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Autore: Amatus    15/07/2017    1 recensioni
Mastro Titta fu il boia di Roma, fu così famoso da divenire simbolo di tutti i boia che operarono in città nei secoli. Mastro Titta nacque Giovanni Battista Bugatti e questa è la sua storia, la storia di Vanni e di come conquistò il suo titolo sanguinario.
[...] C'è stato un tempo in cui le rivoluzioni sembravano lontane e i cuori battevano lenti per adattarsi al ritmo delle stagioni che si avvicendavano pazienti, in un susseguirsi rassicurante e infinito. La vita di mio padre sembrerebbe ad un uomo di questi giorni lunga un secolo e anche più. Altri nomi sarebbero venuti in seguito reclamando il proprio tributo, ma al tempo ero solo Vanni e la vita mi bruciava in petto come la giovinezza
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Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, L'Ottocento
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Capitolo 3

Il Viaggio verso Roma fu lungo e piacevole, lungo la strada il curato riuscì a farmi affidare due nuovi incarichi e iniziai a carpire i primi trucchi della mia professione. Il curato, padre Girolamo, si dimostrò un compagno piacevole, lasciai che dividesse con me i miei compensi e lui fu generoso nell'offrirmi da bere durante le lunghe notti di viaggio. Aveva un passato da contadino proprio come me, ma lui non era nato nello Stato Pontificio bensì nel Granducato di Toscana, i suoi vivevano lontani dal mare e lui dichiarava di non averlo mai visto neanche una volta. Io gli promisi che una volta a Roma saremmo andati insieme sulla costa e gli avrei insegnato a nuotare.
Giungemmo a Roma nel pieno dell'estate e la città mi accolse con il suo lato peggiore, non che in futuro si sarebbe dimostrata clemente con me, ma quei primi giorni furono di gran lunga i peggiori. Il suo puzzo e il caldo spietato, la lingua greve e il clamore dei suoi abitanti tutto contribuì a farmi odiare la città a prima vista. Quando riuscimmo ad ottenere una stanza ero così distrutto e disorientato da sentire il bisogno impellente di avere un contatto con casa. Scrissi una lunga lettera e la indirizzai a una delle mie sorelle, sapevo che Clara sarebbe stata l'unica a leggerla prima di bruciarla.
Scrissi per l'intera notte soffocato dal caldo e dall'umidità, raccontai il mio anno lontano da casa, mi resi conto scrivendo che il mio compleanno era arrivato e passato senza che me ne fossi accorto, non che ci fossero stati in passato festeggiamenti particolari, ma in quel giorno il carro dei Targhini arrivava puntuale alla cascina per reclamare il suo carico e io potevo di solito trascorrere la giornata con Tessa.
Non mi sdraiai nel lettino che mi era stato assegnato, la sola idea mi faceva attaccare addosso i vestiti per il sudore, il piccolo scrittoio era invece accostato alla finestra e sebbene la brezza leggera portasse con sé il puzzo della città, era fresca e piacevole sul viso sudato.
L'indomani consegnai la lettera affinché fosse spedita, fu un cedimento sciocco, l'ultima traccia del bambino che allora ancora mi portavo dentro, ma avevo bisogno di sentirmi vicino a casa dopo aver fronteggiato le brutture di una città allo stesso tempo troppo grande e troppo contadina.
Padre Girolamo insistette per mostrarmi i lati migliori di quella che sarebbe stata la mia città da quel momento in avanti. Se me lo avessero chiesto in quei giorni avrei giurato di non poter vivere lì più di una settimana, sono invece ormai 60 anni che questo tugurio è la mia casa e trovo un'ironia feroce nel riconoscere che non vorrei morire in alcun altro posto, neanche potendo.
Restai stupefatto davanti alla maestosità dei Fori e indignato nel vedere quanta poca attenzione gli abitanti riservassero a una tale bellezza, i più, quando si trovavano a passare lì nei pressi, camminavano svelti e a testa bassa tutti concentrati su loro stessi e sulle loro grette vite, i ragazzi invece si aggiravano tra le rovine maestose come se si trovassero in un fortino costruito da loro con canne e bastoni, lasciando ovunque graffiti che attestassero il segno del loro passaggio. Ma i frequentatori abituali dei fori dell'antica Roma erano ormai pastori e pecore, il che contribuiva a effondere un olezzo intollerabile anche lì in uno spazio tanto aperto e verde.
Tornai bambino perdendomi nei tanti mercati che costellano la città, sebbene i mercanti abbiano tutti una propensione al chiasso fuori dal comune e la loro lingua risulti ruvida e sgradevole alle mie orecchie ancora oggi.
Dopo qualche giorno trascorso nel chiasso e nel fetore della città decisi di mantenere la mia promessa verso padre Girolamo, mi accordai con un vetturino e ci feci condurre a Ostia, luogo che nella mia memoria rimarrà per sempre come l'emblema di tutti i cambiamenti che la vita mi ha riservato. Quel posto pieno di contraddizioni mi mostrò nel giorno in cui arrivammo il suo volto più bello.
Trovammo ospitalità presso un amico del mio compagno, aspettammo che le ore più calde del giorno scemassero e ci recammo sulla riva a passeggiare. La spiaggia era affollata, molti come noi approfittavano della brezza che saliva dal mare per passeggiare, molti altri invece seguivano la moda del tempo abbandonandosi a bagni di sole e di mare che fecero imporporare per l'imbarazzo le guance del mio accompagnatore.
Ma i suoi occhi brillavano come le onde, uno spettacolo degno della magnificenza di Dio, disse. Non aveva mai posato gli occhi sul mare, sebbene in questa stretta penisola sia un'impresa assai difficile, e quel giorno per la prima volta lasciò lo sguardo perdersi lontano e rincorrere le onde fino a forzare la vista oltre l'orizzonte. Il suo stupore e la sua gioia autentica si riflessero anche su di me e mi sentii leggero per la prima volta, dopo tanto tempo. Quando poi il sole iniziò a scendere rosso e enorme su quella distesa, anch'io ne rimasi stupito e mi lasciai guidare nella preghiera dal mio amico.
Sedemmo sulla sabbia e pregammo insieme il vespro, davanti a tanta bellezza le parole dei salmi prendevano vita e divenivano dolorosamente concrete. In quel momento mi sentii in armonia con il creato, ciò che ero o ero stato era semplice e giusto perché parte di quel tutto tanto splendido. Quando mi coricai lo feci davvero in grazia di Dio.
Ma il caldo mi risvegliò presto quella notte e dalla finestra scorsi l'altra faccia di quella stessa medaglia. Non si può assistere a un tramonto sul mare senza sacrificare la vista del sole sorgere dalle acque. Una malinconia prepotente mi colse. Quella costa era sbagliata e quell'alba al contrario me ne diede la misura, sarei dovuto tornare a casa per vedere di nuovo il sole sorgere dal mare e non mi sembrava una prospettiva plausibile. Allontanandomi dalla costa adriatica avevo sacrificato la bellezza della speranza racchiusa nell'alba per il fascino ineluttabile della morte narrato dal rosso di un tramonto.
Il mattino portò con sé per la prima volta la rassegnazione e aprì per me una fase tutta nuova della mia vita. Ora so che un ragazzo di 17 anni rassegnato è un abominio agli occhi di Dio, ma non ero io abominevole bensì i fatti che concorsero a rendermi tale. Facemmo ritorno a Roma, nelle nostre stanze prese a pigione nei pressi di campo de' Fiori e aspettammo pigramente per qualche giorno di essere ricevuti.
Il lunedì successivo al nostro arrivo a Roma, fummo finalmente convocati presso la Signatura di Giustizia e lì fummo ricevuti dal referendario che ascoltò attentamente le parole di Padre Girolamo e diede il suo assenso affinché il mio incarico fosse ufficialmente riconosciuto. Ci fece aspettare a lungo in un ampio corridoio illuminato da finestre enormi, non avevo mai visto un palazzo tanto imponente in tutta la mia vita e mi sentii un campagnolo per la prima volta, non sapevo cosa significasse di preciso, ma quel misto di inadeguatezza e ignoranza mi si attaccò alla pelle e anche oggi, all'età di 80 anni e dopo una vita spesa nella capitale, sento ogni tanto vibrare la reverenza del contadino difronte a una realtà che non rivelerà mai per intero la propria natura a chi è forestiero.
Il funzionario uscì dopo molto tempo con un documento scritto in bella grafia e finemente rifinito, con quello, mi disse, ero nominato ufficialmente boia di sua Santità il Pontefice. Avrei ricevuto al recapito dichiarato notizia delle sentenze da eseguire e il compenso corrispettivo. Quella sera fui io ad offrire da bere al mio anfitrione, avevo ufficialmente un lavoro degno che mi avrebbe permesso di provvedere a me stesso.
Mi accorsi ben presto però che la giustizia terrena è faccenda lenta e incostante, quando padre Girolamo mi lasciò per fare ritorno alla sua diocesi iniziai a conoscere il sapore della noia. Lunghe giornate si offrivano a me vuote e sterminate, riempirle con la semplice esplorazione della città impiegò poche settimane, mentre la misericordia del Papa mi privava di impegni seppure saltuari.
A rompere la monotonia e la noia della fine dell'estate giunse una lettera che in un attimo cancellò il torpore dei miei giorni. Non conoscevo la scrittura, non mi era mai capitato di vederla prima ma di certo non l'avrei mai più dimenticata. Erano diversi fogli scritti fittamente e li voltai senza leggerli fino a giungere alla firma. Quelle cinque lettere balzarono dagli occhi al cuore in un istante, non credevo avrei mai più avuto sue notizie, invece ecco lì un lungo racconto.
Raccolsi tutti i fogli e li ripiegai ordinatamente, li strinsi in pugno e uscii di casa. Camminai a lungo assaporando le aspettative, l'ansia di conoscere e la paura di ciò che avrei scoperto. Dipinsi infiniti scenari durante la camminata convulsa e raggiunsi infine i Fori. Mi arrampicai su un sentiero lungo il fianco del colle che si affaccia su questi e mi sedetti all'ombra di un albero, ma solo quando fui giunto abbastanza in alto da non essere disturbato dai ragazzini che giocavano tra le rovine. Mi sedetti e lessi.
uelle parole colarono sul mio cuore come un liquore dolce ma fortissimo, mi diedero il capogiro e per un attimo lo spettacolo che si stendeva davanti ai miei occhi si fece nero. Tessa raccontava di come il mio agire avesse fatto tornare Raniero sui propri passi, di come fosse corso al porto prima dell'alba riportandola a casa. Iara era partita e Tessa era invece tornata tra le mura paterne. Nessuno scandalo era scoppiato e anche su di me erano circolate solo poche chiacchiere confuse, non è poi una gran malefatta per un giovane uomo cercare il piacere finché gli obblighi della vita adulta non sopraggiungono. Per mio padre era stato diverso, non aveva perdonato o compreso, mi aveva anzi bandito definitivamente dalla famiglia impedendo a chiunque di prendere contatti con me.
Ma nulla contò quando arrivai a leggere la fine della lettera. Tessa doveva aver trattenuto la propria tristezza nello sforzo di darmi un dettagliato resoconto di ciò che era accaduto dal momento della mia partenza. Potevo figurarmela china su uno scrittoio che non avevo mai visto, trattenere sospiri e dolore, lo stesso dolore incomprensibile che le vidi negli occhi di bambina in un giorno lontano ma che mai più l'aveva abbandonata. Potevo rivederle in volto la stessa espressione, la stessa inquietudine che trasformava la sua casa in una prigione, la vidi infine fallire nel tentativo di nascondere tutto, di celare il dolore e il desiderio. La immaginai scrivere in fretta le ultime righe e chiudere la lettera d'impulso in una disperata richiesta d'aiuto che se ragionata sarebbe stata soppressa. Lessi quelle ultime righe talmente tante volte da averle ancora impresse vividamente nella memoria.

"Ora le mie giornate sono normali, eccezion fatta per l'assiduo controllo della governante evidentemente istruita ad arte da mio fratello. Trascorro le ore studiando o suonando, mi affaccio alla finestra della mia stanza e guardo il mare sforzandomi di non pensare a quella nave salpata senza di me. Guardandomi indietro dovrei esser grata a mio fratello per avermi impedito di commettere un terribile errore, ma non posso invece non sentire l'eco di una speranza frustrata e di un'occasione sprecata. I muri di questa casa sembrano chiudersi su di me imprigionandomi e non c'è più neanche il mio buon Vanni a tenermi compagnia, a regalarmi avventure e a farmi dimenticare il mio ruolo, il mio nome e il mio destino. Scusami, il mio è il lamento di una ragazzina viziata, tu hai rinunciato alla tua vita qui per tenere nascosto un mio capriccio e io indugio invece nella mia tristezza. Vieni a trovarmi, fammi vedere di nuovo il tuo viso, anche una sola volta, fammi sapere che non sei adirato con me e io ti prometto che sarò felice, non sentirai mai un solo sospiro triste lasciare la mia bocca, ma vieni da me, te ne prego. E perdonami.
Tessa"

La prima cosa che feci il giorno successivo fu di recarmi nuovamente alla Signatura e chiedere un incarico che mi avvicinasse a casa, anche solo temporaneo, anche senza ricevere pagamento. Avevo bisogno di tornare a casa e avevo bisogno di farlo in veste ufficiale, non potevo certo sperare di essere accolto in casa mia, inoltre le disavventure del viaggio che mi aveva condotto a Roma erano ancora piuttosto vivide nella memoria e non volevo dovermi trovare ad affrontarne di nuove. La fortuna mi assistette, o in quel momento credevo fosse così, il funzionario mi parlò di un incarico presso Jesi, lo accettai all'istante e fui di nuovo fatto accomodare nel grande corridoio. Di nuovo la lunga attesa, di nuovo il senso di inadeguatezza, di nuovo il documento scritto in bella grafia. Cercai e trovai un cavallo giovane e irrequieto come me e il giorno successivo ero già in viaggio verso casa.
Fu un viaggio veloce, nervoso, dormii pochissimo e più il cavallo si avvicinava alla costa familiare più un senso di inquietudine mi afferrava. Arrivai in anticipo rispetto al giorno in cui l'esecuzione era programmata e non mi fermai a Jesi proseguendo fremente, come il cavallo che mi portava, dritto verso la mia bella Senigallia.
Profumi e colori amati mi accolsero e mi ritrovai il volto rigate di lacrime prima che me ne rendessi conto. Non credevo di amare tanto la mia terra, non credevo di averne sentito la mancanza tanto profondamente. Mi recai dal prefetto, mostrai il documento attestante il mio stato e il mio incarico ed egli mi fece assegnare una stanza in centro, riservata solitamente ai messi papali. Mi sistemai nella stanza pulita e respirai la brezza fresca che spirava dal mare. Il tramonto era ormai vicino e il sole calava già tra i picchi più alti delle montagne che vegliano su Senigallia da lontano. Le strade silenziose, la frescura tipica del giorno che muore, il profumo del mare, tutto testimoniava la mia lontananza da Roma.
Quando lasciai la stanza per passeggiare tra le strade familiari m'imbattei nella padrona di casa, i convenevoli che ci scambiammo, la sua cortesia e la suo linguaggio lieve mi spinsero di nuovo sull'orlo del pianto ma questa volta, pronto, riuscii a resistere.
Le strade erano ampie, pulite e fresche, mi aggirai come smarrito tra quelle strade simili a come le ricordavo ma terribilmente diverse per me che, mancando da un tempo che sembrava lunghissimo, speravo di immergermi nei giorni passati dell'infanzia. Particolari a mille e mille stonavano con l'immagine della mia memoria, un muro ridipinto, un volto invecchiato, nuovi fiori a sostituire i colori che ricordavo. Tutto sembrava voler additare la mia lunga lontananza, la mia estraneità alla vita consueta del luogo.
I miei passi mi guidarono involontariamente verso una casa nota, mi fermai ad un angolo della strada e osservai le luci che iniziavano ad illuminare le stanze.
Sapevo che Tessa era lì e d'un tratto mi accorsi della follia del mio agire. Ora che ero giunto lì, cosa mi aspettavo? Cosa avrei potuto fare? Eravamo grandi ormai, tanto grandi da riconoscere ruoli e convenzioni, non avrei potuto bussare alla sua porta e aspettare di essere ricevuto.
Tornai in camera e scrissi un breve biglietto, lo affidai al figlio della mia ospite in cambio di una moneta e attesi.
Il crepuscolo inghiottiva il mare confondendolo alla mia vista con il cielo sereno. Ben presto le stelle iniziarono a comparire a frotte, ricordando ai miei occhi una bellezza a Roma quasi invisibile.
Un tocco leggero mi fece sobbalzare, la padrona di casa portava una cena leggera e mi invitava a gustare di nuovo sapori conosciuti, la ringraziai e consumai felice il pasto mentre la signora ciarlava allegra raccontando, pressata dalle mie domande, degli ultimi avvenimenti in città.
Quando la signora mi lasciò solo portando via con sé gli avanzi della cena mi accorsi di essere infinitamente stanco. Stanco come solo tornare a casa dopo un viaggio lunghissimo può farti sentire. Finalmente libero di essere stanco.
Mi affacciai alla finestra per respirare l'aria fresca della sera prima di gettarmi sul letto esausto, ma la strada mi offrì uno spettacolo che spazzò via di nuovo la stanchezza. Tessa era lì, sotto la mia finestra e il sangue nelle mie vene prese a scorrere impazzito non appena gli occhi si posarono su di lei. Scesi così come mi trovavo, con la camicia sgualcita allentata sul collo e quasi completamente fuori dai pantaloni.
Non sembrò notarlo. Uno sguardo lunghissimo e pieno di rimorso sostituì ogni parola, solo dopo quella che mi sembrò un'eternità si mosse e mi si fece vicina, mi abbracciò e io sentii per la prima volte con cocente consapevolezza il suo corpo di donna aderire al mio. La strinsi senza pensare, ma per quanto lungo sembrò lungo lo sguardo che ci scambiammo prima, quell'abbraccio fu lo scintillio di un momento, troppo veloce, troppo effimero eppure tanto concreto da sentirne ancora la sensazione oggi, sul mio corpo di vecchio. Fece poche domande su di me, sul tempo trascorso, ma le risposte non sembravano contare.
Una domanda tornava a intervalli regolari, seguita dalla stessa risposta : “Stai bene? Mi sembra che tu stia benissimo.”
Era il senso di colpa a farti parlare? Allora mia cara Tessa, sapevi già ciò che io non avevo ancora compreso, sapevi che avresti sempre ottenuto da me ciò di cui avevi bisogno, sapevi che non sarebbe servita che una sola parola e io ti avrei dato tutto ciò che era in mio potere e anche di più, ma questo allora creava ancora qualche rimorso in te. Allora la tua insicurezza di ragazza non ti rendeva tronfia, certa della tua moralità superiore, al tempo ti sentivi in difetto davanti a me, in quel momento eravamo esattamente uguali, come quando eravamo bambini, anzi tu eri la bambina capricciosa, io il bravo ragazzo che ti aveva donato una pesca matura.
Se avessi potuto sapere cosa sarebbe accaduto subito dopo, avrei cristallizzato quel momento per sempre, se avessi potuto evitare di vedere lo sguardo di disprezzo nei tuoi occhi avrei deciso di non andare oltre, di finire in quell'istante la mia vita, in un attimo di pura e perfetta felicità.
Invece la mia impazienza mi fu letale, avevo fretta di sapere tutto di te, Tessa, ero affamato di dettagli e particolari, bruciai in poco tempo tutte le domande e tu parlasti a lungo finché non ti rimase più nulla da dire. Mi raccontasti per ultima la fine della tua storia con Iara, aveva preso il mare e non era più tornata, non una riga, non una parola, non aveva mai più rimesso piede a Senigallia. Per un istante provai compassione per Iara, aveva forse avuto significato anche per lei la strana avventura che avevamo vissuto? O aveva semplicemente fatto fortuna e lasciato la professione? Era forse morta per mare in un naufragio? Quell'idea mi gelò, se fosse rimasta su quella nave forse anche Tessa sarebbe morta con lei. Ma la mia fretta aveva lasciato Tessa a corto di parole e iniziò a porre domande che richiedessero vere risposte. Le raccontai della mia fuga e della vita a Fabriano, le raccontai delle peregrinazioni e di come infine ero giunto al servizio del Papa. A quel punto incontrai quello sguardo, lo sguardo riservato al boia. Forse fu a causa di quello sguardo che fu così difficile abituarmi negli anni agli sguardi disgustati della folla. Nel disprezzo di ogni ipocrita cittadino romano, rivedevo il tuo disprezzo e grazie a questo anche un miserabile sconosciuto era in grado di ferirmi.
Avevamo passeggiato fino ad arrivare al mare, la luce tremolante dei lampioni le illuminava il viso e rendeva più viva la mia vergogna. Cercai di spiegare a Tessa il mio ufficio e la sua sacralità, la sua importanza, ma nulla sembrava far breccia nel suo improvviso spregio nei miei confronti, l'orgoglio guidò quindi le mie parole. Non mi pentii, forse, di quelle parole, ma certo non le ho mai dimenticate.
“Come puoi sentirti in diritto di disprezzare ciò che faccio? Tu sei un abominio agli occhi di Dio e non ho mai pronunciato una sola parola contro di te, io servo invece la sua giustizia e tu osi giudicarmi?”
La rabbia accese anche le tue parole come aveva acceso le mie: “La giustizia di cui parli è sbagliata, non può venire da Dio una giustizia che condanna me per aver amato e grazia te che togli la vita per denaro. Ciò che davvero è orribile è che tu sia convinto di essere nel giusto, non condannerei qualcun altro per fare il tuo mestiere, ma non posso assolvere te, perché so che nel tuo cuore c'è bontà e amore. Ora che sei tornato speravo che saremmo partiti all'avventura insieme, speravo che fossi venuto a liberarmi dalla mia prigione, invece scopro che sei in una prigione più buia della mia una prigione che ti ha fatto dimenticare chi sei. Il ragazzino che conoscevo, non dava peso al fatto che fossi una femmina, o che fossi la figlia del padrone, come tutti gli altri ragazzini facevano. Il ragazzino che conoscevo, era pronto a sfidare suo padre per rincorrere l'avventura, non mi giudicava per ciò che sono usando l'autorità di Dio per dare forza ai propri insulti. Il ragazzino che conoscevo era libero e forte, non era il servo di nessuno.”
Quelle parole mi bruciavano dentro come acido, sentivo lacrime di rabbia incendiare gli occhi e lo sforzo di trattenerle mi bloccava la gola. Riuscii a sputare fuori a fatica poche parole, parole non mie, le uniche che in quel momento sembravano avere senso.
“Quando una tradizione raccoglie abbastanza forza per andare avanti per secoli, non può essere cancellata in un giorno solo e dal capriccio di una sola persona. La tradizione è più forte di te, degli sciocchi capricci di una ragazzina viziata o dell'illusione del figlio di un contadino. Ci siamo illusi, ma non siamo più bambini. Dobbiamo imparare a capire come va il mondo. E il mondo va in questo modo.”
Tessa mi guardò ancora, c'era rabbia sul suo volto, ora e questo mi diede stranamente speranza. Se ne andò senza aggiungere una parola e lasciandomi lì da solo a guardare il sole sorgere sul mare.

 

 

   
 
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