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Autore: Jade Tisdale    13/07/2017    0 recensioni
Post seconda stagione | Nyssara
È passato un mese dalla sconfitta di Slade, e mentre Starling City cerca di risollevarsi in seguito ai danni subiti, il Team Arrow continua a vigilare sulla città, proteggendola dai numerosi e frequenti pericoli.
Sara, invece, ha fatto ritorno a Nanda Parbat. Ma qualcosa, o meglio, una notizia, potrebbe dare una nuova svolta alla sua vita. E mettere a rischio quella di chi le sta intorno.
*
«La tua ragazza» sussurrò la mora «è questa Nyssa?»
Sara annuì, arrossendo lievemente.
«Dev'essere una persona splendida. Voglio dire, se è ancora con te dopo aver saputo di questa storia, significa che ti ama veramente.»
*
«Credevo di essere perduta per sempre» sussurrò, solleticandole dolcemente la pancia nuda «ma poi sei arrivata tu, e hai sconvolto completamente la mia vita. Tu mi hai ritrovata, Sara. Mi hai ritrovata e mi hai fatta innamorare follemente di te con un semplice sorriso.»
Nyssa intrecciò la propria mano in quella di Sara, rossa in viso.
«E poi» proseguì, con un sussurro «in questo inferno chiamato vita, stringerti la mano è la cosa migliore che mi sia potuta capitare.»
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nyssa al Ghul, Oliver Queen, Ra's al Ghul, Sarah Lance, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is the most powerful emotion'
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Capitolo 12: 
That little heart

 

 

 

 

Quentin aveva appena iniziato la sua pausa pranzo quando Sara mise piede all’interno della stazione di polizia. Sebbene la porta del suo ufficio fosse chiusa, la bionda riuscì comunque a scorgere dal vetro un sacchetto marrone di McDonald’s sulla scrivania del padre.
Le dispiaceva disturbarlo proprio in quel momento, ma sapeva che se non l’avesse fatto ora sarebbe stato ancora più difficile rivelarglielo. Prendi in mano il coraggio come fai ogni notte e fagli vedere chi sei!, le aveva detto Dinah quella mattina, durante l’ennesima telefonata. Ripensando alle parole della madre, Sara prese un respiro profondo, dopodiché si decise a bussare.
«È aperto» bofonchiò Quentin, pulendosi la bocca con un tovagliolo. Sara spalancò la porta proprio in quel momento, dedicando al padre un sorriso buffo.
«Oh, sei tu» esclamò lui, sorpreso. Fece per alzarsi in piedi, ma la figlia lo bloccò con un gesto della mano.
«No, ti prego, resta seduto. Finisci di mangiare.»
«Mi dispiace, se avessi saputo che saresti passata…»
«Tranquillo, ho già mangiato» mentì. In realtà non aveva fame, e probabilmente non le sarebbe tornato l’appetito fino a quando non avesse rivelato a suo padre il segreto che gli nascondeva da mesi.
«Tesoro, ti senti bene?» domandò il capitano, notando che il volto di Sara era leggermente sbiancato.
«Sì, è solo che… devo dirti una cosa.»
«Okay.» Quentin poggiò il panino sopra a un tovagliolo, masticando lentamente il boccone che aveva ancora in bocca. «Cosa c’è che non va?»
Canary si scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, per poi torturarsi l’interno della guancia. Aveva rivelato il suo segreto praticamente a chiunque: lo aveva detto a Nyssa, poi a Sin, a sua madre, a Oliver, e persino a Laurel, dalla quale si sarebbe aspettata una pessima reazione; eppure, provava timore all’idea che Quentin scoprisse che sua figlia minore era incinta, e che il padre del bambino fosse lo stesso playboy che l’aveva portata con sé sulla barca affondata anni prima e che aveva reso entrambi due persone peggiori rispetto a quelle che erano state in passato. Sara l’aveva deluso più di una volta, ma adesso temeva che con quella notizia gli avrebbe dato il colpo di grazia.
«Sara?»
La bionda sussultò, alzando nuovamente lo sguardo verso il padre. Aveva finito il suo hamburger e adesso si stava godendo una tazza di caffè, segno che entro pochi minuti sarebbe dovuto tornare in servizio.
«Io… Sono incinta.»
Quentin mandò giù a fatica il sorso di liquido bollente che gli era quasi andato di traverso. Iniziò a tossire violentemente sotto lo sguardo preoccupato di Sara, che però non ebbe la forza di muovere un muscolo, consapevole che si trattava di una reazione del tutto normale.
«No, non è possibile» esclamò il capitano, scuotendo lentamente il capo. «Non può essere. Mi stai prendendo in giro. È così, non è vero?» domandò ridacchiando. «Vuoi prenderti gioco di me. Avanti, lo scherzo è finito. Se mi stai riprendendo, puoi anche spegnere la‒»
«Papà, non sto scherzando.» Come poteva comportarsi in quel modo davanti a una rivelazione simile? Come poteva pensare che sua figlia potesse scherzare su un argomento come quello?
Sara si sentiva delusa e offesa. Si sarebbe aspettata una reazione molto diversa da parte del padre.
«Sara, mi dispiace, ma fatico a crederci» ammise lui, appoggiandosi allo schienale della poltrona. «Insomma, tu stai con Nyssa, no? Ed entrambi sappiamo come funzionano queste cose.»
«È successo prima che tornassi alla Lega degli Assassini» rivelò Sara con un filo di voce. «Prima che io e Nyssa tornassimo insieme.»
Quentin si passo una mano sul viso, comprendendo in fretta il significato di quelle parole. «Oh, no…» sibilò, ma Sara riuscì comunque a sentirlo. «Bambina mia… tu…»
«Sono una stupida, lo so» rispose lei, con gli occhi gonfi di lacrime. «Avrei dovuto stare più attenta e comportarmi da adulta. So cosa penserai di tutta questa storia. Due persone come noi non possono avere dei figli. Non con la vita che conduciamo. È un atto di egoismo, ne sono consapevole, ma è stata tutta colpa mia. Oliver lo ha scoperto solo pochi giorni fa e‒»
«Non è questo, tesoro» rispose lui, scuotendo il capo. «Non è questo.»
Canary gli dedicò uno sguardo scioccato e confuso. «E allora cosa c’è che non va? Sembri… sembri turbato.»
«È che…» Quentin sospirò, dopodiché prese le mani della figlia tra le proprie e gliele strinse con forza. «Innanzitutto, con questa frase hai infranto le mie speranze sul fatto che il padre non fosse Oliver» esordì, con un pizzico di ironia. «Insomma, dopo tutte le cose che sono successe in questi anni, devo ammettere che sono rimasto molto sorpreso quando ho saputo che eravate tornati insieme sei mesi fa.»
La minore delle sorelle Lance deglutì, sentendosi improvvisamente più pesante. Non era mai piacevole rievocare ricordi del passato, soprattutto quelli riguardanti il suo tradimento nei confronti di Laurel, ma fortunatamente Quentin riuscì a scorgere nei suoi occhi il disagio che provava e non approfondì l’argomento.
«Io non so quali siano i tuoi veri sentimenti» proseguì il capitano «ma Nyssa tiene molto a te, e credo che ciò sia reciproco. Perciò, l’unica cosa che non capisco è come mai hai deciso di tenere il bambino pur sapendo che era di Oliver, visti i precedenti.»
Sara trattenne un sospiro, mentre uno strano formicolio le invase tutto il corpo.
Il primo motivo che le veniva in mente era proprio Nyssa. Come avrebbe potuto spiegargli che entrambe avevano visto in quella gravidanza l’unico pretesto per iniziare a costruirsi una nuova vita? Per anni avevano sognato di lasciarsi alle spalle la Lega degli Assassini, ma finché Ra’s fosse rimasto in vita, sapevano che sarebbe stata una follia andarsene da Nanda Parbat. Tuttavia, quando aveva scoperto di essere incinta, la prima cosa che a Sara era venuta in mente di fare era stata scappare, e quando Nyssa le aveva proposto la stessa cosa si era sentita sollevata. Almeno non avrebbe dovuto sopportare il peso della fuga da sola.
Sapeva che non si sarebbe più presentata un’occasione simile. Se Sara non fosse rimasta incinta per caso, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente. Magari Ra’s non sarebbe morto tanto presto come speravano, o magari Nyssa avrebbe cambiato idea, scegliendo la Lega piuttosto che stare con lei. In fondo, dopo tutto quello che aveva passato a causa di Sara, sarebbe stato il minimo che l’Erede avrebbe potuto fare, ma è anche vero che Nyssa non le avrebbe mai permesso di pensare una cosa simile, e Sara lo sapeva bene.
Non poteva dire a suo padre quelle cose. Non poteva dirgli che per anni aveva pianto all’idea che non avrebbe più avuto una vita normale, che non si sarebbe sposata, che non sarebbe più tornata a Starling City e che probabilmente non sarebbe mai invecchiata. Perché era questo quello che aveva compreso dopo sei anni nella Lega degli Assassini: la tua vita è di Ra’s al Ghul e di nessun altro. Se lui decide che devi morire, tu muori. Se sceglie invece ti liberarti, sei estremamente fortunato e puoi tornartene a casa dalla tua famiglia senza problemi. E se invece capisce che sua figlia si è innamorata di te e che in questo modo sei soltanto una debolezza, una distrazione, un inutile scarafaggio che lui non riuscirà mai ad apprezzare, allora puoi star certa che non avrai una vita facile. Ma in ogni caso, non puoi disobbedire ai suoi ordini. Ed era proprio quello che lei e Nyssa avevano fatto.
«È… È complicato, papà.»
Il capitano Lance puntò i propri occhi in quelli della figlia, e solo ora si rese conto di quanto fosse turbata. Si ritrovò a sorridere appena, mentre i lineamenti del suo volto si addolcivano. «Tesoro, non fraintendermi. Io non ce l’ho con Oliver. Beh, almeno, non più» ironizzò, ma Sara non reagì in alcun modo. «Che il padre sia Oliver oppure no, il bambino che porti in grembo resta comunque mio nipote. E non potrei essere più felice di ricevere una notizia così bella dopo tutti gli eventi terribili che abbiamo dovuto sopportare. Soprattutto tu.»
La bionda deglutì con forza, mentre una piccolissima goccia di sudore si faceva strada sulla sua tempia sinistra.
«È solo che, vedi… mi fa sentire strano pensare che la mia piccolina si sia trasformata in una splendida donna, e che stia per diventare madre. Ma al di là di questo, non c’era motivo di essere così nervosa per rivelarmelo. Hai ventisette anni, Sara. Puoi farne quello che vuoi della tua vita. Non devi rendermi conto di niente. E poi…» Quentin si strinse nelle spalle, diventando improvvisamente rosso in viso. «Sono felice all’idea che molto presto diventerò nonno.»
A quelle parole, sul volto di Sara si fece spazio un grande sorriso, e nel vederla così piena di vita, Quentin scoppiò a piangere di gioia. Non ci volle molto prima che entrambi iniziassero a singhiozzare l’uno stretto nelle braccia dell’altra, emozionati e felici come non mai.



«Papà come l’ha presa?»
Sara lasciò andare la propria borsa a terra, per poi sedersi accanto a Laurel sul divano. «Bene. Meglio di quanto pensassi.» Sospirò sommessamente, passandosi una mano tra i capelli. «All’inizio sembrava un po’ scioccato, ma poi era... era felice, credo. Lo era davvero.»
Laurel sorrise, accarezzando dolcemente la spalla della sorella. «Lo siamo tutti.»
La bionda ricambiò appena il sorriso, per poi abbassare lo sguardo. «È solo che non mi sarei mai aspettata una cosa simile. Insomma, avere un figlio in questo modo, e per di più in questo momento… all’inizio ero davvero confusa.»
«Chiunque lo sarebbe stato al tuo posto. Ma alla fine hai preso la decisione giusta. In fondo, hai sempre amato i bambini.»
«Credimi, Laurel, se non fosse stato per Nyssa a quest’ora non so cosa sarebbe successo. E poi, se devo essere sincera, quando ci siamo messe insieme ho subito scartato l’ipotesi di avere dei figli.»
«Perché sei contro l’inseminazione artificiale?» scherzò l’avvocato.
Sara scosse la testa. «Per Ra’s.» Nel ripensare a quello che il Demonio aveva chiesto di fare a Nyssa poco prima della loro fuga, Sara fece una smorfia. «Non ha mai accettato quello che c’è tra noi. Non so se sia dovuto al fatto che sono una donna, o semplicemente perché ho rubato il cuore di sua figlia. So solo che mai e poi mai ci avrebbe permesso di lasciare la Lega per passare il resto della nostra vita insieme, e adesso ho davvero paura di quello che potrebbe accadere.»
Laurel si fece seria in volto, ma Sara non se ne accorse perché aveva ancora lo sguardo rivolto verso il basso. L’avvocato attese qualche istante, dopodiché prese un respiro profondo, pronta a parlare. «So che sei preoccupata, ma ormai non puoi più tornare indietro. Tu e Nyssa siete fuggite per cercare di costruirvi una vita migliore, lontane dagli omicidi e dagli ordini di Ra’s al Ghul. E state per avere un bambino.»
Sara deglutì, stringendosi con forza le ginocchia. Non era mai stata così stressata in tutta la sua vita, e Laurel poteva leggere chiaramente nei suoi occhi quanto quella situazione la stesse mandando fuori di testa.
«Non dico che sarà facile» proseguì la maggiore «ma tutti noi siamo qui per sostenervi. Per proteggervi. E se Ra’s tenterà davvero di mettervi i bastoni fra le ruote, allora dovrà prima passare sui nostri cadaveri.»
«E lo farà» soffiò Sara, stringendosi nelle spalle. «Credimi, Laurel: lo farà. Vi ucciderà uno ad uno se necessario. Non mi perdonerà mai per quello che ho fatto.»
«Ma una nascita dovrebbe portare gioia. Capisco che non sia sangue del suo sangue, ma tu sei comunque un membro della sua setta. Anche lui ha avuto una figlia. Dovrebbe esserne felice, nonostante sia il Demonio. Okay, potrebbe comunque sembrare un tradimento nei confronti di Nyssa, ma…»
«No, non è per quello, Laurel.»
L’avvocato si irrigidì, mentre un brivido le attraversava la schiena. «Ma allora… perché ce l’ha con te?»
Canary sospirò, passandosi rassegnata una mano sul viso. «Perché gli ho portato via sua figlia.»
Stava iniziando a tremare. Dopo tutti quegli anni passati nella Lega, c’erano cose che avrebbe voluto seppellire per sempre, ma che sapeva di non poter dimenticare. L’odio che Ra’s aveva riversato nei suoi confronti era una di quelle.
«Nyssa è la sua unica erede. Sarà lei a prendere le redini della Lega degli Assassini dopo che Ra’s morirà. Nyssa è nata e cresciuta a Nanda Parbat senza mai disobbedire a suo padre, senza mai ribellarsi al suo volere. Ma poi… poi sono arrivata io, ed è cambiato tutto. Lei è cambiata. Per me. E questa è una cosa che suo padre non accetterà mai.»
A quella frase, Laurel sorrise appena. «È cambiata perché ti ama.»
«Lo so. Ma è colpa mia se Ra’s ha deciso di rivalutare la sua posizione.»
«Di che cosa stai parlando?»
Sara rispose con un’alzata di spalle. Aveva già detto troppo. «È una lunga storia. Non ha importanza adesso.»
Laurel asserì con il capo. «Hai ragione. Sai invece cos’è davvero importante?»
Davanti allo sguardo confuso di Sara, Laurel le riservò una finta occhiata maliziosa. «Pensare alla salute di quell’esserino che sta crescendo dentro di te.»
Quando la sorella pronunciò quelle parole, Sara scoppiò a ridere senza un motivo. Pensare al bambino che portava in grembo era una delle poche cose che riusciva a riportarla alla realtà.
«Dubito che tu ti sia fatta visitare da un medico, o sbaglio?»
«Direi proprio di no» rispose Canary, omettendo l’incontro con la dottoressa Kawamura.
«Bene» esclamò Laurel, afferrando il proprio cellulare dal tavolino. «Allora ti prenoto un appuntamento dalla mia ginecologa per domani.»
«Aspetta, cosa?» Sara scattò in piedi, presa alla sprovvista.
«Non vorrai arrivare al giorno del parto senza aver mai fatto un controllo, spero» l’ammonì Laurel, assumendo uno sguardo da predica tipica del suo ruolo di sorella maggiore.
«Certo che no, però… domani? Non è un po’ presto?»
«Dopo cinque mesi? Mi sa che devi rivalutare la tua concezione di “presto”» ironizzò la castana. «E comunque mi deve un favore, perciò non credo che sarà un problema farti saltare la fila» aggiunse, facendole l’occhiolino.
«Che tipo di favore?»
«Un po’ di tempo fa ho evitato che suo padre finisse in prigione. Ma non starò qui a raccontarti i dettagli, non credi ti interessi.»
Invece sì, pensò Sara, deglutendo rumorosamente. «Tu verrai con me, non è vero?»
«Domani purtroppo non posso, ho un’udienza importante che mi terrà impegnata per tutto il giorno. Ma se vuoi che venga con te possiamo scegliere un’altra data.»
«No, lascia stare. Forse è meglio che mi tolga il pensiero il prima possibile. Chiederò a Nyssa di accompagnarmi.»
Notando l’improvviso disagio che si era impossessato della sorella, Laurel le accarezzò il dorso della mano. «Sicura di potercela fare?»
«Laurel, ero nella Lega degli Assassini. Se sono sopravvissuta portando a termine missioni che venivano ritenute impossibili da molti, direi che posso superare un’ecografia.»
O almeno era quello che pensava.



«Domani?»
Sara annuì esitante. Aveva già capito dove sarebbe andata a parare quella conversazione. «Sì, domani mattina alle dieci. C’è qualche problema?»
Nyssa scosse il capo mentre si riempiva un bicchiere di succo d’arancia. «No, certo che no. Vuoi che ti accompagni?»
La bionda ruotò la testa di lato, assumendo un’espressione divertita. «Avanti, non sono stupida. Devi lavorare, non è così?»
«Scusami, davvero, mi dispiace tanto, ma Josh non mi dà tregua. Negli ultimi giorni la clientela è aumentata all’improvviso, e con l’altra barista ancora in maternità mi fanno fare un sacco di straordinari.»
«Me ne sono accorta.»
Nyssa si lasciò andare ad un lungo sospiro, per poi sedersi accanto all’amata. «Gli chiederò mezza giornata. E una volta nato il bambino gli chiederò di diminuire le mie ore settimanali nel contratto, lo giuro. Nell’ultimo periodo sono stata poco presente, e me ne rendo conto solo adesso.»
«No, non è questo il problema. È solo che…» Canary sospirò a sua volta, poggiando una mano sulla propria pancia ‒ che, piano piano, aveva quasi raggiunto le dimensioni ideali per una gravidanza al terzo mese, anche se lei era ormai entrata nella ventesima settimana già da un pezzo. «Sono solo un po’ stressata. Credo che siano gli ormoni. Ma non voglio crearti problemi al lavoro, ti hanno assunta da appena un mese e avrai già chiesto non so quanti giorni di ferie per stare dietro a me.»
Nyssa sorrise lievemente di fronte alla veridicità di quella frase; ma, d’altronde, sebbene la mora volesse con tutto il suo cuore continuare a lavorare al Mystery Cafè, Sara restava sempre la sua priorità.
«So quanto ti piaccia questo lavoro, Nyssa. Te lo leggo negli occhi ogni volta che esci da quella porta. E quando torni a casa, non importa se avete passato una brutta giornata: riesci comunque a trovare qualcosa per cui valga la pena essere felice.»
L’Erede del Demonio si strinse nelle spalle, arrossendo un poco. «È che mi fanno sentire a casa.»
«Lo so. E questo mi rende davvero, davvero felice» sussurrò Sara, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
«Ciò non toglie che anche tu sei la mia casa, e che mi sentirei in colpa a lasciarti andare a quella visita senza qualcuno al tuo fianco.»
«Non devi. Ce la posso fare. E poi, credo di volerlo fare da sola. Forse voglio dimostrare a me stessa che sono forte.»
«Tu sei forte» la rassicurò Nyssa, dandole un bacio sul capo. Subito dopo, prese ad accarezzarle amorevolmente i capelli.
«È buffo, non trovi?» riprese a dire Sara dopo non molto. «Ho affrontato l’oceano, assassini ricercati in tutto il mondo, l’esercito di Slade Wilson e persino l’approvazione di tuo padre. Eppure al momento è un essere che avrà a malapena le dimensioni di una mela a farmi più paura.»
Nyssa scoppiò a ridere con tutta sé stessa nel sentire quelle parole. Sara le lanciò un’occhiata torva, ma dopo non molto si ritrovò costretta ad unirsi alla risata.
«Anch’io ho tanta paura, Sara» disse Nyssa, una volta che ebbe ripreso fiato. «Più di quanto tu possa immaginare.»

*

Lo studio della dottoressa Holland si trovava in un grande edificio situato a Pennytown, e Sara ci impiegò più di un quarto d’ora per arrivarci ‒ senza contare i dieci minuti precedenti che le erano serviti per trovare un taxi; nonostante ciò, riuscì a raggiungere il luogo prestabilito con cinque minuti d’anticipo. Una volta arrivata al settimo piano, superò la sala d’attesa vuota e trovò la porta dello studio aperta; così, prese un respiro profondo e si decise a bussare.
«Sì, avanti.»
Sara entrò nella stanza con fare titubante, avvicinandosi alla grande scrivania in mogano di fronte a lei. Quando la ginecologa alzò lo sguardo, incontrando così quello della sua nuova paziente, le dedicò un sorriso raggiante e le porse la mano. «Dottoressa Stephanie Holland, piacere di conoscerla. Lei deve essere Sara, giusto?»
La bionda annuì, stringendo con forza il manico della borsa. «Sì. Sono la sorella di Laurel.»
«Ah, Laurel Lance. Le devo la vita» esclamò, mentre si alzava dalla sua postazione per andare a chiudere la porta. «Comunque, non siamo qui per parlare di sua sorella. Direi di procedere subito con l’ecografia. Prego, si accomodi pure sul lettino.»
Sara seguì le istruzioni della ginecologa e si sdraiò. Subito dopo, la prima cosa che fece fu chiudere gli occhi, gesto che, sperava, l’avrebbe aiutata a mantenere la calma il più a lungo possibile. Quando sentì il gel freddo sul proprio ventre, la bionda percepì un brivido percorrerle il corpo. Ma quel brivido non era portato dal gel, quanto dalla preoccupazione che la stava divorando da giorni.
Laurel e sua madre avevano avuto ragione dicendo che l’essere Canary avrebbe potuto mettere a rischio la gravidanza. Perché non ci aveva pensato prima? Certo, affiancare il Team Arrow era stata una buona copertura, perché in caso contrario avrebbe dovuto mettere al corrente la squadra fin da subito della gravidanza, ma era anche vero che sarebbe dovuta stare più attenta. E invece si era preoccupata solo di tenere nascosto il suo segreto.
«Dottoressa Holland» esordì la bionda, richiamando l’attenzione della diretta interessata. «Vede, io ho… svolto dei lavori abbastanza pesanti fino a non molto tempo fa. Crede che questo potrebbe influire sulla salute del bambino?»
La dottoressa, colta alla sprovvista, smise di spalmare il gel per un secondo. «Beh, sì. Ma dipende anche dal tipo di lavoro che ha svolto. Solitamente si teme in un aborto spontaneo, ma, ripeto, magari non si tratta di un impiego davvero rischioso.» Sara si pietrificò, trattenendo il respiro per alcuni secondi. «Comunque non si deve preoccupare, c’è un motivo se nell’ultimo trimestre al lavoro viene concessa la maternità. Però, se in questo periodo ritiene di aver fatto sforzi eccessivi, è comunque possibile anticipare il processo.»
La minore delle sorelle Lance deglutì, ma non ebbe il tempo di rimproverarsi nuovamente..
«Guardi, signorina Lance» esclamò la ginecologa, indicando lo schermo posto di fronte a lei. «Questo è il suo bambino.»
A Sara venne a mancare il respiro. Il mio bambino…
«Vede, questa è la testa. Qui invece ci sono le braccia, le mani, e poi le gambe… è spettacolare.»
Sara aveva la bocca completamente asciutta, motivo per cui le sue parole uscirono in un lieve sussurro. «Sta bene?»
«Sì, certo, è tutto a posto. Le misure sono perfette e non sembra ci sia alcun tipo di anomalia. Purtroppo, però, non le posso dire con certezza il sesso del bambino, perché al momento sta tenendo le gambe chiuse. Però, aspetti: guardi qui!»
Canary sbatté le palpebre un paio di volte, mettendo a fuoco la figura a cui si stava riferendo la donna. «Che cos’è? Sembra un buco nero o sbaglio?»
La dottoressa Holland le riservò un sorriso dolce. «È il cuore del suo bambino.»
Fu allora che Sara iniziò a non capirci più nulla. Aveva la testa invasa da un rumore sordo e un peso all’altezza dello stomaco. Poco dopo, la dottoressa Holland le disse di rivestirsi, le porse le fotografie dell’ecografia e la accompagnò fuori dallo studio. E Sara ebbe un dejà-vu.
Iniziò a correre a più non posso, facendosi strada tra la folla e le macchine, senza mai fermarsi davanti a nessun ostacolo. Sentiva la brezza accarezzarle il viso e l’anima, facendola sentire libera come un canarino.
Era felice. Aveva visto il cuore di suo figlio battere. Ed era felice.
Dopo qualche minuto, fu costretta a fermarsi in un vicolo per riprendere fiato, e a quel punto incominciò a piangere a dirotto. Ma questa volta erano lacrime di gioia.
Il suo bambino stava bene, ed era l’unica cosa che contava in quel momento.



Quando Nyssa rientrò dal lavoro, il suo cuore iniziò a battere all’impazzata. Aveva trascorso l’intera giornata rischiando di essere divorata dalla curiosità che provava, e adesso non vedeva l’ora di chiedere a Sara com’era andata la sua visita. Di certo, però, non si sarebbe aspettata di trovarla distesa sul divano con del ghiaccio sulla fronte.
«Cos’è successo?» domandò preoccupata, accovacciandosi di fronte alla bionda.
Quest’ultima si tirò su facendo leva sui gomiti. «Non è successo nulla. Avevo solo un po’ caldo.»
Ma Nyssa non le credette. «Sicura che sia solo questo?»
Sara annuì debolmente, stringendosi le ginocchia al petto. Poi si mordicchiò il labbro inferiore, chiuse gli occhi per pensarci su e dopo quasi due minuti si decise a rispondere a parole alla domanda di Nyssa. «Laurel aveva ragione.»
«A quale proposito?»
Canary prese la mano di Nyssa e la strinse con tutte le sue forze. «Aveva ragione a dire che sei stata un’irresponsabile a lasciarmi combattere nelle mie condizioni. Ma è stata anche colpa mia. Saremmo dovute stare più attente.»
Nyssa deglutì preoccupata. «Questo significa che il bambino…»
«No» si affrettò a rispondere Sara, scuotendo appena il capo. «Il bambino sta benissimo. Però… siamo state due incoscienti. Eravamo talmente preoccupate per Ra’s che abbiamo perso di vista l’unica persona che dovevamo proteggere da tutto questo.»
La bionda si portò istintivamente la mano libera sul ventre, iniziando ad accarezzarlo con dolcezza. «Potevo rischiare di abortire e non me ne sono nemmeno resa conto.»
Nyssa sospirò. «Mi dispiace.»
Per tranquillizzarla, Sara le dedicò un lieve sorriso. «Anche a me.»
«Se fosse successo qualcosa, io…»
«Lo so. Ti saresti presa una responsabilità non tua. Sono io quella incinta, perciò sono io che dovrei pensare al bambino che porto in grembo. Ma Starling City aveva bisogno di me ora più che mai, perciò…»
«Hai fatto quello che era più giusto per la tua città. L’hai aiutata a rialzarsi dopo una guerra violenta.»
«Mettendo a rischio la vita di mio figlio.»
Nyssa le passò delicatamente una mano tra i capelli. «Se tuo figlio è forte almeno la metà di quanto lo sei tu, allora non sarà mai in pericolo.»
Quella frase riuscì a portare un po’ di tranquillità nel cuore di Sara, tormentato all’idea che forse non sarebbe stata la madre che sperava di diventare. Ma Nyssa, come al solito, riuscì ad anticipare i suoi pensieri.
«E se te lo stai chiedendo, no, non sei una pessima madre. Sei solo stanca. E adesso è giunto il momento di pensare solamente a te e a tuo figlio.»
Sara puntò i suoi occhi in quelli dell’amata, aumentando la presa sulla sua mano. «Nostro figlio.»
Nyssa sembrò sul punto di commuoversi, ma Sara le impedì di scoppiare a piangere prendendole il mento tra le dita e dandole un lungo bacio, che servì a calmare entrambe.
«Che mi dici del sesso?» domandò la mora, con ancora la propria fronte appoggiata a quella di Sara.
«Non me l’ha potuto dire» spiegò l’altra. «Però ho visto il suo piccolo cuore battere. È stato bellissimo.»
«La prossima volta non mancherò. Non posso perdermi dei momenti importanti come questo.»
«Se ci sarà una prossima volta. Volevo accertarmi che il bambino stesse bene, ed è così, perciò non credo di aver bisogno di vedere quella donna un’altra volta.»
Nyssa rimase in silenzio per qualche istante. «Laurel ti ucciderà, lo sai, vero?»
«È per questo che non glielo diremo.»
E scoppiarono a ridere all’unisono.

*

L’appartamento di Roy non si poteva esattamente definire un porcile, perché in realtà era molto peggio. Inoltre, da quando Sara aveva chiesto ad Arsenal di ospitare Sin per un po’ ‒ più o meno tre settimane prima ‒, casa sua era diventata ancora più disordinata di quanto non fosse già.
Quella sera, Sara sapeva benissimo che non avrebbe trovato Roy in casa, poiché il ragazzo era in missione insieme a Oliver e Nyssa. Aveva scelto quel momento proprio per poter parlare da sola con Sin, perciò prese un respiro profondo e bussò.
«Chi è?» si udì dall’altra parte della soglia.
«La tua fata madrina.»
Non appena riconobbe la voce dell’amica, Sin aprì la porta all’istante, cercando vanamente di trattenere l’emozione che provava. «Ti inviterei ad entrare, ma per educazione te lo sconsiglio. C’è un macello indescrivibile qui dentro.»
«Lo immagino. Ma non sono qui per restare. Piuttosto, volevo che tu venissi con me.»
La ragazzina aggrottò le sopracciglia. «Dove andiamo?»
«È una sorpresa. Ma sappi che dovremo andarci a piedi.»
«Due giovani donne che gironzolano per le strade di The Glades di notte, da sole, e per di più senza una mazza da baseball a proteggerle? È una proposta veramente allettante.»
«Devo forse ricordarti che una delle due donne in questione ha passato sei anni nella Lega degli Assassini?»
Sin non ci pensò un secondo di più. «Okay, hai vinto. Basta che ci sia del cibo e poi andiamo dove vuoi.»



All’incirca mezz’ora dopo, Cindy e Sara giunsero nell’appartamento di quest’ultima. Senza darle alcuna spiegazione, Canary condusse l’amica in quella che un giorno sarebbe dovuta essere la camera del suo bambino, dove erano già presenti un letto e la cassettiera che Oliver aveva regalato a Sin poco dopo l’Assedio.
A quella visione, la mora si paralizzò. «Che storia è mai questa?»
«Credo che tu lo abbia capito benissimo da sola.»
«Sara, no. Non verrò a vivere con te.»
«E passerai il resto della tua vita nell’appartamento di Roy?»
«Certo che no. Anzi, sono sulla buona strada per trovarmi una sistemazione definitiva.»
Sara incrociò le braccia, assumendo un’espressione confusa. «E con quali soldi?»
Sin arrossì lievemente. «È… difficile da spiegare. Ma non posso restare qui. Non so nemmeno se a Nyssa sta bene.»
«Invece puoi. A Nyssa va benissimo che tu resti qui con noi e non vede l’ora di conoscerti.»
La mora si passò una mano tra i capelli. «Non lo so, Sara…»
«Andiamo, non farti pregare. In fondo sai benissimo anche tu che è la soluzione migliore.»
Cindy sospirò, alzando gli occhi al cielo. «Solo per qualche notte. Ma posso stare benissimo anche sul divano.»
«Beh, diciamo che questo letto in parte è il divano. Noi abbiamo solo comprato la rete, ma il materasso lo abbiamo semplicemente estratto dal cassetto del divano letto. Non sarà il massimo della comodità, ma nelle ultime settimane sono successe molte cose, e questa è stata l’unica idea che mi è venuta in mente.»
«No, non preoccuparti, è stata un’idea meravigliosa. Nessuno aveva mai fatto tutto questo per me. Grazie, grazie davvero.»
E prima che Sara potesse prevederlo, Sin si fiondò su di lei e la strinse in un abbraccio che fece sentire entrambe a casa.

*

Il mattino seguente, Sin si svegliò con un sorriso sul volto per niente familiare. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma erano anni che non aveva una camera da letto tutta sua, e il fatto che Sara si stesse preoccupando per lei a tal punto da avergliene creata una la faceva sentire amata.
Dopo aver sbadigliato ed essersi stropicciata gli occhi, si diresse nel corridoio buio a passi incerti e con lo stomaco che brontolava. Temeva di poter incontrare Nyssa, ma non si sentiva ancora pronta. E se avessero iniziato con il piede sbagliato? E se avesse detto o fatto qualcosa di sprovveduto e Nyssa l’avesse cacciata fuori di casa? Non solo avrebbe reso Sara delusa da lei, ma avrebbe anche potuto scatenare una lite tra le due, e probabilmente Canary non glielo avrebbe mai perdonato. Proprio mentre questi pensieri la invadevano, non si rese conto di essere arrivata nell’atrio, e che davanti a lei c’era proprio la donna che quella mattina avrebbe tanto voluto evitare.
In preda al panico, compì un passo indietro. «B-Buongiorno» balbettò.
«Buongiorno a te» rispose Nyssa, dedicandole un sorriso sincero. «Tu devi essere Cindy. Io sono Nyssa, piacere di conoscerti.»
In fondo non sembrava così male come credeva. Osservò per qualche istante la mano che Nyssa le stava porgendo e decise di ricambiare la stretta. In quello stesso istante, però, qualcosa nel volto dell’altra donna la fece irrigidire nuovamente.
«Sbaglio o ci siamo già viste da qualche parte?»
Sin deglutì. «Oh, beh… non saprei…»
In realtà, Nyssa sapeva benissimo chi era Sin, e non si sarebbe mai scordata il suo volto. Quando erano ancora a Nanda Parbat, Sara le parlava sempre di come aveva conosciuto suo padre a Lian Yu e della promessa che gli aveva fatto. Nyssa aveva anche visto la foto di sua figlia, e dal quel giorno si era ripromessa che, prima o poi, avrebbe aiutato quella povera ragazzina insieme a Sara. Lei stessa non aveva avuto una vita facile, ma da quando Sara era entrata nella sua vita era cambiato tutto, e il pensiero di poter aiutare un’altra giovane donna a trovare qualcosa per cui valesse la pena vivere la faceva sentire in pace con sé stessa.
«Ma sì, adesso ricordo! Eri una cliente del Slàinte, non è così?»
Nyssa sapeva anche che era stato grazie a Sin se Sara aveva scoperto del suo “quasi” lavoro in quel pub ‒ non perché Sara glielo avesse detto, quanto perché lo aveva capito da sola.
Sin deglutì con forza. A quel punto non aveva più senso mentire. «Sì. Ci sono stata giusto un paio di volte…»
«Beh, Cindyy, mi ha fatto piacere conoscerti e rivederti, ma adesso devo scappare al lavoro. Ci si vede!»
Quando Nyssa ebbe chiuso la porta alle proprie spalle, Sin tirò un sospiro di sollievo, dopodiché si diresse in cucina, dove trovò Sara intenta a preparare la colazione per entrambe.
«E così hai conosciuto Nyssa.»
Cindy si mise a sedere, ancora tremante. «Già. È davvero adorabile.»
A quel punto, Sara si voltò nella sua direzione, poggiando una mano sul fianco. «Perché hai così paura di lei? È per la storia del Slàinte?»
Sin annuì appena. «Ricordi quella volta che ti ho detto che lei lavorava là? Beh, ho ancora paura che mi possa ammazzare, visto che sono stata io a fare la spia.»
Sara scoppiò in una sonora risata. «Non le ho mai detto che sei stata tu a riferirmelo, sciocca. Puoi stare tranquilla. Il tuo segreto è al sicuro con me.»
«Sì, sì, fai la spiritosa. Ma sappi che quando dovrai svegliarti ogni notte per dare da mangiare a un bebè sarò io quella pronta a ridere.»
Sara rispose alla frecciatina con una linguaccia. Subito dopo, porse un bicchiere di latte caldo all’amica e si sedette di fronte a lei. «Allora, mi vuoi dire di quale sistemazione parlavi ieri?»
Sin sussultò dallo stupore. Aveva sperato con tutto il suo cuore che Sara se ne fosse dimenticata, e adesso non aveva idea di come tirarsi fuori da quel casino che lei stessa aveva creato. In preda al panico, fece finta di non aver sentito la domanda e iniziò a soffiare nella tazza che teneva tra le mani.
Sara attese una risposta per qualche secondo, ma dopo non molto scoppiò. «Dio, Cindy, è così difficile dirmi che hai un fidanzato?»
La ragazzina arrossì di colpo. Stupida Sin, nel giro di dieci minuti sei già alla seconda figuraccia del giorno!, pensò.
«Da cosa l’hai capito?» chiese poi, titubante.
«Da questo» rispose Sara, indicando il suo viso. «Sei diventata subito rossa quando hai accennato a un’altra sistemazione. Perciò ho fatto due più due.» La bionda poggiò i gomiti sul tavolo e intrecciò le mani sotto al mento. «Chi è? Lo conosco?»
Cindy scosse la testa in segno di diniego. «Si chiama Richard, ma per gli amici è Ricky, o Rick. È un tipo carino che ho conosciuto in un pub un paio di mesi fa. Ma onestamente non so ancora se è il mio tipo. Insomma, beve analcolici, frequenta il college e roba così. Forse non durerà. Voglio dire, siamo troppo diversi. E io troppo povera e trasandata per uno come lui. Non me la merito una persona così.»
Sin aveva parlato ad una velocità incontrollabile, ma Sara aveva capito chiaramente ogni parola.
«Ehi, non dire mai più una cosa del genere. Tu non sei una brutta persona, e meriti di trovare l’amore come chiunque altro.»
«E se dovessi influenzarlo con la mia oscurità? Sai che quei pochi amici che ho a The Glades fanno parte di brutte compagnie. Lui è veramente innamorato, Sara. Ma io non voglio che diventi come me.»
C’erano voluti anni prima che Sara lo scoprisse, ma anche Nyssa si era posta la stessa domanda quando si erano messe insieme. E adesso, Sara temeva che potesse accadere anche al suo bambino.
Non voleva che l’oscurità lo divorasse come era successo a lei quando si era unita alla Lega. Voleva soltanto che crescesse in un luogo sicuro, con dei genitori normali che lo facessero sentire amato.
Ma adesso il suo unico pensiero era aiutare Cindy.
«Non devi pensare in negativo, Sin. Ognuno di noi ha un po’ di oscurità dentro di sé. E sì, forse non avrai buone compagnie e non potrai permetterti di andare al college, ma questo non significa che tu non possa stare con qualcuno che è l’opposto di te. Anzi, magari stare con lui ti farà solo bene. Da come ne parli sembra un ragazzo con la testa sulle spalle, non come me alla vostra età.»
A quell’affermazione, Sin rise sotto ai baffi. E Sara provò un’immensa gioia nel vedere che si stava ambientando.
«Abita qui vicino?»
«No, ha un appartamento in centro. Ci sono stata un paio di volte. È un posto carino. Mi ha chiesto di andare a vivere con lui non appena mi sentirò pronta.»
«E tu sei pronta?»
La mora si strinse nelle spalle. «Non lo so. Voglio prima capire se lo amo davvero, o se per me è soltanto una cosa passeggera. Non so ancora bene cosa provo.»
«Beh, questa è una risposta che solo il tempo potrà darti. Ma sono sicura che la troverai molto presto.»




















Non è che l’idea di descrivere una visita ginecologica mi allettasse tanto, ma si trattava comunque di un passaggio importante per Sara, motivo per cui ho cercato di inserire più dettagli possibile in poche frasi.
Allora, vi state godendo l’estate? Io non molto, visto che mi sono subito ammalata -_- ma per fortuna adesso sto meglio e sono pronta a divertirmi! (E ad aggiornare le storie, ovviamente... xD)
Come al solito, se vi va, ditemi cosa ne pensate del capitolo, dopodiché… ci sentiamo tra due mesi!

   
 
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