À Demian
Capitolo nono
Essere grandi
«Fratellone!
Je veux une crêpe avec la Nutella
et les fraises!»
La
voce di Sarah era sempre morbida e confortante, permeata di una
tenerezza
fanciulla fragile come le sue spalle sottili. Demian la guardava
trotterellare
allegra qualche passo più avanti, con la sua chioma
d’oro brunito che le
nascondeva la schiena e Lalami tra le braccia. La cucciola era
cresciuta molto
nell’ultimo mese, pesava troppo e le stava scivolando
lentamente, così la
povera Lala restava sospesa in una posizione improbabile che pareva una
tortura, a guardarla provava per lei un’incredibile pena.
«Petite Sarah, ma
chèrie, ti prego metti giù quella palla di pelo
dannata, rischi di diventare
come tuo fratello»
«Che sarebbe
comunque meglio che diventare come quell’idiota di tuo
cugino» Demian freddò
Jules con una gelida occhiataccia ammonitrice.
«E la
crêpe?»
A volte Sarah gli
ricordava il Piccolo Principe: non demordeva mai. Poteva porgli ancora
e ancora
il medesimo quesito ignorando completamente tutto il resto, come gli
abituali
battibecchi tra suocere che caratterizzavano qualsiasi interazione tra
lui e
Jules, e restava sempre depositato sulle sue labbra di rosa un sorriso
velato
in grado di scioglierlo.
Quasi
«Trop gâteaux
te font mal»
Troppi dolci ti fanno
male
La piccola peste tramutò
immediatamente il suo sguardo adorante in un broncio dispettoso da
fatina
ammaliatrice. Si strinse la cagnolina al petto con più
enfasi, come a cercare
di creare un’immagine davanti alla quale Dami potesse
capitolare, e Lalami
emise un guaito di disperazione.
«Mais j’adore trop
les gâteaux!» supplicò con vocina
sottile e tenera.
«Ignoralo Sarah, ha
solo il braccino corto»
«Jules!»
Il cugino ghignò,
ignorando il suo richiamo con una sfacciataggine ai limiti del
sopportabile.
Sua sorella aveva aggrottato le sopracciglia e la sua espressione
confusa, da
cucciola che andava soffocata di baci, fu un chiaro indice che qualcosa
le era
sfuggito. Forse perché in casa Demian le si era sempre
rivolto in francese,
Sarah aveva qualche problema con alcune sottigliezze
dell’italiano, come i modi
di dire. Davanti al suo musino era difficile riuscire a racimolare un
briciolo
di fermezza.
«”Braccino
corto”?»
«Oui, il est un
radin!»
«Putain, Jules!»
Sarah si aggrappò
piano alla sua manica, rendendo la situazione già precaria
di Lalami estrema, e
tentò ancora una volta di vincerlo con il suo atteggiamento
tenero e indifeso,
tutto da viziare. Distendeva le palpebre, increspava la boccuccia, e
Demian
capitolava come neve davanti ad un sole troppo caldo.
«Tu ne dépenserais pas trois
mile lires non plus pour moi?»
Il desiderio di
dirle di sì lo inchiodò un istante.
«Ce n’est pas pur
l’argent, mais trop gâteaux ne te
font….» le
parole gli morirono sulle labbra,
schiuse in un
sospiro strappato a tradimento. Era sempre difficile restare fermo
nelle
proprie convinzioni propedeutiche quando quella piccola viziata
s’impuntava e
lo travolgeva con tutta la sua dolcezza.
Julian lo
precedette prima che gli riuscisse di provare a resistere al fascino di
sua
sorella con risoluzione «Ne t’inquiète
pas, chérie, te la compro io» sorrise,
guardandolo in tralice con quella sua espressione sorniona da carogna
incarnata, solo per provocarlo. Aveva gli occhi di zio Lorenzo, linee
morbide
che scivolavano nel soffice, ma che con la sua pessima
personalità Jules
riusciva a sporcare di malizia e sottile ironia.
«Jules, Christos,
cosa non hai capito della parola “no”?»
Sarah lasciò libera
Lalami, che scivolò a terra con un rantolo di sollievo, e
corse subito a
braccia aperte verso il cugino. Jules raccolse il suo invito con un
sorriso
raggiante, la sollevò in aria e a Demian sembrò
incredibilmente leggera, un
riflesso fragile in controluce.
«Sei il mio
preferito!»
Lo esclamò con
impeto solo per guardarlo poi da sopra la linea della propria spalla e
regalargli una linguaccia provocatrice. Basito osservò il
bel volto della
bimba, ed il pensiero fu automatico e spontaneo.
Passa troppo tempo con
Julian
Lalami gli si era
già accostata e grattava la sua gamba come a supplicarlo di
non lasciarla più
nelle mani di quella disgraziata di Sarah, che poco prima quasi le
staccava la
testa. Recuperò il guinzaglio che stava strisciando a terra
con un sospiro
rassegnato.
E tu, brutta bestia,
tu forse sei pure peggio di Sarah!
Va bene, ok, hai vinto
mormorò come se
sconfitto lo fosse davvero, ed in parte era proprio così,
amava quella bambina così
tanto che scorgere i suoi occhi inumidirsi, pur nella consapevolezza
della
finzione volta a piegarlo, bastava a piegarlo davvero.
«je
t'achète cette stupide crêpe. Mais j’ai
veux comme minimum un câlin!»
Ti prendo quella
stupida
crepe. Ma voglio come minimo un abbraccio!
Jules
si aggrappò a lei come un polipo «Troppo tardi,
adesso è mia!» scatenando la
risata soddisfatta di Sarah, limpida e argentina come un bicchiere di
cristallo
appena sfiorato. Sentirla così serena lo mise di buon umore,
ma durò solo una
manciata d’istanti, il tempo di vedere la sua bestiolina
stampare un bacio
sulla guancia di quel suo inutile cugino.
«Ok,
basta effusioni, ridammi mia sorella!»
Gliela
sfilò letteralmente dalle braccia di forza, guadagnandosi
un’occhiata divertita
e derisoria insieme di Julian e il sottinteso che non aveva bisogno di
essere
esplicato a parole: sei proprio uno scemo a prendertela per davvero.
Demian
si sforzava sempre, di contenere la propria gelosia, ma con Sarah era
impossibile. Con sua sorella perdere il filo logico era fin troppo
semplice
delle volte, anche nei casi più ridicoli che lo facevano
apparire come un
bambino sospettoso e possessivo. L’aiutò ad
arrampicarsi sulle sue spalle e le
afferrò le gambe sottile per trattenerla e darle
stabilità, visto che la sua
peste di stare immobile proprio non ne era capace. Sentire il suo peso
morbido
addosso, sentirla appoggiare la guancia tra i suoi capelli, aveva su di
lui
l’effetto benefico di un balsamo su una piaga.
Era
per quella sensazione di rigenerante freschezza che amava stare con la
bambina,
abbracciarla forte e pensare che il mondo poteva anche andare al
diavolo, tanto
c’erano loro due, ci sarebbero sempre stati solo loro due,
ché da soli erano
distrutti, ma insieme si proteggevano, non erano persi, avevano un
attracco in
quella loro vita di solitudine e mancanze.
Sarah
stava canticchiando a bocca chiusa un motivetto, un suono familiare che
non
subito gli riuscì d’inquadrare, almeno fino a
quando non la sentì mormorare,
con la vocina cullata dal suo passo
«Toutouig
la la, va mabig,
Toutouig la la»
Le
lasciò una carezza dolce sulla gambina, mentre gli sembrava
quasi che Sarah gli
si adagiasse contro completamente, senza più forze, come
sfinita ad aderire
alla sua schiena. Gli faceva provare una tristezza delicata, la
malinconia di
una nostalgia struggente, di momenti condivisi che sembravano
così lontani, ed
invece erano solo un anno prima, una manciata di mesi che li avevano
però
allontanati. E allora non poteva non chiedersi se Sarah fosse
consapevole di
cosa gli ricordasse quella melodia, di che valore avesse per lui.
Se
quella ninna nanna sussurrata fosse un modo per fargli sentire
rimpianto e
mancanza di lei.
«Da vamm a
zo amañ, koantig
Ouzh da luskellat,
mignonig»
Aveva lo stesso
accento di maman, ma gli errori di pronuncia Demian li riconosceva come
i
propri, influenza delle mille volte in cui gliel’aveva
cantata al posto di
Jenevieve. Perché quella non era una ninna nanna qualunque,
era la ninna nanna.
Era la canzoncina
infantile che aveva sempre accompagnato i suoi ricordi più
intonsi, di quando
sua sorella ancora non esisteva e sua madre gli dedicava il suo amore
prima che
potesse prendere sonno. E poi, a sua volta, ci aveva trascorso le
serate a
sussurrarla a Sarah, anche quando lei già dormiva ma lui era
troppo triste e
stanco per riuscirci, di una stanchezza diversa e opprimente di vivere
che non avrebbe
ancora dovuto conoscere.
«Dami?»
«Dami? Incominci a
preoccuparmi»
«Fratellone?»
Una scossa, la voce
preoccupata di Sarah come un filo che lo strattonava e lo risbatteva
nel reale.
Chiuse gli occhi, li riaprì e rimise a fuoco i negozi, le
persone nel
corridoio, e Julian.
«Oui?»
«Tu
t'es
enchanté!»
Ti sei incantato!
lo prese in giro la
sua bestiolina, allacciandogli le braccia al collo in un improbabile e
problematica stretta, visto la posizione in cui la bambina si trovava.
«Eh certo, io ti chiamo per un’ora e non mi
consideri nemmeno se ti prendo a
calci negli stinchi, a lei rispondi subito! Bene. Questa me la segno,
io te lo
dico!»
«Jules, sei una
piaga che cammina!»
«Ingrato, con tutto
quello che faccio per te!»
«Tipo? A parte
imbucarti nei miei appuntamenti con mia sorella, rovinando giornate
altrimenti
perfette ovviamente»
«Ehi! Sei un
egoista. Io ero a casa da solo a far nulla, con che cuore mi avreste
abbandonato? Sarah mi voleva, vero Sarah?»
La bambina gli
dedicò una linguaccia «No!»
Julian non perse
l’occasione per bofonchiare le proprie rimostranze da
martire, fortunatamente
erano giusto arrivati e davanti a loro si profilò
l’insegna del negozio. Demian
i centri commerciali li odiava, ma aveva finalmente deciso di portare
Sarah a
comprare quel benedetto cellulare, così avrebbero potuto
contattarsi
direttamente senza passare dalla zia, e quindi quel giorno aveva fatto
un’eccezione.
Sarebbe stato un
pomeriggio perfetto… se non ci fosse stato Julian!
«Quel téléphone
portable tu m'achètes?» gli chiese lei, tutta
soddisfatta.
Che cellulare mi
prendi?
Sarebbe stata
l’unica bambina della sua età ad avere un telefono
e ne era estremamente
orgogliosa. Non che Demian nutrisse dei dubbi sull’impiego
che avrebbe finito
con il farne: avrebbe passato ore a giocare a
“Snake” esattamente come faceva
quando si appropriava impunemente del suo.
« Je
peux l'avoir comme le toi?» continuò, facendolo
ridere.
Lo posso avere uguale
al tuo?
« Tu peux avoir ça
que tu veux, bestiole! Jules, prendi Lala in braccio»
Puoi avere tutto
quello che vuoi, bestiolina!
Il cugino sbuffò
prontamente «Puzza. Non è giusto. Tu hai voluto
portare il cane, perché devo
tenerlo in braccio io?»
Perché il
cane dà meno fastidio ti te
«E se poi non la
lasciano entrare? Dai, fallo per me!»
Dem non poteva
vederla, ma non ne aveva bisogno per sapere che Sarah gli stava
certamente
facendo gli occhi dolci e il broncetto.
«Solo perché me lo
chiedi tu» cedette infine sbuffando, prima di prendere Lala
tra le braccia.
S’inoltrarono nell’ampio negozio e cercarono di
orientarsi con scarso successo,
affiancando gli scaffali dedicati alla playstation e ai videogiochi,
attraversando il reparto dei computer di ultima generazione, per
incappare poi
nella sezione televisori, videoregistratori e videocassette.
Raggiunsero infine
la jungla di cellulari e telefoni fissi e davanti a quelle infinite
quanto
sconosciute possibilità Demian provò un senso di
smarrimento caricaturale e
ridicolo.
«Cristo, una
commessa! Guardala come brilla dello splendore della
salvezza!»
«Sei davvero un
idiota»
Jules sorrise
impenitente prima di raggiungerla e placcarla con chissà
quale sconveniente
battuta da provolone fallito e Dem rimise a terra Sarah scuotendo la
testa per
quel caso umano con cui condivideva il sangue.
«Sapete già che
modello desiderate?»
La voce della donna
era modulata e formale, un sorriso affabile da venditrice veterana le
increspava il volto. Dietro quell’apparenza angelica e
disponibile si vedeva
perfettamente che già stava valutando tutte le ultime uscite
da proporre.
«Nokia 3330»
Demian decise di
interrompere il suo ipotetico flusso di pensieri sul nascere. Sarah
subito si
affrancò alla sua felpa e la tirò con poca
discrezione
« C'est
comme le toi?»
È come il
tuo?
Le scompigliò i
capelli e le sorrise, c’era qualcosa di dolce in lei persino
in gesti così
banali «Oui, sûre»
Mentre aspettavano,
l’occhio gli cadde su un modello di cellulare
dell’anno precedente in esposizione,
scontato. Non riuscì a non pensare ad Arianna, che era
tagliata fuori dal mondo
e dalla sera prima non gli era più stato possibile
contattarla perché, per
qualche assurda ragione, non aveva un telefono.
Si appuntò
mentalmente di segnalarle quell’occasione, se mai si fossero
rivisti.
All’idea di restare
sospeso per giorni, senza poterla sentire come in quel momento, si
frustrava
pure di più e aumentava il malumore, uno scontento
immotivato che non gli
riusciva di sopprimere.
Perché
diavolo non ti sei ancora fatta sentire?
***
«Terra chiama Dami.
Si può sapere che ti passa per la testa? Dai, sei
insopportabile quando fai il
tormentato assorto»
Da quando avevano
abbandonato il negozio Julian non aveva cessato un solo istante di
fargli il
terzo grado, camuffato dal suo abituale tono canzonatorio, un tentativo
di
rabbonirlo forse. Poco importava, Demian aveva deciso di non dargli
soddisfazione.
Dopo essersi
fermati ad un bar della zona ristoro del Centro Commerciale, avevano
occupato
una panchina ed ora Sarah, comodamente seduta sulle sue gambe, era
troppo presa
a godersi la sua tanto agognata crềpe alla Nutella per prestare loro
particolare attenzione. Lalami, sdraiata ai suoi piedi, era concentrata
a
rosicchiare il bordo sdrucito dei suoi jeans, e nell’insieme
Demian non
riusciva a trovare un appiglio a cui aggrapparsi per distrarre Jules.
Proprio mentre
disperava, il cellulare nella tasca vibrò, avvisandolo
dell’arrivo di un
messaggio. Non si mosse subito, per un istante trattenne il fiato,
quasi
paralizzato dalla possibilità che, finalmente, Arianna si
fosse fatta viva. L’aspettativa
era stata tanta che ora quasi temeva di leggere, il responso a tutta
quell’attesa avrebbe potuto deluderlo.
Si accorse che il
cugino lo stava fissando con le sopracciglia aggrottate, cercando di
leggere
nei suoi sguardi e nei suoi gesti quei pensieri che rifiutava
strenuamente di
condividere. Quegli occhi indagatori bastarono a dargli la spinta che
gli
serviva.
La delusione aveva
il sapore di una congestione.
Il nome sulla
schermata era quello di Nicolas, il tono del messaggio particolarmente
aggressivo lo invitava a farsi vivo presto.
Con un sospiro fece
scivolare di nuovo l’apparecchio nella tasca dei jeans, poi
guardò Sarah,
assorta e buffa, con l’angolo della bocca arricciato in
un’espressione di
soddisfazione gongolante. Non voleva rispondere a Niko, aveva bisogno
di
prendersi una pausa da lui e dal resto del gruppo. Dopo quella sera non
era più
riuscito ad incontrarli, il disagio per ciò che avevano
fatto gli era rimasto
addosso. Era assurdo, non era stata la cosa peggiore che avesse
combinato con
quei disastrati casi umani, eppure qualcosa era scattato nella sua
testa, un
interruttore che aveva acceso una luce, illuminando consapevolezze
impreviste.
Probabilmente, era
stato vedere Maximilian di persone a impedirgli di ridimensionare
l’avvenimento
fino a renderlo un’inezia.
«Non mi hai più
detto se hai o meno rivisto quella ragazza» colpì
il centro Julian scostandosi
il ciuffo biondo, con quella sua capacità di cogliere sempre
il problema con
naturalezza e nonchalance «Sei un po’ strano in
questi giorni. E non è
necessariamente una cosa negativa»
Aveva le braccia
intrecciate al petto, la sua aria saccente, la consapevolezza di
vederci anche
troppo bene era scritta in ogni angolo del suo volto affilato.
Sarah sussultò e
come un papavero appena svegliato, tutto stropicciato e distratto,
alzò i
grandi occhi da falco su di lui, aggrappandosi stretta alla maglietta
per
attirare la sua attenzione.
« Tu a
une fiancée, frère?»
Hai una ragazza
fratellone?
La sua vocina
labile intrisa di preoccupazione, simile a qualcuno che ha taciuto
troppo tempo
ed ora non sa più come parlare, gli trasmise un profondo
dispiacere. La guardò
ancora, pensò che Sarah aveva solo lui, che era il suo tutto
esattamente come
lei lo era per lui. Pensò che quel panico inespresso poteva
capirlo, già la sua
assenza era costante senza bisogno d’interventi esterni che
li allontanassero
ancora.
E si sentì
meschino. Forse la paura in quegli occhi gialli era proprio quella di
essere
sostituita, accantonata definitivamente, e lui invece aveva pensato
soltanto a
se stesso, aveva cercato un modo per stare meglio senza la sua
bestiolina.
Le sorrise, le
lasciò un bacio fugace tra i capelli di sole brunito.
«No, jamais. Je
n'ai pas du temps pour le femmes , j'ai toi, juste?»
No, mai. Non ho tempo
per le ragazze. Io ho te, giusto?
Sarah esitò, c’era
come una vena di malinconia impigliata nel suo sguardo, ma poi sorrise
tutta,
s’illuminò di gioia, si accoccolò a lui
come un gattino randagio in cerca d’affetto
e Dem poté solo chinare il capo, sconfitto dalla dolcezza.
Neanche tu mi dici le
bugie, vero?
Le domande di sua
sorella, quelle richieste implicite d’amore incondizionato e
purezza assoluta,
gli restavano conficcate come spine nell’anima. Non lo sapeva
nemmeno lui, dove
trovasse il coraggio di mentire ad una creatura tanto ingenua, ma
riuscirci con
tanta facilità lo faceva vergognare di se stesso.
«Non dovresti farlo»
sibilò Julian severo, come se gli avesse letto nel pensiero.
Allora Demian
scosse il capo e decise di non incrociare il suo volto carico di
rimproveri che
davanti a Sarah non poteva rivolgergli. La bambina aveva la bocca
sporca di
Nutella ed i capelli spettinati le uscivano dal nastro rosso. Li fece
scorrere
tra le dita e ricordò quando compiva quel gesto abituale con
maman, in quei
momenti che erano i loro pochi momenti. Ed infatti, sua sorella li
portava
acconciati con le ciocche laterali fermate dietro la testa con un
fiocco da
quando aveva trovato una foto della mamma da ragazzina. Così
raccolta, Sarah
sembrava ancora di più una bambolina, gli mancava la vena
diabolica di
Jenevieve che riusciva a dare malizia persino ad
un’acconciatura tanto
semplice.
«Ok, si sta facendo
tardi ora. Andiamo a casa?»
Dem sussultò, e con
lui Sarah, che abbassò le mani strette attorno al tovagliolo
come in una sorta
di resa totale e silenziosa. Quando sua sorella era triste si spegneva
in
maniera inspiegabile, ogni parte di lei si chiudeva e gridava silenzio,
orecchie occhi e naso, ogni senso si ritraeva al sicuro,
irraggiungibile, e
sembrava un corpo vuoto all’improvviso.
Assente e pallida,
come non la stesse più tenendo tra le braccia.
C’era qualcosa di
tremendamente triste nella distanza che l’allontanava da lui.
Le ore erano
trascorse in fretta, ma non sembravano mai abbastanza, avrebbe voluto
avere il
coraggio di dire che non voleva separarsi da lei, non ancora, non quel
giorno.
Avrebbe voluto che Sarah avesse lo stesso coraggio, invece restavano
sospesi
nel silenzio, cercando negli occhi dell’altro il medesimo
dispiacere.
Julian sospirò,
stropicciandosi la radice del naso «Dami, perché
non resti a dormire da noi per
una sera?»
Demian esitò, si
morse piano l’interno della guancia e valutò che,
forse, per una volta poteva
farlo, poteva accontentare Sarah. Ma poi immaginava il disagio, e
già poteva
sentirsi un intruso nell’altrimenti perfetto quadretto
familiare della zia, e
gli montava l’angoscia inspiegata che lo prendeva quando
contemplava qualcosa a
cui non poteva appartenere.
Scosse piano la
testa, un sentimento di leggero rimpianto per un’occasione
sfumata e
rassegnazione nel dover guardare sempre da lontano la fiaba di qualcun
altro,
uno spettatore indesiderato aggrappato come un parassita al mondo.
Con la mano cercò
quella di sua sorella, la strinse e iniziò a giocare
distrattamente con le sue
piccole dita.
«Tu
veux tourner chez nous, pour une soirée?»
domandò
abbozzando un sorriso pieno di mestizia
Vuoi tornare tu a casa
nostra, per una sera?
« Demain
Matin t'accompagne à l'école»
Domattina
poi ti
accompagno io a scuola
aggiunse, quasi
potesse rendersi una figura più affidabile così,
per convincerla forse. Perché
non aveva idea di come la sua bestiolina vivesse realmente
quell’allontanamento
dalla propria casa, né quanto ci stesse male. A confermare
le sue incertezze,
anche Sarah indugiò.
Assurdo, come il
piccolo tentennamento che non le permetteva di trovare le parole
potesse essere
per lui più doloroso di una verità meschina
gettata in faccia. La sua
bestiolina distese un sorriso e annuì
« Seulement
si tu termine de me lire le livre et puis tu dors avec moi»
Solo se finisci di
leggermi il libro, e poi dormi con me
« Évidemment je dors avec toi!
Nous ordonnons une
pizza?»
Certo che dormo con
te! Ordiniamo la pizza?
« Oui!
Cela Avec le frites!» esclamò subito raggiante.
Quella con le patatine
fritte!
Sarah era
un’abitudinaria, prendeva sempre la stessa, era confortante
che certe sue
abitudini non fossero cambiate in quel lasso di tempo.
«Ve bene se vado
con lui, vero Jules?» domandò ancora, il tono
della voce più basso, insicuro,
una bambina che aveva appena realizzato di aver preso una decisione
senza avere
il consenso degli adulti.
Anche Demian se ne
rese conto a tradimento, non poteva decidere da sé di
riprendersi Sarah, anche
lui era un bambino agli occhi della zia, e forse lo era davvero e
basta,
nonostante fosse convinto di potersela cavare da solo poi, a conti
fatti, nei
momenti cruciali, doveva volgere a Julian il medesimo sguardo di
supplica
speranzosa che animava gli occhioni di Sarah. Era di Julian il compito
di
riportarla a casa, Dem lo sapeva.
Lo aveva capito,
che il cugino in realtà non si imbucava nei suoi incontri
con sua sorella, ma
si univa sempre per supervisionare il suo comportamento con la bambina
al posto
della zia. Claire non era mai troppo contenta di lasciar dormire Sarah
fuori
durante la settimana scolastica e in aggiunta non si fidava per nulla
di lui,
lo viveva come un distratto e un irresponsabile, incapace di prestarle
le
giuste attenzioni e di ricordarsi banalità come, per
esempio, farla arrivare
puntuale a scuola.
Oltretutto, era
minorenne e unico abitante della casa, la somma di tutte queste
motivazioni era
per la zia un discreto deterrente, e nell’esasperazione del
cugino Demian ci
leggeva tutto il suo combattimento interiore.
Julian si concentrò
sul visetto dolce di Sarah, poi alzò gli occhi morbidi a
incrociare il suo
sguardo, sospirò e annuì.
«La porto a casa a
prendere la borsa di scuola e i vestiti, te la riporto tra
un’ora, ok? Alla
mamma lo spiego io»
Sarah scoppiò a
ridere per la contentezza incontenibile, si aggrappò al suo
collo con forza e
quasi lo strozzò, ma poi gli stampò decine di
baci a schiocco sulla guancia e
Demian pensò che respirare in fondo non era così
essenziale.
Sarah, solo lei era
essenziale.
«Magnifique! Puis
Je veux jouer avec lala! Au
contraire, je veux jouer à “Mickey
Mouse”! Tu me fais jouer une série, juste
frère? Je ne joue pas depuis beaucoup de temps!»
Che bello! Voglio
giocare con Lala! Anzi, voglio giocare
a “Topolino”! Mi fai fare una partita, vero
fratellone? Non ci gioco da
tantissimo tempo!
Demian le cinse il
corpicino sottile e la stritolò in una morsa possessiva che
aveva poco della tenerezza
di un abbraccio, una stretta da orso burbero che fece ridere la sua
bestiolina
un poco di più.
« Tout
ce que tu veux petite peste! Mais rapide, tu vas avec quel idiote.
Après tu vas, après tu retournes»
Tutto quello che vuoi,
piccola peste. Ma ora muoviti e
vai con quell’idiota. Prima vai prima torni!
Le lasciò un ultimo
bacio fra i capelli prima che Sarah balzasse a terra, sulle sue gambine
sottili, e si precipitasse infantilmente da Julian per afferrargli la
mano «Su,
forza! Andiamo!»
Jules scosse il
capo in una risata allegramente disperata, incrociò ancora i
suoi occhi e Dem
riuscì quasi a sentire le parole non dette “che ci
vuoi fare? È impossibile
dirle di no!”.
«Come vuoi, ma chérie!
Ci vediamo Dami»
Demian accennò un
sorriso a metà, addolcito da quella concessione.
«Grazie»
Lo sussurrò che
ormai il cugino era lontano, quasi nascosto da gruppi di persone a
passeggio
tra i negozi nel loro pomeriggio libero. Jules non poteva sentirlo, ed
era
meglio così.
Rimase seduto
ancora, in silenzio, e nonostante fosse immerso in un luogo pubblico
pieno di
gente, si sentì solo come quando restava in camera sua a
contemplare
un’immagine inafferrabile. In quell’esatto modo,
scollato dall’ambiente, con
solo la consapevolezza di Lalami ai suoi piedi ancora intenta a
rosicchiare i
suoi jeans, Dem cercava di afferrare un senso nel collage di immagini
sparse e
slegate che creava la sua vita.
Sarah ancora non
sapeva che maman aveva scelto di non tornare più a casa,
Jules glielo aveva
confermato quando avevano parlato, prima di uscire. Zia Claire aveva
deciso di
parlarne alla bambina solo quando lui si fosse fatto vivo, e di questo
almeno
Demian gli era grato. Aveva bisogno ancora di un po’ di tempo
per riflettere
meglio sul futuro e capire cosa fosse meglio fare, per sé
stesso e per la
bimba. Una parte di sé cercava di convincerlo che doveva,
che era assolutamente
necessario spiegare a Sarah l’evoluzione della malattia di
maman, non solo per prepararla
ad un “dopo” inevitabile che Demian aveva
accantonato fino alla fine, ma anche
perché era giusto che potesse vivere a fondo gli ultimi
momenti con Jenevieve
per non provare rimpianto.
Non voleva essere
la causa di quel rimpianto.
Eppure, la paura
istintiva che lo portava a proteggerla da qualunque forma di bruttura,
lo
spingeva al silenzio. Avrebbe voluto che Sarah potesse rimanere intonsa
e
innocente, ignara della morte, ignara della perdita.
Voleva che nulla
potesse turbarla e offuscare la sua luce limpida.
In quel garbuglio
di incertezze, l’unica possibilità che gli si
palesava davanti era anche
l’unica che non avrebbe mai desiderato: doveva affrontare la
zia. Aveva evitato
incontri prolungati con lei, aveva evitato di parlarle di questioni
importanti
negli ultimi mesi, perché Claire lo distruggeva. Eppure, non
vedeva soluzioni
al vicolo cieco in cui la malattia di sua madre li aveva incastrati,
aveva
bisogno lui stesso di comprendere appieno la situazione, cosa che, per
vigliaccheria, aveva scelto di non fare.
Se il momento di maman
è giunto, devo permettere a Sarah
di andare a trovarla.
Devo farlo
Se non lo avesse
fatto lui personalmente, questa volta Claire avrebbe scavalcato i suoi
desideri
e sarebbe andata avanti per la sua strada senza più
considerare il suo volere.
Non l’aveva ancora fatto senza il suo consenso grazie anche
alle parole di
maman, ma ora era tutto diverso.
Ora non lo avrebbe
più ascoltato.
Se Sarah deve vedere
maman, devo essere con lei.
Non ci sono scusanti,
sarò con lei.
***
«Prends quelle
pommes, cela dans le coin!»
Prendi quella mela,
quella nell’angolo!
la incitò Demian,
allungando istintivamente la mano per sfilarle il joystick. Sarah
schivò
rapidamente lui, ma non fu altrettanto pronta nell’evitare il
fungo appena
comparso nello schermo. Topolino ruzzolò malamente, si
rialzò e ricominciò a
correre verso di loro, l’espressione terrorizzata e
l’ombra del gigante che lo
inseguiva sempre più grande e incombente.
«Une pomme peste!
Tu dois prendre une pomme, tu es en train de ralentir trop!»
La mela, peste! Devi
prendere una mela, stai rallentando
troppo!
Sua sorella si
dimenò, piegandosi ora da un lato ora dall’altro
come se Topolino fosse
direttamente collegato ai suoi movimenti.
«Voila, tu l'a
manqué encore!»
Ecco, l’hai
mancata di nuovo!
«C'est ta faute, tu
n'es pas silencieux!»
È colpa tua
che non stai zitto!
ribatté la bambina,
alzando il joystick verso l’alto, a simulare un salto del
personaggio, come se
muovendosi lei stessa Topolino avesse potuto saltare più in
alto.
Guardarla giocare
era ciò che ci fosse di più divertente, per Dami:
era un vero disastro, non
stava assolutamente ferma e, quando veniva colpita o sbagliava,
s’infervorava
come mai le accadeva, inveiva contro il gioco e contro di lui,
mostrando un
lato del suo carattere solitamente sopito.
«No, c'est ta faute
parce que tu ne sais pas jouer! Je suis inquiété,
tu es comme nôtre cousin, je
dois vous enseigner tout!» la canzonò Demian,
mentre sullo schermo compariva la
scritta “Game Over”.
No, è colpa
tua che non sai proprio giocare! Sono
preoccupato, sei come tuo cugino, devo insegnarvi tutto io!
Sarah sbuffò e tirò
con stizza il joystick contro un cuscino del divano, poi
incrociò le braccia al
petto e gonfiò una guancia per palesare tutta la sua
irritazione da pulcino
indisposto
«Tu es un
porte-malheur, la prochain fois je réussira, tu verra! Mais
tu dois cesser de
me regarder!»
Tu mi porti sfortuna,
la prossima volta ci riuscirò,
vedrai! Però tu devi smetterla di fissarmi!
Fece per riavviare
la Play Station per ricominciare la partita dall’inizio, ma
Dem fu più rapido,
la afferrò per la vita e la sollevò come non
avesse peso, tenendola sotto
braccio con le gambe e le braccina che penzolavano buffamente. Sarah
però rispose
altrettanto prontamente con un calcio di punta sullo stinco,
strappandogli un lamento
tanto di sorpresa, quanto di dolore.
«Malédiction Sarah!»
Con
quell’aria angelica che si ritrova mi dimentico
sempre che è una bestiolina selvatica
«
Mets moi
par terre! Je veux jouer encore!»
Mettimi
giù! Voglio giocare ancora un po’!
«Eh non petite
peste, tu n'as pas bien compris. Il est dix heures et demie e demain tu
dois
aller à l'école. Tu dois aller à
dormir»
Eh no, piccola peste,
non hai capito bene. Sono le dieci
e mezza e domani hai scuola. È ora di andare a letto
«Je ne veux pas
aller à l'école, je veux rester à la
maison avec toi!»
Non voglio andare a
scuola, voglio stare a casa con te!
Demian aprì la
porta della camera di maman con il gomito e spinse con il ginocchio,
Sarah
riuscì a strappargli una risata e quasi la bambina gli
cadde. La scaricò
velocemente sul lettone matrimoniale morbido e fresco di lenzuola
appena
cambiate e il suo corpicino rimbalzò facendola scoppiare a
ridere.
«Qu'est ce que tu
voudrait faire?» domandò incuriosito, arricciando
il naso.
E che vorresti fare?
Sua sorella sollevò
le braccia al cielo e declamò soddisfatta «Nous
allons à Gardaland!»
Lo fece sorridere
ancora, per quella sua piccola follia infantile, perché
l’avrebbe portata a
Gardaland ogni giorno dell’anno se fosse servito. Si sedette
accanto a lei e si
lasciò cadere di schiena, per ritrovarsi supino a
contemplare il soffitto
dipinto a metà. Maman tempo prima aveva iniziato a pitturare
la sua camera da
letto, ma poi si era stancata e quella era rimasta incompleta, con la
quarta
parete e il soffitto spaccati da una linea di colore diverso.
«Cet été
sûrement.
Quand il sera plus chaud»
Questa Estate di
sicuro. Quando farà più caldo
Sarah si sollevò a
carponi, gli posò le manine sul petto e iniziò a
scuoterlo con tutta la sua
forza «Mais tu me lis au moins l'histoire?»
Almeno la storia me la
leggi?
Lo sporgere del suo
labbro inferiore in un broncio istintivo gli faceva venire voglia di
afferrarlo
e tirarlo, solo per sentirla lamentarsi.
«Sûre, après vas
à
te mettre le pyjama. Et tu vas à te laver aussi, au
contraire la tante me tue»
Certo, vai a metterti
il pigiama prima. E a lavarti, o la
zia mi ammazza
La bimba saltò a
piè pari giù dal letto e corse in bagno gridando
una canzone resa
irriconoscibile dalle sue terribili steccate. Demian sentì
la porta chiudersi e
la serratura scattare.
Gli sembrò assurdo,
Sarah non si era mai chiusa dentro, non avevano mai avuto problemi a
condividere il medesimo ambiente, era piccola e inconsapevole, non
aveva mai
provato vergogna. Non era vero, che non era cambiato nulla, la sua
sorellina
stava sviluppando il senso del pudore, provava timidezza ora, persino
con lui.
Era normale a nove
anni?
Gli sarebbe sempre
sembrato troppo presto, con lei, che fosse giusto o meno. Quando
vivevano
ancora insieme, la sua bestiolina nemmeno ci pensava che era un uomo,
non se ne
rendeva proprio conto, non con consapevolezza. La distanza iniziava a
cambiare
certi dettagli che gli era impossibile notare nei loro brevi incontri
giornalieri, era una realtà triste da realizzare.
Con uno sbuffo si
costrinse ad alzarsi.
Andò a sciacquarsi
con una doccia rapida nel bagno della taverna, per non disturbare Sarah
e
concederle tutto lo spazio da signorina che le serviva. Il getto
d’acqua calda
lasciò una scia di macchie rosse sulla pelle pallida, ma
nonostante il bruciore
sottile gli sciolse i muscoli tesi e lo rilassò. Non si
trattenne a lungo
quanto avrebbe desiderato per potersi godere il tepore, uscì
in fretta e si
asciugò i capelli frizionandoli con una salvietta.
Infilò una maglietta pulita,
i pantaloni della tuta, e con ancora la salvietta in testa fece di
corsa le
scale per ritornare dalla sorellina.
Sarah si era già
appallottolata sotto le coperte, accoccolata come il guscio di una
lumaca sul
cuscino, “Le Petite Prince” abbandonato vicino al
suo capo. Fissava assorta la
copertina consunta, una mano scivolava nel pelo di Lalami che le si era
acciambellata contro, aderendo alla linea del petto e delle gambe.
«Quatre éléphants
qui se balançaient
Sur une toile toile
toile,
Toile d'araignée…»
Stava canticchiando
con la voce impastata dal sonno che doveva averla travolta come sempre
dopo la
doccia. Quando era più piccola si addormentava quasi
all’istante, ora lottava
per restare sveglia aggrappandosi alle canzoncine infantili che avevano
accompagnato i loro giochi con i cugini, quelle imparate da Tristan e
Isabeau
nelle loro estati a Douarnenez.
Abbandonò la
salvietta sul comodino, scostò il piumone piano, per
segnalare la sua presenza
a Sarah, tanto concentrata da non averlo ancora notato. La bambina
alzò gli
occhi gonfi di sonno su di lui e gli sorrise dolcemente.
«Où nous sommes
arrivés?»
Dove siamo arrivati?
La sua bestiolina
si stropicciò gli occhi, a riprendere il contatto con il
presente, ma le sue
parole uscirono comunque impastate di stanchezza
«Sixième chapitre»
Demian prese tra le
mani il libricino usurato come stringesse una reliquia pronta a
disfarsi tra le
sue mani. Ciò che percepiva, ogni volta, era la sensazione
di riuscire ad
afferrare un’emozione, un ricordo cristallizzato che aveva
preso forma in un
libro. C’erano le sue speranze puerili, tra quelle righe, i
ricordi di sua
madre, dei momenti trascorsi insieme, di quando si era sentito tanto
solo da
aver supplicato disperatamente Jenevieve di regalargli una Volpe,
perché anche
lui voleva addomesticare qualcuno, anche lui desiderava avere qualcuno
che
fosse speciale per lui e solo per lui.
Lalami starnutì
strappandogli un accenno di risata.
Beh, alla fine ho
addomesticato Lala.
Circa
Forse era vero il
contrario, era stata Lalami ad addomesticarlo, dato che dormiva
impunemente sul
letto per quanto Demian si ripromettesse ogni volta di insegnarle a non
farlo e
quando lo guardava, con la sua espressione vittimistica più
collaudata, vinceva
su tutto, esattamente come Sarah.
Probabilmente, era
troppo debole di fronte alle cose che amava.
«Ya. Pa vez kreisteiz er
Stadoù-Unanet, an heol, an holl a oar se a ya
da guzh, e Bro-C’hall. A-walc’h e vefe gallout mont
da Vro-C’hall en ur
vunutenn evit arvestiñ ouzh ar
c’huzhheol»
Infatti.
Quando agli
Stati Uniti è mezzogiorno tutto il mondo sa che il sole
tramonta sulla Francia.
Basterebbe poter andare in Francia in un minuto per assistere al
tramonto.
«Arvestiñ?»
lo interruppe Sarah al solito, ché
anche da assonnata, più nel mondo onirico ormai che in
quello reale, restava
sufficientemente lucida da porsi troppe domande.
«Assister»
chiarì, sistemandosi meglio il cuscino dietro la schiena.
Sarah annuì piano e richiuse gli occhi, lasciandosi cullare
dalle sue parole,
da quell’accento tutto sbagliato che aveva in sé
qualcosa di rassicurante. La
lingua della nonna, era la lingua della buona notte.
«Met, siwazh, Bro-C’hall zo
kalz re bell. Hogen,
war da blanedenn ken bihan, a-walc’h oa dit sachañ
da gador eus un nebeut kammedoù.
Hag e selles ouzh ar serr-noz bewech ma ‘z poa
c’hoant…
-Un deiz,’m eus gwelet an heol o kuzhat
pergont teir gwech!
Un tammig diwezhatoc’h
ez ouzhpennes:
-Te ‘oar… pa vezer ken trist,
eo plijus
sellout ouzh ar c’huzh-heol…
-Deiz ar pergont teir gwech e oas ken trist
neuze?
Met ar priñs bihan ne
respontas ket»
Basterebbe poter
andare in Francia in un minuto per assistere al tramonto.
Sfortunatamente la
Francia è troppo lontana. Ma sul tuo piccolo pianeta ti
bastava spostare la tua
sedia di qualche passo.
E guardavi il
crepuscolo tutte le volte che volevi...
-Un giorno ho
visto il sole tramontare quarantatré volte!
E più tardi hai soggiunto:
-Sai... quando si è molto tristi si amano i
tramonti...
-Il giorno delle
quarantatré volte eri tanto triste?
Ma il piccolo principe non rispose
Sarah si avvicinò a
lui, si strinse al suo braccio come alla ricerca di qualcosa di solido
a cui
aggrapparsi, un gesto che raccoglieva in sé una tale
fragilità da turbarlo. La
cinse e la portò a sé, lasciò che quel
piccolo capo di Sole e vita si posasse
sul suo petto.
«Tu ne crois pas
qu'il a raison?»
Non pensi che lui
abbia ragione?
borbottò lei,
sfregando la guancia sulla sua maglietta come un micio indolente che
faceva le
fusa. La voce però, quella era lamentosa e debole, la voce
di qualcuno che
sentiva montare il pianto più affranto e lottava per
trattenerlo.
«Qu'est ce que tu
veux dire?»
Cosa intendi?
«La France… semble
vraiment trop loin. Il semble que nous ne la réviseront
plus. Et si la mère
meurt, peut être que nous ne la réviseront plus
vraiment, nous ne retourneront
jamais à la maison»
La Francia…
sembra veramente troppo lontana. È come se
non la dovessimo rivedere mai più. E se la mamma
morirà, forse non la vedremo
più davvero, non torneremo più a casa»
Iniziò a piangere.
Lo faceva piano,
con una discrezione così forte da ricordargli maman. Se non
l’avesse avuta tra
le braccia, se non avesse sentito attraverso il corpo sottile il cambio
del suo
respiro, non l’avrebbe notato.
Capiva cosa voleva
dire, era una mancanza che a sua volta lo tormentava. Erano due anni
ormai, che
non tornavano a casa. Proprio loro, che a Kerlatz ci erano cresciuti,
vi
avevano trascorso ogni Estate e ogni Inverno della loro vita e avevano
lasciato
là non solo la famiglia, ma anche gli amici più
cari, d’improvviso si erano
sentiti tagliati fuori dal quel mondo.
Gli sembrava solo
il giorno prima, l’ultima volta che si era rincorso per le
strade sterrate tra
i campi, a ridosso della scogliera, con Beau, Jules, Trix, Adrien e
Chris.
Gli sembrava ieri,
eppure erano già trascorsi anni.
La loro vita si era
fermata a quell’ultima volta, si era fermata al sogno di
poter rientrare a casa.
Ed invece, l’ultimo frammento vissuto con la sua famiglia era
stato il funerale
del nonno, e ci era andato da solo con Claire e Jules, senza maman,
senza sua
sorella.
Cosa doveva dirle?
Come poteva anche
solo sperare di lenire il senso di una mancanza che era anche la sua
stessa
ferita più grande?
«Si elle meurt, je l'a oublierai»
Se lei non ci
sarà più, la dimenticherò
Pianse più forte,
come piangono i bambini, non come piangeva lei.
Doveva essere stato
il sonno a spingerla a scoprire quelle sue primordiali paure. Dopo il
primo,
momentaneo attimo di smarrimento, in trance, Dami si sentì
scosso da quel pianto
come risvegliato da un coma profondo. Mise da parte il libro, la
strinse più
forte, nascose il viso tra i suoi capelli ed un nodo stretto attorno
alla gola
minacciò di soffocarlo. Forse, avrebbe potuto piangere anche
lui, avrebbero
potuto sfogarsi insieme, avrebbe potuto essere quell’inetto
che si sentiva.
Non trovava le
parole.
«Ne pas dire ça,
amour. Je te porterai à la maison, chaque fois tu voudrait.
Nous allons y avec
maman aussi... je»
Non dire
così, amore. Ti ci porterò io a casa, ogni volta
che vorrai. Ci andremo ancora anche con maman vedrai… io
si morse la guancia
per non crollare, per ritrovare nel dolore una logica. Per non
smarrirsi nelle
bugie che le stava raccontando, bugie che in realtà erano
solo le sue speranze,
erano quei sogni a cui si aggrappava ostinatamente prima di andare a
dormire.
Che tutto sarebbe
andato bene.
Che non sarebbero
rimasti soli.
Che maman non li
avrebbe lasciati a loro stessi.
«Je ne permettrai jamais que tu puisses l'oublier,
Sarah»
Non
permetterò mai che tu possa dimenticarla, Sarah
Prese le distanze, le
scostò i capelli dal
volto piccolo e molle di lacrime, le lentiggini erano semi gettati sul
campo
rosso delle sue guance.
«Je te parlerai
toujours d'elle, nous la rappèllerons ensemble.
Nous… nous ne la laisserons pas
aller loin. Tu ne oublieras jamais maman, je te le promets»
Ti parlerò
sempre di lei, la ricorderemo insieme. Noi…
noi non la lasceremo andare via. Non dimenticherai mai maman, te lo
prometto
Sarah non rispose,
ma annuì debolmente e gli occhi dorati ritrovarono un
barlume di lucidità in
quella tristezza profonda, nascosta agli occhi del mondo e ai suoi,
tanto
insospettabile da fare ancora più male una volta intravista.
«Ne pas oublier moi»
Non dimenticare
nemmeno me
Lo sussurrò, aveva
il sapore di una preghiera.
Demian ne rimase
agghiacciato.
Quelle parole gli
parvero quasi irreali, era impossibile che Sarah le avesse pronunciate
per il
semplice fatto che gli era impossibile credere che Sarah potesse
concepire un
pensiero tanto aberrante.
«Comme je pourrai
t'oublier?»
Come potrei
dimenticarti?
Tu sei il Sole attorno
al quale gravita la mia vita, sei
l’unica cosa bella.
Sei la prova che la
vita non è del tutto insensata.
Davvero non lo sai?
Se Sarah non lo
sapeva, se non lo capiva, allora aveva sbagliato ogni cosa e la sua
breve
esistenza era stata veramente inutile e priva di qualunque scopo.
L’idea che la sua
piccola peste covasse nel suo animo una solitudine tanto grande gli
fece male e
mai gli era parsa più fragile, mai il suo cuore si era
rivelato tanto insicuro.
Lo ascoltava battere forte, preda dell’agitazione, e sentiva
il proprio
sincronizzarsi a quello della bimba in un disperato tentativo di
raccordare le
loro anime.
Tornò a stringerla
forte, pensò che doveva calmarla, acquietare
quell’inquietudine che l’aveva
crocifisso al letto e gli aveva tolto il respiro.
Rimasero a
crogiolarsi nel calore della reciproca presenza e, lentamente, Demian
si
accorse che nonostante quel tamburellare sempre un poco nervoso, il
corpo di
Sarah si stava lentamente rilassando, piangere doveva averla spossata,
forse le
sue erano state solo lacrime di nervoso e stanchezza, forse non era
vero
niente.
Si stava
addormentando, ma lottava testardamente per tenere gli occhi aperti,
ancora un
poco, e cercava di guardarlo negli occhi quando le palpebre non si
facevano
troppo pesanti.
Sussurrò
«Ce n’est pas vrai.
Quand je ne serai plus ici, tu pourrai me oublier si tu te sens
mieux… je ne me
facherai pas, si tu es heureux»
Non è vero.
Quando non ci sarò più, potrai dimenticarmi
se ti farà stare meglio… non mi
arrabbierò se sei felice
Demian sentì una
lacrima colargli, come slegata da sé, sulla guancia.
Un’unica goccia che
sembrava estranea al suo corpo, estranea a lui e a tutto ciò
che cercava di pensare.
Non riusciva a raccogliere un’oncia di raziocinio per dirle
qualcosa di
profondo, di maturo e di rivelatorio che le avrebbe cambiato la vita.
No: ora sapeva, ora
capiva.
Sarah gli stava
facendo conoscere la disperazione più implacabile, la
sviscerava per lui, gli
mostrava il dolore. Ed era un male tanto grande che non riusciva quasi
a
percepirlo, a scinderlo dal proprio essere, era un malessere tanto
radicato da
identificarsi con la sua stessa persona e allora il suo corpo si
rivoltava e lo
rigettava, non poteva assimilarlo.
Lo liberava sotto
forma di una lacrima.
Lo inchiodava al
panico più assoluto.
«Tu seras ici toujours, tu ne dois pas
penser ces choses. Promets
le moi, to dois me promettre que tu ne le penseras plus»
Tu ci sarai sempre,
non devi pensare queste cose.
Giuramelo, giurami che non ci penserai mai più
«Je ne sais pas. Être adult doit être
beau… j’aurais voulu essayer»
Non lo so. Essere
grandi deve essere bello… mi sarebbe
piaciuto provare
Le manine si erano
contratte sulla sua maglietta, si erano aggrappate in un attimo di
disperazione
a lui, una stretta convulsa che Demian riuscì solo a
ricambiare. La
catastrofica sensazione d’impotenza e frustrazione lo
travolse e si trovò di
fronte alla realtà che meno era in grado di accettare: non
avrebbe mai potuto
fare davvero nulla per lei. Non c’erano campane di vetro
abbastanza grandi per
custodirla al sicuro senza ucciderla e certamente lui non aveva la
forza né le possibilità
per essere un vero scudo dalla sofferenza. Gli sembrava quasi di
vederla
scivolare, risucchiata dal senso di mancanza, la perdeva, perdeva
l’idea dell’ingenuità
di quell’anima candida, e non riusciva ad afferrarla.
Dove era,
l’ingenuità di Sarah?
Dov’era tutta la spensieratezza che con un solo sorriso si
trasmetteva attorno
a lei ridando lustro e colori al grigiore di un’esistenza
vuota?
Non lo pensa davvero,
non lei. Non è possibile, è solo un
momento, sono solo pensieri momentanei portati dalla stanchezza, che
scompaiono
in fretta.
Sarah non
può realmente credere a ciò che sta dicendo.
«Tu seras grand, tu pourras faire tout ce
que tu veux. Quand tu seras
grande nous les ferons ensemble. Tu seras une splendide adulte un jour,
et tu
seras toujours avec moi»
Tu sarai grande,
potrai fare un sacco di cose. Quando
sarai più grande le faremo insieme. Sarai una splendida
adulta un giorno, e
sarai sempre con me
Lo sussurrò tra i
suoi capelli, le baciò la nuca ancora e ancora, in un gesto
che era uno
scacciapensieri, una dolcezza che sperava potesse cancellare le
brutture
dell’idea della perdita che li avvolgeva.
Percepì il sorriso
della bambina irradiarsi come ne fosse scottato.
Il più piccolo
gesto di Sarah valeva ogni cosa, valeva il mondo.
«Tu a raison. Je serai
toujours avec
toi»
Hai ragione.
Sarò sempre con te
biascicò piano, con
tono impastato. Sbadigliò, si raccolse ancora, un piccolo
animaletto selvatico
ammansito dal calore e dall’amore, che in sé
però continuava ad avere una sorta
di diffidenza, un’energia latente pronta a scattare persino
nel sonno, un
nervosismo che era troppa vita, compressa in un corpo minuscolo
impossibilitato
a sopportarla.
«Tu me chantes une
berceuse?
Mi canti la ninna
nanna?
Come facevi prima, lesse Demian
tra le righe.
Si raccolse su un
fianco, per poterla avvolgere meglio nelle sue coccole,
accostò il viso al suo,
spiegazzato dalla stanchezza e dai pensieri troppo oscuri, troppo
inadeguati
per una bambina così piccola. Più che cantare,
Dem bisbigliò leggero al suo
orecchio, per frenare la voce ed evitare che si potesse spezzare, un
sussurro
per gridare che la sua era un’anima oppressa che minacciava
di frantumarsi.
Era un debole,
avrebbe voluto piangere.
Ma non ci riusciva.
«Toutouig la la, va
mabig
Toutouig la la
Ouzh da luskellat,
mignonig»
Come poteva parlarle
della morte, della perdita, dare una ragione di
essere al dolore, proprio alla sua sorellina, che la sofferenza della
sua
condizione doveva affrontarla ogni giorno?
Come poteva dirle che
anche avere una mamma le sarebbe stato negato?
«Toutouig la la…
Da vamm a zo amañ,
oanig
Dit-te o kanañ he sonig
En deiz all e ouele kalzik
Hag hiziv e
c'hoarzh da vammig»
Ogni parola aveva
il sapore di maman. Sapeva dell’infanzia che aveva perduto,
sapeva di tutte
quelle cose che non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare,
perché erano
troppo, erano memorie di un tempo che gli spezzava il cuore.
Era allora, che
aveva scoperto che la paura paralizzava, che si era riscoperto
vigliacco,
quando la malinconia lo colpiva a tradimento e si sentiva solo da
morire, e
avrebbe voluto urlare contro maman ancora e ancora, di guardarlo, di
guardare
Sarah, di ricordarsi di loro, ma poi non ci riusciva mai, non trovava
le parole
e il coraggio.
Restava, immobile,
davanti ad una porta chiusa, restava ad ascoltare sua madre piangere in
camera
sua quando credeva che lui e sua sorella non potessero accorgersene,
per lo
stesso terrore e la stessa sofferenza che lo imprigionavano.
Due solitudini
simili a rette parallele destinate a non incrociarsi, a non poter mai
condividere il proprio male. In quei momenti c’era solo
Sarah, l’unico conforto
a cui ancorarsi era la manina pallida, quasi bluastra, della sua
indifesa
sorellina. Era così bella, così ingenua, da
scacciare qualunque angoscia, e
guardarla stringergli l’indice e sospirare era tutto
ciò che di pulito e buono
restasse nella sua vita. Poi Sarah si era fatta più grande,
e lui aveva potuto
solo restarle accanto ad assicurarsi che chiudesse gli occhi e
riposasse bene,
accarezzandole i capelli con esasperata mestizia e quella ninna nanna
tra le
labbra.
«Toutouig la la,
'ta paourig
Poent eo serrañ da
lagadig
Toutouig la la,
bihanig
Ret eo diskuizhañ
da bennig
Toutouig la la,
rozennig
Da zivjod war va
c'halonig
Da nijal d'an neñv,
va aelig
Na zispleg ket da
askellig»
La mano della sua
bestiolina si era rilassata ed ora restava mollemente appoggiata al suo
petto.
Il corpo aveva perso ogni rigidità e mentre dormiva le sue
labbra schiuse
liberavano sbuffi di respiri che sembravano frammenti di pene liberate.
“Sai, quando si è
molto tristi si amano i tramonti” diceva il Piccolo Principe,
ed un sorriso
malinconico temprò il suo volto.
Sarah era il
tramonto su cui si posavano i suoi occhi quando la vita era troppo
triste.
Le donò un ultimo
bacio sulla fronte, con la delicatezza con cui si sfiorano i petali di
una
margherita recisa.
«Bonne nuit, Sarah»
ANGOLO AUTRICE
Non sono morta!
Poteva sembrarlo, e
invece no!
Né volevo mollare
la pubblicazione, ma sono stata immersa in grandi problemi e molto
lavoro, e
quindi non ho avuto il tempo di correggere i dialoghi in francese per
parecchi
mesi, essendo io un’analfabeta senza speranza.
La vera difficoltà
poi stava nel fatto che essendo qui molti, non ero certa di come
gestirli. La traduzione
direttamente sotto la frase mi è sembrata la più
pratica per il lettore,
sebbene visivamente fastidiosa, e quindi ho optato per questa
soluzione. Se ne
avete di migliori accetto suggerimenti, gli asterischi con
così tante frasi mi
sembravano pessimi!
Come sempre, non ho
granché da dire sulla storia, ho voluto mantenere la vecchia
struttura di
questo capitolo, ovvero un inizio leggero che scivola nel tragico,
forse troppo
calcato, ma desideravo mantenere lo spirito ingenuo della storia
originale, per
affetto almeno.
Dovrei pubblicare,
se tutto va bene, un altro capitolo prima di agosto, poi
entrerò in pausa perché
il 4 agosto partirò finalmente per la Cambogia e
starò via tutto il mese. Dovrei
ricominciare a pubblicare intorno a metà settembre.
Non che possiate
morire di trepidazione nell’attesa, ma almeno sapete
perché sparirò di nuovo!
A presto e buone
vacanze!
Ps: lo
ammetto, il capitolo era lungo… non ho
corretto la punteggiatura! Troppo stress!