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Autore: Civaghina    09/07/2017    2 recensioni
Com'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia?
Com'è cambiata la sua vita quando si è trovato davanti ad una verità così devastante?
La storia di Leo prima di Braccialetti Rossi, ma anche durante e dopo: gioie, dolori, amori, amicizie, passioni, raccontate per lo più in prima persona, sotto forma di diario.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Giovedì, 9 agosto 2012

Dopo qualche giorno di tregua, in cui ho potuto dormire quanto mi pareva, oggi vengo svegliato alle 7:20 da Ulisse che con la sua solita grazia entra spalancando la porta e urlando: "Buongiornooo!".

A me sembra di essermi appena addormentato: stanotte ho fatto fatica a chiudere occhio; continuavo a pensare all'operazione e, soprattutto, a quello che ci siamo detti ieri io e Giulia.

"Ho sonno..." mi lamento mentre lui tira su la veneziana.

"E che hai fatto stanotte?! Te ne sei annato a ballà?!"

"Eh... magari!"

"Su, re Leone! È ora di sorgere! C'è un regno da governare e la febbre da provare!" esclama ridendo mentre mi porge il termometro.

Io lo afferro e lo metto, rimanendo sdraiato, sperando di riuscire a non svegliarmi del tutto, ma vengo disturbato dal rumore che fa Ulisse trafficando col carrello; sollevo la testa e noto che sta preparando l'occorrente per un prelievo.

"Che palle! Mi tocca il prelievo, oggi?!"

"Sì."

"Non ne posso più!"

"Ma se è da sabato che non ne fai uno!"

"Wow! Quattro giorni senza, devo festeggiare!" esclamo con tono volutamente sarcastico, mettendomi seduto.

"Sì che devi festeggià! Vuol dire che non c'hai bisogno de farlo ogni giorno! E nemmeno ogni due!".

Sarà come dice lui ma, dalla paura che avevo prima nei confronti degli aghi, sono passato, ormai, all'insofferenza.

"36,6" dico togliendomi il termometro, dopo che ha suonato.

"Bene! Appoggialo sul comodino, lo prendo dopo. Me sò già messo i guanti!"

"Lo sai che il 20 mi operano?" gli domando mentre mi lega il laccio emostatico.

Tra undici giorni, cazzo! Undici giorni!

"Sì, me l'hanno detto" mi risponde intanto che mi disinfetta il braccio. "C'hai paura?"

"Un po'..." dico mentre sento l'ago penetrare. "Pare che la ripresa sarà molto tosta e molto lunga..."

"Ma sei tosto anche te, no?".

Io rido: "Sì, me l'ha detto anche il dottor Abele..."

"Perché è vero" dice lui mentre estrae l'ago, mi appoggia il cotone sul braccio e io inizio a tenerlo premuto.

"Però non ho pazienza..."

"Ma c'hai la capoccia dura! Non ho mai conosciuto qualcuno più capoccione de te! E questo influenza molto i tempi di ripresa."

"Ne hai viste tante di operazioni come la mia?"

"Qualcuna. E il dottor Abele è 'na forza, stai in ottime mani!".

E all'improvviso mi viene in mente una domanda che al dottor Abele mi sono dimenticato di fare. "La cicatrice!" esclamo.

"La cicatrice che?!"

"Non gli ho chiesto quanto sarà lunga. Tu lo sai?"; lo vedo tentennare e mi alzo dal letto, avvicinandomi a lui. "Dimmelo. Ulisse, dimmelo!"

"Da sotto al ginocchio alla caviglia".

Da sotto al ginocchio alla caviglia.

Credo di essere sbiancato.

Sì, dovevo immaginarmelo che, per fare quello che devono fare, non sarebbero bastati i pochi centimetri di incisione che mi hanno fatto per la biopsia, ma cazzo: tutta la gamba!

"E la cicatrice quanto ci metterà a sbiadire? Quella della biopsia si nota ancora tanto!"

"E' passato troppo poco tempo, Leo. Ci vorranno almeno sei mesi, se non di più."

"E in questo caso la mia capoccia dura non mi servirà a niente!" sospiro sedendomi sul letto.

"Non ce pensà adesso, su! Te pare il caso di stà a pensà alla cicatrice, adesso?!".

Sì, può sembrare stupido che io adesso pensi alla cicatrice, dal momento che ho cose ben più serie a cui pensare.

L'operazione.

La chemio.

La riabilitazione.

Non lasciarmi far fuori dalla Bestia.

Riuscire io a far fuori lei, magari.

Ma io ci penso, alla cicatrice.

Perché già ho perso i capelli e non so quando mi ricresceranno.

Non voglio avere anche un orribile segno dal ginocchio alla caviglia.

Non voglio avere un altro promemoria della Bestia.

"Senti, famo una cosa" mi dice Ulisse distogliendomi dai miei pensieri.

"Cosa?"

"Alle dieci c'ho la pausa. Te vengo a prènde e vieni con me nel mio posto. Te l'avevo promesso, te ricordi?"

"Sì, mi ricordo" sorrido. "Ok!"

"Se vedemo dopo, allora!"

"Ok, a dopo!".


Come d'accordo, alle dieci in punto arriva Ulisse; ci avviamo lungo il corridoio, verso le macchinette, perché lui vuole prendere un caffè da bere nel suo posto; io prendo un succo all'albicocca e lo seguo fino agli ascensori, sempre più curioso: non sono gli ascensori che prendo di solito; questi sono da un'altra parte e c'è scritto che sono riservati al solo personale.

"Ma che è posto è?" gli domando mentre l'ascensore si chiude, dopo che lui ha schiacciato il pulsante per il secondo piano.

"Adesso vedrai!".

L'ascensore si apre davanti a un pianerottolo dove non c'è niente se non una grande porta.

"Prego!" mi dice spingendone il maniglione antipanico che mi apre immediatamente la vista su un grande terrazzo.

Muovo qualche passo, sorpreso, e mi guardo intorno; il paesaggio che si vede da qui è mozzafiato: distese di ulivi, montagne, la città lontana, il mare.

Si vede persino il mare!

"Bello, eh?!" mi domanda Ulisse sorseggiando il suo caffè, mentre si dirige verso il muretto basso circostante.

"Bellissimo! Oh! Ma c'è anche un canestro!" esclamo notando un canestro da basket e qualche pallone abbandonato, poco più in là.

"Sì, ogni tanto ce viene qualcuno a giocà, ma pochi sanno di stò posto! E così me ne posso stà in pace!".

Pace.

Ulisse ha ragione: qui si sta proprio in pace.

C'è un silenzio quasi surreale.

C'è un tavolino e ci sono sedie sparse qua e là.

E c'è un gazebo, semi chiuso e circondato da piante di ogni tipo, con dentro una sdraio.

"Vieni qua a farti il pisolino?!" rido indicando il gazebo col pollice.

"Eh, magari!".

Posiziono una sedia in modo tale da poter godere del paesaggio e mi ci abbandono, poggiando i piedi sul muretto e cominciando a bere il mio succo: "Grazie per aver condiviso questo posto con me!"

"Prego! Te hai condiviso con me i tuoi cornetti!".

Io gli sorrido, ricordando quella mattina. "Ma adesso posso venirci quando voglio?"

"Sì, però stai a evità le ore più calde, che qua il sole picchia! Altrimenti, la Lisandri chi la sente?!".

"Promesso" dico annuendo, per poi allungarmi di più sulla sedia, perdendo il mio sguardo nell'orizzonte, mentre Ulisse comincia a cantare uno stornello.

"Roma bella, Roma mia.... te se ne vònno portar via...".


Giulia ha aspettato per buona parte della giornata che Leo si facesse sentire, ma niente: nessun messaggio e nessuna telefonata.

Ieri sera, quando si sono salutati, erano entrambi parecchio turbati e non si sono dati appuntamento per oggi; lei ha preferito lasciargli il suo spazio, sperando che lui le chiedesse di andare a trovarlo, ma niente.

Alla fine, si è lasciata convincere da Arianna a passare il pomeriggio in piscina con lei e gli altri: amici, sole, acqua, relax, risate.

Fanculo Leo.

Fanculo proprio per niente!

Non riesce a non pensare a lui.

Le manca.

Le manca e si sente triste.

Tutto le sembra triste.

Gli amici, il sole, l'acqua, il relax, le risate.

Tutto.

Anche l'estate le sembra triste.
Maledettamente triste, senza Leo.

Vorrebbe poter uscire insieme a lui, passare insieme tutto il tempo del mondo senza limitazioni, starsene ore rinchiusi in camera, farci l'amore.

Lo vorrebbe qui, adesso, sdraiato accanto a lei.

Vorrebbe sentire il calore del suo corpo, potergli stringere la mano, vedere i suoi occhi sorriderle.
E invece lui è .

E le ha detto che non sa come la loro storia possa andare avanti.
E questo le fa male.

Le fa male, anche se lo capisce.

Capisce, per quanto è possibile, quello che Leo ha passato e che sta passando.

Capisce quello che ha paura di passare ancora.

Ma non riesce a giustificarlo.

Non può permettergli di allontanarla.
Non può.
Non farà di nuovo lo stesso sbaglio.

Stavolta non gli permetterà di fingere che vada tutto bene, di nasconderle quando sta male, di tenerla a distanza.

Lei vuole esserci.

Vuole esserci quando lui non riuscirà ad essere forte, quando piangerà, quando sarà incazzato col mondo e anche quando starà così male da non volerla vedere.

Lei vuole esserci.

Perché non può fare a meno di lui.

Del suo calore, delle sue mani, del suo silenzio, della sua voce, del suo sguardo.
Prende il telefono dalla borsa, sperando ancora che lui l'abbia cercata.

Niente.

Sono le 18:53.

Ha bisogno di vederlo.

Adesso.

"Ceci...".

Cecilia è sprofondata nella lettura di Cinquanta sfumature di grigio e si lascia distrarre malvolentieri: "Mh...?" mugugna senza distogliere lo sguardo dal libro.

"Mi porti da Leo?"

"Adesso?!" le domanda l'amica, girandosi a guardarla.

"Sì, adesso. Ho bisogno di andarci adesso!".

E a Cecilia basta un rapido scambio di sguardi per capire che Giulia ha davvero bisogno di vedere Leo adesso.

"Ok, andiamo!" esclama alzandosi dal lettino e indossando alla svelta il copricostume.

La porta è aperta e Leo non è nella sua stanza.

La sua stanza.

È da un mese ormai.

In giro ci sono tutte le sue cose: il pc portatile, la Play, le infradito nere, il caricabatteria del cellulare attaccato alla presa, una pila di fumetti e riviste sul comodino, l'i-pod con le cuffiette, un paio di magliette sparse in giro, l'odore del suo bagnoschiuma, l'accappatoio blu abbandonato sul letto.

Ha persino attaccato al muro un poster dei Sum41.

E ha scritto dei nomi, con accanto delle date recenti, sull'armadietto; sembrano delle date di nascita.

Giulia si siede sul letto e annusa l'accappatoio, inspirando a fondo, mentre viene pervasa da una terribile malinconia: mentre lei non c'era, Leo era qui e questa è diventata la sua stanza.

"Dove sei? Ti sto aspettando in camera" gli scrive, sperando che lui legga il messaggio.

E, un minuto dopo, Leo arriva.

"Ehi!" esclama comparendo sulla porta. "Ciao! Ero da Rocco! Non ti aspettavo..." le dice mentre le si avvicina e si china su di lei, sfiorandole le labbra con un bacio.

"Forse perché non mi hai chiamata...!"

"Beh... nemmeno tu mi hai chiamato, no?" ribatte Leo sedendosi accanto a lei.

"Pensavo volessi il tuo spazio, dopo quello che mi hai detto."

"Ed io pensavo volessi il tuo tempo, dopo quello che ti ho detto."

"No, non mi serve tempo."

"Odori di cloro" osserva Leo mentre le accarezza i capelli. "E hai i capelli umidi."

"Ero in piscina con gli altri fino a poco fa."

"Ah! E come sei venuta?"

"Mi ha accompagnata Cecilia col motorino".

Leo le poggia una mano sulla coscia nuda: "Quindi non avevi programmato di venire..." le dice, e quasi senza accorgersene comincia ad accarezzargliela.

"No" risponde lei allontanando la sua mano. "L'ho deciso all'improvviso".

Leo la guarda, stranito. "Che c'hai adesso?" le domanda riappoggiando la mano sulla sua coscia.

"Se non sai come faremo a restare insieme, forse dovresti evitare di toccarmi" gli dice Giulia alzandosi in piedi, lasciando cadere la sua mano nel vuoto.

"Cos'è?! Sono in punizione adesso?!" esclama Leo inarcando un sopracciglio. "Ti ho già chiesto scusa per le cose che ti ho detto, mi pare."
"Questo non cambia il fatto che comunque le pensi, quelle cose! Che le provi!"

"Senti Giulia, se sei venuta per litigare..."

"No. Non sono venuta per litigare. Ti devo dire delle cose."

"Va bene, ti ascolto. Vieni a sederti, però."

"No. Se mi tocchi mi distrai."

"Ti lasci distrarre facilmente, eh?"; Leo non può fare a meno di ridere, facendola risentire ancora di più. "Dai, vieni qui. Giuro che non ti tocco!"

"Non credo più ai tuoi giuramenti!"

"Dico sul serio, Giulia. Vieni qui! Terrò le mani a posto."

"L'ultima volta che l'hai detto non è andata propriamente così!".

Leo sorride malizioso, ripensando a quello cui lei sta alludendo: "Eh, ma quella volta non vale, eri nuda! Adesso sei vestita... Più o meno..." commenta ridendo, osservando i suoi pantaloncini cortissimi e la sua canotta scollata.

"Ero in piscina! Devo andarci col maglione a collo alto?!"

"Dai, vieni qua, su!"

"No. Se vuoi ascoltarmi manteniamo la distanza di sicurezza. Altrimenti me ne vado e basta!"

"Devo presentarti Ulisse, sai?! Così non potrà più dire che sono la persona più capocciona che conosce!"

"Mi ascolti o no?"

"Sì, vai. Ti ascolto."

"Ti ricordi quando mi hai quasi rotto il naso e poi te ne sei andato non so dove, lasciandomi lì come una cretina?!".

Leo sospira, ripensando all'angoscia di quella giornata: "Sì, mi ricordo".

"E ti ricordi quando abbiamo discusso per Londra, fuori dal pub e tu mi hai, di nuovo, lasciata lì come una cretina?!"

"Sì, mi ricordo" risponde Leo sbuffando.

"E ti ricordi quando hai insistito perché me ne andassi a Londra e mentre ero lì mi hai nascosto come stavi e quella volta che per due giorni non ti sei fatto sentire, lasciandomi lì come una cretina?!"

"Sì, ricordo anche questo."

"Bene! Sappi che non succederà mai più! Che non ti permetterò mai più di lasciarmi lì come una cretina! Io stavolta resto! Resto per l'operazione, resto per i giorni a venire, resto quando comincerai la riabilitazione, resto quando ricomincerai la chemio, resto quando vomiterai anche l'anima e non riuscirai ad alzarti dal letto! Resto qualsiasi cosa succeda! Resto quando piangerai, quando sarai incazzato col mondo e resto anche quando starai così male che non vorrai vedermi! Io resto! E se non vuoi che resto dovrai lasciarmi! Ma se invece vuoi stare con me dovrai accettare il fatto che io resto!".

Ha parlato tutto d'un fiato Giulia, e adesso ha il viso in fiamme e gli occhi che le bruciano per le lacrime trattenute.

Leo ha cambiato espressione non sa quante volte, mentre l'ascoltava: il suo sguardo è passato da incazzato a dubbioso, da contrariato a dispiaciuto, da turbato a rassegnato, da duro a dolce.

Quel resto è una vera e propria dichiarazione d'amore in piena regola.

Giulia resta.

Che a lui piaccia o no.

Lo preoccupa l'idea che lei resti.

Pensa che prima o poi crollerà.

Che non ce la farà a restare sempre.

Che adesso dice così perché lui sta bene, ma che non sarà così facile per lei restare, dopo.

Ma adesso lui sta bene ed è inutile discutere per qualcosa che forse avverrà dopo.

No, non forse.

Lui è sicuro che avverrà.

È solo questione di tempo, di giorni.

Ma Giulia sembra così convinta di farcela, e lui decide che può almeno sforzarsi di vedere che succede, senza angosciarsene proprio adesso.

Si alza e va ad abbracciarla. "Ok. Resta".

Giulia sorride, contro il suo petto, abbandonandosi all'odore e al calore della sua pelle.

Giulia resta.

Notte di San Lorenzo.

Notte di stelle cadenti.

Notte di desideri.

Un anno fa, a quest'ora, ero disteso in spiaggia con i miei amici, a scrutare il cielo, esprimendo così tanti desideri che non riesco proprio a ricordarmeli tutti.

Me ne vengono in mente solo quattro:

  • che la mia squadra di pallanuoto vincesse almeno cinque partite nella stagione successiva;

  • che i miei genitori si decidessero a comprarmi il motorino;

  • che mamma guarisse;

  • riuscire a toccare un paio di tette.

Tre su quattro si sono realizzati nel corso di quest'anno.

Uno no.

Il più importante no.

E adesso non sono disteso in spiaggia, ma sul pavimento del terrazzo dell'ospedale.

E adesso non sono con i miei amici, ma da solo.

E adesso di desideri non ne ho poi così tanti come un anno fa.

A dire il vero ne ho solo uno.

Perché quest'uno racchiude tutti gli altri.

Se si realizza questo, tutto il resto verrà di conseguenza.

Voglio sconfiggere la Bestia.

Voglio guarire.

   
 
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