senso di pace.
"I tuoi discorsi colpiscono sempre, Demi" commentò Dallas.
"È vero," aggiunse Selena, "e Madison è fortunata ad averti come sorella."
Mackenzie aveva ascoltato, in silenzio, per tutto il tempo. Anche Hope era rimasta zitta e aveva guardato la zia, come se avesse potuto capire ciò di cui si parlava. Mac non aveva capito molto quei discorsi, ma aveva compreso che la zia voleva recitare e non andare più a scuola. Aveva visto con la mamma qualche film in cui c'era anche Madison e le era piaciuto moltissimo il suo modo di recitare. Era davvero brava! Chissà che lavoro avrebbe fatto lei da grande. Se lo domandò in quel momento, forse per la prima volta.
Zia, andiamo a giocare? Ti prego! la supplicò.
"Certo, andiamo!" Il pranzo era terminato, quindi ora avrebbero potuto divertirsi. Madison prese in braccio Hope e Mackenzie le seguì. "Le porto in camera mia" disse la ragazza e poi le tre salirono su per le
scale.
"Che novità!" esclamò Selena dopo un po'. "Non mi sarei mai aspettata che Madison avrebbe fatto questa scelta. Comunque la accetto e sono d'accordo con ciò che hai detto tu, Demi."
"Sì, questa cosa ha stupito anche me, sinceramente."
Dianna sospirò. Non sorrideva più, ora, anzi, aveva lo sguardo triste.
"Tesoro, stai male?" le chiese Eddie, preoccupato, appoggiandole una mano sulla spalla.
"No. Pensavo solo che manca Andrew. Sono stata una stupida, non sono quasi mai andata a trovarlo da quando è tornato dall'ospedale mesi fa."
"Anch'io e le ragazze lo siamo stati" commentò Eddie. "Demi è l'unica che gli è rimastaa vicino."
"Sarà sicuramente arrabbiato con noi" disse Dallas.
"Calmatevi tutti. Non lo è assolutamente!" li rassicurò Demetria. "Se lo fosse stato ve l'avrebbe detto."
Raccontò a tutti ciò che era avvenuto i giorni prima e in particolare si concentrò sulla lunga e difficile notte che avevano appena passato insieme.
"Sei stata brava" osservò Eddie. "So che non è facile calmare una persona con un attacco di panico in corso, specialmente se è così forte."
"No infatti, non lo è affatto. Mi ha detto che sta prendendo dei farmaci per controllarli. Senza non ce l'avrebbe fatta. Sta assumendo un ansiolitico e una pastiglia che agisce proprio sul disturbo da attacchi di panico."
"Meno male che esistono le medicine per aiutarci quando non ce la facciamo più!" commentò Dianna. "Ovvio, sarebbe meglio non prenderli, ma se sono necessari un motivo c'è di sicuro. Nel caso di Andrew, secondo me il suo medico ha fatto bene a prescriverglieli. Sta attraversando un periodo molto difficile e se quelle pastiglie lo possono aiutare, ben venga!"
"Demi!"
Era Madison. Aveva un tono di voce che mise la ragazza in allarme. Sembrava preoccupata.
"Dimmi."
"Le bambine sono calde. Credo abbiano la febbre."
Dopo essersi fatta dare un termometro dalla mamma, Demetria salì a misurarla ad entrambe. Mackenzie aveva 37,7 e Hope 38.
Demetria ringraziò la sorella, poi prese Hope in braccio e chiese a Madison di portare Mackenzie in macchina. La vedeva così pallida e debole! Salutò in fretta i genitori, Dallas e Selena e partì.
Hope si addormentò durante il breve tragitto. Una volta arrivate a casa Demi la prese in braccio e la portò a letto, poi chiese a Mackenzie se avrebbe voluto distendersi in camera sua o sul divano del salotto.
Divano scrisse, troppo stanca per buttare giù una frase completa; poi si sedette.
Demi chiamò la pediatra. Nella confezione della Tacchipirina c'era scritto che dosi dare ai bambini, ma voleva essere sicura di fare la cosa giusta. La donna fu molto gentile e le disse di seguire le istruzioni riportate nel foglietto illustrativo, aggiungendo che, se la febbre di entrambe fosse arrivata a 38,5, avrebbe dovuto portarle da lei. Mackenzie mandò giù lo sciroppo facendo solo una piccola smorfia, mentre per Hope fu più difficile. Continuava a sputarlo e poi iniziava a strillare.
"Amore, ti prego!" esclamò Demi.
Le dispiaceva vederla stare così male e pareva che anche un gesto semplicissimo come ingoiare lo sciroppo le desse fastidio. Demi glielo dava per il suo bene, ma ovviamente la piccola non poteva capirlo. La mamma provò a distrarla con un giocattolo e finalmente, guardandolo, la bambina si calmò e riuscì a bere. Subito dopo si riaddormentò.
La ragazza tornò di sotto. Mackenzie era ancora seduta.
"Sai che io e te ci assomigliamo in molte cose?" le chiese, aiutandola a sdraiarsi e coprendola. "Anch'io a volte non parlo di come mi sento, di ciò che mi fa star male, ma soprattutto lo facevo da piccola. Quand'ero malata, poi, mi bastava anche solo un po' di alterazione della temperatura per sentirmi uno straccio, non era necessario che avessi la febbre. Se invece mi veniva, ero proprio distrutta! Quindi, davvero, capisco come ti senti in questo momento, sia fisicamente che psicologicamente. Non ho vissuto quel che hai passato tu, ma in parte ti capisco. So che stai ancora tanto male dentro e che fai molta fatica a parlarne, ad aprirti. Volevo solamente ripeterti che non sono arrabbiata con te per questo."
La bambina sorrise per ringraziarla, poi si addormentò.
Demi rimase seduta accanto a lei a lungo. Era bellissimo vederla dormire tranquilla; poi andò a controllare Hope e anche lei riposava serena. Fece qualche lavoro di casa:, spolverò i mobili del salotto e stese alcuni panni che aveva lavato il giorno prima. Ad un tratto Mackenzie ebbe un sussulto.
"Ha un incubo" disse Demi a bassa voce "e non vorrà parlarne."
Quell'ultima considerazione la gettò nello sconforto più totale. Andava avanti così da settimane, ormai. Ancora una volta si chiese se stava sbagliando qualcosa.
 
 
 
Andrew aveva vinto un'altra causa. In quel periodo, ai processi, gli capitava di riuscirci quasi sempre. Si era trattato di un caso abbastanza semplice: una coppia con un bambino di sette anni aveva divorziato pochi mesi prima. Entrambi avevano deciso di condividere la custodia del figlio. Dopo poco, però, il padre, un militare, era stato richiamato in Iraq. Il bimbo era quindi rimasto con la mamma. L'uomo era poi tornato e la donna l'aveva portato in tribunale perché pretendeva di avere solo lei la custodia del figlio. Il suo avvocato aveva detto che la partenza del padre per l'esercito aveva fatto soffrire molto il bambino e che avrebbe vissuto meglio solo con la madre. Passando del tempo con il padre, infatti, sarebbe stato male di nuovo, in caso di una sua successiva partenza. Lo Stato della California, però, non esclude una persona dall'avere un figlio in custodia solo perché è un soldato. Secondo Andrew il bambino sarebbe stato molto più felice avendo entrambi i genitori presenti nella sua vita e, nel pronunciare la sua arringa per convincere i giurati, aveva fatto presente che tutti avrebbero dovuto agire nell'interesse del minore. Il Giudice aveva ritenuto infondate le accuse della donna contro il marito e insufficienti le argomentazioni dell'avvocato della signora.
"A seguito di alcune indagini che sono state svolte dalla polizia visto che lei aveva accusato suo marito di cose orribili, dato che non ci sono stati né abusi, né maltrattamenti contro di lei o contro vostro figlio da parte del padre e che una partenza per l'Iraq non si può assolutamente giudicare come abbandono di minore, avrete entrambi la custodia" aveva
detto.
Dopo il processo Andrew era tornato in ufficio a lavorare. Era lì ormai da tre ore, ma decise di andare a casa prima. Faceva troppo caldo e lui non resisteva più, li dentro, senza aria condizionata. Disse a Janet che si sarebbe portato il lavoro a casa.
"Scusami" aggiunse.
"Non preoccuparti, fai come ti senti. Hai già lavorato tanto, quindi puoi lasciare tutto qui e continuare domani, se vuoi. Non vorrei stessi male di nuovo!"
Le aveva raccontato del suo malessere e infatti la donna era preoccupata.
Andrew rientrò a casa e si sedette accanto al tavolo del salotto. I suoi gatti dormivano tranquilli sul divano. Stava per rimettersi a lavorare, quando qualcuno suonò il campanello. Qualcuno del condominio aprì loro la porta e il cancello e poco dopo l'uomo sentì bussare. Andò ad aprire. Entrarono due persone che non si sarebbe di certo aspettato di vedere: Eddie e Dianna.
"Oh mio Dio!" esclamò, sorridendo ad entrambi.
I tre si abbracciarono affettuosamente.
"Ci sei mancato tanto" gli disse la donna. "Anzi, scusaci se non siamo più venuti. Non ci vediamo da quasi tre mesi ed è colpa nostra. Avevamo sempre paura di disturbare."
"Sì, Andrew, ti prego di perdonarci" aggiunse Eddie. "Siamo stati maleducati."
"Non vi preoccupate. Anch'io non sono mai venuto da voi. Mi sono concentrato sulla mia convalescenza e poi buttato sul lavoro."
"L'importante è che ora ci siamo ritrovati" osservò Eddie, dandogli una pacca sulla spalla.
"Sì, infatti. Come stanno Madison e Dallas?"
"Bene grazie, ti salutano" gli rispose Dianna. "Ti abbiamo portato un po' di cose."
Solo allora Andrew si accorse che teneva in mano una borsa di nilon. Ne tirò fuori un vasetto di marmellata e un pacchetto.
"È marmellata di ciliegie" gli spiegò Eddie. !L'abbiamo fatta in questi giorni in gran quantità e abbiamo pensato che ti avrebbe fatto piacere averne un po'. Queste sono delle pastine che abbiamo appena comprato. Sapendo che ti piacciono il cioccolato e la crema abbiamo scelto quelle."
"Oh, grazie! Non avreste dovuto disturbarvi così per me."
"Figurati, caro, per noi sei come un figlio. Te l'ho già detto, ti ricordi?"
"Sì, Dianna" le rispose. Rammentava chiaramente la conversazione che avevano avuto tempo prima,quando lui le aveva detto che sua sorella Carlie era in coma. Era successo la mattina in cui stava per andare in ospedale con Demi. "Posso offrirvi un caffè? Mi rendo conto che non è molto, visto tutto ciò che mi avete portato."
"Va benissimo" gli assicurò Eddie.
Andrew li fece accomodare in cucina. Quando il caffè fu servito aprirono il pacchetto di pastine, che immaginava essere più piccolo di quel che era in realtà.
"Con queste potrei fare colazione per più di una settimana!" osservò. "Quante ne avete comprate?"
"Una trentina" gli risposero ridendo.
"Voi siete pazzi!"
"Ecco i tuoi mici! Sono bellissimi, Andrew! Non li ho visti molto in questi anni. Posso accarezzarli?"
"Certo, cara."
Jack e Chloe stavano camminando per la stanza e guardavano con curiosità e un po' di paura i nuovi arrivati.
"Ora Dianna comincerà a dire che vuole un sacco di gatti" scherzò Eddie.
Entrambi conoscevano il suo profondo amore per gli animali e per i gatti in particolare.
"Mackenzie e Hope hanno la febbre" disse Dianna. "È salita poche ore fa." Vedendo che Andrew cambiava espressione e che appariva preoccupato, l'altra lo rassicurò dicendo che era a causa dei vaccini e che non era molto alta. "Vedrai che staranno meglio presto. Hanno un pelo morbidissimo" commentò poi, riferendosi a Jack e Chloe. Continuava a coccolarli grattandoli sulla pancia e dietro le orecchie, ,entre i due facevano le fusa.
Dopo poco parlarono di lavoro ed Andrew spiegò ai due che aveva appena vinto una causa.
"Complimenti, figliolo!" si congratulò Eddie. "Se un giorno avrò bisogno di un avvocato per questioni di famiglia, verrò sicuramente da te."
"Spero che non accadrà. Io mi occupo di casi che riguardano i minori, quindi affidamento, adozione, proteggo i bambini durante le cause di divorzio facendo il loro interesse."
"Non so se io e Dianna avremo altri figli, ma comunque spero anch'io di non dovermi mai rivolgere a un avvocato."
I due coniugi se ne andarono dopo un'ora e Andrew si disse che si sentiva molto meglio. Parlare con loro gli faceva sempre bene. Lo amavano davvero come due genitori!
 
 
 
Il giorno dopo Demi rimase a casa con le figlie. Decise di andare all'asilo quello successivo, giovedì. Hope continuava a piangere. La febbre non era alta, però lei era stanca, sudava tantissimo e questo doveva darle molto fastidio.
"Su, su, calmati piccola!"
La notte la bambina aveva dormito bene, ma ora sembrava stare male di nuovo. Demetria cercava di farla smettere da ormai cinque ore. Non ne poteva veramente più. Aveva provato di tutto: a cantare, a dondolarla, a camminare per la stanza, a darle qualche gioco, a farla bere,  ma nulla sembrava riuscire a tranquillizzarla.
"Mackenzie, stai meglio?"
La bimba aveva appena sceso le scale. Era strana. Non scriveva, né si avvicinava.
"Che succede?"
Rimaneva immobile, appoggiata alla colonna accanto al corrimano e guardava nel vuoto. Come se avesse percepito qualcosa di strano, Hope smise di piangere e guardò la sorella, perplessa. Mackenzie si sentiva male dalla notte prima. Aveva fatto un incubo che si era ripetuto per infinite volte, così tante da non poterle più contare. Tuttavia non riusciva a ricordare proprio niente. Continuava a pensare al giorno prima, quando aveva fatto il vaccino e a quell'odore di disinfettante che l'aveva fatta stare tanto male. E all'improvviso ricordò.
 
Vide l'uomo cattivo venire portato via dai poliziotti, mentre qualcuno prendeva in braccio Hope e la adagiava su un lettino. La piccola piangeva disperata e udire quegli strilli fece scendere alcune lacrime sul volto di Mackenzie. Si sentiva in colpa. Era a causa sua se i loro genitori erano morti?
"Sì, probabilmente"
si era detta. Le persone che erano arrivate le avevano portate fuori dalla casa, dicendo:
"Non vogliamo che vediate ciò che succederà qui."
Cosa stava per accadere? Dove avrebbero portato i loro genitori? Dove sarebbero finite lei e sua sorella? Un'altra, improvvisa morsa di dolore le attanagliò lo stomaco e dopo di essa arrivò una domanda che si pose:
"Non ci separeranno, vero?"
Il solo pensiero che lei e Hope non avrebbero potuto stare insieme le provocò una sofferenza che prima d'allora non aveva mai sentito. Era un misto di tristezza, paura, angoscia e qualcos'altro che non riuscì a definire. Non credeva si potesse provare un dolore così intenso. Le avrebbero divise per sempre? No! Non era giusto! Avevano appena perduto i loro genitori, non potevano togliere all'una l'amore dell'altra. Il suo corpo scattò in avanti. Fece qualche passo e poi si fermò, troppo debole per continuare. Le girava la testa e una forte nausea le stava mettendo in subbuglio lo stomaco. Intorno a lei correvano molte persone e più in là c'era una macchina con delle luci accese, sulla quale qualcuno stava portando Hope. Stava per correre verso di lei e fermare quelle persone che parevano volerla portare via, ma sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla. Era un tocco gentile, rassicurante.
"Sta' tranquilla," le disse una donna, "siamo dei medici. Ci occuperemo di te e tua sorella, okay? Cureremo le vostre ferite. Andrà tutto bene."
Mackenzie tremava da capo a piedi, ma quella signora aveva una voce dolce. Anche se non la conosceva, sentiva di potersi fidare di lei.
 
"Amore?"
La voce di Demi la riportò alla realtà. Per un momento provò un senso di vertigine così forte che dovette appoggiarsi al muro per non cadere a terra. Si era immersa talmente tanto in quel ricordo che le era parso di stare rivivendo tutto di nuovo.
Sto bene, mamma, davvero. Ho solo fatto brutti sogni, stanotte.
"Ti va di parlarne?"
Domanda retorica, visto che la bambina fece cenno di no.
Comunque ho ricordato delle cose proseguì. Mi è appena venuto in mente il momento in cui i medici ci stavano per portare in ospedale. Questo sì, te lo posso dire.
Le raccontò tutto, dicendole però che ciò che rammentava si fermava lì. Del resto di quella notte, come anche dell'omicidio dei suoi genitori e dei giorni seguenti aveva solo ricordi confusi, che non riusciva ancora a mettere insieme.
Demi le diede un bacio e la accarezzò.
"Sono felice che tu mi abbia parlato almeno un po' di ciò che hai ricordato, piccola! Non lo facevi da tanto."
Si sentiva sollevata, ora che Mac si era aperta con lei.
Lo so, scusa.
"Non ti preoccupare; e non hai nulla di cui scusarti, tesoro mio. Sei molto forte, sai? Hai coraggio da vendere!"
 
 
 
Andrew tornò a casa per pranzo. Aveva bisogno di staccare un po' dal lavoro e da tutto lo stress che provava in quei giorni.
"Gattini, dove siete?" chiese, entrando nell'appartamento.
Li chiamava sempre quando tornava a casa, oppure a volte erano loro a venirgli incontro miagolando, felici di rivederlo. Si rivolgeva a Jack e Chloe con quel diminutivo, "gattini", perché li considerava i suoi cuccioli, anche se avevano più di tre anni. Jack arrivò poco dopo, scodinzolando come avrebbe fatto un cane.
"Ciao, amore!" esclamò l'uomo, accarezzandogli la testolina pelosa. "Dov'è tua sorella?"
Il gatto ricambiò il saluto con un dolce miagolio.
"Chloe?"
Andrew stava cominciando a preoccuparsi. Di solito quando chiamava i suoi gatti loro arrivavano. Guardò in tutte le stanze, sulle sedie, sul divano, sopra la poltrona, sotto il letto, persino dentro l'armadio e i mobili del bagno, ma della gatta nessuna traccia.
"Oh mio Dio!" esclamò. "È uscita! Ma come…?"
Gli mancò il respiro. Non era possibile! La sua piccola era sparita! Lei e il fratello avrebbero compiuto quattro anni a novembre o a dicembre (il veterinario non era riuscito a stabilire con sicurezza la loro data di nascita) e in tutto quel tempo non erano mai usciti da quell'appartamento. Andrew era sempre stato attento: ogni volta che andava fuori, si assicurava che loro rimanessero in casa. Stavolta, però, si era distratto.
Uscì di corsa, chiudendo dentro Jack e cominciò a bussare alle porte dei vicini. Non aveva particolari rapporti con loro. Alcuni erano venuti a fargli le condoglianze dopo la morte di Carlie, ma più di questo e di qualche saluto, non aveva instaurato alcun tipo di relazione.
"Scusate," chiedeva, "avete visto, fuori, una gatta adulta, grigia e nera?"
Alcuni gli rispondevano di no, altri che non ci avevano fatto caso. Ogni risposta negativa era per lui un colpo in più al cuore. Gli faceva male il petto. Sicuramente era solo un fattore psicologico, ma iniziò a sentirsi uno schifo anche fisicamente. Ogni secondo senza Chloe era una tremenda tortura. Dopo aver chiesto a cinque o sei famiglie, tornò in casa e decise di chiamare Demi. Aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a cercare Chloe. Poteva essere andata dovunque.
 
 
 
Demi stava dando un po' di minestra a Hope e Mackenzie, che aveva appena finito di mangiare, guardava la televisione. Aveva deciso di rimandare gli esami che Mac avrebbe dovuto fare, dato che la piccola non stava ancora benissimo. Poco dopo il cellulare della ragazza cominciò a squillare. Era Andrew.
"Ciao, amore!"
"Ciao Demi, ascolta, mi dispiace di non averti chiamata ieri sera. So che le bambine hanno la febbre."
"Tranquillo, capisco che sei molto impegnato e non sono arrabbiata."
"Sì, ma avrei dovuto telefonarti lo stesso. Non mi sono dimenticato di voi!"
"Lo so, non preoccuparti! Com'è andato il processo?"
"Bene, ho vinto la causa. Senti, ho bisogno del tuo aiuto e subito, se ti è possibile venire."
Andrew continuava a sfregare la mano libera sui pantaloni, mentre il suo respiro si faceva sempre più affannoso. Demi notò subito quel particolare.
"Che è successo?" gli chiese, allarmata. "Stai di nuovo male?"
"No, almeno non fisicamente; sono tornato a casa per pranzo e la mia gatta non c'era. Me ne sono accorto poco dopo essere entrato. Ho guardato bene dappertutto e chiesto anche ai vicini, ma non l'ha vista nessuno. Sicuramente è uscita stamattina, quando me ne sono andato. Sono partito alle 8:30 e probabilmente lei mi ha seguito, io non me ne sono accorto e così è andata fuori casa. Ora è quasi l'una e mezza, il che significa che non si fa vedere da cinque ore. Dio, potrebbe essere dovunque, Demi!"
"Okay, sta' tranquillo."
"No, non posso stare calmo!" esclamò l'uomo, quasi urlando. Adesso stava camminando per strada e qualche passante lo guardava domandandosi cosa stesse succedendo a quel signore che sembrava in preda ad una crisi di panico. "Non ce la faccio" proseguì. "Non so neanche dove poter andare a cercarla."
"Dove sei ora?"
"Sto camminando qui nei dintorni e guardando se la vedo."
"Va bene, fermati accanto a casa tua. Io arrivo subito. La cerchiamo insieme, d'accordo? Tu, intanto, chiama lo studio legale e di' che arriverai in ritardo perché hai un problema familiare. Dovresti essere al lavoro tra mezzora, giusto?"
"Sì."
"Spero che la troveremo presto, Andrew, ma nel caso questo non dovesse accadere… è meglio che chiami Janet."
"Va bene."
Era disposto a rinunciare ad un pomeriggio di lavoro e, di conseguenza, ad un po' di soldi, pur di trovare Chloe.
"Faccio venire qui mia madre e arrivo."
Demetria spiegò in velocità la situazione a Mackenzie, poi telefonò a Dianna e raccontò tutto anche a lei.
La troverete, mamma?
Non vedeva molto spesso i gatti di Andrew, ma voleva loro molto bene ed era preoccupata.
"Spero di sì, piccola!"
Dianna arrivò dopo cinque minuti e Demi uscì in
fretta.
Trovò Andrew con la schiena appoggiata al cancello e lo sguardo basso. I due si salutarono e si abbracciarono. Si tennero stretti per qualche minuto: l'uomo aveva bisogno di qualcuno che lo sostenesse e gli desse conforto e lei era lì anche per quello.
"Vedrai che la troveremo" lo rassicurò.
"Lo spero! Andiamo."
Decisero di dividersi e di andare su due  strade diverse tenendosi in contatto telefonicamente. Ciò che preoccupava entrambi era che lì giravano moltissime macchine che sfrecciavano come bolidi. Chloe non era abituata ad uscire, quindi avrebbe potuto non solo perdersi, ma anche essere investita con facilità. I due guardarono nei giardini, sotto qualche albero o anche per strada, ma dieci minuti dopo, quando si sentirono al cellulare, non l'avevano ancora trovata. Andrew era sempre più agitato. Erano passate ore dalla scomparsa della gattina e non sapeva più cosa pensare.
"È tutta colpa mia! È solo mia!" ripeteva. "Perché non sono stato attento, stavolta? Se è morta…"
"Non lo dire nemmeno" lo interruppe Demi. Cercava di parlargli con dolcezza, ma di avere anche un tono piuttosto fermo. Non voleva che lui si abbattesse così, ma capiva quant'era difficile.
"I miei gatti sono importanti per me! Ho perso mia sorella, non posso pensare che sia morta anche la mia gatta! So che perdere un animale non è la stessa cosa, ma sarebbe comunque un lutto ed io non credo che sarei in grado di superarlo facilmente."
"So quanto tieni ai tuoi gatti" gli disse Demi. "Li consideri come dei figli, giusto?"
"Sì."
"Ho provato la stessa cosa io con Buddy. Purtroppo sono arrivata tardi e non sono riuscita a salvarlo, ma non succederà lo stesso anche a te e a Chloe!" esclamò, convinta.
Anche lei all'inizio non aveva trovato Buddy in casa e solo dopo, quando era andata in giardino e l'aveva visto massacrato, probabilmente da un coyote, si era sentita morire dentro.
"Come fai a saperlo?" le domandò l'uomo, con voce appena udibile.
Era così preoccupato che non riusciva quasi a parlare.
"È una sensazione; e di solito, quando sento certe cose, non sbaglio."
"Spero che tu abbia ragione."
Andrew si stava sentendo morire. Più il tempo passava, più le speranze di trovare la sua gatta viva si affievolivano. Sapeva che avrebbe dovuto essere forte e che era sbagliato perdersi d'animo, ma il dolore cresceva sempre di più e rischiava di spegnere quella piccola fiamma di speranza che ancora gli restava. Era come se qualcuno gli stesse versando molto lentamente, proprio sopra il cuore, un secchio d'acqua gelata. Dopo un po', al dolore ricominciò ad unirsi il panico.
"Sto per impazzire" sussurrò e non riuscì a dire altro perché gli mancò di nuovo il fiato.
Demetria continuò a rassicurarlo, ma Andrew non ce la faceva a rispondere. Si sentiva troppo debole, ormai.
Mentre la telefonata proseguiva, i due guardavano nei giardini, o sotto alcune siepi  che fungevano da protezione a quelle case che non avevano un cancello. Ciò non li stupiva. Negli Stati Uniti è abbastanza comune che le case non li abbiano. Di Chloe non c'era traccia e nemmeno chiedendo a qualche passante o suonando a vari campanelli riuscirono a sapere qualcosa. Sembrava essersi volatilizzata nel nulla. Erano a 300 metri dalla casa di Andrew, ma a lui e a Demi pareva di aver fatto moltissima strada. Erano stanchi, ma non volevano arrendersi.
"Sono in un parco, amore" gli disse la ragazza dopo qualche altro minuto. "Non ho mai visto questo posto, o almeno non mi sembra. Qui vicino c'è una gelateria."
"Okay, lo conosco. Ti raggiungo subito" le rispose e riappese.
Demi lo aspettò all'entrata. Non c'era anima viva; faceva molto caldo e le mamme avrebbero sicuramente aspettato qualche altra ora prima di portare lì i loro bambini. L'uomo arrivò dopo un paio di minuti. Si presero per mano e cominciarono a cercare Chloe. Mentre guardava sotto le panchine e gli alberi, Andrew si disse che aveva sempre amato i suoi gatti, ma che solo in quel momento iniziava a rendersi davvero conto del fatto che li amava immensamente, con tutto il suo essere. Probabilmente lo sapeva anche prima, ma, come disse a Demi:
"Quando pensi di stare per perdere qualcuno, ti accorgi che anche lui o lei era un pezzo di te, una parte senza la quale ti sarà molto difficile vivere. Ovviamente mi riferisco anche alle persone. Sai quanto ho sofferto dopo la morte dei miei genitori e di mia sorella, però penso che noi che amiamo gli animali sappiamo che fanno parte della famiglia, ne sono membri effettivi, hanno un posto speciale nel nostro cuore e quando non ci sono più, o spariscono… è come se un pezzo del nostro cuore si staccasse." Stava per piangere, lo sentiva.
"È vero; e fa male" confermò Demi.
Camminarono in silenzio continuando a guardare con attenzione, fino a quando sentirono, in lontananza, qualcuno che sembrava raspare con le unghie.
"Forse è lei!" esclamò Andrew, sentendosi improvvisamente rianimato. La fiamma della speranza si riaccese in lui. Ora la sentiva più viva, più forte. Quel fuoco stava cercando di sconfiggere il gelo che gli aveva avvolto il cuore fino ad allora. "Dove sei, Chloe?" chiese stupidamente, sapendo che, se si fosse trattato della gatta, non avrebbe potuto rispondere.
Si stavano avvicinando a quel rumore e anche Demi, adesso, si sentiva più speranzosa. Dentro di sé pregava perché l'incubo che Andrew stava vivendo avesse fine. Giunsero nei pressi di un albero, il più grande e alto del parco. Sotto, rannicchiato in mezzo all'erba alta, c'era un gatto. Andrew si inginocchiò per capire se si trattava di Chloe, ma non poté avvicinarsi molto perché il micio gli soffiò contro, lanciando poi un miagolio poco rassicurante. Sembrava spaventato, o arrabbiato. Si alzò in piedi e cominciò a gonfiare il pelo. Era decisamente incazzato. Il colore era quello di Chloe. L'uomo riuscì ad accarezzarla. Le toccò la coda. Da piccola doveva essersi fatta male, perché sulla punta aveva una piccola piega, come se si fosse pizzicata da qualche parte. Sì, c'era!
"È lei" disse. "Sono sicurissimo. Vedi?" e le mostrò quel segno particolare.
"Grazie a Dio!" esclamò Demi, tirando un sospiro di sollievo. "Sta' tranquilla, piccola, non vogliamo farti del male" disse alla gattina, avvicinandosi. "Guarda" aggiunse poi e indicò ad Andrew qualcosa che lui non aveva notato: Chloe teneva una delle zampe anteriori alzata. "Sta uscendo sangue, è ferita" concluse la ragazza, dopo aver osservato con più attenzione.
"Per questo è così arrabbiata e forse ha anche  paura" sussurrò lui. "Ascolta, se io ti do le chiavi riusciresti ad andare a casa a prendere il trasportino? Dobbiamo portarla dalla veterinaria il più presto possibile!"
"Sì, certo che riesco a prenderlo! Dimmi solo dov'è."
"È in cucina, in un angolo. Lo tengo sempre lì."
"Okay, faccio in un attimo."
Demetria cominciò a correre a perdifiato. All'inizio le sembrò di avere le ali, ma ben presto si ritrovò senza forze. Non era abituata a correre. Le era sempre piaciuto camminare, ma aveva odiato correre fin dai tempi della scuola, quando l'insegnante di ginnastica faceva fare a lei e ai suoi compagni quelle stupide gare di resistenza. Tuttavia, cercò di farsi forza dicendosi che Chloe aveva bisogno di una mano. Tornò da Andrew il più presto possibile. I due provarono a prendere la gatta, la quale cominciò a graffiarli e morderli lasciando loro segni profondi sulle mani e sule braccia.
"Cazzo!" esclamò Demi dopo un po'. "Amo gli animali, ma questa gattina quando graffia fa male!"
"Già" disse Andrew, che si era appena guadagnato un morso così forte che iniziò a perdere sangue dal braccio. "Mi curerò dopo" aggiunse, mentre Demi lo guardava preoccupata.
Intanto Chloe lanciava miagolii così pieni di rabbia che non sembrava nemmeno lei. Assomigliava piuttosto ad un piccolo leone che ruggiva. Faceva quasi paura. Dopo un po', però, si lasciò mettere nella gabbia. Sanguinava molto e probabilmente si sentiva spossata.
"Finalmente!" esclamarono insieme i due fidanzati.
"Certo che, pur essendo una gattina, graffia un sacco!"
"Jack ha gli artigli più grossi, ma anche lei non scherza: è una gatta, ma non per questo è più debole di lui, anzi."
"Andiamo in macchina o a piedi?" domandò Demi al suo ragazzo.
"A piedi, tanto è vicino."
"Aspetta, prima ti voglio curare."
"Amore…"
"Ci vorrà solo un minuto."
Demi tirò fuori dalla borsa una bottiglia di disinfettante e un po' di cotone.
"Come mai tieni lì quelle cose?"
"Lo faccio per sicurezza. Non si sa mai cosa può capiitare quando si è fuori." Disinfettò Andrew che si lamentò per il dolore. "Oh santo Dio! Voi uomini, appena soffrite un po', iniziate a lagnarvi come se vi stessimo scannando" scherzò la ragazza.
"Hai offeso il mio ego" le rispose Andrew.
"Scusa."
Scoppiarono a ridere entrambi, poi Demi mise ad Andrew un piccolo cerotto dato che Chloe gli aveva procurato un taglio, per fortuna non molto profondo.
Ricominciarono a camminare e, dopo poco, suonarono il campanello dello studio veterinario. Aprirono loro due donne, più o meno dell'età di Demi. Lei non portava lì Batman, quindi non le conosceva. Erano entrambe bionde, con i capelli lunghi e avevano gli occhi azzurri. Si somilgiavano in maniera impressionante ed Andrew sussurrò al'orecchio della fidanzata che erano gemelle.
"Salve, signor Marwell" lo salutò cortesemente una di loro.
"Salve Rose e buongiorno anche a lei, Sandra. Ho, anzi, io e la mia fidanzata abbiamo portato qui la mia gatta. Si è ferita. Perde sangue da una zampa."
Le ragazze li fecero entrare e chiesero alle altre persone in attesa di aspettare. Tutti dovevano far vaccinare gli animali o farli controllare per qualche indisposizione. La ferita, invece, andava curata subito, prima che potesse infettarsi. Andrew e Demi seguirono le due nel loro studio, una stanza piccola, ma molto luminosa e accogliente. Andrew appoggiò il trasportino su un tavolo e lo aprì. Chloe era nascosta in fondo, in un angolo.
"Lei è Demi Lovato, giusto?" chiese Sandra.
"Sì, sono io."
"Mi piace la sua musica" continuò, mentre muoveva una mano per attirare la gattina fuori dalla gabbia.
"Grazie, ma mi chiami semplicemente Demi."
La veterinaria le sorrise, pensando che era meraviglioso che quella ragazza volesse essere trattata come una persona ordinaria e non come una celebrità. Era una cosa che le faceva onore.
Finalmente Chloe uscì. Era tremante e teneva sempre la zampa alzata. Le due veterinarie iniziarono ad accarezzarle il pelo morbido e, mentre una continuava a coccolarla per calmarla, l'altra le alzò un po' di più la zampa per guardarla meglio.
"La ferita non è molto profonda" disse Rose "e la zampa non sembra nemmeno rotta. Tuttavia le devo mettere dei punti e le farò una puntura di antibiotico."
Detto questo, misurò alla gattina la temperatura e la auscultò. Tutto andava bene. Prese quindi una piccola siringa dove mise dentro un po' di liquido e fece la puntura a Chloe che, da brava gattina, rimase ferma tutto il tempo.
"Wow!" esclamò Sandra. "Ci sono gatti che tentano di scappare quando facciamo queste cose, lei invece è bravissima!"
"Brava, Chloe" sussurrò Andrew.
Fu Sandra a mettere alla micia tre punti e poi disse:
"Ora le avvolgerò intorno alla zampa una piccola fasciatura, per tenere meglio i punti. Va cambiata due volte al giorno. Se dovesse notare del pus, Andrew, la porti subito qui."
"D'accordo, grazie."
"Inoltre," continuò l'altra ragazza, "per sicurezza le farei subito una radiografia, per verificare che la zampa non sia rotta."
Anche in quel caso Chloe rimase ferma, ma miagolò varie volte per la  paura. Le due donne stamparono l'esame e dissero che, fortunatamente, non c'era niente che non andava.
"Le do l'antibiotico" proseguì Sandra. "Si può somministrare anche per via orale. Può darglielo direttamente in bocca, senza acqua, una volta al giorno per cinque di seguito. Dopo dovrebbe stare meglio."
Andrew ringraziò moltissimo le veterinarie e pagò l'antibiotico e gli esami che avevano fatto.
Le due salutarono calorosamente lui e Demi, augurando il meglio a Chloe.
Demetria accompagnò Andrew a casa. La gattina, ritrovandosi in un ambiente che conosceva, uscì zoppicando dal trasportino e si sdraiò sul divano accanto a Jack, che cominciò a leccarla.
"Dovrò stare attento che non si tolga la fasciatura" osservò l'uomo. "Spero non succeda. Non posso stare sveglio anche di notte per guardarli."
"Se dovesse esserci qualche problema, chiamami" gli raccomandò Demetria.
"Certo! Grazie per tutto, amore! Ho avuto tantissima paura e tu mi sei stata sempre vicina!"
"Tu, per me, avresti fatto lo stesso. Si fa così quando ci si ama!"
Si abbracciarono e si baciarono dolcemente. Fu un bacio appassionato, che i due cercarono di allungare il più possibile. Grazie al cielo tutto era andato
bene!
La sera Andrew chiamò la sua ragazza per sapere come stavano le bambine e le disse che, purtroppo, non avrebbe potuto venire a trovarle i giorni successivi. Aveva troppo lavoro da fare.
"Non preoccuparti, non importa" lo rassicurò. "Cominciano a star meglio." Era vero. La febbre si stava abbassando, tuttavia Mackenzie dormiva spesso a causa della stanchezza e aveva incubi molto frequenti. Si svegliava sempre sudata e in lacrime. "Comunque, ha fatto un passo avanti oggi."
"Davvero?"
"Sì! Prima non te l'ho detto vista la situazione, ma stamattina mi ha parlato di una cosa che ha ricordato."
Andrew ascoltò attentamente ciò che Demi gli raccontò e fu molto felice che la piccola si fosse finalmente aperta.
"Speriamo che da ora in poi andrà meglio, per tutti" sospirò lei.
"Vedrai che sarà così. Ora le piccole inizieranno la scuola e sono convinto che questo le aiuterà. Staranno bene e si faranno tanti amici. Per quanto riguarda noi, faremo quell'intervista e ogni cosa si sistemerà; e anch'io mi sentirò bene, pian piano."
"Cosa ti dà tutta questa sicurezza?"
"Non cosa, chi."
"Chi, allora?"
"Tu, Demi, me la dai ogni giorno. Quando sono accanto a te mi sento più forte."
"Sono contenta di riuscire ad aiutarti così tanto."
"Lo fai sempre; ed io sono felice di avere accanto una ragazza come te. Ti amo!" esclamò poi, con sentimento.
"Anch'io ti amo!"
Era meraviglioso per entrambi ripeterselo così spesso. Non rendeva affatto quella frase scontata, anzi, ogni volta che se lo dicevano, quelle due parole assumevano un valore sempre più grande.
 
 
 
Il giorno dopo Mackenzie e Hope stavano molto meglio e la febbre era passata. Tuttavia, Demi non se la sentì d farle uscire. Chiese a Mackenzie se avrebbe preferito tornare a casa o stare in mensa già dal primo giorno di scuola. La bambina rispose che le sarebbe piaciuto mangiare con gli altri. Dopo aver dato ad entrambe la colazione, Demetria andò a parlare con la direttrice dell'asilo di Hope. Dianna venne ad occuparsi delle piccole.
Il colloquio con la ragazza, che disse di chiamarsi Joan, fu molto più breve rispetto a quello che aveva avuto con la signorina Carlisle. Joan, una ragazza bellissima, con i capelli neri che le ricadevano sulle spalle come una cascata lucente, le mostrò l'asilo. Era un posto  bellissimo, le aule erano pulite e luminose e c'erano tantissimi giocattoli diversi. Hope si sarebbe sicuramente divertita!
Dopo le parlò degli orari.
"La prima settimana sarà solo di inserimento. I bambini staranno qui due ore per ambientarsi e solo da quella seguente rimarranno dalle 8:00 alle 16:00."
“Aspetti, ha detto alle 16:00?”
“Può venire anche alle 15:30 se vuole, ma noi siamo aperti fino a quell’ora, sì.”
“Non è… troppo?” domandò esitante, non volendo mancare di rispetto ma solo capire. “A quest’età sono così piccoli!”
“Sono molte ore, ha ragione. Le regole delle scuole cambiano da distretto a distretto a volte, signorina Lovato, e le nostre sono queste” rispose la donna gentilmente. “Consideri comunque che li facciamo giocare molto, anche all’aperto, leggiamo loro storie, i piccoli possono disegnare, insomma hanno una giornata parecchio impegnativa. E dopo mangiato dormono u paio d'ore.”
“Ho capito, scusi se ho domandato.”
"Non si preoccupi, ogni mamma lo chiede ed è lecito. In questo asilo seguiamo i bambini dai sei mesi ai tre anni. Quelli che abbiamo adesso hanno tutti l'età di Hope. L'anno scorso avevamo otto classi con bimbi di diverse età. Purtroppo la crisi economica ha colpito anche noi in questi ultimi anni e abbiamo meno insegnanti, quindi di conseguenza possiamo occuparci di meno bambini."
"Capisco. Mi dispiace."
"Ho fatto di tutto per evitarlo, ma non ci sono riuscita" sospirò la ragazza.
A Demi la Direttrice fece una bellissima impressione. Era dolcissima. Si sentiva che amava i bambini.
Anche in quel caso Demetria dovettecompilare un modulo e dare le carte delle vaccinazioni.
"Ricordi di portare una borsa con un bavaglino e un cambio completo" le disse Joan prima di salutarla.
La ragazza si ritrovò a pensare che quella donna aveva lo stesso nome della madre affidataria - e poi adottiva - di Jonathan. Il pensiero la rattristò. Avrebbe davvero voluto adottare quel bambino. Tuttavia, si augurava che fosse felice e lei aveva due bambine stupende che le riempivano il cuore ogni giorno di più, quindi non voleva rimpiangere ancora quel che era accaduto.
Il venerdì Demi ricevette una telefonata da Padre Thomas, che le disse che avrebbe dovuto annullare la lezione di Catechismo del sabato.
"Per alcuni giorni dovrò sostituire un Parroco di un'altra parrocchia che sta facendo un pellegrinaggio a Lourdes con una numerosa compagnia di persone. Tornerà martedì, comunque, quindi se vuoi possiamo prendere un appuntamento per quel giorno alle 16:00."
"Mackenzie uscirà da scuola a quell'ora, Padre, ma credo che alle 17:00 potrebbe andare bene."
Mac, che stava ascoltando tutto, fece cenno di sì.
"Perfetto, a martedì allora!"
Alla piccola dispiacque sapere che non avrebbe fatto lezione quella settimana, tuttavia non se la prese poi tanto. In fondo avrebbe solo dovuto aspettare qualche giorno in più.
 
 
 
Fu così che il primo giorno di scuola arrivò.
Quando la ragazza andò a svegliare Mackenzie, la trovò già in piedi e vestita. Si vedeva che era emozionata.
"Hai dormito bene?" le chiese la mamma e lei fece segno di no.
Hope riposava ancora, perché era presto. Non volendo svegliarla, Demi aveva chiesto a Dallas se sarebbe potuta venire lei ad occuparsi della piccola per un po' e la donna aveva accettato. Era già arrivata e, quando Mackenzie scese in salotto, la vide e le corse incontro, abbracciandola.
"Ehi, signorina! Sei emozionata?"
La bambina annuì, poi corse in cucina a fare colazione. Si preparò in fretta e, dopo circa venti minuti, era già in macchina con la mamma. Demi l'avrebbe accompagnata a scuola per alcuni anni. Pensava che Mackenzie fosse ancora troppo piccola per poterci andare da
sola.
Quando arrivarono, un'insegnante con un megafono disse:
"Tutti gli alunni che cominciano il primo anno devono andare in sala conferenze, dove la Direttrice terrà un discorso per accoglierli in questa scuola. I genitori devono andare con loro. Alla fine del discorso, i bambini verranno riuniti in due classi."
"Bene amore, andiamo!" esclamò Demi per incitare la bambina, che sembrava impaurita.
La sala conferenze era una grande stanza con moltissime sedie e, sopra una pedana, un grande tavolo al centro. Lì sopra, in piedi, con un microfono davanti, stava la Direttrice. Aspettò che tutti fossero entrati e che avessero preso posto, poi cominciò a parlare.
"Do il benvenuto a tutti i 60 bambini che vedo qui! Benvenuti in questa scuola!"
I piccoli e i genitori applaudirono.
"Non vi voglio annoiare, cari, ma solo dirvi che sono felice di avervi in questa scuola e che spero vi troverete bene. Ora le vostre maestre chiameranno i nomi dei bambini delle due classi, A e B e poi andrete con loro per iniziare il vostro primo giorno."
I piccoli vennero chiamati e si avvicinarono alle maestre, sempre per mano ai genitori. Molti cominciarono a tremare e non volevano lasciare le mamme o i papà. Alcuni si misero a piangere, ma Mackenzie non fu tra questi. Sapeva che avrebbe rivisto la mamma presto. Era in A. Si avvicinò ai suoi compagni e sorrise a Demi. "Ti vengo a prendere alle 16:00" le disse la ragazza, dandole un bacio.
Mackenzie aveva 29 compagni. La loro classe non era molto grande, ma luminosa e carina. Si sedette in prima fila e le si mise accanto una bambina.
"Ciao, come ti chiami?" le chiese.
Era bionda, magra e abbastanza alta.
Lei scrisse il suo nome e le passò il bigliettino.
"Io mi chiamo Elizabeth" le rispose questa, sorridendo, poi, sussurrando perché gli altri compagni non la sentissero, le domandò se non riusciva a parlare.
No, non ci riesco più da tanto tempo. I miei genitori sono volati in cielo e da allora, da quando ho cinque anni, io non ho più parlato.
Elizabeth ci mise qualche minuto a leggere quelle righe, ma alla fine ci riuscì.
"Mi dispiace per la tua mamma e il tuo papà" le disse, con sguardo triste. "Ora con chi vivi?"
Mackenzie le disse di essere stata adottata, ma evitò di spiegarle di chi era figlia, temendo che la bambina avrebbe potuto urlarlo a tutta la classe. Non voleva essere sommersa da domande o da autografi perché era la figlia di Demi Lovato, almeno non subito. Sperava di poter continuare a vivere una vita normale, anche se la sua mamma era famosa. Non che le dispiacesse che Demi fosse una cantante - non disprezzava di certo la vita che faceva con lei, anzi -, ma voleva semplicemente vivere come ogni altro bambino del mondo. Tuttavia, era consapevole del fatto che questo non sarebbe mai stato del tutto possibile. Elizabeth sembrava una bambina dolce e tranquilla, per cui Mackenzie dubitava che avrebbe rivelato qualcosa, ma per il momento preferì tacere.
Poco dopo la maestra chiese a tutti di fare silenzio.
"Adesso vi presenterete uno ad uno alla classe, così cominceremo a conoscerci. Io di me vi dico che mi chiamo Beth Rivers, ho trent'anni e vi insegnerò inglese e storia. Sono sposata e ho due bambini, Edward e Francis."
Era una ragazza giovane, sorridente e allegra.
I bimbi cominciarono a presentarsi, un po'i intimiditi, alzandosi e andando alla cattedra. La maestra aveva detto loro di far sapere agli altri come si chiamavano, di parlare un po' della loro famiglia e dei loro hobby. Molti dissero che adoravano disegnare, altri che preferivano stare all'aperto e giocare a calcio. Quando arrivò il turno di Mackenzie, la bambina ebbe un groppo alla gola. Sentì gli occhi pizzicare. Sapeva che stava per piangere, ma si impose di non farlo. Non voleva sembrare debole. Si alzò e, lentamente, andò alla cattedra.
"So che non puoi parlare," le sussurrò la maestra, "ora lo spiegherò ai tuoi compagni, poi tu scriverai e io leggerò, d'accordo?"
Sollevata di non doverlo dire, la bambina tirò un sospiro di sollievo.
"Ascoltate bambini," iniziò la signorina Jackson, "Mackenzie ha un problema. Non può parlare, quindi per comunicare deve scrivere. All'inizio probabilmente farete fatica a capirvi, dato che non tutti, immagino, sappiate ancora leggere bene, ma vedrete che presto le cose miglioreranno. Ora lei scriverà e io leggerò, okay?"
Gli occhi di tutti si puntarono su di lei. Elizabeth le sorrise per farle coraggio. Mackenzie, che teneva stretti nelle mani un foglio e una penna, li appoggiò sulla cattedra e iniziò a scrivere, tremando:
Mi chiamo Mackenzie. Ho sei anni. Li ho compiuti a maggio. Sono stata adottata poco più di un anno fa. Ho una sorellina di nome Hope, che ha 20 mesi. Io e lei andiamo molto d'accordo. Ci vogliamo tanto bene. Mia mamma si chiama Demi e forse avrete capito chi è. Non ho il papà, però c'è il fidanzato della mamma, Andrew, che vuole bene a me e a mia sorella e io lo considero un padre. Non ho un vero hobby, o forse devo ancora scoprirlo. Mi piace disegnare, ma lo faccio poco. Preferisco giocare con la mia sorellina.
Dopo aver scritto, Mackenzie pensò che aveva appena detto di essere figlia di una cantante, per cui i suoi compagni avrebbero capito subito chi era. Le era venuto automatico e spontaneo. Beh, pazienza. Infatti, quando la maestra finì di leggere, senza che questa dicesse niente, si levò un coro di vocine che esclamò:
"Ecco dove l'ho già vista! Sui giornali!"
L'insegnante non fece nessun commento in merito. Desiderava che Mackenzie fosse trattata come qualsiasi altro bambino e sperava che presto i suoi compagni l'avrebbero capito senza bisogno di spiegazioni, per cui, quando i piccoli si furono calmati, continuò con le presentazioni degli altri compagni. A giro finito, iniziò la
lezione.
Quel giorno i piccoli fecero dei disegni sulla prima pagina del loro quaderno di inglese. Elizabeth disegnò un cane, Mac invece un gatto. In seguito impararono le vocali. Mackenzie conosceva già le lettere, ma non sapeva che si chiamassero "alfabeto" tutte insieme, né la differenza tra le vocali e le consonanti. La maestra lesse dei piccoli e simpatici racconti nei quali le vocali, che facevano da narratrici, si presentavano una ad una, poi mostrò ai bambini come si scrivevano e le fece ricopiare loro sul quaderno, passando a controllare. Mackenzie fece un lavoro eccellente ed aiutò Elizabeth che, invece, era un po' in difficoltà.
"Grazie" le disse la bambina, sorridendo. "Sei stata coraggiosa prima a scrivere nonostante tutti ti guardassero. Io non so se ce l'avrei fatta."
Non è stato facile, ma dovevo farlo, non avevo scelta. Non volevo che tutti mi prendessero in giro o mi considerassero debole perché non ero neanche capace di presentarmi. Non volevo far capire che avevo paura.
"Non sei debole, anzi, secondo me sei molto forte."
Ti ringrazio; e grazie anche per avermi sorriso. Mi hai fatta sentire meglio.
"Figurati!"
Dopo le lezioni della mattina, i bambini andarono in mensa. Mackenzie mangiò in un piccolo tavolo con Elizabeth, che cominciava già a considerare un'amica. Ad un tratto le chiese come mai gli altri non le facevano sedere con loro.
"Sono andata a chiederlo prima, ma mi hanno detto che non c'era più posto" le rispose.
Mac si accontentò di quella risposta. Eppure sentiva che c'era qualcosa che non andava. Forse i compagni avevano veramente detto quella cosa, ma la bambina pensava che ci fosse qualcos'altro sotto. Magari non volevano accettarla.
Sapevo che sarebbe finita così pensò amareggiata; e provava la terribile sensazione che le cose sarebbero andate solo peggio.
Tuttavia non ne avrebbe fatto parola con nessuno. Per il momento la situazione non era grave e poi non voleva iniziare a lamentarsi con i genitori già a partire dal primo giorno di
scuola.
Il pomeriggio passò senza problemi.
Quando Demi venne a prendere Mackenzie la bambina le volò fra le braccia, felice. Arrivate a casa, le raccontò tutto quello che aveva fatto e anche di Elizabeth.
Demetria fu contentissima di sapere che la sua bambina era stata bene e che non aveva avuto nessun tipo di problema. Con Hope era stata un po' più dura, ma la ragazza era fiduciosa: nei giorni seguenti sarebbe andata meglio.
 
 
 
Per Hope il primo giorno d'asilo nido non andò poi così bene all'inizio.
Quando Demi tornò a casa, dopo aver accompagnato Mackenzie, disse a sua sorella che avrebbe potuto andare. La donna la lasciò, salutandola con affetto, come al solito. Demi adoorava i suoi abbracci.
Rimasta sola, in salotto, fece colazione e poi andò a svegliare Hope, che dormiva ancora della grossa.
"Amore" sussurrò, accarezzandola dolcemente.
La bambina aprì gli occhi. Fece un po' fatica a svegliarsi e si lamentò più volte, ma alla fine Demi riuscì a farla uscire dal lettino.
La cambiò, la vestì e le diede il latte con i biscotti, poi le disse:
"Oggi andrai all'asilo nido, dove conoscerai tanti altri bambini e la nuova maestra. Sei contenta?"
La piccola la guardò, ma non disse niente. Forse non si rendeva ancora conto di ciò che stava succedendo.
"Mamma, mamma!" esclamò poi, mentre Demi la faceva salire in macchina, nel seggiolino.
Lei le sorrise, poi salì al posto di guida e partì.
"Mamma, io ado asilo" disse ancora Hope.
"Si dice "vado", tesoro; e sì, vai all'asilo!"
Non ci volle molto per arrivare. Appena Demi suonò il campanello le venne aperto.
Lei e Hope entrarono in un grande giardino. Demi non l'aveva quasi notato alcuni giorni prima. L'erba ora non era più molto verde, gli alberi cominciavano ad essere spogli, d'altra parte era autunno, ma Demi immaginò che, in primavera, quel posto doveva trasformarsi in uno spettacolo della natura. La ragazza aprì la porta e vide che, dentro, c'erano già altri bambini con le loro mamme. Una ragazza andò loro incontro.
"Buongiorno Demi!" esclamò. "Ciao piccola, io sono Joan."
Hope le sorrise. Sapeva dire parecchie parole ormai, ma spesso era troppo timida per pronunciarle, si vergognava.
"Come ti chiami, tesoro?" le chiese Joan, incitandola, ma sempre con dolcezza.
Ricordava il suo nome, ma voleva sentire la voce della bambina, che arrossì.
"Su, amore, dillo" la incoraggiò la mamma.
"Hope!" esclamò. "Mamma no andae via, no?" chiese.
Demi si sentì male. Adesso come avrebbe fatto a dirle che se ne sarebbe andata per qualche ora?
"La mamma tra poco torna" le disse Joan prendendola in braccio.
Hope cominciò a strillare e a piangere, le mancò persino il fiato a un certo punto. Demi non sapeva cosa dire, né che fare. L'unica cosa della quale era sicura era che si sentiva stringere il cuore.
"Me la dia" disse alla ragazza, in tono forse un po' brusco, ma subito dopo siscusò, sorridendole. "Amore, starai qui solo per qualche ora, tornerò presto a prenderti. Vedi quei bambini? Le loro mamme se ne stanno andando, ma torneranno, come farò io. Ora tu andrai con la maestra e farete tanti bei giochi. Conoscerai nuovi amichetti, come sta facendo la tua sorellina a scuola in questo momento; e se ci saranno problemi, Joan ha il mio numero e mi chiamerà, va bene?"
Demi la cullò un po' fra le braccia e la bambina, pian piano, cominciò a respirare con più calma, fino a smettere di piangere.
Fu allora che la ragazza poté andarsene, anche se per un momento, avendo visto la figlia in quello stato, ebbe la forte tentazione di portarla a casa.
"Hope, ti faccio conoscere la tua maestra" le disse Joan.
Si avvicinò loro una donna più giovane, che la salutò.
"Ciao, io sono Linda!"
Aveva gli occhi castani e i capelli dello stesso colore.
Hope le sorrise, sembrava trovarsi a suo agio con lei vicino.
"Ciao" rispose.
La maestra Linda portò sette bambini in una classe e un'altra fece lo stesso con i restanti dieci. Quello era un edificio grande, ma non ospitava molti bimbi perché gli insegnanti erano pochi. Ce n'erano solo due più la direttrice. Una era stata
licenziata.
Dopo aver fatto sedere tutti i  bambini per terra, in cerchio, la maestra chiese loro di dire i propri nomi. Tutti lo fecero, alcuni urlandoli, altri dicendoli in modo che fossero appena udibili. Hope fu l'unica a pronunciarlo in modo normale. Subito dopo i bambini cominciarono a stancarsi di stare fermi e Linda, notandolo, disse a tutti che avrebbero fatto un bel disegno. Ovviamente, essendo ancora piccoli, più che disegnare i bambini si sporcarono di colore le manine e la faccia. La maestra cercava di dire loro che non si faceva così e che non avrebbero dovuto, ma i piccoli non ascoltavano. Li portò tutti in bagno a lavarsi le mani e alcuni iniziarono a giocare con l'acqua, tra i quali Hope, che non vedeva l'ora dimetterci le manine dentro, come tutti i bimbi della sua età. Per fortuna Linda riuscì a richiamarli all'ordine.
Li portò nel salone centrale, dove Hope era entrata con Demi. Lì c'erano già tutti gli altri bambini. Le maestre volevaoo lasciarli giocare insieme in tranquillità. Alcuni, i più piccoli, che avevano circa un anno, piangevano, così le donne dovevano andare a prenderli in braccio e calmarli. In questo le aiutava anche Joan. Altri, invece, come Hope, giocavano tranquilli. La bambina per esempio aveva appena trovato un trenino. Quando schiacciava un pulsante, il giocattolo faceva ogni volta un rumore diverso, come per esempio quello della locomotiva o del treno che avanza sulle rotaie. Hope rideva e si divertiva a farlo andare avanti e
indietro.
Dopo due ore dal loro arrivo, tornarono le mamme a prenderli. Quando Hope vide Demi, si alzò e stava per correrle incontro, ma, per quanto ora fosse sicura sulle gambe, a volte si sentiva ancora intimorita nel fare una corsa. Per questo, camminò più velocemente che poteva e, quando arrivò davanti alla mamma, la abbracciò.
"Amore, quanto mi sei mancata!" esclamò la ragazza.
Non era ancora tornata al lavoro. L'avrebbe fatto quando Hope sarebbe andata all'asilo fino a dopo pranzo, quindi dalla settimana seguente. Aveva deciso di fare un orario ridotto, lavorando solo la mattina per poter dedicare il pomeriggio e la serata alle figlie. Non voleva trascorrere l'intera giornata lontana da loro. Ci avrebbe messo quattro e non due anni a fare u nuovo album? Pazienza. Quando anche Hope sarebbe stata più grande, magari le cose sarebbero cambiate.
Nonostante fossero state lontane solo per due ore, Hope le era mancata da morire. Si era sentiva un po' sperduta senza lei e Mackenzie. La casa le era parsa vuota e senza vita, ma vedere il sorriso sul volto delle sua bambine, quando anche Mac tornò, fece capire a Demi che si erano divertita.
Hope, una volta in macchina, cercò di raccontare meglio che poteva, con parole scorrette e a volte incomprensibili, quando aveva
fatto.
Insomma, il primo giorno di scuola delle bambine era terminato nel migliore dei modi.
 
 
 
NOTE:
1. Ho inventato io la frase che viene in mente a Demi.
 
2. Credo che bisogni iscrivere i bambini a scuola un po' di tempo prima, non la settimana precedente, per cui ammetto che in questo caso ho inventato. L'ho fatto perché prima ho affrontato altre tematiche e non ho voluto aggiungere anche la questione dell'iscrizione a scuola, preferendo metterla in un unico capitolo assieme al primo giorno vissuto dalle due bambine. Non mi piace inventare. Adoro essere realista, ma in questo caso ho fatto un'eccezione.
3. L'esame al quale Madison si riferisce è il CHSPE (California High School Proficiency Exam). Per finire prima la scuola, che in California si dovrebbe terminare a diciotto anni, è necessario che: * i genitori diano il consenso, visto che il ragazzo o la ragazza è ancora minorenne; * si sostenga l'esame sopra citato, che comprende: inglese (comprensione del testo e un saggio da scrivere) e matematica. Se non si passa una delle tre prove bisogna rifare tutto. Ovviamente dare questo esame costa parecchio. A quanto ne so, ciò vale solo per le scuole pubbliche. Non sapendo cosa bisogna fare per finire prima i corsi in una scuola privata (ho cercato materiale a riguardo ma non ho trovato nulla), ho pensato che Madison, come fa ora Mackenzie, avesse frequentato una scuola pubblica.
4. Il 30 giugno 2015 in California è stata firmata una legge, entrata in vigore dal 1° luglio 2016, secondo la quale i genitori non possono non vaccinare i propri figli perché credono che sia giusto così. Il testo proibisce quindi che i bimbi non vengano vaccinati a causa di credenze personali o anche religiose degli adulti. Ciò ha scatenato delle proteste. La legge è stata comunque approvata. Le polemiche, però, continuano. I genitori che decidono di non vaccinare comunque i propri figli devono farli studiare a casa. Ci sono altri Stati che hanno lo stesso provvedimento.
 
5. Per quanto riguarda le informazioni sui vaccini, mi sono informata ascoltando vari programmi in televisione nei quali parlavano alcuni medici e pediatri, ho trovato informazioni sul sito italiano del Ministero della Salute (www.salute.gov.it), su un sito ufficiale del governo degli Stati Uniti (www.USA.gov) e questo riportava il nome di un altro sito, che diceva essere aggiornato e una fonte attendibile ovvero quello del CDC, che sta per Centers for Disease Control and Prevention (www.cdc.gov). Ne ho consultati altri, come quello dell'American Academics of Pediatrics (www.APA.org), ho letto alcuni articoli sul vaccino dal sito www.nostrofiglio.it, che si basava su alcuni studi fatti da pediatri, c'erano statistiche, dati e quant'altro e altri su vari giornali, come il "New York Times". Ovviamente sono siti solo a scopo informativo e non medico, ma comunque le fonti erano citate e ho letto anche quelle, benché spesso gli articoli fossero molto tecnici e scientifici, per cui non ho cpaito tutto. Tra l'altro, il sito del CDC dava anche la possibilità di fare una specie di scheda per il proprio figlio in cui si sarebbe saputo quali vaccini il bambino avrebbe dovuto fare. Più per divertimento che per altro l'ho fatto per Hope e Mackenzie, inserendo nome, data e anno di nascita. Ovviamente questa scheda è qualcosa di molto generale, nel senso che presuppone che il bambino, il giorno del vaccino, non abbia particolari problemi (non sia malato, né abbia allergie, né altro). In quel sito c'era anche un articolo che spiegava quali vaccinazioni fare ad un bambino che è stato adottato. Nel caso dell'adozione nazionale, c'era scritto di farsi dare dall'assistente sociale, ovviamente se è possibile averle, tutte le informazioni mediche relative al bambino, analisi e vaccini compresi. Inoltre si aggiungeva che di solito i dottori preferiscono vaccinare di nuovo i bambini adottati, per sicurezza e che questo non li danneggia in alcun modo. Al sito della CDC è affiliato quello del National Center for Immunization and Respiratory Diseases e il direttore del CDC, a quanto ho letto nel sito, è una dottoressa che ha lavorato in Sud Africa, ha scritto molti articoli ed è diventata direttrice di questo centro nel 2017.
 
6. Per ciò che concerne la religione ho letto vari articoli a riguardo (sono cattolica e credente, ma non sapevo se negli Stati Uniti funzionasse diversamente).
7. Per le informazioni sulla scuola mi sono basata su quanto ho trovato scritto nel sito www.justlanded.com, da me già utilizzato come fonte nel capitolo 79. Ci sono asili che accolgono bambini dai sei mesi ai tre, o quattro o sei anni, ma immagino che qualcuno lo faccia anche fino ai cinque.
8. Per quanto riguarda la causa che vince Andrew, sono andata su alcuni siti che parlavano del diritto di famiglia in California e ho letto ciò che concerne il divorzio e l'affido dei minori.
   
 
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