Videogiochi > Deus Ex
Ricorda la storia  |      
Autore: ChiiCat92    12/07/2017    1 recensioni
"Il punto era, perché Francis Wendell Pritchard doveva abbassarsi al disagio di trovarsi nello stesso posto, nello stesso momento, con persone che evidentemente non lo sopportavano?
Non smetteva di chiederselo mentre faceva il nodo alla cravatta. L'ultima volta che ne aveva indossata una era stato per il ballo di fine anno delle superiori, e anche in quell'occasione era stato costretto a partecipare. Inutile dire che non era finita bene per lui. In qualche modo non finiva mai bene per lui."
[Jensard] [R18]
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

11/07/2017

 

Not safe for work

 

 

Il dopobarba bruciava leggermente sulla pelle appena rasata. Lo specchio rimandava l'insicura figura di qualcuno che voleva con tutte le sue forze rimanere a casa.

Nella sicurezza delle quattro mura del suo appartamento Francis aveva il controllo di tutto, con un semplice click aveva accesso ad ogni anfratto del palazzo, poteva monitorare gli spostamenti degli inquilini, sapere in ogni momento dove fossero e cosa stessero facendo. Ovviamente, quella sarebbe stata una violazione della privacy, e non aveva bisogno di finire in carcere un'altra volta per sapere che certi dati sensibili non andavano maneggiati, e non avrebbe fatto nulla se non fosse stato strettamente necessario, ma il solo sapere di poterlo fare lo faceva sentire meglio, lo faceva sentire bene.

Tutto il contrario di quello che poteva dire dell'evento a cui stava per partecipare. Lì le persone non erano dati in codice binario sullo schermo del suo pc, non erano ologrammi umanoidi o avatar cangianti nella rete: erano in carne ed ossa, e lui con le persone in carne e ossa non sapeva proprio come comportarsi.

Per non parlare del fatto che era forse il dipendente più impopolare di tutte le Sarif Industries, dunque perché andare a quella stupida festa aziendale? Cosa avevano da festeggiare, poi?

Ah sì, lui lo sapeva, David Sarif voleva dare un encomio al suo staff, per aver superato i momenti di crisi, per essere risorti dalle ceneri come un'araba fenice, per gettare polvere negli occhi mentre le cose, a luci spente, peggioravano di giorno in giorno.

Il punto era, perché Francis Wendell Pritchard doveva abbassarsi al disagio di trovarsi nello stesso posto, nello stesso momento, con persone che evidentemente non lo sopportavano?

Non smetteva di chiederselo mentre faceva il nodo alla cravatta. L'ultima volta che ne aveva indossata una era stato per il ballo di fine anno delle superiori, e anche in quell'occasione era stato costretto a partecipare. Inutile dire che non era finita bene per lui. In qualche modo non finiva mai bene per lui.

Cercò di allontanare dalla mente il ricordo di quella sera, quando il capitano della squadra di football e altri due oranghi come lui avevano trovato divertente cadere nel cliché cinematografico dello sfigato della scuola in mutande sulla pista da ballo. Non si era neanche sentito umiliato, perché l'aveva visto succedere talmente tante volte in film e serie tv che vederlo succedere a se stesso gli era sembrato quasi naturale.

Prese un respiro profondo e pensò che adesso era un uomo, stava avvicinandosi alla quarantina, era il capo della cybersicurezza delle Sarif Industries, molti lo consideravano il braccio destro del capo, e anche se non piaceva ai colleghi era comunque rispettato: nessuno l'avrebbe lasciato in mutande sulla pista da ballo. O almeno era quello che sperava.

Per un attimo rimase indeciso di fronte al suo riflesso, occhi grigio ghiaccio ricambiarono l'occhiata. Doveva tenere i capelli legati come faceva sempre, o lasciare che scivolassero sulle spalle e il volto magro? Avrebbero un po' attutito quell'aria sciatta che gli davano quando li teneva legati in una coda, o avrebbero peggiorato la sensazione?

Decise di tenerli sciolti, che diavolo, se potevano vederlo in giacca e cravatta, avrebbero potuto vederlo con i capelli sciolti. In più, in quel modo, gli sembrava di avere un'aria più giovanile, per quanto la cosa potesse andare a suo favore: non stava andando all'evento per fare amicizia, o per far cambiare idea a qualcuno.

Un'ultima occhiata allo specchio, cercando in se stesso gli indizi di un attacco di panico imminente, ed uscì, consapevole del fatto che sarebbe stata una lunga, stressante serata. Sarif era stato chiaro: niente lavoro, solo contatto umano.

 

 

Le sfilate di vestiti d'alta moda, pieni di paillette per le donne e di cravatte multicolore per gli uomini, fece quasi girare la testa a Pritchard. Era abituato ai volti, alle presenze, alle persone, ma non a tutto quell'eccessivo vociare, a quella partecipazione festosa, e a quella confusione. Gli sembrava di non riconoscere più nessuno.

Mentre saliva le scale verso l'ingresso addobbato di luci del palazzo delle Sarif Industries vide di sfuggita Faridah Malik in abito da sera. La cosa lo stravolse abbastanza da chiedersi se non fosse finito in un qualche universo parallelo: senza la pesante tuta da pilota non era più lei.

Un tappeto rosso era stato fatto scivolare fuori dalle porte a vetro, giù lungo tutta la scalinata, e gorilla in frac presidiavano l'ingresso. Se non fosse bastata la loro statura da colossi, di certo le augumentations che si intuivano sotto le maniche dei completi eleganti erano sufficienti per incutere timore.

Li superò a testa bassa, sperando di non essere fermato da nessuno in nessuno modo, ed entrò nello stravolto piano terra del posto dove di solito lavorava.

David Sarif era un uomo megalomane, con manie di grandezza ben supportate dalla quantità di crediti nel suo portafogli. Egocentrico, sprezzante, senza scrupoli: il ritratto del miliardario perfetto, con in più un'intelligenza ben oltre superiore alla media.

Per quella sera aveva reso il piano terra una pista da ballo elegante, uscita da un catalogo patinato, con luci soffuse e un quintetto di musicisti in un lato, archi e arpa. Un lungo tavolo per il buffet era stato sistemato in un lato, con una quantità e una varietà di cibi che Pritchard aveva solo sognato nel corso della vita. Camerieri in doppio petto, tutti in bianco, si aggiravano con vassoi di tartine e flute pieni di champagne. C'era persino la stampa, un capannello di giornalisti e un paio di cameraman che documentavano la serata.

Un vero evento mondano.

Francis cominciò a pentirsi di essere venuto, e pregò ogni divinità che conosceva perché non finisse sotto l'occhio indagatore della telecamera. Appuntò mentalmente di andare a fare un reclamo al suo capo: portare la stampa nel posto che lui stava cercando di difendere da ogni ficcanaso? Una bella fuga di notizie, e al diavolo tutte le sue misure di sicurezza per la privacy.

Con suo sommo dispiacere notò che tutti i colleghi erano accompagnati da qualcuno, e anche quelli venuti soli si erano ormai uniti agli altri formando piccoli, sorridenti gruppetti.

Per un attimo provò una nauseante sensazione di déjà-vu, si rivide alla mensa del college, in cerca di un tavolo, con tutti i suoi coetanei a fare fronte comune contro di lui perché non si avvicinasse. Strizzò gli occhi, non era il caso di farsi sopraffare dai drammi del passato, non adesso almeno.

Dato che nessuno sembrava aver ancora notato la sua presenza, si affrettò ad avvicinarsi al bar – che poi nient'altro era che la postazione della receptionist all'ingresso – per farsi preparare un drink, abbastanza forte da sciogliere il nodo che aveva allo stomaco, ma non troppo per perdere coscienza di sé.

Il capo non si vedeva da nessuna parte. Era probabile che avrebbe fatto un ingresso ad effetto, come suo solito, seguito da un discorso illuminante sui risultati delle Sarif Industries, su quanto tutti facessero parte di quella famiglia, su quanto lui dovesse tutto ai suoi dipendenti. Lui cos'era se non un sognatore con un sacco pieno di idee messe in atto da altri?

Francis conosceva bene la profilassi di questi eventi, e soprattutto conosceva bene David, non sarebbe stata la prima volta, ma avrebbe colpito proprio dove serviva.

Lasciò vagare lo sguardo un po' ovunque, ancora una volta stupendosi di come i volti cambiassero con un po' di trucco, alcool, e luci gialle, finché qualcosa, no, qualcuno non attirò la sua attenzione.

Lì per lì, forse per tutta quella serie di fattori e per il suo stato emotivo, non lo riconobbe. Ne ammirò la camminata sicura, decisa, su gambe apparentemente inamovibili, le spalle larghe, e persino il modo informale in cui aveva arrotolato le maniche della camicia fino al gomito, lasciando le braccia potenziate in bella vista; teneva una mano in tasca, quasi come se non sapesse di averla lì, mentre l'altra reggeva un bicchiere di whiskey con ghiaccio. Nonostante non indossasse la cravatta, né la giacca, il gilet grigio perla e la camicia di ottima qualità, unite a quel suo portamento imponente, lo facevano apparire come il più elegante della sala.

Solo allora Francis lo riconobbe, e non poté ignorare il tuffo al cuore: Adam Jensen. Aveva come sempre i capelli tirati all'indietro, la barba tagliata al millimetro con baffi e pizzetto, e lo sguardo di chi è abbastanza a suo agio da poter tirare fuori una pistola in un millisecondo per far fuoco. Un uomo d'azione, cheto come il mare dopo una tempesta.

Francis batté le palpebre come per riaversi. Non si era accorto di essere rimasto imbambolato a fissarlo per troppo tempo, era stata una fortuna che lui non si fosse voltato.

A differenza degli altri colleghi era solo, e passeggiava per la sala senza dare troppa confidenza a chi gli stava intorno. Rivolgeva qualche parola di saluto, un cenno della testa, un movimento impercettibile della mano. Sembrava avere un modo tutto suo per comunicare, che lo rendeva irrimediabilmente irraggiungibile per gli altri, per i normali.

Malik lo salutò con una mano, lui le si avvicinò per scambiare qualche parola. Una fitta di invidia prese lo stomaco di Pritchard. Anche se avesse trovato il coraggio di rivolgergli la parola, non avrebbe saputo cosa dirgli. Gli sarebbe sfuggita l'ennesima, acida frecciatina, perché il suo cervello non era così ben collegato con la bocca come spesso gli piaceva credere. Era un meccanismo di difesa che allontanava chiunque suscitasse il suo interesse, in modo da non farlo avvicinare troppo, per non farsi coinvolgere, e spezzare il cuore. Adam Jensen aveva proprio l'aria di qualcuno in grado di farlo senza neanche rendersene conto.

Lo guardò chiacchierare con Malik per qualche minuto, per poi prendere congedo e avvicinarsi al tavolo del buffet. Il suo sembrava quasi un atteggiamento forzato per essere normale. Il modo in cui guardava le tartine, l'attenzione con cui ne prese una dal piatto, persino il suo guardarsi intorno mentre la portava alla bocca: tutto era sottoposto ad una cura millimetrica.

Francis si ritrovò a sorridere. Dopotutto l'uomo d'azione si sentiva a disagio in mezzo alla folla tanto quanto lui.

La musica si fermò all'improvviso, riflettori si puntarono in cima alla scalinata, e David Sarif fece la sua comparsa.

Fu costretto a distogliere lo sguardo da Jensen per osservare il modo, piuttosto prevedibile, in cui Sarif si unì ai suoi dipendenti: grandi sorrisi falsi, l'augumentation decorata, lucidata fino a farla splendere, in bella vista.

Non ascoltò le sue parole quando cominciò a parlare, gli sembrava di assistere ad un copione che aveva letto e riletto troppe volte per poter essere interessante, e tornò a cercare la figura di Jensen al tavolo del buffet ma lui era già andato via.

Con uno sbuffo infastidito, che neanche lui sapeva spiegarsi, dovette concentrarsi sul suo capo, e sulle sue belle ma vuote parole.

 

Durante la serata le luci si fecero più vaghe, più basse, al quintetto classico fu sostituito un gruppo di musica jazz, le note del sassofono, arrotondate dal contrabbasso, alleggerivano l'ambiente. Sembrava di aver fatto un salto giù dal piedistallo dell'alta borghesia.

Pritchard trovò piacevole quel cambiamento, o forse fu l'alcool a renderglielo tale. Aveva perso il conto dei drink che aveva mandato giù. Uno per sciogliersi, uno per far smettere alle gambe di tremare, uno per prendere coraggio e andare a parlare con Sarif delle telecamere e dei giornalisti, uno come premio per averlo fatto, uno per...non ricordava neanche più. Aveva la testa piena di cotone, ed era una cosa meravigliosa.

Era persino riuscito a dimenticare dell'apparizione di Jensen, che ormai era lontano nei suoi pensieri, come un fantasma o un ricordo spiacevole. Doveva nascondere a se stesso quanto invece gli fosse piaciuto.

Riuscì a mangiare qualcosa di cui apprezzò il sapore solo a metà: aveva in bocca il calore dell'ultimo cocktail, che sarebbe andato via difficilmente.

Nonostante fosse solo, riuscì a pensare che fosse una bella serata.

Dopo aver parlato con Sarif – anche se adesso stentava a ricordare che cosa di preciso gli avesse detto – aveva girovagato per la sala raccogliendo bicchieri e tartine variopinte. Qualcuno lo salutò persino, e fu in grado di rivolgere una cortese risposta, ma senza registrare la faccia di quel qualcuno.

A mezzanotte si considerò totalmente ubriaco, e la cosa non lo disturbò neanche, visto che la sua era una sbornia allegra e non molesta, qualcosa che giovava più che altro suo umore e non al modo di rapportarsi con i colleghi – di cui gli importava davvero poco –.

Tornò al bar per farsi dare qualcos'altro, un ultimo sorso prima di tornare a casa.

Al bancone, appoggiato come se nulla fosse, facendo leggera pressione sugli avambracci potenziati, Adam Jensen stava sorseggiando quello che sembrava brandy. Doveva aver preso sul serio l'invito di Sarif a servirsi di quello che offriva senza limitazioni, perché il suo capo della sicurezza ci andava giù pesante con gli alcolici pregiati.

Si avvicinò a lui barcollando, ma del tutto sicuro di sé, doveva ringraziare quello che aveva bevuto per questo.

Adam gli rivolse una rapida ma densa occhiata, di cui non capì lo scopo: era difficile sondare quelle iridi meccaniche. Imitavano a stento quelle meraviglie color acquamarina che aveva prima dell'incidente. Francis ricordava benissimo com'erano, e ricordava di essersene sentito attratto dal primo momento. Era stato quello a fargli erigere il primo muro di difesa contro di lui.

Per un po' Francis rimase a guardare la piastrella esagonale impiantata sulla sua fronte, con la piccola scritta “Sarif Industries” al suo interno. Era come se David avesse voluto marchiare la sua creatura, il suo giocattolo elettronico.

Ordinò uno shot di liquore, uno qualsiasi, e attese che il cameriere glielo servisse.

Era incredibile come si sentisse a suo agio nonostante la presenza di Adam. Avrebbe potuto addirittura rivolgergli la parola, sentiva che ce l'avrebbe fatta.

« Francis. » ma ovviamente Adam Jensen non lasciava mai fare agli altri, doveva essere lui il centro del mondo. Alzò gli occhi al cielo, ignorando la stilettata di caldo piacere che gli prese lo stomaco al solo sentire quella bassa, raschiata voce che pronunciava il suo nome.

« Jensen. » rispose, senza neanche guardarlo, fingendo disinteresse. Sperò che non stesse usando il suo CASIE su di lui, altrimenti si sarebbe accorto del suo stato emotivo. Anche se l'aver usato il suo cognome invece del nome era indicativo di quanto volesse tenere le distanze.

Adam gli rivolse un rapido, nascosto sorriso, quasi si fosse pentito all'ultimo momento di esserselo fatto sfuggire.

« Stai bene vestito così. »

Il complimento lo riempì di una sensazione nuova, totalmente inesplorata, molto simile all'imbarazzo adolescenziale. Si sentì arrossire, e fu contento di avere già il volto caldo per l'alcool.

Avrebbe voluto dirgli “anche tu”, ma invece gli uscì un suono dal naso molto simile ad una mezza risata stizzita.

« Bella tenuta anche la tua, ti hanno convinto a vestirti decentemente per una volta? »

Ecco, questo era il genere di commenti che una volta detti lo facevano pentire di avere la capacità di parola. Ma come sempre Jensen reagì nel modo opposto a quello che si aspettava. Solitamente, quando una persona sentiva il suo reagire caustico, il suo sarcasmo, e le acide domande retoriche, si indignava, rispondendo a tono o smettendo di parlargli del tutto.

Jensen però non era una persona normale, questo l'aveva capito da molto tempo.

Sollevò un sopracciglio, stupito, e l'angolo delle labbra si sollevò in un sorriso più aperto, più largo, che lo faceva sembrare almeno dieci anni più giovane. Pritchard ebbe un flash di lui a vent'anni, con la divisa della polizia tirata sul corpo muscoloso, con lo sprezzo del pericolo tipico dei ragazzotti con in mano fucile e distintivo. Fu un flash piuttosto piacevole.

« Posso offrirti da bere, Francis? »

I suoi occhi grigi fecero un altro giro verso l'alto, accompagnati da uno sbuffo. « È Sarif che offre da bere stasera. »

« Tu prendi tutto sul serio, non è vero? »

« Dovresti imparare anche tu a farlo, è bello comportarsi da adulto responsabile. »

Stavolta Adam rise. La sua risata era bassa e raschiante, come di un oggetto metallico che sfrega contro una superficie ruvida. Gli piaceva, gli faceva venire i brividi. All'improvviso capì che voleva sentirlo ridere di più, in ogni istante, che voleva essere lui a scatenare la risata, lui a goderne.

Maledisse l'alcool, ma quando ebbe tra le mani il bicchierino di liquore lo mandò giù in un sorso solo. Non gli diede però la forza che sperava, anzi, fece vacillare le sue ginocchia.

Forse era il caso di smettere di bere. Ordinò due dita di liquore al malto, con molto ghiaccio.

Adam non aveva smesso un attimo di guardarlo.

Era strano pensare a lui con il nome e non con il cognome. Nella sua mente era sempre stato “Jensen”, formale, distaccato, freddo, “Adam” era qualcosa che scivolava più dolcemente sulle labbra, da pronunciare di nascosto al buio della notte.

Si accorse dell'intensità del pensiero solo quando ormai lui si era avvicinato abbastanza da sentire il freddo della sua pelle metallica. Le augumentations di Adam erano piccole opere d'arte, e sentì il bisogno fisico di osservare le giunture del polso, gli snodi delle dita, il gomito, il polimero di fibre nere con cui erano costruiti tendini e muscoli. Era come guardare il corpo di una creatura identica ad un essere umano, ma fondamentalmente diversa.

Sollevò di poco gli occhi e si ritrovò a specchiarsi in quelli di Adam. Incredibile come apparissero caldi ed espressivi pur essendo artificiali.

« Scusa. » bofonchiò, rendendosi conto che l'aveva beccato a fissarlo. Beh, l'aveva fatto per tutta la serata, era anche ora che se ne accorgesse.

« Non importa. » commentò lui, con una leggera scrollata di spalle. Non sembrava infastidito, per nulla, però Pritchard si sentì come se avesse violato una qualche legge non scritta.

« Sono...belle... » non sapeva neanche cosa stava dicendo, aveva le orecchie piene del rombo del suo cuore. « ...le tieni sempre coperte... »

Un'altra risata, poi scosse la testa. Bevve il suo brandy a piccoli sorsi, come se ne volesse assaporare bene ogni sfaccettatura, prima di chiedere al cameriere di versargliene ancora.

« Hai ragione. » disse all'improvviso Adam, osservando il liquido dorato nel bicchiere. Francis mormorò un “cosa?” appena abbozzato. Lui gli sorrise. « Se offrissi io non potrei permettermi un liquore così. »

Cominciava a non capire più bene cosa stesse succedendo, le mordaci risposte che era riuscito a dare erano frutto di uno slancio di adrenalina che ora andava scemando, lasciandolo in uno stato confusionario per via di quello che aveva bevuto. Se fosse stato più cosciente forse avrebbe provato una punta di panico. Gestire le persone era un conto, ma gestire Adam Jensen era molto diverso. Lui era una costante ingestibile di un sistema programmato proceduralmente.

Per un attimo tutto ruotò intorno a lui e dovette aggrapparsi al bancone per non cadere a terra.

« Ti senti bene? » fu la domanda di Adam, ma la sua voce veniva da così lontano che Francis ebbe l'impressione che provenisse da un infolink in un punto sperduto della terra, come l'Alaska.

« Sì, sto bene. Vado...un attimo in bagno. »

Se lui rispose, Francis non lo sentì.

Praticamente fuggì con la coda tra le gambe, mentre un conato di vomito risaliva l'esofago. Fu quasi per miracolo che riuscì ad arrivare ad un water. Tremante, in ginocchio sul pavimento tirato a lucido – tanto che avrebbe potuto mangiarci – vomitò senza ritegno.

Quand'era stata l'ultima volta che si era preso una sbronza tale? Doveva essere un ragazzino.

Sperò non ci fosse nessuno in quello stupido bagno che potesse sentire i suoi patetici versetti strozzati.

Aveva le lacrime agli occhi quando finalmente il dolore allo stomaco si placò. Si rialzò respirando a fondo, la nausea lo faceva traballare. Si gettò quasi contro il lavandino per sciacquarsi la bocca e il viso. Cominciava a sentirsi meglio, ma cominciava anche a realizzare che cosa aveva detto ad Adam.

Sul serio? Gli aveva fatto i complimenti per le sue augumentations? Le stesse che era stato costretto a “indossare” dopo un attentato terroristico che l'aveva quasi ucciso e aveva messo sottosopra l'azienda che in teoria doveva difendere? Le stesse che l'avevano fatto diventare più macchina che uomo?

« Che razza di stupido sei, Francis. » sibilò, i denti stretti, alla sua immagine nello specchio.

La porta del bagno si aprì, e lui voltò la testa in quella direzione.

Si stupì di veder entrare Adam, l'espressione preoccupata.

Cercò di darsi un contegno, come se non fosse successo niente, asciugò il viso con un fazzoletto di carta, tenne dritta la schiena. Tutto bene, andava tutto bene.

Magari il suo cuore la pensasse allo stesso modo.

« Tutto okay, Francis? Eri bianco come un cencio e ho pensato... »

« Sto bene. » sbottò, più aggressivo di quanto avrebbe voluto. In realtà trovava meraviglioso che si fosse preoccupato sul serio per lui.

« Sicuro? Perché... »

« Ho detto che sto bene! »

Ma in realtà no, non stava bene, non si sentiva bene, non c'era niente che andava come dovrebbe, e le sue stupide, instabili gambe lo fecero barcollare.

Adam reagì per istinto, senza neanche pensarci: si gettò su di lui per sorreggerlo, e finì tra le sue braccia come un bambino.

Fu investito dal suo profumo, un misto di colonia e dopobarba che gli fece trarre un profondo respiro, sotto le dita poteva sentire il suo battito cardiaco, tranquillo, eppure forte.

Rimase più di quanto avrebbe voluto tra le sue braccia, ma non riusciva a trovare un solo, valido motivo per separarsi da lui.

Alzò lo sguardo, vacuo e appannato, verso di lui, e trovò i suoi occhi ad accoglierlo. Avrebbe potuto perdersi tra le lenti focali delle sue iridi. Sapeva com'erano progettate le protesi Sarif, ma i suoi erano diversi.

« S-scusa, scusa. » mormorò vagamente, ma senza muoversi. Non poteva, a malapena ricordava come si facesse a rimanere in piedi, il corpo era impegnato in ben altri stimoli.

Lasciò scivolare gli occhi sulle labbra di lui. Si chiese se fossero morbide come apparivano o se anche quelle fossero dure, come la linea del suo mento, come i suoi occhi quando era impegnato a lavoro, come la sua figura con il cappotto nero.

Quante volte aveva cercato di negare a se stesso di essere attratto da Adam Jensen? Talmente tante che non riusciva neanche a ricordarlo. Gli era entrato dentro con una violenza irriverente, e adesso non c'era modo di farlo uscire.

Innamorato no, forse non lo era, non ancora almeno. Sapeva che non sarebbe mai stato suo, con i suoi trascorsi amorosi era improbabile che potesse essere attratto da uno come lui, eppure, continuava a nutrire vaghe speranze.

Sentirlo così vicino, sentire le sue braccia intorno ai fianchi...

Si costrinse a spingerlo via, ma fu meno deciso di quanto pensasse.

« No...non... » non sapeva neanche che cosa volesse dirgli.

Ma gli balenò in mente un singolo pensiero: se non approfittava di quel momento, se non lasciava che fossero i fumi dell'alcool a togliergli ogni inibizione, avrebbe perso un'occasione più unica che rara.

Quindi lo fece, andò contro il buonsenso, ma lo fece: si sporse e baciò quelle labbra. Erano davvero morbide come pensava.

Attese per un lungo attimo che Adam lo spingesse via brutalmente o peggio, che gli tirasse un pugno in faccia. Ma quel momento non arrivò mai, anzi, quello che seguì lo lasciò boccheggiante.

Adam ricambiò il bacio, e se lo tirò addosso come se non avesse aspettato altro da tanto tempo.

Con gli occhi chiusi cominciò a vedere immagini caleidoscopiche colorate mentre le sue mani si stringevano intorno ai suoi fianchi.

Prima di rendersene conto si ritrovò contro la parete del bagno, avvolto dal profumo, dal sapore di Adam, dalla sua lingua che si insinuava nella propria bocca. Si ritrovò a respirare più forte, più veloce, ingoiava l'aria a grandi bocconi senza sentirsene soddisfatto.

Il mondo aveva le sfumature scure e metalliche di Adam.

Sentì le sue mani fredde insinuarsi sotto la camicia e sobbalzò visibilmente.

« Oh, scusa. » sussurrò lui, flebile, come se stessero condividendo un segreto.

« No...va bene...va bene... » riuscì a rispondere Francis, non seppe neanche con quale forza.

Le dita attente di Adam gli sbottonarono la camicia, facendo saltare un bottone dopo l'altro. Lo osservò mentre i suoi occhi sondavano il suo addome, poi si abbassò sulle ginocchia e prese a baciarlo.

Non poteva essere, doveva essere un sogno, una fantasia sfrenata a cui si era lasciato andare mentre era ubriaco marcio. Forse era svenuto da qualche parte e tutto quello era solo un'allucinazione.

Adam gli sbottonò anche i pantaloni, e lui sentì una scossa di piacere salire lungo la schiena, annichilente.

« A-aspetta, aspetta. » non avrebbe mai voluto fermarlo. Gli occhi metallici di Adam si alzarono verso di lui, interrogativi. « È solo...è solo...è assurdo. »

« Francis. » il tono di Adam era divertito, così come il suo sorrisetto. « Sta' zitto. »

« B-beh, dovrei impegnarti a... »

Non riuscì a terminare la frase, perché lui gli abbassò i pantaloni e i boxer, liberando il suo sesso eretto. Quand'era successo? Non se n'era neanche accorto.

Avrebbe voluto scusarsi, per chissà quale ragione, ma ormai aveva perso la voce. Alla fine era riuscito a zittirlo. Adam otteneva sempre quello che voleva.

Gettò la testa all'indietro, premendola contro il muro freddo, i capelli gli scivolarono umidi sul collo. Era percorso da brividi caldi, il corpo fremeva in ogni sua parte.

Non poteva crederci, era qualcosa che usciva dalle sue più ardue fantasie. Adam Jensen. Le sue mani ovunque. Il suo respiro a contatto contro la pelle accaldata. Era tutto troppo per lui.

Se avesse avuto un computer al posto del cervello sarebbe di certo andato in crash.

Tremò quando le sue labbra sfiorarono la base della sua erezione. Gemette, sottovoce, ma evidentemente non fu abbastanza per Adam, perché la prese lentamente in bocca, costringendolo a trattenere un urlo.

L'alcool lo rendeva confuso, goffo, del tutto scoordinato, se non ci fossero stare le mani di lui, ferme sulle cosce, non avrebbe saputo dove fossero sopra e sotto. Il mondo si trasformava in coriandoli di metallo freddo.

Le labbra di lui lavorarono sul suo sesso eretto, con la lingua ne coccolò la punta, stuzzicandola.

Francis strinse gli occhi tanto da farsi male.

Se qualcuno fosse entrato in quel momento li avrebbe colti in flagrante mentre consumavano un rapporto proibito. Avrebbe perso la faccia con i suoi colleghi, nessuno l'avrebbe più preso sul serio, e soprattutto avrebbero scoperto che era gay. Non riusciva a immaginare scenario peggiore.

Poi Adam strinse la presa intorno alle sue cosce, e prese il suo sesso in bocca per tutta la sua lunghezza, e ogni timore nella sua mente sfumò fino a sciogliersi.

Non c'era niente di cui preoccuparsi, perché non c'era un mondo là fuori.

Affondò una mano tra i capelli di Adam, li accarezzò, li lasciò scivolare tra le dita. Erano corti, ma folti e morbidi.

Un nuovo brivido accompagnò l'orgasmo imminente. Lo sentiva andare e venire come un'onda, investiva ogni parte di lui lasciandolo senza fiato.

Si aggrappò ai capelli di lui, mentre con l'altra mano cercò appiglio sul muro senza però trovarlo. Si premette contro la superficie fredda, sospirando e gemendo senza più controllo.

Avrebbe voluto avvertire Adam, ma il piacere lo prese così all'improvviso che non riuscì a proferire una sola parola. Solo un lento, lungo mugolio gli sfuggì dalle labbra. Il cuore batteva tanto forte che non riusciva a sentire i propri pensieri.

Rimase un'eternità, immobile, le dita strette intorno ai capelli scuri di Adam. Solo quanto si fu calmato abbastanza riuscì a lasciare la presa, così che lui potesse alzarsi e stringerlo. Nonostante avesse appena raggiunto l'orgasmo, sentire la sua di erezione contro la coscia lo fece fremere come mai prima d'ora.

« Sei...fuori di testa Jensen. » ansimò, le mani cercarono le sue spalle, ci si aggrappò come ad un'ancora di salvezza. « Perché l'hai fatto...? »

« Mi piaci, Francis. » così ingenuo e puro da sembrare un bambino troppo cresciuto. Lui non poté che gettare gli occhi al cielo, ancora una volta, per la terza volta.

« Sei ubriaco. »

Già, doveva essere l'unica spiegazione plausibile. Altrimenti per quale altro motivo? Non aveva niente da offrirgli, niente per cui valesse la pena.

« E se non fossi ubriaco? »

« Ti ho visto bere, Jensen. »

« Lascia che te lo dimostri, allora. »

Si gettò nuovamente contro le sue labbra, un bacio famelico, le loro lingue si intrecciarono, come se avessero aspettato quell'incontro da tempo immemore. Si premette contro di lui, stringendogli le braccia intorno al collo.

Realizzò che, da quel momento in poi, quell'ufficio non sarebbe più stato un posto sicuro per lavorare. 


---------------------------------

The Corner 

Lo so, lo so, avevo detto che non avrei lavorato su fan fiction per via dei miei progetti,
però non ho saputo resistere.
Un po' perché la mia Musa sa quali tasti premere (e come sempre, questa è per te babe, anche se oggi non ci capiamo), un po' perché esiste nel mondo una persona speciale che fa bellissimi disegni di questi due uomini preziosi. Andate tutti a vedere il suo blog, vince chi riesce a trovare il disegno che ha ispirato questa shot: http://aledbr.tumblr.com

Chii
 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Deus Ex / Vai alla pagina dell'autore: ChiiCat92