Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: mrs konstantyn    11/07/2017    1 recensioni
"Sfruttare la forza di cui il tedesco era indubbiamente dotato rappresentava un colpo basso, che però non si era mai fatto scrupoli ad attuare. Erano entrambi ben consapevoli di come l'albino fosse in grado di sottometterlo fisicamente senza troppi sforzi; stargli vicino così a lungo avrebbe potuto portare ad una piega decisamente spiacevole, almeno per Roderich.
«Da quando sono un ragazzino? Da quando non servo più a farti divertire?» Calcò l'ultima parola con una combinazione di astio e scherno, ottenendo, come conseguenza, l'evidente indignazione dell'altro.
Deglutendo a vuoto per riprendere un contegno, il castano trovò il coraggio di controbattere.
«Lo sei sempre stato.- Sibilò a denti stretti. -E adesso lasciami.»"
[Modern!Human!AU incentrata sulla PruAus.]
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La porta di legno e vetro trasparente si chiuse con un discreto fragore, facendo tremare di conseguenza la vetrata adiacente a essa, che si affacciava sulla strada. Un alito di vento gelido accolse il ragazzo appena uscito, come se lo stesse attendendo da ore al di fuori del caffè in cui lavorava. Il tedesco si strinse nel giaccone color cenere che aveva indosso, increspando le labbra in una smorfia che esprimeva il suo fastidio, e rimpiangendo immediatamente il torpore del luogo appena lasciato. Sopra la sua testa, una cappa plumbea e pesante inglobava il cielo austriaco, coprendo Vienna come un cappotto sulle spalle di un uomo.

Il freddo era tale da aver apparentemente scoraggiato i più abitudinari frequentatori della Kärntnerstraßepoiché essa appariva incredibilmente vuota, in confronto al suo consueto.
In più, l'orario sicuramente non era quello in cui una persona avrebbe avuto piacere di uscire dalla propria abitazione, se nulla l'avesse costretta o invogliata a farlo.
Quella sera di ottobre, ben pochi si erano avventurati nella zona pedonale viennese: una buona maggioranza di negozianti degli esercizi circostanti, e una manciata di turisti, a giudicare dalle lingue differenti che parlavano. 
La figura del giovane si mosse tra quelle persone, attraversando la strada con le mani nelle tasche dei pantaloni. Il suo aspetto suscitava interesse, mistero, contrapposti ad un pizzico di timore. Due particolari lo rendevano particolarmente interessante: i capelli, lunghi sui lati del capo e più corti sulla fronte, la cui tinta si avvicinava più all'avorio che alla cenere, e gli occhi cremisi, lucenti ed imperscrutabili, inquietanti quanto stuzzicanti. Quella coppia di dettagli, fusi nella sua persona, erano le componenti di un binomio perfetto.
Di certo, Gilbert Beilshmidt non passava mai inosservato; non che questo fatto gli avesse mai arrecato alcun tipo di fastidio: attirare l'attenzione, gli sguardi della gente, passare almeno un secondo sulla bocca di ognuno, era fonte di un appagamento non indifferente. L'amore per sé era una componente predominante del suo essere, e come lui stesso sosteneva, una delle sue più grandi qualità. Fargli notare che non tutte le occhiate ed i commenti a lui dedicati sarebbero potuti essere benevoli, era una perdita di tempo assoluta. Gilbert era, sin da quando ne avesse memoria, irrimediabilmente convinto della sua supremazia sugli altri, e di quanto apprezzamento avrebbe meritato per le sue "capacità innate" -l'albino era molto restio ad approfondire il concetto, spiegando quali esse fossero realmente-.
Mentre un lugubre boato spezzava il silenzio del quartiere, la vibrazione del suo cellulare, infilato nella stretta tasca dei jeans, costrinse il ragazzo ad arrestare il proprio passo, per controllare chi volesse parlare con lui.
Sbuffò seccato, e forse deluso, realizzando che il mittente della chiamata non era altri che suo fratello, pronto ad inondarlo con fiumi di domande sulla sua posizione, la sua salute ed il suo impego, magari inserendo tra di esse una richiesta, implicita o meno, di tornare in Germania.
La prospettiva di un'ennesima conversazione superflua, senza alcuna conclusione, diede l'impulso di muoversi sullo schermo al suo pollice, facendogli premere il pulsante rosso lampeggiante al centro del display, troncando il  prevedibile dialogo ancora prima che avesse possibilità di nascere. 
Raggiunse il capolinea della zona pedonale dopo qualche minuto di camminata, accompagnando il tragitto con un concitato monologo incentrato su quanto la sua vita sarebbe stata più semplice, se non fosse stato pressato dal controllo maniacale del minore. Tra i due vi era una differenza di soli tre anni, la quale, per un estraneo, sarebbe stata impossibile da intuire: Ludwig era più alto, più sviluppato e -secondo il suo giudizio personale- molto più maturo di Gilbert. Sin dalla loro adolescenza, il più piccolo aveva assunto il ruolo di padre ausiliario, per sopperire alla scarsa presenza dei genitori, provvedendo ad impartigli piccole lezioni di educazione ogni volta che Gilbert, chiaramente più confusionario e meno disciplinato dell'altro, commettesse qualche piccolo sgarro. 
Certamente i risultati non mancarono, ma una delle conseguenze di quella direttiva fu la voglia crescente e premente del maggiore di staccarsi dalla famiglia. 
All'età di ventuno anni, lui e Ludwig si trasferirono all'università di Monaco di Baviera, e lì trascorsero quattro anni della loro vita, fino a quando il primo non interruppe bruscamente i propri studi per trasferirsi in Austria, rendendo conto ai genitori della sua decisione solo una volta attraversato il confine. Da quel dì in avanti, non passò un giorno in cui il fratello non gli telefonò per accertarsi che stesse bene.
Nonostante litigassero spesso a causa della condotta di vita a tratti sregolata di Gilbert, il rapporto che li legava era forte ed indissolubile. I due fratelli erano uniti da un enorme affetto, il quale entrambi erano riluttanti a palesare, colpevole il loro orgoglio.

Gilbert salì in macchina, bofonchiando qualcosa sull'insufficiente vita sessuale di Ludwig, e interruppe il suo parlottare solo quando accese il mezzo. Lo mise in moto, girando la chiave, e solo allora, attirato dal picchiettare incessante proprio sopra la sua testa, il giovane alzò gli occhi dal cofano, accorgendosi finalmente di un flusso crescente di gocce d'acqua che si abbattevano senza pietà sul suo parabrezza. Sbuffò rumorosamente, esprimendo tutta la sua contrarietà, mentre schiacciava l'acceleratore, ingranava la retromarcia e usciva dal parcheggio.

La pioggia aumentava la violenza del suo flusso ad ogni metro percorso, riducendo la strada di fronte al tedesco a nulla di più di un'immagine sfocata dai soli contorni definiti, obbligandolo a guidare senza nemmeno scorgere nitidamente il tragitto che stava percorrendo, girando meccanicamente il volante come un automa, affidandosi soltanto alla sua memoria, per distinguere il punto nel quale si trovava. Ad aggiungersi ai fattori che rendevano pressappoco impossibile la guida, vi era la tartassante suoneria del suo cellulare, la quale non gli concedeva nemmeno un attimo di tregua. Il suo sguardo, fino a poco prima fisso sulla strada, si sposta con estrema rapidità sul proprio cellulare, solo per controllare chi fosse il mittente della telefonata. Era quasi ovvio che si trattasse di Ludwig, adirato per essere stato ignorato le volte precedenti. 
Evitando per l'ennesima volta di parlare con il fratello, Gilbert tornò a concentrarsi sul tragitto, strizzando gli occhi nel vano tentativo di acquistare un minimo di visibilità in più, stringendo spasmodicamente il volante per non permettere alle ruote di slittare sull'asfalto sdruccioloso. Ormai stava procedendo alla cieca, non essendo più in grado di vedere alcunché, se non le migliaia di gocce di pioggia illuminate dagli abbaglianti dell'automobile, intente ad assediare la città, innumerevoli, tali che gli sarebbe stato impossibile distinguerne nitidamente una dalle altre centinaia attorno ad essa, come se fossero un blocco unico, uno schermo che lo separava dalla realtà attorno a lui. Proprio in quell'istante, il suo cellulare squillò per la terza volta. Esasperato, preda di uno scatto di rabbia e frustrazione, il ragazzo si sporse verso il sedile del passeggero per afferrare il telefono, stringendolo con la mano destra, relegando alla sola sinistra il compito di reggere il volante. La sua attenzione venne catturata per pochi attimi dall'apparecchio, giusto il tempo necessario per premere il pulsante di risposta sullo schermo e portarlo all'orecchio. 
«Gilbert!- La voce profonda del fratello arrivò molto vicina a sfondargli il timpano. Dopo quell'iniziale sfogo, tuttavia, si placò con velocità disarmante, palesando, con un sospiro esausto la sua intenzione di riprendere la calma. -Mein Gott, si può sapere che fine hai fatto? È da tutto il giorno che non mi rispondi.» Se il maggiore avesse potuto imitare la risposta dell'altro, ancor prima che questo la pronunciasse, avrebbe probabilmente pronunciato quelle esatte parole. Gilbert si trattenne dal salutarlo con un sempreverde "ciao anche a te, mamma", ma risolse che Ludwig era alterato a sufficienza, e dargli un'ulteriore ragione per esserlo non sarebbe stato una scelta saggia. «Ero a lavoro.» Replicò frettolosamente, utilizzando la stesa scusa con la quale, fino ad allora, aveva mascherato qualsiasi situazione del genere.
Per motivi completamente oscuri all'albino, il fratello rifiutò per la prima volta quell'attenuante, la quale non sembrò far altro se non irritarlo maggiormente. Ludwig ricominciò a sbraitare, accusandolo di essere un completo incosciente, tirando in ballo l'irresponsabilità dimostrata, non solo quel giorno, ma sin da quando decise di lasciare la Germania.
Infastidito dalle accuse del più piccolo, dal suo repentino e apparentemente immotivato cambio di atteggiamento nei suoi confronti, Gilbert abbandonò il suo proposito di rimanere calmo per concludere al più presto la telefonata, rispondendo con altrettanta ira, dando inizio ad una lite velenosa alla quale nessuno dei due, se avesse avuto l'occasione di scegliere avrebbe voluto dare inizio.
Furibondo, Gilbert espresse tutta la sua frustrazione in un grido, sputando con rabbia quanto non sopportasse il maniacale bisogno di controllo del fratello, quanto preferisse stargli lontano.
E fu allora che si distrasse, per un breve ma fatale momento. Perse il controllo della macchina, che slittò sull'asfalto a velocità spaventosa. A quel punto, il tedesco credette che si sarebbe ammazzato. Afferrò saldamente il volante, in un tentativo disperato di riprendere la padronanza, e mentre tentava di raddrizzare la vettura sulla carreggiata, schiacciò con forza incredibile il pedale sinistro. L'automobile scivolò per ancora qualche metro, i freni stridettero, producendo un rumore acuto e perforante, inquietantemente simile ad un grido, prima che la macchina si arrestasse completamente. L'albino era sicuro di aver visto la sua intera vita passargli davanti agli occhi, in neanche un minuto di terrore. Le mani del giovane corsero lungo tutto il suo corpo, toccandone ogni singola parte raggiungibile, per assicurarsi che fosse ancora tutto intero. Come se fino a quel momento avesse trattenuto il fiato, respira affannosamente, tentando di tranquillizzarsi.
Fu in quel momento che, in una manciata di secondi, realizzò che ciò che aveva udito poco tempo prima era realmente l'urlo di un uomo.

Gilbert spalancò lo sportello, scendendo dalla vettura barcollando, ancora fisicamente scosso dall'accaduto, e corse verso un piccolo gruppo di passanti addensatosi attorno un punto preciso, noncurante della pioggia ancora incessante, la quale, nel giro di cinque secondi, lo aveva già inzuppato dalla testa ai piedi. Si fece largo a spintoni tra la folla che andava aumentando, riuscendo a spostarsi al centro di essa, luogo nel quale giaceva un corpo immobile, con la schiena schiacciata contro l'asfalto e le braccia aperte, mentre gli arti inferiori erano leggermente accavallati in una posizione assolutamente innaturale. Una terribile morsa gelida attorcigliò lo stomaco del tedesco. Se fu assalito dall'orrore solo osservando le condizioni da lui stesso causate a quell'uomo, credette che quella orribile sensazione di gelo lo avrebbe portato a vomitare, quando riconobbe la persona che aveva investito.
I capelli castani dell'uomo, leggermente lunghi sul davanti, ora completamente zuppi, appiccicati scompostamente sul viso macchiato di sangue, i lineamenti dolci, femminei del volto, che accompagnavano delle guance scarne, e infine gli occhi, dei quali, nonostante fossero chiusi, aveva in mente il colore scuro tendente all'ametista, ipnotico ed ammaliante, vivido nella sua memoria nonostante il tempo trascorso dall'ultima volta che li aveva visti.
L'austriaco non aveva indosso gli occhiali, con tutta probabilità scivolati via durante la collisione, e ora dispersi chissà dove. Il tedesco scivolò in ginocchio davanti a lui, le gambe che avevano smesso improvvisamente di reggerlo. Fu tentato di toccarlo, per essere sicuro che non si trattasse di un'illusione, incapace di accettare che fosse veramente lui, eppure non lo fece. Si limitò a pronunciare il suo nome, in un sussurro flebile, coperto dallo scrosciare della pioggia che si abbatteva sull'asfalto e dalle sirene dell'ambulanza che si avvicinava.
"Roderich."

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: mrs konstantyn