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Autore: BabaYagaIsBack    16/07/2017    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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19. Pericolo in agguato

Aralyn si ritrovò da sola a completare le commissioni che si era ripromessa di portare a termine durante la giornata, recuperando alcune cose per il branco, oggetti per se stessa e, in ultimo, un regalo per l’imminente compleanno di Arwen.
Percorse a ritroso, con le braccia colme di borse, le strade che fino a qualche ora prima aveva fatto al fianco di Josh, adesso disperso in qualche angolo oscuro della città e, visto il suo atteggiamento da prima donna, forse era stato meglio così. Più lontano da lei restava, più possibilità di non subire un rimprovero aveva.
Così la ragazza arrivò fino all’auto parcheggiata nella periferia urbana e lì, ancora infastidita dall’atteggiamento del suo accompagnatore, che l’aveva lasciata ad occuparsi di tutte le mansioni per il branco, caricò sui sedili posteriori ogni singolo sacchetto. Per tutto il tempo imprecò contro di lui, sperando che le sue parole lo colpissero alle spalle, facendogli i dispetti e ricordandogli che tra i due, era lei quella ad avere il ruolo più importante. Finì in poco tempo di sistemare, ma non di sentirsi imbufalita con il fantasma di un licantropo che ancora non si era fatto vivo, che nemmeno aveva avuto la decenza di avvertire per il suo ritardo. Rimase così in attesa della sua comparsa, scrutando l’orizzonte nella speranza di intravederlo e provando a scorgere nei portamenti altrui il suo, nelle chiome scompigliate degli sconosciuti quella di lui; peccato solo non fosse nei paraggi. Dove poteva essersi cacciato? Ormai l’orologio segnava le quattro passate e, se non fosse arrivato nei trenta minuti seguenti, avrebbero dovuto tornare a casa tra le prime ombre della sera, cosa che si era ben ripromessa di non fare. Suo fratello era stato chiaro, non le era permesso star fuori dopo il tramonto, soprattutto senza Garrel, Fernando o i Gemelli a farle da guardie del corpo. La possibilità che i Menalcan fossero ancora sulle loro tracce era una minaccia reale, qualcosa che non potevano prendere troppo alla leggera; e lei, nonostante fosse una tra i tanti licantropi del clan, era pur sempre stata presente a tutti gli attacchi perpetrati nei confronti dei Purosangue in quegli ultimi cinque anni. Una seccatura, certo, ma d’altro canto doveva aspettarselo dopo essere riuscita a rubare, per il Duca, un cimelio di così grande importanza. In più, restare sola con Josh, in uno spazio così piccolo come l’abitacolo di un’auto, l’agitava più del dovuto. Dannazione.
La ragazza sbuffò. Non poteva, né voleva, rischiare di sorbirsi l’ennesima sfuriata da parte del capoclan. Per quanto sembrasse che il loro rapporto, soprattutto quando si trattava di missioni e questioni da “lupi”, fosse pacifico, in verità era stato per moltissimo tempo costellato da urla e dubbi, da sfuriate e pianti ininterrotti -era difficile separare il lavoro dalla vita privata. Così, armata della sua consueta autorità da braccio destro, sfilò dalla tasca del giubbetto il cellulare e, pigiando sullo schermo con fare minaccioso, frugò nella rubrica fino a trovare il contatto del nuovo arrivato. Aveva tutti i numeri dei suoi confratelli, anche quando non erano loro in prima persona a darglieli. Un modo come un altro per poter avere sotto controllo la situazione in qualsiasi momento.
Ad ogni modo, lo avrebbe chiamato, rimproverato e andato a cercare, così da potersene tornare a casa in santa pace e senza il timore di dover affrontare le ire di Arwen. Sul display apparve un’icona grigia, anonima quanto più possibile, sormontata da alcune lettere di un bianco cangiante: “Pivello”. Sì, si era rifiutata di registrarlo con un appellativo serio o di qualche importanza, men che meno di abbinare al suo numero una foto che potesse riportarle alla mente quel viso tanto bello quanto arrogante: Josh doveva rimanere lontano dai suoi occhi, in modo che potesse tenerlo distante anche da qualsiasi altra parte di lei -mani, guance, busto, cuore. Da quando si erano incontrati, seppur con riluttanza, aveva dovuto fare i conti con una strana avversione verso di lui, una sorta di indescrivibile piacere nel sentirlo vicino, nel percepire il suo sguardo glaciale sulla propria pelle. Aveva provato in tutti i modi a convincersi del contrario, ad indursi a pensare che la sua presenza le generasse fastidio, che le sue attenzioni su di sé avessero un ché di viscido ed insopportabile, ma alla fine, persino durante quel viaggio in auto fianco a fianco, si era ritrovata a percepire tutt’altro. Perché? Cosa aveva di diverso, o speciale, quel tipo? Dove era finito l’amore indiscusso per il suo capobranco? Con l’entrata in scena di quel Solitario tutto ciò di cui era sempre stata certa aveva iniziato a vacillare nella mente, facendole sostituire i punti esclamativi con quelli di domanda. Intanto, dall’altra parte della cornetta, il tu-tu-tu sembrò non volersi più fermare. Dove si era andato a cacciare? Che non le stesse rispondendo per un qualche strano motivo?
Aralyn ringhiò a denti stretti, più infuriata di quanto non fosse prima.
Per chi l’aveva presa? Non si rendeva conto che mettersi contro di lei equivaleva a riempirsi la strada per il clan di ostacoli? Poteva davvero essere così stupido?
Di nuovo, pigiò sul contatto di lui; se non avesse risposto nemmeno questa volta, sarebbe andata a cercarlo: a mali estremi, estremi rimedi.

 

Joseph prese in mano il telefono, perplesso: se Kyle, il suo braccio destro ed unico amico, era di fronte a lui al tavolo del pub, chi lo poteva cercare? Osservò, con le sopracciglia corrugate, il display del cellulare, ritrovandosi a leggere cifre di cui non conosceva l’origine. Chi c’era oltre a quei numeri? L’ennesimo call center che si era permesso di usare il suo nuovo contatto per proporre promozioni di misera utilità? Mise giù, ignorando la chiamata.
«Come mai sei qui in città?» domandò all’altro licantropo, sorseggiando con una certa disinvoltura il caffè nero che aveva ordinato solo pochi minuti prima e provando ad acquietare le voci nella testa, quelle continue domande ed imprecazioni che avevano iniziato ad affollarsi tra i pensieri dopo lo scambio di battute con l’Impura. L’aveva abbandonata nel mezzo della calca turistica per evitare di compromettere la propria copertura e, vagando tra una via e l’altra per smaltire la rabbia, si era imbattuto nel suo collaboratore, quasi il destino avesse voluto fargli una sorta di regalo in un momento così delicato. Era stata una sorpresa più che gradita e, quasi ignorando la possibilità che lei potesse averlo seguito, si era lasciato andare a dei convenevoli, invitandolo a prendere un caffè insieme come era consuetudine fare prima che se ne andasse dal clan per quell’importantissima missione.
Kyle si lisciò la cravatta gialla a ricami verdi, tirando la bocca in un sorriso sghembo. Era qualche anno più grande del figlio di Douglas e le piccole rughe ai lati delle labbra ne erano la prova, ma non per questo si erano mai trovati su lunghezze d’onda differenti. Il loro legame, dapprima solo di lavoro, si era andato pian piano saldando, senza però compromettere la gerarchia che era obbligatoria seguire all’interno della realtà Menalcan. I suoi occhi grigi si strinsero appena, scrutando con velata curiosità il ragazzo di fronte a sé e Joseph lo lasciò fare, quasi tentasse di rassicurarlo senza però essere palese. Sapeva che il suo sottoposto, al di là dell’aspetto formale e dell’atteggiamento rigido, nutriva nei suoi confronti un affetto fraterno e che, nonostante volesse nasconderlo, era venuto fin lì per avere sue notizie, per saperlo salvo e non morto come probabilmente Gabriel aveva iniziato a dire in giro.
«Nonostante tu sia in mezzo ai nemici, non possiamo smettere di raccogliere informazioni su di loro. La nostra presenza qui sarà un ulteriore aiuto alla tua copertura, non pensi?»
«Penso che di questo passo non andrò da nessuna parte» sbuffò il futuro Alpha passandosi una mano sul viso. Dieci giorni e ancora nessuna notizia sul pugnale, solo qualche breve scambio con Aralyn che, purtroppo per lui, sembrava essere troppo sveglia per non notare la strana curiosità nelle sue domande. Arwen non si faceva pregare per passare del tempo con lui, ma tutto ciò che si limitavano a fare era giocare a scacchi, parlare di qualche libro o film e discutere di musica. Garrel, Marion ed i Gemelli invece, non sembravano potergli essere poi di grande aiuto.
La risata del suo interlocutore arrivò bassa e piena alle orecchie, strappandogli un mezzo sorriso. Quantomeno, tra i suoi veri confratelli, c’era ancora qualcuno che non sembrava volergli mettere fretta o denigrarlo; essere il secondogenito non era mai stata cosa semplice tra i licantropi, soprattutto se Purosangue.
Kyle prese l’ultimo sorso dalla tazza, mettendo fine alla pausa di entrambi e avviandosi subito dopo verso l’uscita «Fai con calma, nessuno ti corre dietro. Ciò che importa, se non possiamo arrivare al Pugnale, è ottenere più informazioni possibili sul loro clan. Lo sai meglio di me, no?» dai suoi pochi centimetri d’altezza in più lanciò un’occhiata complice verso l’amico. Lui, fra tutti, era forse l’unico ad aver conosciuto nel tempo le preoccupazioni vive nell’animo del ragazzo: sapeva quanto temesse di deludere Douglas, nonostante combattesse la sua egemonia da anni. Joseph voleva essere libero, da sempre, peccato che come ogni nobile destinato al potere, non potesse evitare di sentirsi in obbligo verso il proprio predecessore.
Uscirono dal cafè ritrovandosi nel fresco di una giornata autunnale. Il sole aveva preso a calare, dando ad ogni edificio una sfumatura più calda, dorata quasi. Avevano trascorso insieme poco meno di qualche ora, eppure sembrò che ne fossero passate molte di più, tante da potersi quasi definire come un intero pomeriggio.
Quasi dimenticandosi la situazione in cui si trovavano, presero a camminare fianco a fianco, continuando con quelle chiacchiere cariche di tensione. Nella mente dei due Menalcan, c’era tutto tranne la minaccia di essere scoperti, cosa che invece avrebbero dovuto tenere ben presente, soprattutto a causa della presenza di Aralyn in città.
Svoltarono in un vicolo più appartato e nuovamente il cellulare del possibile futuro Alpha si mise a vibrare con insistenza. Lo prese tra le mani, scrutando il display con un grugno infastidito: ma i call center non avevano un orario di chiusura? Come potevano chiamare ancora, nonostante avesse evitato di rispondere per tutto quel tempo? Aprì la chiamata, pronto a dar battaglia al povero dipendente dall’altra parte della cornetta, incolpandolo di chissà quale crimine inesistente: «Non son-»
«DOVE CAZZO SEI?»
La voce di Aralyn tuonò dall’altoparlante con talmente tanta forza che dovette allontanare il telefono dall’orecchio. La sua furia parve poter smuovere persino l’aria intorno a loro, creando una sorta di impetuosa tempesta. Il cuore di Joseph perse un colpo.
Lei.
Si era completamente dimenticato del fatto che lo potesse star aspettando da qualche parte in città, che dipendessero l’uno dall’altra. Come aveva fatto? In fin dei conti fino a qualche tempo prima la sua immagine gli era rimasta impressa nella testa, ricordandogli quanto dovesse odiare gli Impuri, quanto fossero schifosi, feccia da eliminare il più velocemente possibile. Deglutì a fatica, sentendo un groppo fastidioso in gola. Cosa si sarebbe potuto inventare ora? Con quale scusa avrebbe giustificato il suo ritardo? D’istinto lanciò un’occhiata verso Kyle, che senza scomporsi si era acceso una sigaretta, aspettando direttive sul da farsi. Non se ne sarebbe andato, se il suo Signore non gliel’avesse ordinato: dopotutto, con grande probabilità, voleva essergli ancora di conforto in quei giorni iniziali lontano dalla realtà che aveva sempre conosciuto.
«Sì, scusa, mi sono perso… ti raggiung-» per la seconda volta fu interrotto dalle urla di lei, questa volta meno potenti ma altrettanto fastidiose. Senza volerlo, doveva averla fatta seriamente infuriare.
«Raggiungermi? Ma se nemmeno sai dove ti trovi?! Grazie al cielo esiste il GPS!»
Cosa?
Il sangue defluì dal viso del ragazzo. Era nei guai; in casini così grossi che gli sembrò di essere in apnea. L’aria defluiva poco nei polmoni, dava l’impressione di bloccarsi a metà della gola. Non poteva davvero essere sul punto di rischiare a quel modo la sua vita, perché certamente ora si parlava di salvaguardare la propria incolumità, nulla più; doveva pensare in fretta a cosa fare, a come far fuggire il suo braccio destro e togliersi di dosso parte del suo odore: ma quanto tempo aveva? Quanto era lontana, da lui, Aralyn? Metri? Chilometri? Miglia?
Con un gesto della mano fece segno a Kyle di andarsene, di trovare un modo per sparire da lì. Doveva farsi trovare solo a qualsiasi costo, se non voleva rischiare di ingaggiare uno scontro con quella tipa. Ucciderla era fuori discussione, l’Alpha degli Impuri non si sarebbe mai bevuto una scusa come quella di uno scontro con i Menalcan, non sapendo che erano insieme.
Il confratello, subito dopo aver fatto un cenno di saluto nei confronti del suo leader, si avviò svelto verso la fine del vicolo, cercando di allontanarsi da quel luogo ed assicurargli un rientro più tranquillo alla Tana di Arwen. Anche Kyle conosceva i rischi di un possibile incontro e scontro con uno dei seguaci di quel lupo, chiunque li conosceva, e se non vi fosse stata nel mezzo la missione di recupero del Pugnale, non ci sarebbero stati poi grandi problemi a farla fuori, ma non poteva succedere, non in quella situazione.
«Non ti scomodare, sto tornando indietro» Joseph si voltò nell’altro senso, iniziando a sua volta a camminare. Più velocemente fosse arrivato alla fine del vicolo, meno rischi avrebbe corso.
«Peccato che sia a duecento metri da…» Il silenzio riempì la chiamata, bloccandolo a metà di un passo.
Eccola.
Eccola di fronte a lui.
Eccola spostare lo sguardo dal suo viso, notare una figura, una persona.
Eccola capire, lasciar cadere il telefono e mettersi a ringhiare, esattamente come Kyle alle sue spalle.
Dannazione!
 

(aggiornamento del 06/02/2017)
 
   
 
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