Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Mary P_Stark    12/07/2017    3 recensioni
1827. Andrew Spencer, erede del titolo degli Harford, parte per il Grand Tour europeo assieme ai suoi migliori amici, Keath e Leonard. Il viaggio ha sì lo scopo di fare nuove scoperte e conoscenze - come effettivamente avverrà - ma serve ad Andrew come via di fuga dal suo annoso, terribile problema. Il suo cuore sanguina per una donna che pensa di non poter avere.
Violet Phillips, al tempo stesso, è alle prese con un problema non dissimile: la Stagione a Londra, mille potenziali cavalieri e nessuno che realmente colpisca il suo cuore... poiché esso è già impegnato, e dall'uomo per lei più inavvicinabile di tutti.
Potrà il Grand Tour aiutare Andrew a chiarirsi le idee, e trovare il coraggio che ora gli manca per dare voce al suo cuore?
E potrà Lucius Bradbury, cugino di Alexander Chadwick, aiutare Violet nella riscoperta di se stessa e di una forza che non crede di avere? - SEGUITO DI "UNA PENNELLATA DI FELICITA'" e "SOTTO IL VELO DELLA NOTTE"
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo regency/Inghilterra
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 
 
8.
 
 
Aberdeen – 7 novembre 1827
 
 
Non fecero in tempo.

Il temporale li colse sulla via del ritorno e quando Lucius, Violet e la sua dama di compagnia, Sybil, rientrarono a casa, erano ormai bagnati fradici.

Sybil non perse tempo in convenevoli e, accompagnata la padrona al piano superiore, ordinò per lei un bagno caldo e abiti puliti, dopodiché fuggì nella sua stanza con un risolino.

A Violet non restò altro che entrare in camera sua, denudarsi grazie all’aiuto della sua cameriera e, con un sospiro, infilarsi nella tinozza d’acqua bollente, preparata a tale scopo nell’adiacente spogliatoio.

Rilassandosi all’interno di quell’invitante conchiglia liquida e calda, Violet si concesse il lusso di chiudere gli occhi e, svogliata, si passò la spugna sul corpo raffreddato dalla pioggia.

Da quando aveva conosciuto Lucius, non aveva più passato giorno chiusa in casa e, assieme a lui e a Sybil, o Lizzie, erano spesso usciti per lunghe passeggiate a cavallo o in calesse.

Abitando nelle vicinanze, Lucius non aveva avuto problemi nel passare a trovarla giornalmente, con sempre progetti nuovi da mostrarle.

La sua frizzante simpatia, unita a un’elevata capacità tecnica di base, l’avevano davvero colpita favorevolmente.

Lucius sarebbe diventato un armatore coi fiocchi, se solo avesse veicolato nel verso giusto tutta la sua grinta e la sua passione.

Per il momento, a Violet sembrava che stesse navigando più veloce delle sue possibilità liquide iniziali, ma sarebbe bastato poco per riportarlo sulla retta via.

Sorrise spontaneamente nel ritrovarsi a pensare come un marinaio e, tra sé, rise all’idea di parlare a quel modo nei salotti bene di Londra.

Metà dei presenti sarebbero svenuti di sicuro, e l’altra metà l’avrebbero ritenuta folle.

Ma lei amava il mare, tutto ciò che riguardava la nautica e, soprattutto, amava creare strutture che potessero contrastarne la forza, sfruttando a proprio vantaggio vento e acqua.

Randolf l’aveva sempre presa bonariamente in giro, dicendole che lei, e non lui, aveva preso dal suo defunto padre.

Ovviamente, ciò era impossibile, poiché non v’era consanguineità per parte di padre, tra lei e Randolf, ma la divertiva l’idea di aver preso su di sé il retaggio di quell’uomo che non aveva avuto la possibilità di conoscere.

Ne aveva sentito parlare tramite i racconti di suo padre Anthony, o dalla madre, che lo ricordava con amore e, nel corso degli anni, si era fatta una sua idea su Andrew Campbell.

Kathleen le aveva confermato tante sue ipotesi, aggiungendo svariati particolari su di lui.

A distanza di anni, comunque, poteva sostenere che galeotto era stato il libro che Kathleen le aveva regalato sulla nautica, appartenuto un tempo a suo fratello Andrew.

Dopo averla vista così interessata a conoscere il padre di Randolf, la donna si era convinta che, donandole uno dei libri da lui tanto amati, avrebbe potuto capirlo meglio.

E così era stato.

Suo fratello, poi, le aveva mostrato alcuni diari tenuti dal padre – e di cui nonna Georgiana gli aveva fatto dono – e così, per Violet, era iniziato un percorso di scoperta durato anni.

Tutti si erano accorti del suo interesse sempre più profondo per la nautica ma, forse, l’avevano sottovalutata perché lei stessa non si era mai spinta a chiedere altro.

Si era fatta una cultura personale assai approfondita, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiedere al padre, o a chiunque altro, di farle vedere cosa volesse dire sul serio.

Certo, probabilmente l’avrebbero dissuasa dall’interessarsi oltre; una donna non si occupava di cose simili.

C’erano ancora marinai che facevano gli scongiuri, di fronte a una donna a bordo di un veliero.

Figurarsi di una che voleva costruirli!

Lei, da brava codarda quale era sempre stata, si era limitata a innamorarsi di una cosa senza mai afferrarla veramente.

Sembrava il leit-motiv della sua vita, in effetti.

Essere vicino a ciò che brami, senza avere mai la forza di afferrarlo saldamente.

Ora, però, parlando con Lucius e trovando in lui non solo un ascoltatore attento, ma anche un giovane che l’accettava come persona e come donna, aveva compreso di potercela fare.

Di poter dare voce alle sue idee senza timore di apparire sciocca.

Non avrebbe mai potuto fare lo stesso mestiere a cui puntava Lucius, questo lo sapeva benissimo.

Non era il tempo, né il luogo.

Ma adesso era in grado aggrapparsi al suo sogno e, in qualche modo, di renderlo reale.

Forse, grazie a questa nuova forza, avrebbe potuto aggrapparsi anche a qualcos’altro… a qualcun altro.

“Qualcuno è nel mondo dei sogni?” ironizzò una voce, all’interno dello spogliatoio.

Violet strillò di sorpresa e paura, sciabordando l’acqua con le braccia e rischiando di farla debordare dall’orlo.

Lizzie, allora, rise di gusto e, nel sedersi su una vicina panca, poggiò le mani sul ventre prominente e disse: “Hai una faccia squisita, in questo momento, Lettie.”

“Se non fosse che sei incinta e vicina al parto, ti picchierei. Sono quasi morta di paura” esalò Violet, raggelandola con il suo sguardo ceruleo.

O, per lo meno, ci provò. Non era mai riuscita a spaventare nessuno, neppure quando era furiosa.

Figurarsi spaventare Lizzie, che era alla stregua di una dea guerriera, ai suoi occhi.

Addolcendo il suo sguardo, Elizabeth si massaggiò distrattamente la schiena con una mano, asserendo: “Ho visto passare Lucius, diretto nella camera degli ospiti, bagnato come un pulcino. Ne deduco che non siete rientrati in tempo.”

“Già. E spero davvero che Sybil non si ammali. Potresti farle mandare qualcosa di caldo?” le domandò Violet, sentendosi tremendamente in colpa.

“Avevo già spedito un paio di garzoni ad attizzare il fuoco nella sua stanza, così come avevo fatto per la tua, quando ho visto iniziare a piovere, e le farò mandare del brodo caldo e del pane appena sfornato. L’ideale per scaldarsi le viscere” sorrise Lizzie, annuendo. “Dove siete andati, stavolta?”

“Abbiamo passeggiato lungo la battigia con i cavalli, ammirando da lontano le linee dei clipper che stavano partendo dal porto. Discutevamo sulla lunghezza dei bompressi e l’angolatura dello scafo” le spiegò Violet.

Ormai aveva imparato che, a Lizzie, poteva dire qualsiasi cosa senza apparire pazza. Anche se lei non capiva nulla di quanto stava dicendo, la ascoltava sempre.

Era bello non avere più paura di apparire strani, o di temere di far preoccupare l’eventuale interlocutore.

Non aveva mai parlato così apertamente con nessuno, ed era stupendo poterlo fare con una delle sue migliori amiche.

“Dunque, …il bompresso è l’albero orizzontale, giusto?”

“Esatto, quello che si estende verso il mare, dalla prua” assentì Lettie, affondando un attimo per bagnarsi anche i capelli.

Quando riemerse, si ritrovò gli occhi gentili dell’amica puntati addosso e Violet, sorridendo, le domandò: “Cosa vuoi domandarmi, Lizzie?”

“Io? Nulla. Tu, piuttosto, vuoi dirmi qualcosa?” replicò la donna, massaggiandosi con più insistenza il fianco. “Giuro che mi sembra di avere un plotone, dentro la pancia.”

“I bambini ti danno noia?” domandò subito la giovane, afferrando i bordi della tinozza per uscire.

Il dottore, ormai, dava per scontato che fossero due gemelli, visto che aveva potuto sentire con mano tre calci nello stesso momento, durante una visita.

Elizabeth la bloccò con un gesto della mano e, sorridendo divertita, replicò: “Non balzare fuori per soccorrermi. Sto bene, anche se spingono come cavalli imbizzarriti.”

“Beh… se ne senti il bisogno, chiedimi aiuto. Salterò fuori anche se sono bagnata fradicia e nuda come un verme” ironizzò allora Violet, tornando a pulirsi la chioma.

“Oh, credo proprio che alcune persone, in casa, apprezzerebbero molto vederti scorrazzare come lady Godiva” sorrise Lizzie, facendo arrossire l’amica.

“Anche quanto, troverei il tempo per afferrare una vestaglia, prima di portarti in camera tua” bofonchiò Lettie, pur sorridendo divertita.

Chissà cosa avrebbero pensato, i suoi genitori, se si fosse esibita a quel modo?

Probabilmente, non ci sarebbe mai riuscita… sarebbe morta d’imbarazzo molto tempo prima.

Lizzie, invece, forse l’avrebbe fatto davvero, se la necessità lo avesse imposto. Era molto più coraggiosa di lei.
“Cosa sta confabulando la tua mente?”

“Si vede tanto, che sto pensando?”

“Ti esce il fumo dalle orecchie” ghignò Lizzie.

Violet rise e, nel sollevarsi stillante dalla tinozza, afferrò il telo che Elizabeth le offrì e vi si avvolse dentro, uscendo dall’acqua ormai tiepida per avvicinarsi al camino acceso.

“Pensavo che tu, forse, potresti esibirti come lady Godiva, ma io non potrei mai. Non ne avrei il coraggio” ammise Violet, sorridendole.

Elizabeth scrollò le spalle, replicando: “E’ solo pudore, il tuo, non mancanza di coraggio. Ne hai sempre dimostrato più di me, fin da quando iniziasti ad aiutare mia madre e la tua, da bambina, nell’orfanotrofio di York.”

Sorpresa da quell’ammissione, Violet smise per un attimo di asciugarsi ed esalò: “Che c’entra quello?”

“C’entra eccome, tesoro. Io ho sempre guardato a te, per imparare a dominare le mie paure. Tu sapevi stare assieme a quei bambini come io non ero in grado, perché mi sentivo troppo goffa e inadatta, per trattare con loro.”

Ora del tutto sbalordita, Violet si sedette sulla panca nei pressi del camino e, lasciando che il fuoco le scaldasse le chiome rilasciate sulle spalle, mormorò: “Perché mai pensavi questo?”

“Perché a te veniva naturale come respirare, mentre io ero terrorizzata anche solo di toccarli, per paura di far loro del male” ammise Lizzie. “In seguito, compresi quanto fossero state sciocche, le mie ansie ma, per diverso tempo, mi sentii inadeguata.”

Violet, allora, le sorrise con calore e asserì: “Anch’io avevo paura di sbagliare, perciò osservavo spesso tua madre, o la mia. Ma volevo riuscire con tutta me stessa, perché sentivo di volerlo fare, per dimostrare a me stessa che ero in grado di poter fare almeno quello. Vedevo te, così brava in tutto, così esplosiva e vitale in tutto quello che facevi, mentre io riuscivo a essere solo la tua ombra pallida, così mi imposi di essere brava almeno con gli altri, visto che con me stessa riuscivo a combinare ben poco.”

“Perché non te l’hanno mai permesso” sottolineò Elizabeth con aria vagamente contrita.

“Ancora con questa storia?”

“Oh, andiamo, Lettie… nessuno ti lasciava muovere un filo d’erba, senza il terrore che potessi tagliarti. Erano tutti iperprotettivi con te, mio fratello compreso. L’unico che ti abbia mai lasciato respirare un po’, è sempre stato Max. E’ ovvio che tu abbia sempre pensato di non essere in grado di fare determinate cose. Non ti hanno mai lasciato tentare!” brontolò Lizzie, scuotendo con enfasi una mano.

Violet sorrise, annuendo, ma aggiunse: “Io, però, gliel’ho permesso. Non mi sono mai imposta come hai sempre fatto tu.”

“Io sono testarda per natura, e ho una lingua che graffia” rise di se stessa Elizabeth. “Ma ho imparato una cosa. Cercare di somigliare agli altri è sbagliato, bisogna essere se stessi e vedo che, stando con Lucius, mi sembra che questo stia succedendo.”

Violet sorrise spontaneamente, annuendo e, nell’afferrare una spazzola dal vicino tavolo da toeletta, asserì: “E’ un caro amico, ormai, per me, e ha fiducia nei miei mezzi. Inoltre, mi ha detto che, se mai costruirà barche e navi, alla prima darà il mio nome.”

“E’ carino, da parte sua” dichiarò piana Elizabeth.

Letty ammiccò, e aggiunse: “E utilizzerà i miei disegni, per la nave che intitolerà a me.”

“E a te sta bene? Darli a lui perché li firmi?”

“Conosco i limiti che le donne hanno al giorno d’oggi, e non penso che le cose cambieranno molto presto. Se una mia creazione potrà prendere vita grazie alle mani di una persona che stimo, sarò già felice così” ammise Violet, con sincerità.

“Mi spiace che tu debba passare attraverso un’altra persona, per veder realizzato il tuo sogno” sospirò l’amica, massaggiandosi il ventre.

“Si cerca di ottenere il meglio dalla vita, no?” replicò a quel punto Violet, distogliendo lo sguardo per non farle capire cosa volesse, oltre a una nave col suo nome stampigliato sopra.

“E immagino che stare con Lucius, e creare navi assieme, non sia il tuo meglio…” ironizzò dolcemente Lizzie, facendole volgere sorpresa lo sguardo.

“E’ così lampante?” esalò Violet, impallidendo leggermente.

“Per chi sa cosa leggere, e sa cosa cercare, sì. Ma sei brava a tenerlo nascosto, anche se pensavo che, stando tanto tempo con Lucius, le cose potessero essere cambiate” ammise Elizabeth. “Invece, sono solo peggiorate, vero?”

Reclinando il capo, Lettie poggiò i gomiti sulle ginocchia e si coprì il viso con le mani, esalando: “Lucius sarebbe un marito perfetto, lo so. Amiamo le stesse cose, e lui mi ascolta, lascia che sia io a guidare la conversazione, non mi sottovaluta mai. Eppure…”

“… eppure, non vuoi lui. E Lucius lo sa.”

Annuendo, Violet asserì: “Mi premurari di chiarire ogni cosa, quando mi ponesti questa stessa domanda, mesi fa, perché non volevo illudere nessuno e, anche se stare con lui mi ha riempito di soddisfazione e di una sicurezza che non avrei mai pensato di provare, so che non potrei mai amarlo. Non come amo Andrew. In ogni momento, ho sempre voluto averlo al fianco per sentire i suoi pareri in merito a ciò che io e Lucius dicevamo. Direi che spiega molte cose, no?”

“D’accordo… ma lui cosa ne pensa?”

“Siamo solo amici. Davvero. Sta bene a entrambi” asserì Violet, massaggiandosi le tempie. “Il problema rimane sempre e solo uno. Andrew. E, finché non torna, tutto rimarrà in sospeso.”

“Amen” borbottò Lizzie, annuendo.
 
***

La risalita dalle coste del Portogallo fino a Calais, era stato qualcosa di entusiasmante e terrificante al tempo stesso.

Il tempo aveva alternato momenti di tranquillità ad autentiche bufere di vento che, solo grazie al favore di Eolo, l’abile timoniere aveva potuto sfruttare a suo vantaggio.

Quando infine avevano raggiunto il porto francese per imbarcarsi per la Scozia, il mal di mare era venuto a tutti.

Si poteva sopportare quasi tutto, nella vita, ma un oceano simile avrebbe steso anche il più robusto marinaio.

E loro non li erano.

Fortunatamente, da Calais ad Aberdeen, il viaggio si era mantenuto su toni più tranquilli.

Quando infine Leonard, Keath e Andrew erano scesi sul molo, tutti avevano segretamente ringraziato Dio all’idea di non dover più viaggiare per mare, almeno per un po’.

A sorpresa, a loro si era unito anche Eli, desideroso di visitare la sorella, che abitava poco fuori la cittadina costiera.

Solomon e Patrick, invece, erano discesi al piccolo porto di Stonhaven per raggiungere il fratello maggiore di Sol, che viveva lì.

Si erano separati con la promessa di rivedersi per Natale a Aberdeen, se i Chadwick li avessero annoverati tra i loro ospiti.

Conoscendoli, Andrew non aveva alcun dubbio in merito.

Al porto, quindi, avevano preso una carrozza per quell’ultimo tratto di viaggio, e l’avevano stivata con tutti i loro bagagli e i molteplici acquisti, costringendo i quattro ragazzi a pigiarsi sui sedili.

Questo, però, non aveva preoccupato affatto Andrew, unicamente desideroso di raggiungere la casa della sorella.

Nel vederla finalmente in lontananza, circondata dal familiare boschetto di conifere e latifoglie mescolate assieme, Andrew sorrise spontaneamente.

A quel punto, però, Leonard disse: “Credo che, almeno per oggi, noi non dovremmo disturbare.”

Volgendosi a mezzo, Andrew fissò l’amico e replicò: “Ma che dici?! Lizzie sarà felicissima di vedervi!”

Keath intervenne a sua volta e asserì: “Leo ha ragione. Sono mesi che non vedi tua sorella e, ormai, sarà così vicina al parto che troppa confusione attorno non le piacerà di sicuro. Staremo con Eli per qualche giorno, e tu ci farai sapere se Lizzie gradisce o meno ricevere visite.”

Scrutando Eli, Andrew lo vide assentire.

“Ne abbiamo discusso prima di arrivare, e io sono d’accordo con loro. Shemain non avrà problemi a ospitarci ed è giusto che, prima di tutto, tu pensi alla salute di tua sorella. Noi siamo adulti e possiamo cavarcela da soli. Resteremo tranquillamente in disparte. E poi, immagino vorrai aprirti un po’ con lei anche per quell’altra questione.”

Andrew sorrise ai suoi amici, asserendo: “Continuo a dire che non ci sarebbero problemi, se anche vi fermaste… ma grazie per la vostra delicatezza. Sono sicuro che Lizzie apprezzerà.”

“Facci sapere come sta, e se possiamo venire a trovarla. Quanto al resto, …”

“Attenderò il momento giusto” terminò per loro Andrew, scuotendo le spalle.

Le vacanze di Natale sarebbero giunte in fretta, e lui avrebbe sfruttato quel tempo per capire come comportarsi al meglio con Violet.

L’aiuto di Lizzie sarebbe stato basilare, visto che loro due erano molto amiche, … e l’approccio di una donna era sicuramente migliore di quello di un uomo innamorato e dalle idee confuse.

Sorridendo suo malgrado, Andrew asserì: “Spero solo che non mi stacchino la testa, alla fine dell’opera.”

“Se dirai tutto a tua sorella, ci penserà lei a difenderti” ironizzò Keath.

“Non vedo l’ora di conoscerla” dichiarò Eli, tutto sorridente. “Ma aspetterò, promesso… tu, cerca solo di essere chiaro, e non perderti nei tuoi mille dubbi.”

“Ormai ho imparato la lezione. Devo aver maggiore fiducia nei miei sentimenti, e non pensare che lei non possa sopportarli” annuì Andrew, mentre la carrozza rallentava la sua corsa.

I suoi tre amici assentirono e, quando finalmente Andrew mise piede a terra, sentì di poter affrontare qualsiasi cosa.

Forse, anche il fatto che Violet, durante la sua assenza, avesse trovato un potenziale marito.

Ora che sapeva con chiarezza che cosa provava per lei, e non era più impaurito e confuso dai suoi stessi sentimenti, poteva porsi di fronte alla prova finale a testa alta.

Dirlo a lei, alla ragione prima e ultima dei suoi pensieri.

Quando il cocchiere ebbe scaricato tutti i suoi bagagli, Andrew salutò gli amici e, nell’osservare per qualche istante la carrozza allontanarsi, sorrise tra sé al pensiero di rivedere la sorella.

Guardandosi intorno, notò i segni di una pioggia recente, forse del giorno precedente.

Lizzie doveva aver trovato la cosa assai fastidiosa, visto quanto odiava la pioggia, quando non si sentiva bene.

Dandosi una mossa e lasciando perdere quei pensieri, Andrew suonò la campanella d’ingresso e, quando venne ad aprire il capo maggiordomo, il giovane sorrise spontaneamente.

“Mr Thaddeus! Che piacere rivedervi!” esclamò il giovane, allungando una mano al sorpreso domestico.

“Lord Spencer! Bentornato! Sua Signoria non si aspetta di sicuro una vostra visita!” esalò l’uomo, sorridendogli nel farlo accomodare in casa. “Carl, Harold, ritirate i bagagli di Sua Signoria e portateli nelle sue stanze.”

Sorridendo distrattamente ai due garzoni, Andrew si guardò intorno con affetto, tornò a familiarizzare con quella costruzione dai colori tenui e solari, dalle linee classiche, e sospirò.

“Dio, quanto mi è mancato questo posto! Mia sorella sta bene?”

“Tutto procede benissimo, anche se il dottore pensa che i bambini possano nascere a breve” lo informò Jordan Thaddeus, notando subito lo stupore dipingersi sul viso del giovane. “Oh… Sua Signoria non vi aveva informato, temo.”

“Dubito ci sarebbe riuscita… il nostro rientro da Atene è stato assai travagliato” asserì Andrew, sorridendo in maniera forse un po’ sciocca. “Dio… due gemelli?”

“E’ molto probabile, sì. Miss Violet si è fermata qui fin da agosto inoltrato, per rimanere accanto a lady Chadwick per aiutarla durante il parto.”

“Violet è qui?” ripeté confuso Andrew, facendo tanto d’occhi.

“Oh, sì. E’ stata di grande conforto a Sua Signoria, nei momenti in cui non si è sentita particolarmente bene. Credo che ora si trovi nella serra al primo piano, con i suoi disegni nautici” lo informò l’uomo, illuminandosi in viso. “Miss Violet mi ha fatto l’onore di mostrarmene uno e, giusto cielo, non penso di aver mai visto un progetto più bello in vita mia. Non me ne intendo molto, ma credo sia venuto molto bene.”

Sorridendo con orgoglio, Andrew assentì. “Violet è naturalmente portata per questo.”

“Un vero peccato che alle donne non sia concesso diventare ingegneri navali… Sua Grazia ne avrebbe le doti” sospirò il maggiordomo, prima di scusarsi per tornare alle sue incombenze.

Salendo le scale a due a due, trattenendo a stento l’istinto di mettersi a correre, Andrew si domandò fuggevolmente se fosse preferibile evitare quell’incontro, almeno per qualche ora.

Forse, sarebbe stato meglio parlare prima con sua sorella, chiederle lumi e, soprattutto, indicazioni su come comportarsi.

In fondo, lui non si era mai dichiarato a una donna, e non aveva la più pallida idea di cosa potesse piacere a una ragazza, in un caso simile.

Certo, sua sorella si era dichiarata nel bel mezzo di un capannone, durante una colluttazione con dei briganti, ma quello non faceva testo.

Sì, forse sarebbe stato meglio…

La voce trillante di Violet mandò in tilt il suo cervello, cancellando come un colpo di spugna tutti i suoi potenziali piani per non sbagliare e, ovviamente, sbagliò.

Si mosse come su una carreggiata diritta e senza sbocchi, diretto verso la serra del primo e lì, senza bussare né altro, entrò… e vide.

Non seppe dire bene cosa gli si presentò innanzi, tanta era la sua confusione, ma riconobbe la sua Violet stretta tra le braccia di un giovane bruno che non conosceva.

E, fra loro, v’era fin troppa intimità.

Avrebbe accettato anche un eventuale fidanzato, eh?

Tutte chiacchiere.

La semplice vista di quell’abbraccio gli fece sorgere in corpo una rabbia cieca, rabbia che veicolò immediatamente contro l’oggetto del suo istinto omicida.

Con un ringhio cupo e feroce, Andrew si mosse verso la coppia e, complice quel suono, i due si separarono sorpresi e sgomenti, fissandolo con simili sguardi sgranati.

Se il giovane, sconvolto, levò le mani per difendersi, Violet urlò un ‘fermo!’ che lo fece bloccare sui piedi, ma che non fece scemare di una virgola la sua ira.

Le mani levate a fermarlo, Violet si interpose tra la furia di Andrew e Lucius, l’inerme vittima del suo livore e, con voce a stento controllata, esalò: “No, Andrew! Non devi colpirlo! Non fare del male a Lucius!”

Sentirle dire il nome di uomo che non fosse lui, e con tono così accorato, gli fece capire un sacco di cose.

Era arrivato tardi, e Violet aveva donato il suo cuore a quel giovane dall’aspetto piacevole e che, molto volentieri, avrebbe voluto riempire di pugni.

Preso un gran respiro, Andrew si impose di reclinare i pugni e, fissando lo sguardo in quegli occhi di cielo che tanto amava, mormorò spiacente: “Mille scuse, Violet. Pensavo foste in pericolo… non immaginavo di trovarvi col vostro fidanzato. Vi lascio soli.”

Ciò detto, si volse per uscire, e i richiami di Violet non raggiunsero mai le sue orecchie, tanto il dolore lo accecava.

Era tardi.

Era tardi per tutto.
 
***

La felicità per le notizie portate da Lucius, erano state surclassate in un attimo da quel ringhio.

Quella voce.

I mesi non gliel’avevano fatta dimenticare come aveva temuto e, anzi, l’aver udito quel suono familiare l’aveva rinvigorita subito.

Come l’aveva spaventata l’attimo seguente, quando aveva scorto l’ira funesta di Andrew abbattersi sull’incolpevole Lucius.

Quando, però, lei lo aveva fermato, pregandolo di non colpirlo, lui aveva male interpretato la sua richiesta e ora, fermo nei suoi propositi, si stava allontanando.

Da lei, dal suo cuore, dal suo desiderio frustrato da mille silenzi.

“Oh, cielo… ma che è successo?” esalò Lucius, prendendo un gran respiro.

“Era Andrew… il fratello di Lizzie” riuscì a dire Violet, tenendosi una mano stretta al petto, dove il cuore stava andando in mille pezzi.

Lucius la fissò confuso per un attimo, prima di spalancare lentamente gli occhi, fissare l’entrata della serra ormai vuota ed esalare. “Violet… è lui l’uomo che amate, vero?”

Lei non ebbe il coraggio di parlare, limitandosi ad annuire e Lucius, portandosi le mani ai capelli, esalò: “Oddio! E io vi ho abbracciato come uno sciocco… e dire che mia madre mi ha urlato per anni che, la mia intraprendenza, mi avrebbe cacciato nei guai.”

“Non poteva sapere che il vostro modo di comportarvi è solo un po’ esuberante, e che non v’erano secondi fini” replicò gentilmente Violet, tentando di sorridergli.

“Sempre a proteggere tutti, eh, Violet?” le sorrise di rimando lui, poggiando una mano sulla sua spalla. “Ma è giusto che mi prenda le mie colpe. Devo imparare a darmi un contengo, anche quando sono felice come una Pasqua.”

Suo padre gli avrebbe permesso di partire, di aprire il suo cantiere navale, e sarebbe stato al suo fianco per avviarlo.

Sì, aveva tutte le ragioni per essere felice, e felice di esternarlo, ma…

“Andrò da lui e mi spiegherò. Risolverò tutto, Violet” gli propose lui, annuendo con fiducia.

Lei fece per assentire, ma si bloccò.

Sarebbe stato troppo facile cadere nei vecchi cliché, in cui tutti la aiutavano, le evitavano i compiti più difficili per risparmiarle il dolore o la fatica.

No, lei non voleva più essere soltanto una ragazzina coccolata, ma una donna in grado di prendere in mano le redini della sua vita. E sbagliare e farsi male, se necessario.

Perciò scosse il capo, sorrise all’amico e, nel carezzargli una guancia, asserì: “No, è compito mio spiegarmi. Lo farò io. Ora, sono in grado di farlo, anche grazie a voi.”

“Ne siete sicura?”

“Sicurissima, Lucius… e, congratulazioni, tra le altre cose. Non ero riuscita a dirvelo.”

“Ne parleremo più tardi. Adesso, pensate al vostro cuore” le sorrise lui, sospingendola fuori dalla serra.

Sì, era tempo di pensare al suo cuore.








Note: Diciamo che Andrew ha predicato bene e razzolato male e, proprio perché è innamorato cotto, non ha sentito un'acca di quello che stava dicendo Violet ^_^
Ma ci penserà lei, stavolta, a risolvere la situazione... per lui, Violet sa tirare fuori le unghie.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Mary P_Stark