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Autore: lady igraine    14/07/2017    0 recensioni
Demian ha quasi sedici anni, è armato della tragicità di un adolescente e dell’esperienza di vita di un uomo fin troppo intraprendente. La sua esistenza è in costante bilico tra un morboso amore per la propria famiglia, afflitta dal dramma della malattia terminale della madre, ed un mondo più oscuro, di amici poco raccomandabili che gli permettono di sfogare i sentimenti più ombrosi e repressi della sua anima. È in questa fase che lo incontra Arianna, infantile, irrequieta e altrettanto problematica ragazza, dotata di un instancabile sorriso che cela più malinconie e segreti che gioie. Sono tre, i mesi decisivi, quelli che, nel bene e nel male, lasceranno un segno indelebile nelle loro vite.
***
La coscienza era una bestia oscura che divorava da dentro, lasciando sempre l’impressione di facciata che tutto andasse bene.
"Le persone, da fuori, sembrano indistruttibili, perfette come bambole di plastica che non si possono rompere. È il dentro che è una fregatura, un agglomerato di marciume infilato a forza tra gli organi, da qualche parte"
La sua coscienza era terribile più di tutto, le toglieva molte cose, una ad una, con la noncuranza con cui un bambino strappa i petali ad una margherita
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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À Demian


Capitolo nono

Essere grandi

 

 

 

 

 

«Fratellone! Je veux une crêpe avec la Nutella et les fraises!»

La voce di Sarah era sempre morbida e confortante, permeata di una tenerezza fanciulla fragile come le sue spalle sottili. Demian la guardava trotterellare allegra qualche passo più avanti, con la sua chioma d’oro brunito che le nascondeva la schiena e Lalami tra le braccia. La cucciola era cresciuta molto nell’ultimo mese, pesava troppo e le stava scivolando lentamente, così la povera Lala restava sospesa in una posizione improbabile che pareva una tortura, a guardarla provava per lei un’incredibile pena.

«Petite Sarah, ma chèrie, ti prego metti giù quella palla di pelo dannata, rischi di diventare come tuo fratello»

«Che sarebbe comunque meglio che diventare come quell’idiota di tuo cugino» Demian freddò Jules con una gelida occhiataccia ammonitrice.

«E la crêpe

A volte Sarah gli ricordava il Piccolo Principe: non demordeva mai. Poteva porgli ancora e ancora il medesimo quesito ignorando completamente tutto il resto, come gli abituali battibecchi tra suocere che caratterizzavano qualsiasi interazione tra lui e Jules, e restava sempre depositato sulle sue labbra di rosa un sorriso velato in grado di scioglierlo.

Quasi

 

«Trop gâteaux te font mal»

Troppi dolci ti fanno male

 

La piccola peste tramutò immediatamente il suo sguardo adorante in un broncio dispettoso da fatina ammaliatrice. Si strinse la cagnolina al petto con più enfasi, come a cercare di creare un’immagine davanti alla quale Dami potesse capitolare, e Lalami emise un guaito di disperazione.

«Mais j’adore trop les gâteaux!» supplicò con vocina sottile e tenera.

«Ignoralo Sarah, ha solo il braccino corto»

«Jules!»

Il cugino ghignò, ignorando il suo richiamo con una sfacciataggine ai limiti del sopportabile. Sua sorella aveva aggrottato le sopracciglia e la sua espressione confusa, da cucciola che andava soffocata di baci, fu un chiaro indice che qualcosa le era sfuggito. Forse perché in casa Demian le si era sempre rivolto in francese, Sarah aveva qualche problema con alcune sottigliezze dell’italiano, come i modi di dire. Davanti al suo musino era difficile riuscire a racimolare un briciolo di fermezza.

«”Braccino corto”?»

«Oui, il est un radin!»

«Putain, Jules!»

Sarah si aggrappò piano alla sua manica, rendendo la situazione già precaria di Lalami estrema, e tentò ancora una volta di vincerlo con il suo atteggiamento tenero e indifeso, tutto da viziare. Distendeva le palpebre, increspava la boccuccia, e Demian capitolava come neve davanti ad un sole troppo caldo.

«Tu ne dépenserais pas trois mile lires non plus pour moi?»

Il desiderio di dirle di sì lo inchiodò un istante.

«Ce n’est pas pur l’argent, mais trop gâteaux ne te font….» le parole gli morirono sulle labbra,

schiuse in un sospiro strappato a tradimento. Era sempre difficile restare fermo nelle proprie convinzioni propedeutiche quando quella piccola viziata s’impuntava e lo travolgeva con tutta la sua dolcezza.

Julian lo precedette prima che gli riuscisse di provare a resistere al fascino di sua sorella con risoluzione «Ne t’inquiète pas, chérie, te la compro io» sorrise, guardandolo in tralice con quella sua espressione sorniona da carogna incarnata, solo per provocarlo. Aveva gli occhi di zio Lorenzo, linee morbide che scivolavano nel soffice, ma che con la sua pessima personalità Jules riusciva a sporcare di malizia e sottile ironia.

«Jules, Christos, cosa non hai capito della parola “no”?»

Sarah lasciò libera Lalami, che scivolò a terra con un rantolo di sollievo, e corse subito a braccia aperte verso il cugino. Jules raccolse il suo invito con un sorriso raggiante, la sollevò in aria e a Demian sembrò incredibilmente leggera, un riflesso fragile in controluce.

«Sei il mio preferito!»

Lo esclamò con impeto solo per guardarlo poi da sopra la linea della propria spalla e regalargli una linguaccia provocatrice. Basito osservò il bel volto della bimba, ed il pensiero fu automatico e spontaneo.

 

Passa troppo tempo con Julian

 

Lalami gli si era già accostata e grattava la sua gamba come a supplicarlo di non lasciarla più nelle mani di quella disgraziata di Sarah, che poco prima quasi le staccava la testa. Recuperò il guinzaglio che stava strisciando a terra con un sospiro rassegnato.

 

E tu, brutta bestia, tu forse sei pure peggio di Sarah!

 

«ok, va bien, tu as gagné»

Va bene, ok, hai vinto

 

mormorò come se sconfitto lo fosse davvero, ed in parte era proprio così, amava quella bambina così tanto che scorgere i suoi occhi inumidirsi, pur nella consapevolezza della finzione volta a piegarlo, bastava a piegarlo davvero.

 

«je t'achète cette stupide crêpe. Mais j’ai veux comme minimum un câlin!»

Ti prendo quella stupida crepe. Ma voglio come minimo un abbraccio!

 

Jules si aggrappò a lei come un polipo «Troppo tardi, adesso è mia!» scatenando la risata soddisfatta di Sarah, limpida e argentina come un bicchiere di cristallo appena sfiorato. Sentirla così serena lo mise di buon umore, ma durò solo una manciata d’istanti, il tempo di vedere la sua bestiolina stampare un bacio sulla guancia di quel suo inutile cugino.

«Ok, basta effusioni, ridammi mia sorella!»

Gliela sfilò letteralmente dalle braccia di forza, guadagnandosi un’occhiata divertita e derisoria insieme di Julian e il sottinteso che non aveva bisogno di essere esplicato a parole: sei proprio uno scemo a prendertela per davvero.

Demian si sforzava sempre, di contenere la propria gelosia, ma con Sarah era impossibile. Con sua sorella perdere il filo logico era fin troppo semplice delle volte, anche nei casi più ridicoli che lo facevano apparire come un bambino sospettoso e possessivo. L’aiutò ad arrampicarsi sulle sue spalle e le afferrò le gambe sottile per trattenerla e darle stabilità, visto che la sua peste di stare immobile proprio non ne era capace. Sentire il suo peso morbido addosso, sentirla appoggiare la guancia tra i suoi capelli, aveva su di lui l’effetto benefico di un balsamo su una piaga.

Era per quella sensazione di rigenerante freschezza che amava stare con la bambina, abbracciarla forte e pensare che il mondo poteva anche andare al diavolo, tanto c’erano loro due, ci sarebbero sempre stati solo loro due, ché da soli erano distrutti, ma insieme si proteggevano, non erano persi, avevano un attracco in quella loro vita di solitudine e mancanze.

Sarah stava canticchiando a bocca chiusa un motivetto, un suono familiare che non subito gli riuscì d’inquadrare, almeno fino a quando non la sentì mormorare, con la vocina cullata dal suo passo

«Toutouig la la, va mabig,
Toutouig la la»

 

Le lasciò una carezza dolce sulla gambina, mentre gli sembrava quasi che Sarah gli si adagiasse contro completamente, senza più forze, come sfinita ad aderire alla sua schiena. Gli faceva provare una tristezza delicata, la malinconia di una nostalgia struggente, di momenti condivisi che sembravano così lontani, ed invece erano solo un anno prima, una manciata di mesi che li avevano però allontanati. E allora non poteva non chiedersi se Sarah fosse consapevole di cosa gli ricordasse quella melodia, di che valore avesse per lui.

Se quella ninna nanna sussurrata fosse un modo per fargli sentire rimpianto e mancanza di lei.

 

«Da vamm a zo amañ, koantig

Ouzh da luskellat, mignonig»

Aveva lo stesso accento di maman, ma gli errori di pronuncia Demian li riconosceva come i propri, influenza delle mille volte in cui gliel’aveva cantata al posto di Jenevieve. Perché quella non era una ninna nanna qualunque, era la ninna nanna.

Era la canzoncina infantile che aveva sempre accompagnato i suoi ricordi più intonsi, di quando sua sorella ancora non esisteva e sua madre gli dedicava il suo amore prima che potesse prendere sonno. E poi, a sua volta, ci aveva trascorso le serate a sussurrarla a Sarah, anche quando lei già dormiva ma lui era troppo triste e stanco per riuscirci, di una stanchezza diversa e opprimente di vivere che non avrebbe ancora dovuto conoscere.

«Dami?»

«Dami? Incominci a preoccuparmi»

«Fratellone?»

Una scossa, la voce preoccupata di Sarah come un filo che lo strattonava e lo risbatteva nel reale. Chiuse gli occhi, li riaprì e rimise a fuoco i negozi, le persone nel corridoio, e Julian.

«Oui?»

 

«Tu t'es enchanté!»

Ti sei incantato!

 

lo prese in giro la sua bestiolina, allacciandogli le braccia al collo in un improbabile e problematica stretta, visto la posizione in cui la bambina si trovava.
«Eh certo, io ti chiamo per un’ora e non mi consideri nemmeno se ti prendo a calci negli stinchi, a lei rispondi subito! Bene. Questa me la segno, io te lo dico!»

«Jules, sei una piaga che cammina!»

«Ingrato, con tutto quello che faccio per te!»

«Tipo? A parte imbucarti nei miei appuntamenti con mia sorella, rovinando giornate altrimenti perfette ovviamente»

«Ehi! Sei un egoista. Io ero a casa da solo a far nulla, con che cuore mi avreste abbandonato? Sarah mi voleva, vero Sarah?»

La bambina gli dedicò una linguaccia «No!»

Julian non perse l’occasione per bofonchiare le proprie rimostranze da martire, fortunatamente erano giusto arrivati e davanti a loro si profilò l’insegna del negozio. Demian i centri commerciali li odiava, ma aveva finalmente deciso di portare Sarah a comprare quel benedetto cellulare, così avrebbero potuto contattarsi direttamente senza passare dalla zia, e quindi quel giorno aveva fatto un’eccezione.

Sarebbe stato un pomeriggio perfetto… se non ci fosse stato Julian!

«Quel téléphone portable tu m'achètes?» gli chiese lei, tutta soddisfatta.

Che cellulare mi prendi?

Sarebbe stata l’unica bambina della sua età ad avere un telefono e ne era estremamente orgogliosa. Non che Demian nutrisse dei dubbi sull’impiego che avrebbe finito con il farne: avrebbe passato ore a giocare a “Snake” esattamente come faceva quando si appropriava impunemente del suo.

« Je peux l'avoir comme le toi?» continuò, facendolo ridere.

Lo posso avere uguale al tuo?

 

« Tu peux avoir ça que tu veux, bestiole! Jules, prendi Lala in braccio»

Puoi avere tutto quello che vuoi, bestiolina!

 

Il cugino sbuffò prontamente «Puzza. Non è giusto. Tu hai voluto portare il cane, perché devo tenerlo in braccio io?»

 

Perché il cane dà meno fastidio ti te

 

«E se poi non la lasciano entrare? Dai, fallo per me!»

Dem non poteva vederla, ma non ne aveva bisogno per sapere che Sarah gli stava certamente facendo gli occhi dolci e il broncetto.

«Solo perché me lo chiedi tu» cedette infine sbuffando, prima di prendere Lala tra le braccia. S’inoltrarono nell’ampio negozio e cercarono di orientarsi con scarso successo, affiancando gli scaffali dedicati alla playstation e ai videogiochi, attraversando il reparto dei computer di ultima generazione, per incappare poi nella sezione televisori, videoregistratori e videocassette. Raggiunsero infine la jungla di cellulari e telefoni fissi e davanti a quelle infinite quanto sconosciute possibilità Demian provò un senso di smarrimento caricaturale e ridicolo.

«Cristo, una commessa! Guardala come brilla dello splendore della salvezza!»

«Sei davvero un idiota»

Jules sorrise impenitente prima di raggiungerla e placcarla con chissà quale sconveniente battuta da provolone fallito e Dem rimise a terra Sarah scuotendo la testa per quel caso umano con cui condivideva il sangue.

«Sapete già che modello desiderate?»

La voce della donna era modulata e formale, un sorriso affabile da venditrice veterana le increspava il volto. Dietro quell’apparenza angelica e disponibile si vedeva perfettamente che già stava valutando tutte le ultime uscite da proporre.

«Nokia 3330»

Demian decise di interrompere il suo ipotetico flusso di pensieri sul nascere. Sarah subito si affrancò alla sua felpa e la tirò con poca discrezione

 

« C'est comme le toi?»

È come il tuo?

 

Le scompigliò i capelli e le sorrise, c’era qualcosa di dolce in lei persino in gesti così banali «Oui, sûre»

Mentre aspettavano, l’occhio gli cadde su un modello di cellulare dell’anno precedente in esposizione, scontato. Non riuscì a non pensare ad Arianna, che era tagliata fuori dal mondo e dalla sera prima non gli era più stato possibile contattarla perché, per qualche assurda ragione, non aveva un telefono.

Si appuntò mentalmente di segnalarle quell’occasione, se mai si fossero rivisti.

All’idea di restare sospeso per giorni, senza poterla sentire come in quel momento, si frustrava pure di più e aumentava il malumore, uno scontento immotivato che non gli riusciva di sopprimere.

 

Perché diavolo non ti sei ancora fatta sentire?




 ***

 

«Terra chiama Dami. Si può sapere che ti passa per la testa? Dai, sei insopportabile quando fai il tormentato assorto»

Da quando avevano abbandonato il negozio Julian non aveva cessato un solo istante di fargli il terzo grado, camuffato dal suo abituale tono canzonatorio, un tentativo di rabbonirlo forse. Poco importava, Demian aveva deciso di non dargli soddisfazione.

Dopo essersi fermati ad un bar della zona ristoro del Centro Commerciale, avevano occupato una panchina ed ora Sarah, comodamente seduta sulle sue gambe, era troppo presa a godersi la sua tanto agognata crềpe alla Nutella per prestare loro particolare attenzione. Lalami, sdraiata ai suoi piedi, era concentrata a rosicchiare il bordo sdrucito dei suoi jeans, e nell’insieme Demian non riusciva a trovare un appiglio a cui aggrapparsi per distrarre Jules.

Proprio mentre disperava, il cellulare nella tasca vibrò, avvisandolo dell’arrivo di un messaggio. Non si mosse subito, per un istante trattenne il fiato, quasi paralizzato dalla possibilità che, finalmente, Arianna si fosse fatta viva. L’aspettativa era stata tanta che ora quasi temeva di leggere, il responso a tutta quell’attesa avrebbe potuto deluderlo.

Si accorse che il cugino lo stava fissando con le sopracciglia aggrottate, cercando di leggere nei suoi sguardi e nei suoi gesti quei pensieri che rifiutava strenuamente di condividere. Quegli occhi indagatori bastarono a dargli la spinta che gli serviva.

La delusione aveva il sapore di una congestione.

Il nome sulla schermata era quello di Nicolas, il tono del messaggio particolarmente aggressivo lo invitava a farsi vivo presto.

Con un sospiro fece scivolare di nuovo l’apparecchio nella tasca dei jeans, poi guardò Sarah, assorta e buffa, con l’angolo della bocca arricciato in un’espressione di soddisfazione gongolante. Non voleva rispondere a Niko, aveva bisogno di prendersi una pausa da lui e dal resto del gruppo. Dopo quella sera non era più riuscito ad incontrarli, il disagio per ciò che avevano fatto gli era rimasto addosso. Era assurdo, non era stata la cosa peggiore che avesse combinato con quei disastrati casi umani, eppure qualcosa era scattato nella sua testa, un interruttore che aveva acceso una luce, illuminando consapevolezze impreviste.

Probabilmente, era stato vedere Maximilian di persone a impedirgli di ridimensionare l’avvenimento fino a renderlo un’inezia.

«Non mi hai più detto se hai o meno rivisto quella ragazza» colpì il centro Julian scostandosi il ciuffo biondo, con quella sua capacità di cogliere sempre il problema con naturalezza e nonchalance «Sei un po’ strano in questi giorni. E non è necessariamente una cosa negativa»

Aveva le braccia intrecciate al petto, la sua aria saccente, la consapevolezza di vederci anche troppo bene era scritta in ogni angolo del suo volto affilato.

Sarah sussultò e come un papavero appena svegliato, tutto stropicciato e distratto, alzò i grandi occhi da falco su di lui, aggrappandosi stretta alla maglietta per attirare la sua attenzione.

 

« Tu a une fiancée, frère?»

Hai una ragazza fratellone?

 

La sua vocina labile intrisa di preoccupazione, simile a qualcuno che ha taciuto troppo tempo ed ora non sa più come parlare, gli trasmise un profondo dispiacere. La guardò ancora, pensò che Sarah aveva solo lui, che era il suo tutto esattamente come lei lo era per lui. Pensò che quel panico inespresso poteva capirlo, già la sua assenza era costante senza bisogno d’interventi esterni che li allontanassero ancora.

E si sentì meschino. Forse la paura in quegli occhi gialli era proprio quella di essere sostituita, accantonata definitivamente, e lui invece aveva pensato soltanto a se stesso, aveva cercato un modo per stare meglio senza la sua bestiolina.

Le sorrise, le lasciò un bacio fugace tra i capelli di sole brunito.

 

«No, jamais. Je n'ai pas du temps pour le femmes , j'ai toi, juste?»

No, mai. Non ho tempo per le ragazze. Io ho te, giusto?

 

Sarah esitò, c’era come una vena di malinconia impigliata nel suo sguardo, ma poi sorrise tutta, s’illuminò di gioia, si accoccolò a lui come un gattino randagio in cerca d’affetto e Dem poté solo chinare il capo, sconfitto dalla dolcezza.

 

Neanche tu mi dici le bugie, vero?

 

Le domande di sua sorella, quelle richieste implicite d’amore incondizionato e purezza assoluta, gli restavano conficcate come spine nell’anima. Non lo sapeva nemmeno lui, dove trovasse il coraggio di mentire ad una creatura tanto ingenua, ma riuscirci con tanta facilità lo faceva vergognare di se stesso.

«Non dovresti farlo» sibilò Julian severo, come se gli avesse letto nel pensiero.

Allora Demian scosse il capo e decise di non incrociare il suo volto carico di rimproveri che davanti a Sarah non poteva rivolgergli. La bambina aveva la bocca sporca di Nutella ed i capelli spettinati le uscivano dal nastro rosso. Li fece scorrere tra le dita e ricordò quando compiva quel gesto abituale con maman, in quei momenti che erano i loro pochi momenti. Ed infatti, sua sorella li portava acconciati con le ciocche laterali fermate dietro la testa con un fiocco da quando aveva trovato una foto della mamma da ragazzina. Così raccolta, Sarah sembrava ancora di più una bambolina, gli mancava la vena diabolica di Jenevieve che riusciva a dare malizia persino ad un’acconciatura tanto semplice.

«Ok, si sta facendo tardi ora. Andiamo a casa?»

Dem sussultò, e con lui Sarah, che abbassò le mani strette attorno al tovagliolo come in una sorta di resa totale e silenziosa. Quando sua sorella era triste si spegneva in maniera inspiegabile, ogni parte di lei si chiudeva e gridava silenzio, orecchie occhi e naso, ogni senso si ritraeva al sicuro, irraggiungibile, e sembrava un corpo vuoto all’improvviso.

Assente e pallida, come non la stesse più tenendo tra le braccia.

C’era qualcosa di tremendamente triste nella distanza che l’allontanava da lui.

Le ore erano trascorse in fretta, ma non sembravano mai abbastanza, avrebbe voluto avere il coraggio di dire che non voleva separarsi da lei, non ancora, non quel giorno. Avrebbe voluto che Sarah avesse lo stesso coraggio, invece restavano sospesi nel silenzio, cercando negli occhi dell’altro il medesimo dispiacere.

Julian sospirò, stropicciandosi la radice del naso «Dami, perché non resti a dormire da noi per una sera?»

Demian esitò, si morse piano l’interno della guancia e valutò che, forse, per una volta poteva farlo, poteva accontentare Sarah. Ma poi immaginava il disagio, e già poteva sentirsi un intruso nell’altrimenti perfetto quadretto familiare della zia, e gli montava l’angoscia inspiegata che lo prendeva quando contemplava qualcosa a cui non poteva appartenere.

Scosse piano la testa, un sentimento di leggero rimpianto per un’occasione sfumata e rassegnazione nel dover guardare sempre da lontano la fiaba di qualcun altro, uno spettatore indesiderato aggrappato come un parassita al mondo.

Con la mano cercò quella di sua sorella, la strinse e iniziò a giocare distrattamente con le sue piccole dita.

 «Tu veux tourner chez nous, pour une soirée?» domandò abbozzando un sorriso pieno di mestizia

Vuoi tornare tu a casa nostra, per una sera?

« Demain Matin t'accompagne à l'école»

 Domattina poi ti accompagno io a scuola

 

aggiunse, quasi potesse rendersi una figura più affidabile così, per convincerla forse. Perché non aveva idea di come la sua bestiolina vivesse realmente quell’allontanamento dalla propria casa, né quanto ci stesse male. A confermare le sue incertezze, anche Sarah indugiò.

Assurdo, come il piccolo tentennamento che non le permetteva di trovare le parole potesse essere per lui più doloroso di una verità meschina gettata in faccia. La sua bestiolina distese un sorriso e annuì

 

« Seulement si tu termine de me lire le livre et puis tu dors avec moi»

Solo se finisci di leggermi il libro, e poi dormi con me

 

« Évidemment je dors avec toi! Nous ordonnons une pizza?»

Certo che dormo con te! Ordiniamo la pizza?

 

« Oui! Cela Avec le frites!» esclamò subito raggiante.

Quella con le patatine fritte!

 

Sarah era un’abitudinaria, prendeva sempre la stessa, era confortante che certe sue abitudini non fossero cambiate in quel lasso di tempo.

«Ve bene se vado con lui, vero Jules?» domandò ancora, il tono della voce più basso, insicuro, una bambina che aveva appena realizzato di aver preso una decisione senza avere il consenso degli adulti.

Anche Demian se ne rese conto a tradimento, non poteva decidere da sé di riprendersi Sarah, anche lui era un bambino agli occhi della zia, e forse lo era davvero e basta, nonostante fosse convinto di potersela cavare da solo poi, a conti fatti, nei momenti cruciali, doveva volgere a Julian il medesimo sguardo di supplica speranzosa che animava gli occhioni di Sarah. Era di Julian il compito di riportarla a casa, Dem lo sapeva.

Lo aveva capito, che il cugino in realtà non si imbucava nei suoi incontri con sua sorella, ma si univa sempre per supervisionare il suo comportamento con la bambina al posto della zia. Claire non era mai troppo contenta di lasciar dormire Sarah fuori durante la settimana scolastica e in aggiunta non si fidava per nulla di lui, lo viveva come un distratto e un irresponsabile, incapace di prestarle le giuste attenzioni e di ricordarsi banalità come, per esempio, farla arrivare puntuale a scuola.

Oltretutto, era minorenne e unico abitante della casa, la somma di tutte queste motivazioni era per la zia un discreto deterrente, e nell’esasperazione del cugino Demian ci leggeva tutto il suo combattimento interiore.

Julian si concentrò sul visetto dolce di Sarah, poi alzò gli occhi morbidi a incrociare il suo sguardo, sospirò e annuì.

«La porto a casa a prendere la borsa di scuola e i vestiti, te la riporto tra un’ora, ok? Alla mamma lo spiego io»

Sarah scoppiò a ridere per la contentezza incontenibile, si aggrappò al suo collo con forza e quasi lo strozzò, ma poi gli stampò decine di baci a schiocco sulla guancia e Demian pensò che respirare in fondo non era così essenziale.

Sarah, solo lei era essenziale.

 

«Magnifique! Puis Je veux jouer avec lala! Au contraire, je veux jouer à “Mickey Mouse”! Tu me fais jouer une série, juste frère? Je ne joue pas depuis beaucoup de temps!»

Che bello! Voglio giocare con Lala! Anzi, voglio giocare a “Topolino”! Mi fai fare una partita, vero fratellone? Non ci gioco da tantissimo tempo!

 

Demian le cinse il corpicino sottile e la stritolò in una morsa possessiva che aveva poco della tenerezza di un abbraccio, una stretta da orso burbero che fece ridere la sua bestiolina un poco di più.

« Tout ce que tu veux petite peste! Mais rapide, tu vas avec quel idiote. Après tu vas, après tu retournes»

Tutto quello che vuoi, piccola peste. Ma ora muoviti e vai con quell’idiota. Prima vai prima torni!

 

Le lasciò un ultimo bacio fra i capelli prima che Sarah balzasse a terra, sulle sue gambine sottili, e si precipitasse infantilmente da Julian per afferrargli la mano «Su, forza! Andiamo!»

Jules scosse il capo in una risata allegramente disperata, incrociò ancora i suoi occhi e Dem riuscì quasi a sentire le parole non dette “che ci vuoi fare? È impossibile dirle di no!”.

«Come vuoi, ma chérie! Ci vediamo Dami»

Demian accennò un sorriso a metà, addolcito da quella concessione.

«Grazie»

Lo sussurrò che ormai il cugino era lontano, quasi nascosto da gruppi di persone a passeggio tra i negozi nel loro pomeriggio libero. Jules non poteva sentirlo, ed era meglio così.

Rimase seduto ancora, in silenzio, e nonostante fosse immerso in un luogo pubblico pieno di gente, si sentì solo come quando restava in camera sua a contemplare un’immagine inafferrabile. In quell’esatto modo, scollato dall’ambiente, con solo la consapevolezza di Lalami ai suoi piedi ancora intenta a rosicchiare i suoi jeans, Dem cercava di afferrare un senso nel collage di immagini sparse e slegate che creava la sua vita.

Sarah ancora non sapeva che maman aveva scelto di non tornare più a casa, Jules glielo aveva confermato quando avevano parlato, prima di uscire. Zia Claire aveva deciso di parlarne alla bambina solo quando lui si fosse fatto vivo, e di questo almeno Demian gli era grato. Aveva bisogno ancora di un po’ di tempo per riflettere meglio sul futuro e capire cosa fosse meglio fare, per sé stesso e per la bimba. Una parte di sé cercava di convincerlo che doveva, che era assolutamente necessario spiegare a Sarah l’evoluzione della malattia di maman, non solo per prepararla ad un “dopo” inevitabile che Demian aveva accantonato fino alla fine, ma anche perché era giusto che potesse vivere a fondo gli ultimi momenti con Jenevieve per non provare rimpianto.

Non voleva essere la causa di quel rimpianto.

Eppure, la paura istintiva che lo portava a proteggerla da qualunque forma di bruttura, lo spingeva al silenzio. Avrebbe voluto che Sarah potesse rimanere intonsa e innocente, ignara della morte, ignara della perdita.

Voleva che nulla potesse turbarla e offuscare la sua luce limpida.

In quel garbuglio di incertezze, l’unica possibilità che gli si palesava davanti era anche l’unica che non avrebbe mai desiderato: doveva affrontare la zia. Aveva evitato incontri prolungati con lei, aveva evitato di parlarle di questioni importanti negli ultimi mesi, perché Claire lo distruggeva. Eppure, non vedeva soluzioni al vicolo cieco in cui la malattia di sua madre li aveva incastrati, aveva bisogno lui stesso di comprendere appieno la situazione, cosa che, per vigliaccheria, aveva scelto di non fare.

Se il momento di maman è giunto, devo permettere a Sarah di andare a trovarla.

Devo farlo

 

Se non lo avesse fatto lui personalmente, questa volta Claire avrebbe scavalcato i suoi desideri e sarebbe andata avanti per la sua strada senza più considerare il suo volere. Non l’aveva ancora fatto senza il suo consenso grazie anche alle parole di maman, ma ora era tutto diverso.

Ora non lo avrebbe più ascoltato.

 

Se Sarah deve vedere maman, devo essere con lei.

Non ci sono scusanti, sarò con lei.



***

«Prends quelle pommes, cela dans le coin!»

Prendi quella mela, quella nell’angolo!

 

la incitò Demian, allungando istintivamente la mano per sfilarle il joystick. Sarah schivò rapidamente lui, ma non fu altrettanto pronta nell’evitare il fungo appena comparso nello schermo. Topolino ruzzolò malamente, si rialzò e ricominciò a correre verso di loro, l’espressione terrorizzata e l’ombra del gigante che lo inseguiva sempre più grande e incombente.

 

«Une pomme peste! Tu dois prendre une pomme, tu es en train de ralentir trop!»

La mela, peste! Devi prendere una mela, stai rallentando troppo!

 

Sua sorella si dimenò, piegandosi ora da un lato ora dall’altro come se Topolino fosse direttamente collegato ai suoi movimenti.

 

«Voila, tu l'a manqué encore!»

Ecco, l’hai mancata di nuovo!

 

«C'est ta faute, tu n'es pas silencieux!»

È colpa tua che non stai zitto!

 

ribatté la bambina, alzando il joystick verso l’alto, a simulare un salto del personaggio, come se muovendosi lei stessa Topolino avesse potuto saltare più in alto.

Guardarla giocare era ciò che ci fosse di più divertente, per Dami: era un vero disastro, non stava assolutamente ferma e, quando veniva colpita o sbagliava, s’infervorava come mai le accadeva, inveiva contro il gioco e contro di lui, mostrando un lato del suo carattere solitamente sopito.

 

«No, c'est ta faute parce que tu ne sais pas jouer! Je suis inquiété, tu es comme nôtre cousin, je dois vous enseigner tout!» la canzonò Demian, mentre sullo schermo compariva la scritta “Game Over”.

No, è colpa tua che non sai proprio giocare! Sono preoccupato, sei come tuo cugino, devo insegnarvi tutto io!

 

Sarah sbuffò e tirò con stizza il joystick contro un cuscino del divano, poi incrociò le braccia al petto e gonfiò una guancia per palesare tutta la sua irritazione da pulcino indisposto

 

«Tu es un porte-malheur, la prochain fois je réussira, tu verra! Mais tu dois cesser de me regarder!»

Tu mi porti sfortuna, la prossima volta ci riuscirò, vedrai! Però tu devi smetterla di fissarmi!

 

Fece per riavviare la Play Station per ricominciare la partita dall’inizio, ma Dem fu più rapido, la afferrò per la vita e la sollevò come non avesse peso, tenendola sotto braccio con le gambe e le braccina che penzolavano buffamente. Sarah però rispose altrettanto prontamente con un calcio di punta sullo stinco, strappandogli un lamento tanto di sorpresa, quanto di dolore.

«Malédiction Sarah!»

 

Con quell’aria angelica che si ritrova mi dimentico sempre che è una bestiolina selvatica

 

« Mets moi par terre! Je veux jouer encore!»

Mettimi giù! Voglio giocare ancora un po’!

 

«Eh non petite peste, tu n'as pas bien compris. Il est dix heures et demie e demain tu dois aller à l'école. Tu dois aller à dormir»

Eh no, piccola peste, non hai capito bene. Sono le dieci e mezza e domani hai scuola. È ora di andare a letto

 

«Je ne veux pas aller à l'école, je veux rester à la maison avec toi!»

Non voglio andare a scuola, voglio stare a casa con te!

 

Demian aprì la porta della camera di maman con il gomito e spinse con il ginocchio, Sarah riuscì a strappargli una risata e quasi la bambina gli cadde. La scaricò velocemente sul lettone matrimoniale morbido e fresco di lenzuola appena cambiate e il suo corpicino rimbalzò facendola scoppiare a ridere.

 

«Qu'est ce que tu voudrait faire?» domandò incuriosito, arricciando il naso.

E che vorresti fare?

 

Sua sorella sollevò le braccia al cielo e declamò soddisfatta «Nous allons à Gardaland!»

Lo fece sorridere ancora, per quella sua piccola follia infantile, perché l’avrebbe portata a Gardaland ogni giorno dell’anno se fosse servito. Si sedette accanto a lei e si lasciò cadere di schiena, per ritrovarsi supino a contemplare il soffitto dipinto a metà. Maman tempo prima aveva iniziato a pitturare la sua camera da letto, ma poi si era stancata e quella era rimasta incompleta, con la quarta parete e il soffitto spaccati da una linea di colore diverso.

 

«Cet été sûrement. Quand il sera plus chaud»

Questa Estate di sicuro. Quando farà più caldo

 

Sarah si sollevò a carponi, gli posò le manine sul petto e iniziò a scuoterlo con tutta la sua forza «Mais tu me lis au moins l'histoire?»

Almeno la storia me la leggi?

 

Lo sporgere del suo labbro inferiore in un broncio istintivo gli faceva venire voglia di afferrarlo e tirarlo, solo per sentirla lamentarsi.

 

«Sûre, après vas à te mettre le pyjama. Et tu vas à te laver aussi, au contraire la tante me tue»

Certo, vai a metterti il pigiama prima. E a lavarti, o la zia mi ammazza

 

La bimba saltò a piè pari giù dal letto e corse in bagno gridando una canzone resa irriconoscibile dalle sue terribili steccate. Demian sentì la porta chiudersi e la serratura scattare.

Gli sembrò assurdo, Sarah non si era mai chiusa dentro, non avevano mai avuto problemi a condividere il medesimo ambiente, era piccola e inconsapevole, non aveva mai provato vergogna. Non era vero, che non era cambiato nulla, la sua sorellina stava sviluppando il senso del pudore, provava timidezza ora, persino con lui.

Era normale a nove anni?

Gli sarebbe sempre sembrato troppo presto, con lei, che fosse giusto o meno. Quando vivevano ancora insieme, la sua bestiolina nemmeno ci pensava che era un uomo, non se ne rendeva proprio conto, non con consapevolezza. La distanza iniziava a cambiare certi dettagli che gli era impossibile notare nei loro brevi incontri giornalieri, era una realtà triste da realizzare.

Con uno sbuffo si costrinse ad alzarsi.

Andò a sciacquarsi con una doccia rapida nel bagno della taverna, per non disturbare Sarah e concederle tutto lo spazio da signorina che le serviva. Il getto d’acqua calda lasciò una scia di macchie rosse sulla pelle pallida, ma nonostante il bruciore sottile gli sciolse i muscoli tesi e lo rilassò. Non si trattenne a lungo quanto avrebbe desiderato per potersi godere il tepore, uscì in fretta e si asciugò i capelli frizionandoli con una salvietta. Infilò una maglietta pulita, i pantaloni della tuta, e con ancora la salvietta in testa fece di corsa le scale per ritornare dalla sorellina.

Sarah si era già appallottolata sotto le coperte, accoccolata come il guscio di una lumaca sul cuscino, “Le Petite Prince” abbandonato vicino al suo capo. Fissava assorta la copertina consunta, una mano scivolava nel pelo di Lalami che le si era acciambellata contro, aderendo alla linea del petto e delle gambe.

 

«Quatre éléphants qui se balançaient

Sur une toile toile toile,

Toile d'araignée…»

 

Stava canticchiando con la voce impastata dal sonno che doveva averla travolta come sempre dopo la doccia. Quando era più piccola si addormentava quasi all’istante, ora lottava per restare sveglia aggrappandosi alle canzoncine infantili che avevano accompagnato i loro giochi con i cugini, quelle imparate da Tristan e Isabeau nelle loro estati a Douarnenez.

Abbandonò la salvietta sul comodino, scostò il piumone piano, per segnalare la sua presenza a Sarah, tanto concentrata da non averlo ancora notato. La bambina alzò gli occhi gonfi di sonno su di lui e gli sorrise dolcemente.

 

«Où nous sommes arrivés?»

Dove siamo arrivati?

 

La sua bestiolina si stropicciò gli occhi, a riprendere il contatto con il presente, ma le sue parole uscirono comunque impastate di stanchezza «Sixième chapitre»

Demian prese tra le mani il libricino usurato come stringesse una reliquia pronta a disfarsi tra le sue mani. Ciò che percepiva, ogni volta, era la sensazione di riuscire ad afferrare un’emozione, un ricordo cristallizzato che aveva preso forma in un libro. C’erano le sue speranze puerili, tra quelle righe, i ricordi di sua madre, dei momenti trascorsi insieme, di quando si era sentito tanto solo da aver supplicato disperatamente Jenevieve di regalargli una Volpe, perché anche lui voleva addomesticare qualcuno, anche lui desiderava avere qualcuno che fosse speciale per lui e solo per lui.

Lalami starnutì strappandogli un accenno di risata.

 

Beh, alla fine ho addomesticato Lala.

Circa

 

Forse era vero il contrario, era stata Lalami ad addomesticarlo, dato che dormiva impunemente sul letto per quanto Demian si ripromettesse ogni volta di insegnarle a non farlo e quando lo guardava, con la sua espressione vittimistica più collaudata, vinceva su tutto, esattamente come Sarah.

Probabilmente, era troppo debole di fronte alle cose che amava.

 

 

«Ya. Pa vez kreisteiz er Stadoù-Unanet, an heol, an holl a oar se a ya da guzh, e Bro-C’hall. A-walc’h e vefe gallout mont da Vro-C’hall en ur vunutenn evit arvestiñ ouzh ar c’huzhheol»

 

Infatti. Quando agli Stati Uniti è mezzogiorno tutto il mondo sa che il sole tramonta sulla Francia. Basterebbe poter andare in Francia in un minuto per assistere al tramonto.

 

         

«Arvestiñ?» lo interruppe Sarah al solito, ché anche da assonnata, più nel mondo onirico ormai che in quello reale, restava sufficientemente lucida da porsi troppe domande.

 

«Assister» chiarì, sistemandosi meglio il cuscino dietro la schiena. Sarah annuì piano e richiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalle sue parole, da quell’accento tutto sbagliato che aveva in sé qualcosa di rassicurante. La lingua della nonna, era la lingua della buona notte.

 

«Met, siwazh, Bro-C’hall zo kalz re bell. Hogen, war da blanedenn ken bihan, a-walc’h oa dit sachañ da gador eus un nebeut kammedoù. Hag e selles ouzh ar serr-noz bewech ma ‘z poa c’hoant…

-Un deiz,’m eus gwelet an heol o kuzhat pergont teir gwech!

Un tammig diwezhatoc’h ez ouzhpennes:

-Te ‘oar… pa vezer ken trist, eo plijus sellout ouzh ar c’huzh-heol…

-Deiz ar pergont teir gwech e oas ken trist neuze?

Met ar priñs bihan ne respontas ket»

 

 

Basterebbe poter andare in Francia in un minuto per assistere al tramonto. Sfortunatamente la Francia è troppo lontana. Ma sul tuo piccolo pianeta ti bastava spostare la tua sedia di qualche passo.

E guardavi il crepuscolo tutte le volte che volevi...

-Un giorno ho visto il sole tramontare quarantatré volte!
E più tardi hai soggiunto:
-Sai... quando si è molto tristi si amano i tramonti...

-Il giorno delle quarantatré volte eri tanto triste?
Ma il piccolo principe non rispose

 

Sarah si avvicinò a lui, si strinse al suo braccio come alla ricerca di qualcosa di solido a cui aggrapparsi, un gesto che raccoglieva in sé una tale fragilità da turbarlo. La cinse e la portò a sé, lasciò che quel piccolo capo di Sole e vita si posasse sul suo petto.

 

«Tu ne crois pas qu'il a raison?»

Non pensi che lui abbia ragione?

 

borbottò lei, sfregando la guancia sulla sua maglietta come un micio indolente che faceva le fusa. La voce però, quella era lamentosa e debole, la voce di qualcuno che sentiva montare il pianto più affranto e lottava per trattenerlo.

 

«Qu'est ce que tu veux dire?»

Cosa intendi?

 

«La France… semble vraiment trop loin. Il semble que nous ne la réviseront plus. Et si la mère meurt, peut être que nous ne la réviseront plus vraiment, nous ne retourneront jamais à la maison»

La Francia… sembra veramente troppo lontana. È come se non la dovessimo rivedere mai più. E se la mamma morirà, forse non la vedremo più davvero, non torneremo più a casa»

 

Iniziò a piangere.

Lo faceva piano, con una discrezione così forte da ricordargli maman. Se non l’avesse avuta tra le braccia, se non avesse sentito attraverso il corpo sottile il cambio del suo respiro, non l’avrebbe notato.

Capiva cosa voleva dire, era una mancanza che a sua volta lo tormentava. Erano due anni ormai, che non tornavano a casa. Proprio loro, che a Kerlatz ci erano cresciuti, vi avevano trascorso ogni Estate e ogni Inverno della loro vita e avevano lasciato là non solo la famiglia, ma anche gli amici più cari, d’improvviso si erano sentiti tagliati fuori dal quel mondo.

Gli sembrava solo il giorno prima, l’ultima volta che si era rincorso per le strade sterrate tra i campi, a ridosso della scogliera, con Beau, Jules, Trix, Adrien e Chris.

Gli sembrava ieri, eppure erano già trascorsi anni.

La loro vita si era fermata a quell’ultima volta, si era fermata al sogno di poter rientrare a casa. Ed invece, l’ultimo frammento vissuto con la sua famiglia era stato il funerale del nonno, e ci era andato da solo con Claire e Jules, senza maman, senza sua sorella.

Cosa doveva dirle?

Come poteva anche solo sperare di lenire il senso di una mancanza che era anche la sua stessa ferita più grande?


«Si elle meurt, je l'a oublierai»

Se lei non ci sarà più, la dimenticherò

Pianse più forte, come piangono i bambini, non come piangeva lei.

Doveva essere stato il sonno a spingerla a scoprire quelle sue primordiali paure. Dopo il primo, momentaneo attimo di smarrimento, in trance, Dami si sentì scosso da quel pianto come risvegliato da un coma profondo. Mise da parte il libro, la strinse più forte, nascose il viso tra i suoi capelli ed un nodo stretto attorno alla gola minacciò di soffocarlo. Forse, avrebbe potuto piangere anche lui, avrebbero potuto sfogarsi insieme, avrebbe potuto essere quell’inetto che si sentiva.

Non trovava le parole.

 

«Ne pas dire ça, amour. Je te porterai à la maison, chaque fois tu voudrait. Nous allons y avec maman aussi... je»

Non dire così, amore. Ti ci porterò io a casa, ogni volta che vorrai. Ci andremo ancora anche con maman vedrai… io

 

si morse la guancia per non crollare, per ritrovare nel dolore una logica. Per non smarrirsi nelle bugie che le stava raccontando, bugie che in realtà erano solo le sue speranze, erano quei sogni a cui si aggrappava ostinatamente prima di andare a dormire.

Che tutto sarebbe andato bene.

Che non sarebbero rimasti soli.

Che maman non li avrebbe lasciati a loro stessi.


«Je ne permettrai jamais que tu puisses l'oublier, Sarah»

Non permetterò mai che tu possa dimenticarla, Sarah

Prese le distanze, le scostò i capelli dal volto piccolo e molle di lacrime, le lentiggini erano semi gettati sul campo rosso delle sue guance.

 

«Je te parlerai toujours d'elle, nous la rappèllerons ensemble. Nous… nous ne la laisserons pas aller loin. Tu ne oublieras jamais maman, je te le promets»

Ti parlerò sempre di lei, la ricorderemo insieme. Noi… noi non la lasceremo andare via. Non dimenticherai mai maman, te lo prometto

 

Sarah non rispose, ma annuì debolmente e gli occhi dorati ritrovarono un barlume di lucidità in quella tristezza profonda, nascosta agli occhi del mondo e ai suoi, tanto insospettabile da fare ancora più male una volta intravista.

 

«Ne pas oublier moi»

Non dimenticare nemmeno me

 

Lo sussurrò, aveva il sapore di una preghiera.

Demian ne rimase agghiacciato.

Quelle parole gli parvero quasi irreali, era impossibile che Sarah le avesse pronunciate per il semplice fatto che gli era impossibile credere che Sarah potesse concepire un pensiero tanto aberrante.

 

«Comme je pourrai t'oublier?»

Come potrei dimenticarti?

 

Tu sei il Sole attorno al quale gravita la mia vita, sei l’unica cosa bella.

Sei la prova che la vita non è del tutto insensata.

Davvero non lo sai?

 

 

Se Sarah non lo sapeva, se non lo capiva, allora aveva sbagliato ogni cosa e la sua breve esistenza era stata veramente inutile e priva di qualunque scopo.

L’idea che la sua piccola peste covasse nel suo animo una solitudine tanto grande gli fece male e mai gli era parsa più fragile, mai il suo cuore si era rivelato tanto insicuro. Lo ascoltava battere forte, preda dell’agitazione, e sentiva il proprio sincronizzarsi a quello della bimba in un disperato tentativo di raccordare le loro anime.

Tornò a stringerla forte, pensò che doveva calmarla, acquietare quell’inquietudine che l’aveva crocifisso al letto e gli aveva tolto il respiro.

Rimasero a crogiolarsi nel calore della reciproca presenza e, lentamente, Demian si accorse che nonostante quel tamburellare sempre un poco nervoso, il corpo di Sarah si stava lentamente rilassando, piangere doveva averla spossata, forse le sue erano state solo lacrime di nervoso e stanchezza, forse non era vero niente.

Si stava addormentando, ma lottava testardamente per tenere gli occhi aperti, ancora un poco, e cercava di guardarlo negli occhi quando le palpebre non si facevano troppo pesanti.

Sussurrò

 

«Ce n’est pas vrai. Quand je ne serai plus ici, tu pourrai me oublier si tu te sens mieux… je ne me facherai pas, si tu es heureux»

Non è vero. Quando non ci sarò più, potrai dimenticarmi se ti farà stare meglio… non mi arrabbierò se sei felice

Demian sentì una lacrima colargli, come slegata da sé, sulla guancia. Un’unica goccia che sembrava estranea al suo corpo, estranea a lui e a tutto ciò che cercava di pensare. Non riusciva a raccogliere un’oncia di raziocinio per dirle qualcosa di profondo, di maturo e di rivelatorio che le avrebbe cambiato la vita.

No: ora sapeva, ora capiva.

Sarah gli stava facendo conoscere la disperazione più implacabile, la sviscerava per lui, gli mostrava il dolore. Ed era un male tanto grande che non riusciva quasi a percepirlo, a scinderlo dal proprio essere, era un malessere tanto radicato da identificarsi con la sua stessa persona e allora il suo corpo si rivoltava e lo rigettava, non poteva assimilarlo.

Lo liberava sotto forma di una lacrima.

Lo inchiodava al panico più assoluto.

 

«Tu seras ici toujours, tu ne dois pas penser ces choses. Promets le moi, to dois me promettre que tu ne le penseras plus»

Tu ci sarai sempre, non devi pensare queste cose. Giuramelo, giurami che non ci penserai mai più

 

«Je ne sais pas. Être adult doit être beau… j’aurais voulu essayer»

Non lo so. Essere grandi deve essere bello… mi sarebbe piaciuto provare

 

Le manine si erano contratte sulla sua maglietta, si erano aggrappate in un attimo di disperazione a lui, una stretta convulsa che Demian riuscì solo a ricambiare. La catastrofica sensazione d’impotenza e frustrazione lo travolse e si trovò di fronte alla realtà che meno era in grado di accettare: non avrebbe mai potuto fare davvero nulla per lei. Non c’erano campane di vetro abbastanza grandi per custodirla al sicuro senza ucciderla e certamente lui non aveva la forza né le possibilità per essere un vero scudo dalla sofferenza. Gli sembrava quasi di vederla scivolare, risucchiata dal senso di mancanza, la perdeva, perdeva l’idea dell’ingenuità di quell’anima candida, e non riusciva ad afferrarla.

Dove era, l’ingenuità di Sarah?
Dov’era tutta la spensieratezza che con un solo sorriso si trasmetteva attorno a lei ridando lustro e colori al grigiore di un’esistenza vuota?

 

Non lo pensa davvero, non lei. Non è possibile, è solo un momento, sono solo pensieri momentanei portati dalla stanchezza, che scompaiono in fretta.

Sarah non può realmente credere a ciò che sta dicendo.

 

«Tu seras grand, tu pourras faire tout ce que tu veux. Quand tu seras grande nous les ferons ensemble. Tu seras une splendide adulte un jour, et tu seras toujours avec moi»

Tu sarai grande, potrai fare un sacco di cose. Quando sarai più grande le faremo insieme. Sarai una splendida adulta un giorno, e sarai sempre con me

 

Lo sussurrò tra i suoi capelli, le baciò la nuca ancora e ancora, in un gesto che era uno scacciapensieri, una dolcezza che sperava potesse cancellare le brutture dell’idea della perdita che li avvolgeva.

Percepì il sorriso della bambina irradiarsi come ne fosse scottato.

Il più piccolo gesto di Sarah valeva ogni cosa, valeva il mondo.

 

«Tu a raison. Je serai toujours avec toi»

Hai ragione. Sarò sempre con te

 

biascicò piano, con tono impastato. Sbadigliò, si raccolse ancora, un piccolo animaletto selvatico ammansito dal calore e dall’amore, che in sé però continuava ad avere una sorta di diffidenza, un’energia latente pronta a scattare persino nel sonno, un nervosismo che era troppa vita, compressa in un corpo minuscolo impossibilitato a sopportarla.

 

«Tu me chantes une berceuse?

Mi canti la ninna nanna?

 

Come facevi prima, lesse Demian tra le righe.

Si raccolse su un fianco, per poterla avvolgere meglio nelle sue coccole, accostò il viso al suo, spiegazzato dalla stanchezza e dai pensieri troppo oscuri, troppo inadeguati per una bambina così piccola. Più che cantare, Dem bisbigliò leggero al suo orecchio, per frenare la voce ed evitare che si potesse spezzare, un sussurro per gridare che la sua era un’anima oppressa che minacciava di frantumarsi.

Era un debole, avrebbe voluto piangere.

Ma non ci riusciva.

 

 

«Toutouig la la, va mabig

Toutouig la la

Da vamm a zo amañ, koantig,

Ouzh da luskellat, mignonig»

 

Come poteva parlarle della morte, della perdita, dare una ragione di essere al dolore, proprio alla sua sorellina, che la sofferenza della sua condizione doveva affrontarla ogni giorno?

Come poteva dirle che anche avere una mamma le sarebbe stato negato?

 

 

«Toutouig la la…

Da vamm a zo amañ, oanig

Dit-te o kanañ he sonig

 

En deiz all e ouele kalzik

Hag hiziv e c'hoarzh da vammig»

 

Ogni parola aveva il sapore di maman. Sapeva dell’infanzia che aveva perduto, sapeva di tutte quelle cose che non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare, perché erano troppo, erano memorie di un tempo che gli spezzava il cuore.

Era allora, che aveva scoperto che la paura paralizzava, che si era riscoperto vigliacco, quando la malinconia lo colpiva a tradimento e si sentiva solo da morire, e avrebbe voluto urlare contro maman ancora e ancora, di guardarlo, di guardare Sarah, di ricordarsi di loro, ma poi non ci riusciva mai, non trovava le parole e il coraggio.

Restava, immobile, davanti ad una porta chiusa, restava ad ascoltare sua madre piangere in camera sua quando credeva che lui e sua sorella non potessero accorgersene, per lo stesso terrore e la stessa sofferenza che lo imprigionavano.

Due solitudini simili a rette parallele destinate a non incrociarsi, a non poter mai condividere il proprio male. In quei momenti c’era solo Sarah, l’unico conforto a cui ancorarsi era la manina pallida, quasi bluastra, della sua indifesa sorellina. Era così bella, così ingenua, da scacciare qualunque angoscia, e guardarla stringergli l’indice e sospirare era tutto ciò che di pulito e buono restasse nella sua vita. Poi Sarah si era fatta più grande, e lui aveva potuto solo restarle accanto ad assicurarsi che chiudesse gli occhi e riposasse bene, accarezzandole i capelli con esasperata mestizia e quella ninna nanna tra le labbra.

 

«Toutouig la la, 'ta paourig

Poent eo serrañ da lagadig

 

Toutouig la la, bihanig

Ret eo diskuizhañ da bennig

 

Toutouig la la, rozennig

Da zivjod war va c'halonig

 

Da nijal d'an neñv, va aelig

Na zispleg ket da askellig»

 

La mano della sua bestiolina si era rilassata ed ora restava mollemente appoggiata al suo petto. Il corpo aveva perso ogni rigidità e mentre dormiva le sue labbra schiuse liberavano sbuffi di respiri che sembravano frammenti di pene liberate.

 

“Sai, quando si è molto tristi si amano i tramonti” diceva il Piccolo Principe, ed un sorriso malinconico temprò il suo volto.

 

Sarah era il tramonto su cui si posavano i suoi occhi quando la vita era troppo triste.

 

Le donò un ultimo bacio sulla fronte, con la delicatezza con cui si sfiorano i petali di una margherita recisa.

 

«Bonne nuit, Sarah»

 



ANGOLO AUTRICE

 

Non sono morta!

Poteva sembrarlo, e invece no!

 

Né volevo mollare la pubblicazione, ma sono stata immersa in grandi problemi e molto lavoro, e quindi non ho avuto il tempo di correggere i dialoghi in francese per parecchi mesi, essendo io un’analfabeta senza speranza.

La vera difficoltà poi stava nel fatto che essendo qui molti, non ero certa di come gestirli. La traduzione direttamente sotto la frase mi è sembrata la più pratica per il lettore, sebbene visivamente fastidiosa, e quindi ho optato per questa soluzione. Se ne avete di migliori accetto suggerimenti, gli asterischi con così tante frasi mi sembravano pessimi!

 

Come sempre, non ho granché da dire sulla storia, ho voluto mantenere la vecchia struttura di questo capitolo, ovvero un inizio leggero che scivola nel tragico, forse troppo calcato, ma desideravo mantenere lo spirito ingenuo della storia originale, per affetto almeno.

 

Dovrei pubblicare, se tutto va bene, un altro capitolo prima di agosto, poi entrerò in pausa perché il 4 agosto partirò finalmente per la Cambogia e starò via tutto il mese. Dovrei ricominciare a pubblicare intorno a metà settembre.

 

Non che possiate morire di trepidazione nell’attesa, ma almeno sapete perché sparirò di nuovo!

 

A presto e buone vacanze!



Ps: lo ammetto, il capitolo era lungo… non ho corretto la punteggiatura! Troppo stress!

  
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