Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Alexa_02    13/07/2017    2 recensioni
Julianne ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare, quando guarda la sua vita non c’è una virgola che cambierebbe. È così sicura che ogni cosa andrà nel giusto ordine ed esattamente come se lo aspetta, che quando si sveglia e trova la lettera di addio di sua madre non riesce a capacitarsene.
Qualcosa tra i suoi genitori si è incrinato irrimediabilmente e April ha deciso di scompare dalla vita dei figli e del marito senza lasciare traccia o la benché minima spiegazione.
Abbandonata, sola e ferita Julianne si rifugia in sé stessa, perdendosi. Una spirale scura e pericolosa la inghiotte e niente è più lo stesso. Julianne non è più la stessa.
Quando sua madre si rifà viva, è per stravolgere di nuovo la sua vita e trascinare lei e suo fratello nell'Utah, ad Orem, dalla sua nuova famiglia.Abbandonata la sua casa, suo padre e la sua migliore amica, Julianne è costretta a condividere il tetto con cinque estranei, tra cui l'irriverente e affascinante Aaron. Tra i due, da subito, detona qualcosa di intenso e di forte, che non gli da scampo.
Può l’amore soverchiare ogni cosa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Julianne

Nella mia camera sembra che sia scoppiata una bomba atomica.

Evidentemente Aaron ha frugato tra le mie cose, alla ricerca della chitarra, causando l'esplosione di tutti i miei scatoloni e del loro contenuto, che ora è sparpagliato a macchia d'olio sulla moquette. Stanca, rinuncio allo sciopero del disimballaggio dei miei effetti personali e sistemo la stanza. Come sospettavo, non ho abbastanza vestiti per riempire completamente l'armadio, che resta per metà vuoto. Riempio le mensole di libri e utensili da pittura. Posiziono le foto sui comodini e sui muri, il laptop sulla scrivania e il mio violino difronte alla finestra. A lavoro concluso, la stanza ha l'aria di essere abitata e non sembra più la camera impersonale degli ospiti. A metà mattina, mamma trascina i figli più piccoli ed Henry in chiesa, io mi ritrovo seduta sulla poltrona di pelle rossa con le finestre spalancate ad origliare le prove degli Hazy Heavy. Il garage si trova esattamente sotto una delle mie finestre e loro provano con la serranda di metallo alzata, permettendo alla musica di fluttuare verso la mia stanza. Sono molto bravi, ma mancano di originalità. Tutte le canzoni che mettono in atto sono cover, guadagnerebbe una marcia in più se provassero a concretizzare le loro emozioni in un testo. Ma immagino che se possiedi la gamma di emozioni di un termosifone, scrivere testi decenti non sia una passeggiata. Comporre canzoni ti libera da pesi e sensazioni che non riesci ad ignorare o assimilare. Molti dei miei testi sono parti della mia vita che non ho mai raccontato a nessuno e che nessuno conoscerà mai. Da dopo la riabilitazione ho smesso di scrivere, è come se durante la convalescenza mi avessero asportato l'organo che mi faceva creare testi unici. Un po' mi manca, ma non ce nulla che dipingere non possa sistemare. Passo la mattinata ad ascoltare musica di soppiatto e a schizzare sul mio quaderno ragazzi senza volto. Quando mamma ritorna dalla messa domenicale insieme a Jim, Henry scivola nella mia camera con fare furtivo.

“Non ero mai stato ad una messa così avvincente” commenta buttandosi sulla moquette di fianco a me.

“Non eri mai stato a messa in generale” puntualizzo.

“Jim è davvero appassionante quando spiega il vangelo, ti fa capire cose che prima ti sembravano insensate”.

Le mie orecchie non credono a quello che sentono. “Oh mio dio! Ti stai facendo fare il lavaggio del cervello”.

“Ahi! Perché mi colpisci?!” Si stringe la nuca sconvolto, dopo che l'ho colpito.

“Perché ti stai facendo abbindolare, ecco perché! Lo sai cosa dice la Bibbia sull'omosessualità o vuoi che ti rinfreschi la memoria?”.

Henry è molto aperto verso chi la pensa diversamente, gli piace capire cosa spinge le persone verso un certo tipo credenza.

Sospira “Lo so, Jules. Sto solo cercando di conoscere il loro mondo, così da poter trovare un punto d'incontro. Vorrei che ci provassi anche tu”.

Non se ne parla. Non fingo che mi piaccia qualcosa, per assecondare la messinscena della famiglia felice.

“No. Puoi giocare al figlio perfetto quanto vuoi, ma non tirarmi in mezzo”.

Sa che è una battaglia persa in partenza. “Va bene, d'accordo. Cambiamo argomento. Cosa ci fai appostata davanti alla finestra?” Inclina un sopracciglio dorato.

Beccata.

Okay, niente panico. Una scusa decente?

Afferro il quaderno degli schizzi “Stavo disegnando. Mi rilassa”.

Si siede difronte a me sulla poltrona rossa e osserva il paesaggio, che la mia vista offre. Non è un granché, ci sono solo tetti e case tutte simili alla nostra. Come bugia non sta proprio in piedi, lui lo sa che non ricopio dal vero, ma uso l'immaginazione e i ricordi. Mi guarda scettico, ma annuisce. Quando penso di essere riuscita ad evitare le sue supposizioni su il mio interesse a proposito di Aaron, dal garage fluttua la sua bellissima voce roca, che investe Henry come un treno.

Cattura il mio sguardo e inclina la testa, sorridendo come un serial killer. “Stavi disegnando, eh?”.

“Esatto...” mi allontano voltandogli le spalle, se non mi guarda in faccia non può sapere se mento. La mia tecnicamente non una bugia, direi più un'omissione.

“Lui ti piace! Ti piace un sacco!” Esulta.

“Assolutamente no”.

Mi segue come un ombra. “Oh, andiamo! Ammettilo e non ti tartasserò più, lo giuro”.

“Non c'è nulla da ammettere, Henry, smettila!”.

“Jules, avan...”

La voce acuta e perennemente allegra della mamma risale dalle scale e lo interrompe “Henry! Julie! Ho bisogno del vostro aiuto!”.

Non sono mai stata tanto felice di dover andare da mia madre.

“Dobbiamo scendere” borbotto “ Non vorrai far aspettare la mammina”.

Sbuffa. Gli è fisicamente impossibile non accontentarla.

“Questa conversazione non finisce qui” assicura.

Questo è tutto da vedere.

Apre la porta e insieme scendiamo al piano inferiore. In cucina la mamma è circondata da buste della spesa mezze vuote e una distesa di pentole disparate. Il suo bellissimo abito è avvolto in un'orribile grembiule da cucina. Anche se ha l'aria di chi stia cucinando da ore, non ha una ciocca fuori posto o una macchia sul vestito.

“Oh, bene siete scesi” sospira quando ci nota imbambolati sulla soglia “Ho bisogno del vostro aiuto per organizzare il pranzo. Siamo un gran numero oggi e due paia di mani in più non mi farebbero male”.

“Ti aiutiamo volentieri” sentenzia Henry per entrambi.

Aiutarla non è esattamente il mio passatempo preferito, ma non ho intenzione di riprendere la conversazione con Henry, quindi mi limito ad alzare le spalle.

“Ottimo” trilla la mamma “Allora, Henry tu occupati di apparecchiare il tavolo sotto il gazebo in giardino, mentre tu Julie, dovresti aiutarmi a tagliare queste verdure”.

Henry annuisce, fiondandosi ad esaminare i cassetti, mentre pigramente mi accosto all'isola di marmo. La mamma mi posiziona davanti un tagliere di legno scuro, un enorme coltello in ceramica e un sacchetto pieno di vegetali.

“Tagliali in pezzetti tutti più o meno della stessa grandezza e mettili in queste scodelle” dice, porgendomi delle bacinelle in plastica. Sminuzzo le verdure in silenzio e con ritmo costante. Henry mi sfreccia intorno frugando nei pensili alla ricerca dei piatti e delle posate. La mamma spennella le pirofile con il burro e monitora la torta alle carote come un falco. Mi sembra di essere stata catapultata in una versione casalinga di MasterChef.

“Mamma, non riesco ad aprire il tavolo da giardino”

“C'è un trucco, vengo ad aiutarti. Julie controlla che la torta non si bruci, per favore”.

Zampetta fuori così in fretta che non mi da nemmeno il tempo per un commento sarcastico. Sembra che debba venire a pranzo la Regina dall'impegno che ci sta mettendo. Insomma non c'è bisogno di tutto questo trambusto, è solo un pranzo del cazzo. Sfogo tutto il mio nervosismo su una zucchina innocente, che ha preso temporaneamente le sembianze della mamma. A peggiorare la situazione ci si mettono Aaron e i suoi amici idioti, che entrano dalla porta che collega il garage alla cucina. Si sparpagliano per la stanza esaminando cosa bolle in pentola.

“Che profumino” esulta Matt avvicinandosi al piano-cottura “ La signora Raisman è una maga in cucina”. I suoi commenti deliziati e perennemente educati irritano la pazza isterica, che brandisce una mannaia seduta nel mio cervello. Lip infila una mano in una ciotola piena di anacardi e se ne infila una manciata in bocca.

“Eri in bagno quando distribuivano l'educazione?!” sbotto, sminuzzando una carota.

“Sai, bambolina” si pulisce la bocca con la mano, intercettando i miei occhi “Non ti facevo una che cucina”. Ci fissiamo, sfidandoci a vicenda. Pensa di vincere, ma ha sbagliato a fare i suoi calcoli, io non indietreggio difronte ad una sfida.

“In realtà sono quella addetta alle armi da taglio”.

Si avvicina “È alquanto eccitante questa tua versione casalinga. Passi anche lo straccio per terra?”.

Aaron si irrigidisce contro la mensola contro cui è appoggiato.

“Lip!”. Grugnisce Matt, scuotendo la testa. Ma il suo amico lo ignora e mi si affianca, stagliandosi su di me con il suo fisico di marmo “Sto solo facendo qualche innocua domanda”.

Non credo che sappia cosa significa innocua, ma l'unica cosa su cui riesco a concentrarmi è il fatto che mi sta inchiodando al bancone, imprigionandomi con le braccia. Non ha idea di cosa sia lo spazio personale?

“Se non ti sposti, la tua lingua e le tue palle finisco sminuzzate con il resto della verdura” gli punto contro il coltello e mi pesa ammettere che non è la prima volta che lo faccio.

La sua testa si china in avanti verso la mia faccia “Ti ho già detto che mi piace un po' di violenza”.

Prima che possa conficcargli le unghie nella faccia, Matt mi sfila di mano l'arma ed Aaron afferra rudemente il suo amico per la spalla, allontanandolo. “Ti ho già detto di non fare il coglione! Se non vuoi che ti spacchi la faccia, lasciala in pace” sibilla.

Matt mi tiene per un braccio “Ti posso assicurare che ti avrebbe pugnalato, se avessi continuato”.

Sì, è vero. “Hai una vaga idea di cosa siano le molestie sessuali?!” sbraito riprendendomi il coltello.

“Scusa dolcezza, stavo dimostrando una mia tesi” si giustifica con un'alzata di spalle.

Ma che razza di coglione. “Che diavolo significa?” brontolo. Lip si limita a scoccarmi un sorrisetto. Non posso indagare oltre, perché mamma si fionda in cucina come un razzo e li spedisce ad apparecchiare con Henry.

 

Una volta che le trecento inutili portate sono disseminate sulla tovaglia shabby grigia, possiamo finalmente sederci a mangiare. Mi ritrovo posizionata tra mio fratello e Matt, con di fronte Aaron e i suoi amici scemi. Anche se il tavolo è aperto al massimo, in undici si sta stretti comunque, sebbene sembri l'unica a cui infastidisce la mancanza di uno spazio personale.

La conversazione si mantiene su argomenti standard, che mi entrano da una parte ed escono dall'altra. L'unica nota positiva è la meravigliosa lasagna di verdure, che mia madre ha cucinato appositamente per la sua strana e indisponente figlia. Come previsto, Tyson non spiccica una parola, Lip si rimpinza di cibo fino agli occhi, Aaron risponde a monosillabi e Matt conduce una brillante e arguta conversazione con mia madre. Non ho la più pallida idea di come questi quattro possano essere così amici avendo caratteri così diametralmente opposti.

Tra Aaron ed Lip si nota una strana tensione, che presumo sia legata alla tesi di quest'ultimo, sinceramente non è un mio problema. La prossima volta che proverà un esperimento su di me, si beccherà una ginocchiata nei gioielli di famiglia. Mi perdo tra tutti i possibili modi in cui posso causargli dolore fisico e sobbalzo quando sento il mio nome.

“Allora Julianne, tu e Matt vi conoscevate già?” sollecita Jim interessato. Dovrebbe proprio farsi i fatti suoi, non credo che gli piacerebbe sapere di che natura è la nostra relazione.

Annuisco “Esatto”. Nessun discorso articolato. Mai. Porta solo ad altre domande.

“Come vi siete conosciuti?” continua.

“Al campo estivo”. Non lo guardo nemmeno negli occhi, devo proprio sembrare maleducata. Mi dispiace, ma non ho intenzione di fornire informazioni personali di alcun tipo.

“E da quanto vi conoscete?”. Jim non è un tipo che molla, non c'è che dire.

“Parecchio tempo”. Ma il premio per la più testarda resta in mano mia.

Jim sospira e passa a dialogare con qualcun altro. La nostra vaga chiacchierata ha scoraggiato altre possibili conversazioni, così finisco di pranzare in pace.

Siccome ho aiutato a cucinare, non devo aiutare a sparecchiare e posso fiondarmi nella mia camera. Spendo il resto della mia domenica a dipingere via tutta il nervoso che la mattinata mi ha trasmesso. Dopo cena chiacchiero con Scar su Skype, facendole il resoconto della giornata e dopo provo a dormire un po'. È alquanto bizzarro, ma non mi piace dormire quando fuori è tutto buio. Preferisco di gran lunga passare le ore notturne impiegando il tempo in qualcosa di costruttivo. A San Diego suonavo il violino mentre tutti dormivano. Henry e papà si erano abituati a questa mia stranezza, ma qui non penso di poterlo fare alle due del mattino. Perciò, mi limito a leggere finché il mio cervello non collassa e il sonno non mi aggredisce.

 

 

Per quanto mi piaccia, la luce arriva troppo in fretta e sono costretta ad alzarmi. L'idea di dover ripetere il supplizio del primo giorno di scuola, mi imposta automaticamente l'umore su INDISPONENTE.
Ruzzolo fuori dalle coperte sbuffando e scalciando, mi infilo in bagno e mi ci blindo dentro. Immergo la faccia nell'acqua gelida per essere sicura di essere sveglia e reattiva, mi rendo quantomeno presentabile e infilo dei jeans e una maglietta. Mentre mi sto infilando le Vans, Henry spalanca la porta radioso ed esuberante “Buongiorno raggio di sole!”.
Dio, vorrei strangolarlo.

Borbotto un insulto che lo fa ridacchiare “Vedo che sei particolarmente solare stamattina”.

“Come fai ad essere felice già così presto?”.

Mi porge una tazza di caffè “Il sole splende, è ora di uscire di casa e stiamo per andare a scuola! Come fai tu a non essere radiosa?!”.

Mi scolo il caffè come uno shottino “Nessuna delle tre cose che hai nominato migliora il mio umore, in particolare l'ultima”.

Mi conduce verso le scale, praticamente trascinandomi “Conoscerai delle persone nuove, non sei contenta?”.

Lo fisso inespressiva.

“Okay, sapevo che il tuo umore sarebbe stato tragico quindi ho chiesto alla mamma di farti la torta al cioccolato”.

Mi blocco a metà scale annusando l'aria come un segugio. È vero, c'è odore di torta.

Gli salto addosso spingendolo contro il corrimano “Oh, ti adoro!”

“Si lo so, ma ora andiamo”.

 

Come promesso in cucina mi aspetta una mastodontica fetta di torta al cacao e un altro galeone di caffè. Va bene, la giornata sta migliorando.

Quando varco la soglia della stanza vengo immersa in una strana routine a cui non appartengo. Aaron è appoggiato al lavabo con una scatola di cereali e un cucchiaio, Andrew e Cole si litigano un muffin ai lamponi seduti sugli sgabelli dell'isola di marmo, mentre la mamma è accostata al piano cottura, intenta a preparare il pranzo per tutti. Jim è in piedi davanti alla finestra che legge il giornale e supervisiona che Liv mangi tutto il suo pasto. Mi siedo anche io e mi concentro sul mio dolce preferito. Henry partecipa alla preparazione del pranzo al sacco e sulla colazione scende una strana atmosfera, come se ci fosse qualcosa che stona nel quadretto famigliare. Oh, già. Questa non è una vera famiglia. Quando la mamma era a casa nessuno aveva mai il tempo di fare colazione, figuriamoci di impacchettare il pranzo. È tutto così ridicolo che mi viene da ridere.

“Va tutto bene, Julie?” domanda la mamma, quando mi deve sogghignare come una squilibrata.

“È solo un po' nervosa per il primo giorno di scuola” sentenzia mio fratello al posto mio. Non è vero, ma credo che sappia perché sembro fuori di testa, lo ha notato anche lui.

“Oh, non ti preoccupare, andrà tutto benissimo. Ti troverai fantasticamente nella nuova scuola” per lei ogni situazione è correlata ad un aggettivo superlativo. “Dovete sbrigarvi però, tra poco avete l'incontro formativo con il preside Richmond”.

Finisco il caffè e infilo il piatto nel lavandino, sbattendo di proposito contro il braccio muscoloso di Aaron. “Come ci dovremmo arrivare a scuola? Per i campi passa per caso la metro?” domando sprezzante. Prevedibilmente nessuno ride.

“Aaron può portarvi a scuola in macchina” propone Jim, chiudendo il quotidiano. Porta una terribile camicia giallo canarino e una cravatta grigia.

“Col cavolo!” grugnisce al padre “Non sono un fottuto taxi”.

“Aaron! Il linguaggio!” lo rimbecca “Ti devo ricordare che la tua punizione non è stata ancora del tutto revocata? Se vuoi andare agli allenamenti oggi pomeriggio cerca di essere accondiscendente”.

Aaron grugnisce ma non ribatte.

“Per il momento è così, in settimana ci adopereremo per trovare una soluzione” conclude la mamma.

Do una pacca sul bicipite sinistro di Aaron, sia per attirare la sua attenzione che per godermi una veloce palpatina al suo muscolo “Su sbrigati Armando, non vorrai farci fare tardi a scuola il primo giorno” bisbiglio con l'accento da snob più marcato che la mia voce riesce a produrre. Lui, in risposta alla mia provocazione, apre al massimo il rubinetto dell'acqua, che schizza contro il piatto e mi infradicia la maglia. Senza pensare, afferro la tazza di ceramica piena d'acqua e rimasugli di caffè e gliela scaravento sulla maglietta cobalto.

“Aaron!” “Julianne!” esplodono i nostri genitori. “Andate a cambiarvi e poi subito a scuola!”.

Lo supero procedendo verso le scale, dopo avergli squadrato velocemente gli addominali messi in risalto dalla maglietta bagnata. Sorrido e mentalmente mi do il cinque, quando sento il suo sguardo sul sedere mentre mi allontano. Cambio la maglietta e cinque minuti dopo mi devo rannicchiare sul sedile posteriore della Boss di Aaron. Andrew è seduto accanto a lui sul sedile anteriore ed Henry è accanto a me con le ginocchia in bocca.

“Sicuro che non vuoi farla sedere davanti?” sussurra a suo fratello maggiore.

“Sta bene dove sta” lo zittisce. Andy, in ogni caso, sposta avanti più che può il sedile, facendo spazio alle lunghe gambe di mio fratello. Aaron si limita ad inserire le chiavi nel quadro ed ad azionare la musica a tutto volume. Vorrei colpirlo, ma non voglio morire spappolata nella sua stupida e bellissima macchina.
Suppongo che tenga il broncio perché ho rovinato il suo outfit da primo giorno e il suo trionfale ingresso a scuola. Non mi importa, la strana tregua della sera della festa è solo un ricordo lontano.
Cercando una posizione comoda mi sporgo in avanti e noto che Andy tiene tra le mani una videocamera. Durante il tragitto riprende il paesaggio e su fratello che guida. Da quello che ho capito possiede un canale YouTube ed è molto seguito.

Aaron spegne il motore in un orribile parcheggio di cemento e automaticamente infilo le unghie nel sedile di pelle. Ho la bocca improvvisamente secca. Sento il panico che mi risale nella gola. Urlerei se fossi sola. Tutto il mio famoso stoicismo si sgretola e sento il sudore colarmi lungo la schiena. Perché diavolo sono qui? Il mio piano geniale doveva riportarmi a casa prima della scuola, questo giorno non sarebbe mai dovuto arrivare.
Comment vas-tu?” mi bisbiglia Henry. Come sto? In panico, ecco come sto. È dalla terza elementare che non affronto un primo giorno di scuola senza Scarlett al mio fianco.
“Bene” gracchio. Lui mi stringe la mano e mi bacia la tempia. So che è qui con me, ma questo non cambia il fatto che sarà una merda. Colgo lo sguardo di Aaron attraverso lo specchietto retrovisore, mi scruta corrucciato e questo non mi aiuta.
Allez” mi incoraggia Henry. Andy e Aaron smontano dalla macchina. Andy sposta il sedile, facendo passare mio fratello, mentre Aaron sposta il suo facendomi uscire. Involontariamente, immagino, mi porge la mano per aiutarmi. Toccarlo non agevola il mio nervosismo, ma è un ottimo corroborante. Mi schiaffeggio mentalmente quando mi rendo conto che mi piace l'idea della mia mano nella sua. Sebbene abbia entrambi i piedi ormai per terra, continuo ad aggrapparmi a lui. Ci guardiamo negli occhi ed è un grosso errore per entrambi. Per un secondo mi perdo nel verde dei suoi occhi e mi lascio cullare dal ricordo del parco dell'altra sera. Mi passa delicatamente il pollice sul dorso ed è il campanello che mi fa lasciare la presa. Faccio qualche passo indietro, allontanandomi dal suo corpo. Lui recupera lo zaino, chiude la macchina e si avvia verso l'ingresso. Henry mi si materializza vicino e mi appoggia il braccio sulle spalle, assicurandosi che non scappi via. “Andrà tutto bene, sorellina. C'è la faremo”.

No, io non credo, ma nonostante lo scetticismo lo seguo verso la scuola. 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Alexa_02