Serie TV > Once upon a time in Wonderland
Ricorda la storia  |      
Autore: lulubellula    15/07/2017    0 recensioni
Questa storia ripercorre i momenti vissuti da Alice durante la sua permanenza al manicomio londinese.
Essa è uno spaccato di un giorno qualsiasi nel quale lei deve affrontare i suoi demoni interiori: sarà in grado di restare lucida oppure il pensiero di essere davvero folle inizierà ad insinuarsi nella sua mente?
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice, Cyrus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Pain is real but so is hope
 
Le labbra schiuse in una smorfia di dolore e i capelli sporchi e arruffati le ricadevano lungo le spalle.
Era un altro giorno infernale al centro psichiatrico, nome sin troppo lusinghiero per quello che altro non era se non un vecchio e maleodorante manicomio per menti deboli e seviziate dal passare del tempo in quelle mura fredde e senza speranza.
Un altro giorno in cui Alice si sarebbe sentita dire che si era inventata tutto, sin dal principio, che la sua mente troppo sciocca e malleabile le aveva giocato un brutto scherzo.
Wonderland non esisteva, era frutto della sua immaginazione malata.
Non era altro che una ragazzina viziata e piena di fantasie che stava avviandosi a divenire una donna insolente e bugiarda.
Una donna che nessuno avrebbe di certo voluto prendere in moglie.
Quel luogo stava iniziando a svuotarla a poco a poco, prima le aveva strappato i ricordi felici uno a uno come i petali di una margherita bianca, poi la dignità, in quei suoi capelli sempre più grigiastri e arruffati che solo qualche mese prima erano morbidi e setosi, del colore del grano, in quelle vesti maleodoranti e troppo grandi per i suoi fianchi esili di giovane donna.
E ora questo, ora stava cominciando a perdere la voglia di lottare.
Non lo dava a vedere, questo mai, l’idea di veder comparire un ghigno soddisfatto sul volto del direttore di quel posto infernale le dava semplicemente il voltastomaco.
“Wonderland è nella tua testa, Alice, nella tua piccola, stolta mente perversa. Non esiste, non è mai esistita, non ci sei mai stata”.
Parole crude, fredde, taglienti come una lama affilata.
“E Cyrus?”.
A quella domanda seguiva ogni volta una risata pungente e sarcastica.
“Cyrus non è altro che frutto della tua infinita immaginazione. Hai passato l’età degli amici immaginari da un pezzo. Ma, dopotutto come potrei biasimarti? Ti sei dovuta creare un fidanzato fittizio perché sai che nella vita reale, quella vera, nessun uomo ti vorrai mai, Alice, sei finita, folle, merce avariata!”.
Quelle parole la colpirono più feroci di uno schiaffo, la misero di fronte a quella che forse sarebbe potuta essere la realtà; non tanto il fatto che nessun uomo mai l’avrebbe voluta nella propria vita, lei non voleva un uomo qualunque nella sua esistenza, piuttosto che il ricordo di Cyrus, sempre più sbiadito nella sua mente, in realtà non fosse tale ma solo una proiezione delle sue speranze di ventenne rinchiusa in gabbia.
I giorni trascorrevano tutti uguali nella sua cella di Bedlam, Londra, i capelli le venivano regolarmente tagliati per essere rivenduti nei migliori negozi di parrucche e parrucchini della città, senza nemmeno darle il tempo di affezionarvisi.
“Così non prenderete i pidocchi!” questa era la scusa che il direttore e i suoi scagnozzi, gli esecutori materiali di quegli scempi accampavano ai poveri diavoli che vivevano in quel luogo dimenticato da Dio e dagli uomini.
La realtà era ben altra, gli introiti delle chiome vendute rimpinguavano le casse di Bedlam e le tasche di chi sapeva quello che accadeva entro quella mura e preferiva tacere e eseguire senza fare troppe storie.
Inoltre Alice credeva, anzi, ne era certa che oltre ad un rendiconto economico, il Direttore Turpin avesse un malsano e malato gusto nell’umiliare gli ospiti del suo infernale ostello in tutti i modi possibili e tagliar loro i capelli lasciando una zazzera disordinata e informe era solo uno e forse uno dei più piacevoli trattamenti che riservava loro.
Le celle del manicomio londinese ricordavano i gironi dell’inferno dantesco, con la differenza che molte di quelle anime dannate nulla avevano fatto per ritrovarsi lì, erano figli e figlie di nessuno, parenti scomodi, fanciulle che avevano rifiutato pretendenti tanto vecchi quanto potenti, artisti, alcuni erano pazzi davvero, altri lo erano diventati vivendo ammassati come delle bestie o per la reclusione solitaria e forzata che qualcuno aveva imposto loro.
E poi c’erano quelli come Alice ed erano i peggiori, quelli che pazzi non lo erano ancora divenuti e perciò avevano ancora il ricordo della vita là fuori, dei profumi, dei colori; al tempo stesso avevano nel cuore la speranza e la rabbia, erano speranzosamente arrabbiati ed erano divorati dall’ingiustizia della loro condizione e dal bruciore del tradimento da parte di chi li aveva scartati, gettandoli a Bedlam e voltando le spalle, senza alcun rimorso.
Eppure Alice lo sapeva, sapeva che resistere era l’unico modo per non cedere alla follia, anche se il cedimento talvolta aveva il sapore della seduzione, perché in fondo abbandonarsi all’effetto delle medicine, dell’elettroshock, delle camicie di forza faceva molto meno male del resistere attivamente e senza alcune speranza di uscire dall’inferno in cui era stata rinchiusa contro la sua volontà.
La giovane aveva visto tante donne entrare da quella porta, giovani, vecchie, a volte persino qualche ragazzina, le aveva viste entrare dimenandosi con tutte le forze che avevano in corpo e spegnersi pian piano; qualcuna aveva impiegato settimane, mesi, alcune addirittura anni per accettare quella disumana prigionia, altre non erano riuscite a venire a patti con quel carnaio disumano.
Qualcuna di loro era persino riuscita a uscire da quella porta, così come era entrata, ma nessuna sulle proprie gambe; alcune avevano abbracciato la morte lasciandosi morire di fame, altre avevano architettato i modi più ingegnosi e folli per lasciare questo mondo, qualcuna si era semplicemente spenta nel sonno congedandosi da quell’esistenza meschina e orribile, tanto che morire doveva essere sembrato loro la più rosea delle fini.
Alice invece non desiderava la morte, lei bramava la vita, le avventure, sfuggire da quella pazza della Regina di cuori, bere il thé delle cinque con il Leprotto Marzolino e quello strampalato cappellaio, correre nei prati e rotolare fino a restare senza fiato, baciare sulle labbra Cyrus dopo aver affrontato con lui tutte le insidie poste sul loro cammino.
Alice voleva solo questo: essere libera e felice, lasciare quel luogo, tornare a casa, non a Londra, ma a Wonderland; perché casa non è dove nasci o dove cresci, casa è il luogo dove ami e sei riamata, è dove non hai paura di esprimere quello che pensi e gridarlo ai quattro venti, casa è dove chiudi gli occhi e non vedi l’ora di riaprirli la mattina seguente.
E quella sera lei pensò a questo prima di addormentarsi, ai tramonti sulle colline di Wonderland, alle rose bianche della regina dipinte di vernice rossa, ai labirinti, alle scorribande, a Will che tornava ubriaco dopo l’ennesima bevuta e a lei che doveva riaccompagnarlo alla sua stamberga, a Cyrus che la prendeva tra le braccia e la stringeva forte facendola sentire di nuovo sicura, voluta e amata.
Alice si addormentò sorridendo quella sera, brindò dentro di sé non a una tanto sospirata morte, ma alla speranza, a quel sentimento tanto folle e sciocco che rimane impigliato al cuore degli esseri umani quando tutti gli altri l’hanno abbandonato.
 
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once upon a time in Wonderland / Vai alla pagina dell'autore: lulubellula