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Autore: Son of Jericho    16/07/2017    1 recensioni
Sequel di "How can I know you, if I don't know myself?"
Sono trascorsi due anni da quando il sipario è calato sullo spettacolo alla Hollywood Arts. La vita per i ragazzi sta andando avanti, tante cose sono cambiate, e sta arrivando per tutti il momento di affrontare responsabilità, problemi e sorprese.
E mentre impareranno cosa significa crescere, si troveranno faccia a faccia con il tormento più profondo: i sentimenti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andre Harris, Beck Oliver, Cat Valentine, Jade West, Tori Vega
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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VIII - i'mLookingIntoYou


 

 

Sabato mattina, Freddie era andato presto al Franklin, doveva aveva incontrato Beck e Andre. Avevano fatto colazione, e si erano messi a parlare dei loro impegni per il week-end.

- Che facciamo stasera? – chiese infine Andre.

Beck aveva appena finito il suo caffè. – Usciamo! – affermò con decisione. – Senza dubbio, mi sembra che ne abbiamo tutti bisogno. –

Andre e Freddie si erano scambiati un’occhiata e avevano annuito. – E’ vero – fece il primo. – Devo uscire da quella stanzina, o le note finiranno per uscirmi dalle orecchie. Dove andiamo? –

Beck ci pensò un attimo, rovesciando la testa all’indietro verso il soffitto. – Che ne dite del Rox? –

- Aspetta, è quello sulla settima, accanto alla tipografia? – domandò incerto Freddie, che ancora non aveva imparato la geografia di L.A.

- Esatto. –

- Per me va bene. – disse Andre. – Basta che non sia pieno di matricole universitarie, agitati e ubriachi come l’ultima volta. –

Il canadese fece spallucce. – Non lo posso sapere, non sono io il proprietario. –

- Ma sarebbe tutto più semplice se uno di noi possedesse un locale! – intervenne Freddie ridendo.

- Sante parole, amico. – concordò Andre. – Risolveremmo tanti problemi. Vada per il Rox, allora, ma a Cat lo spiegate voi come arrivarci. L’altra volta aveva imboccato l’autostrada per Las Vegas! –

Beck si rassegnò. - Ho capito, passerò io a prenderla… -

- Non può accompagnarla Jade? – chiese Freddie.

- Non vuole farla salire sulla sua macchina, dice che c’è troppo affezionata… -

- Ok… - sollevò un sopracciglio, perplesso. – Ma ricordati che devi portare anche me. –

- E quando ti deciderai a prendere una tua auto? – lo provocò ironicamente l’amico.

- Finché non mi danno il primo stipendio, posso permettermi al massimo la bicicletta. –

Beck si mise a trafficare un po’ sullo smartphone. – Prenoto un tavolino? –

- Assolutamente sì! – si fece sentire Andre. – Non voglio ritrovarmi di nuovo in mezzo alle matricole… -

- … universitarie, sì, l’abbiamo capito. Mando un messaggio ai ragazzi, facciamo per sette? –

- Sette? Chi è che non stai contando? –

- Gabriel, so che non può venire. –

- Nemmeno stavolta? –

Beck scosse il capo sghignazzando e gli fece il verso. – Deve lavorare. –

Freddie contrasse i muscoli della fronte. Gli faceva sempre uno strano effetto parlare del ragazzo di Sam. – Lavora anche il sabato sera? –

- Evidentemente sì. –

Era forse la prima volta che andavano più a fondo nell’argomento Gabriel. – Ma cosa fa? –

Beck ostentò indifferenza, forse per metterlo più a suo agio. – E’ in una steakhouse, fa il cameriere, il sommelier… qualcosa del genere, insomma. E, a quanto pare, questa settimana il suo capo gli ha affidato il turno di sabato sera. –

- Che sfiga. – disse, mentre in realtà ne era segretamente contento.

- Secondo me nemmeno tanta. – si inserì Andre.

- Ci raggiunge dopo? –

- Io non credo. – ammiccò malizioso. – O se lo farà, lo vedremo già piuttosto cotto? –

Freddie inclinò la testa, aggrottando le sopracciglia. – Che significa? –

- Io dico che non avrà bisogno di venire al locale. Lo sappiamo benissimo che… - la frase interruppe su un gesto eloquente, che mimava il versarsi qualcosa in gola.

Mentre Andre scoppiava a ridere e coinvolgeva anche Beck, Freddie iniziò a preoccuparsi. Un sottile brivido, ma dai tratti orrendi. – Beve? –

Il canadese si ricompose. – Eh, diciamo che col vino non ci va leggero. –

Il giovane Benson fu sconvolto dall’aver scoperto quel lato oscuro di Gabriel. I pensieri presero a correre all’impazzata, volgendo subito verso il peggio. Aveva sentito a dozzine di storie, di uomini prede dell’alcolismo che trascinano le compagne nel loro stesso baratro, o che fuori controllo arrivano a maltrattarle. I notiziari e i giornali erano pieni di casi del genere.

- Ma… - balbettò. – Se ha davvero questo problema… e Sam… -

Beck si accorse del suo turbamento, e si sporse dalla poltroncina. – Tranquillo, Freddie, lo stavamo solo prendendo in giro. –

Anche Andre cercò di rassicurarlo. – A un drink non dice di no, ma un po’ come tutti. –

Beck posò una mano sulla spalla dell’amico e gli diede una pacca. – Ti preoccupi troppo. –

In quel momento, Freddie si sentì un completo stupido. Beck aveva ragione, lui si era sempre preoccupato troppo per Sam e per la sua felicità. E ancora oggi, non si riteneva abbastanza forte per smettere.

 

*****

 

Le lezioni della mattina erano giunte al termine, concedendo agli studenti la libertà di recarsi alla mensa per il pranzo. A differenza di tanti altri, Robbie non si era fiondato fuori dalla classe al suono della campana, ma aveva preferito fare con calma e fermarsi a riordinare prima il banco e poi l’armadietto. Era, come lo era sempre stato, uno studente modello, e i professori lo adoravano anche per questo.

Arrivato al bancone, si era riempito il piatto con una fetta di polpettone e una dozzina di patate al forno, e aveva sdraiato sul vassoio una bottiglietta d’acqua. Cercando di farsi spazio tra la folla di ragazzi, era poi partito alla ricerca di uno spazio in cui sedersi. Evitò accuratamente le tavolate delle confraternite, che non frequentava, scovando un angolo ben più tranquillo. Era un tavolino a quattro posti, per il momento completamente vuoto, accanto alla finestra che dava sul giardino.

Mentre si dirigeva alla meta scelta, il cellulare prese a vibrargli ripetutamente in tasca. Superato il sobbalzo che per poco non gli fece scivolare il vassoio di mano, non ebbe neanche bisogno di guardare lo schermo per sapere chi fosse.

Nemmeno sua madre lo chiamava con la puntualità che aveva Cat.

Si sedette appoggiando tutto sul tavolo, ed estrasse il telefono. Sorrise, notando come la ragazza gli avesse inviato già sette messaggi su WhatsApp, senza neppure aspettare che lui li leggesse. Si mise a scorrerli, mentre addentava voracemente il pranzo.

Di Los Angeles, Cat era l’unica con cui aveva mantenuto i contatti con costanza. La trovava ancora un’ottima compagnia, decisamente più simpatica di monti tedeschi.

Immerso nella sua conversazione, Robbie non si rese conto che i suoi compagni di corso, Stefan e Kendra, lo avevano raggiunto e si erano accomodati di fronte a lui. Si scambiarono un’occhiata d’intesa, osservando divertiti come l’attenzione di Robbie fosse, per l’ennesima volta, in tutt’altro mondo.

Il primo, Stefan, originario di Dusseldorf e di buona famiglia, frequentava quell’università soltanto perché la casa dei genitori si trovava a meno di un chilometro di distanza. Biondo scuro, aveva un fisico estremamente magro, mascherato sempre bene da camicie di una taglia più stretta. Era solare e sempre con la battuta pronta, il che gli conferiva un discreto seguito tra le ragazze.

Kendra invece, come Robbie, si era trasferita in Germania per inseguire la sua passione per il cinema. Originaria del Galles e rossa di capelli, aveva una personalità spesso difficile da comprendere, fatta di simpatia, gentilezza e giudizio, ma talvolta anche di eccessiva fantasia e impulsività.

Frequentavano quasi le stesse classi ed erano diventati i migliori, nonché unici, amici di Robbie in Germania.

Stefan incrociò le braccia, fingendosi offeso. – Credi che prima o poi si accorgerà della nostra esistenza? – scherzò, mentre Robbie continuava imperterrito ad avere gli occhi incollati sullo schermo.

- Io dico di no. – lo prese in giro anche la ragazza.

- E se provassi a bucargli il braccio con la forchetta? –

- Userei l’altro. – si destò finalmente Robbie, provocando una risata collettiva.

- Deve essere qualcuno di importante, - fece Kendra poco dopo, - Se non riesci a guardare altro che WhatsApp. –

Robbie spense il telefono e lo posò sul tavolo. – E’ solo un’amica di Los Angeles. – disse, con un sorriso dal tratto nostalgico.

Stefan guardò fuori dalla finestra. – Los Angeles… non ci sono mai stato. Una volta sono andato a Chicago, è vicino? –

– Nemmeno un po’! – Kendra scoppiò a ridere, tentando di nascondersi la bocca con la mano. Si fece poi più seria, rivolgendosi all’altro. – Ora che ci penso, però, tu però sei sempre stato molto misterioso riguardo al tuo passato. Cosa facevi a Los Angeles? –

Robbie buttò giù un paio di patate e scrollò le spalle. – Più o meno le stesse cose che faccio qui, solo con due anni di meno. –

- E com’era la vita ai piedi di Hollywood? –

La domanda lo spiazzò per un istante. - Era… diversa. Era un’altra vita. – lo sguardo gli cadde d’istinto sul cellulare, abbandonato sul tavolo, e un’improvvisa goccia di malinconia andò a mescolarsi alla gioia.

Quello che non avrebbe ammesso era quanto, quella vita, lui la sentisse così lontana e ormai quasi dimenticata.

 

*****

 

Il lavoro era esattamente come Freddie se lo immaginava, alla Crystal-Tech. Il team di informatica si occupava principalmente di manutenzione hardware, aggiornamenti software e amministrazione delle reti aziendali. Con le conoscenze che aveva gli risultava piuttosto semplice, senza contare che operare in quel mondo gli era sempre piaciuto un sacco.

Lo avevano preso per due settimane in prova, con la prospettiva di un contratto di sei mesi con opzione per un ulteriore anno, se le cose fossero andate bene. Non era il massimo, ma l’ultima cosa che voleva era lamentarsi di quell’opportunità. “A caval donato non si guarda in bocca”, era uno dei detti che sua madre adorava ripetere. E Freddie sapeva benissimo che, per un ragazzo come lui e in un momento del genere, quel contratto era oro.

Faceva circa un’ora di straordinario tutti i giorni, un po’ per fare buona impressione sui superiori, un po’ per stare il più lontano possibile da quella desolante camera d’albergo.

Una di quelle sere, impegnato sulla struttura di alcuni database, non si rese conto di essere rimasto praticamente solo in azienda. I suoi colleghi avevano già staccato da almeno trenta minuti, gli uffici si erano svuotati ancora prima, e a popolare i corridoi erano rimaste soltanto gli inservienti.

Raccolte le proprie cose e riposte nello zaino, Freddie spense i computer e si preparò ad uscire. Salutò rapidamente Carmela, la signora messicana delle pulizie, e proseguì per andare a timbrare il cartellino. La macchinetta, con il tabellone delle schede dei dipendenti, si trovava al piano di sotto vicino all’ingresso.

Arrivato giù e sbrigate le pratiche, notò come uno degli uffici, nonostante l’orario, fosse ancora ben illuminato e operativo.

Conosceva bene quell’ufficio. Era quello del reparto marketing. Era quello di Sam.

Spinto da una forte curiosità, Freddie si avvicinò con cautela per vedere chi ci fosse dentro. Non era detto che fosse proprio Sam, e comparire dal nulla alle spalle di una collega semi-sconosciuta, non gli avrebbe certo fatto guadagnare punti agli occhi dei capi.

Si era sbagliato di nuovo. Quando si affacciò sulla soglia, la vide. Era sola e di spalle, con lo sguardo preso dallo schermo e le mani sulla tastiera, perciò non si era ancora accorta di lui.

Freddie la vide come un’opportunità da non mancare. – Ancora qui? –

Sentendo la voce del ragazzo, Sam si voltò di scatto verso di lui. Si leggeva chiaramente lo stupore nel vederlo lì, ma l’espressione sul suo volto rimaneva per gran parte indecifrabile.

- Già, devo lavorare. – gli rispose, tornando subito dopo a fissare il video.

Bastò quel tono, freddo e colmo d’indifferenza, a convincere Freddie a tornare sui suoi passi. Gli balenò di nuovo per la mente il pensiero di quanto Sam sembrasse cambiata: trattenersi fino a tardi, e preferire lavorare piuttosto che fermarsi a fare due chiacchiere con un amico, non era della ragazza che conosceva.

Si era appena avviato verso la porta d’uscita, quando la voce di Sam lo rincorse e lo raggiunse come una freccia. – Freddie! –

Il giovane ritornò indietro. – Che c’è? –

Con un gesto della mano, Sam lo invitò a entrare. – Vieni qua. –

Freddie si avvicinò con diffidenza, chiedendosi se quella fosse ancora la stessa persona di dieci secondi prima.

- Ho bisogno di un parere esterno. – gli indicò lo schermo. – Dai un’occhiata. –

Freddie si ritrovò a osservare due fogli bianchi, disposti paralleli: quello di sinistra era pieno di scritte in caratteri diversi, mentre sull’altro c’erano alcune figure geometriche colorate, un paio di foto e qualche effetto grafico.

- Che cosa sto guardando? –

- Il mio nuovo progetto di marketing. – sprofondò sulla sedia sospirando. – L’ho cominciato tre giorni fa, ma sono già a corto di idee. Non so più dove sbattere la testa. –

- E vuoi sul serio il mio aiuto? –

- Magari, partendo da qualche tua idea brutta, me ne vengono in mente di migliori. –

Una breve risata coinvolse entrambi, mentre Freddie sottraeva la sedia a un’altra scrivania e si metteva accanto a Sam.

Gli erano mancati questi momenti con lei. Un po’ come in passato, quando passavano i pomeriggi scrivendo i copioni di iCarly.

Sam gli spiegò quale prodotto doveva pubblicizzare, e quale avrebbe dovuto essere il risultato finale. Nella sua testa aveva un’immagine più o meno definita, ma riportarla in digitale era tutta un’altra cosa.

Trascorsero una buona mezz’ora a parlare del lavoro, con una rinnovata complicità che non poté che far piacere a Freddie. Sapeva che il cammino sarebbe stato lungo, forse interminabile, ma era contento di aver stabilito almeno l’inizio.

Alla fine, Sam lanciò il lapis sulla scrivania, rassegnata. – Forse è il caso di staccare per oggi. Meglio dormirci sopra, lo riprenderò in mano domani. –

Freddie accettò col sorriso. Si alzò, ripose la sedia dove l’aveva presa e raccolse lo zaino. – Ci vediamo fuori. –

Sam stava già spengendo ordinatamente il computer e tutti gli altri interruttori dell’ufficio. – Chiudo, timbro e arrivo. -

Il giovane Benson si diresse verso il parcheggio, ancora sorridente, mentre il sole aveva iniziato a nascondersi dietro l’orizzonte.

La sua espressione mutò radicalmente appena varcata l’uscita. Nella stradina che costeggiava il capannone, a fianco dell’auto di Sam, c’era una seconda vettura. Una Ford chiara, forse grigio metallizzato, difficile stabilirlo al crepuscolo. E appoggiato allo sportello, con le braccia incrociate, c’era Gabriel.

Freddie gli andò incontro con i muscoli contratti, consapevole di dover passare necessariamente davanti a lui.

- Ciao, Freddie. –

- Gabriel. – replicò con un impercettibile movimento del capo. – Che ci fai qui? –

- Sono passato a prendere Sam. Ho deciso di farle una sorpresa e portarla a cena. –

Che bello… bravo”, si disse Freddie, mentre annuiva fingendosi colpito. Fece per allontanarsi, ma Gabriel lo fermò immediatamente.

- Noi non abbiamo ancora avuto modo di conoscerci bene. Non abbiamo mai parlato granché. –

- Sono un tipo molto riservato. –

- Hai scelto la città sbagliata per esserlo, allora. – rise alla sua stessa battuta, mentre Freddie si sforzava di esibire un sorriso di circostanza. – E così tu vieni da Seattle, giusto? –

- Già. –

- Sam mi ha raccontato che eri un secchione a scuola. Andavi all’università o lavoravi? –

Il giovane Benson cercò di trattenere l’irritazione che stava montando in lui. Non provava una gran simpatia per Gabriel. – Tutte e due, facevo qualche lavoretto per potermi permettere la facoltà. –

- Avrai lasciato anche qualcos’altro laggiù: famiglia, amici… la ragazza? –

Freddie decise di darci un taglio. Scelse un tono deciso, ma provocatorio a tal punto da sembrare sarcastico. - Senti, Gabriel: è tardi e ho pure freddo. Se vuoi sapere anche qual è il mio numero di scarpe, porto il 43. -

Non aveva più voglia di aspettare Sam, né di spendere un altro minuto con Gabriel. – Ci vediamo. –

- Vuoi un passaggio? –

- Prendo l’autobus. –

Anche Sam rimase sorpresa quando, arrivata al parcheggio poco dopo, si ritrovò davanti il solo Gabriel. Lui la accolse con un sorriso smagliante, lei con una domanda. – Dov’è finito Freddie? –

Il ragazzo scrollò le spalle. – Se n’è andato a casa. -

 

*****

 

Era una serata come tante a casa di Tori e Andre. Lui se ne stava stravaccato sul divano, in soggiorno, davanti alla tv con un sacchetto di patatine in mano, mentre l’amica era in camera, a navigare su Internet sul suo portatile. Passava svogliatamente dalle pagine dei social network ai blog di moda e ai siti di musica, aspettando solo di essere sopraffatta dal sonno. Buttarsi sotto le coperte, al caldo, in vista del buongiorno della mattina successiva non era una prospettiva così malvagia.

A un tratto, ridestandola dal torpore, lo smartphone vibrò sulla scrivania. Tori si alzò dal letto, stiracchiandosi e come attirata da quel richiamo.

Aprì la notifica di WhatsApp: “Ciao Tori, che fai di bello?”

Tori non riuscì a fare a meno di sorridere. La sua speranza, più o meno nascosta, si era avverata. Ormai i messaggi tra lei e Thomas si erano fatti sempre più fitti, ma quella era la prima volta che le scriveva anche dopo cena.

Afferrò il telefono e tornò a sdraiarsi sul letto. “Di bello niente, sono al computer”.

Turno pesante oggi al lavoro?”

Non più di tanto, a parte qualche vecchina insolente”. In realtà, quello che avrebbe voluto digitare era che ogni turno era insuperabile, se non lo condivideva con lui. Da un paio di giorni, per colpa del direttore, molte rotazioni erano state cambiate, e lei e Thomas non si erano più visti. Restava ancora WhatsApp, per fortuna.

Ti va di fare un giro?”

Tori si trovò immediatamente combattuta tra la voglia di accettare e qualche freno che ancora le era rimasto. “Adesso?”

E quando altrimenti? L’hai detto tu che non stai facendo niente.”

La ragazza guardò l’orologio, cercando una scusa più con se stessa che con Thomas. “Ma è tardi, devo alzarmi presto domattina.”

Anch’io, e allora?”

Tori si sentiva segretamente conquistata da tanta ostinazione. “E’ freddo per uscire in moto.”

Ho la macchina”.

Non sapeva più cosa inventarsi, e così finì per non rispondergli. Poco dopo, vedendo il suo silenzio, Thomas tornò alla carica. “Sei ancora lì?”

Certo”, gli scrisse molto lentamente.

Ho capito, per convincerti devo giocarmi il jolly.”

Quale jolly?”

Sai dove sono?”

Dove sei?”

Sono sotto casa tua”.

Tori si pietrificò.

E non accetterò un altro no come risposta.”

Passarono altri interminabili secondi di mutismo da parte della giovane Vega, in cui ogni parola le passasse per la mente veniva puntualmente scartata.

Allora, scendi?”

Sono già in pigiama.”

Sono sicuro che stai benissimo anche così”.

Tori non vedeva più una ragione per dirgli di no. Scattò su dal letto e digitò qualcosa al volo, mentre apriva l’armadio. “Ok, dammi cinque minuti. Mi cambio e scendo.”

Meno di cinque minuti dopo, Tori era seduta nella macchina di Thomas. Era una Toyota color antracite, con parecchi anni sulle spalle. Il cruscotto era vecchia scuola, con il contagiri che sporgeva in alto a sinistra rispetto al tachimetro. I sedili, foderati di cuoio beige, portavano i segni dell’usura, ma nonostante questo Tori li trovò subito comodissimi.

Thomas ingranò la marcia e partì con un certo slancio verso un’imprecisata meta. Accanto a lui, Tori sentiva una particolare emozione correrle lungo la schiena, qualcosa a metà tra eccitazione e nervosismo. Lo osservava guidare con la coda dell’occhio, chiedendosi cosa stesse pensando lui in quello stesso momento. Il silenzio regnava sovrano nell’abitacolo, finché non fu proprio il ragazzo a spezzarlo. – Hai provato a sentire almeno qualche gruppo, tra quelli che ti ho suggerito? –

Una domanda all’apparenza innocente, ma il suono della sua voce, nella quiete della sera, non fece altro che accentuarle il brivido. – Non ancora. – ammise Tori.

- Proprio nessuno? –

Lei scosse il capo con innocenza. – No, ma prometto che lo farò. –

- Prima o poi, come sempre. – rise – In queste cose sei una delle ragazze più inaffidabili che conosco. –

Tori, punta sul vivo, ribatté piccata alla battuta. – E sentiamo un po’, Ghost Rider… nelle altre cose come sono? -

Il ragazzo mantenne gli occhi saldi sulla strada. – Fantastica. –

Le sfuggì un sorriso, incapace di ribattere. Non era certo il primo complimento che riceveva, ma uscito dalla bocca di Thomas, aveva tutto un altro suono. Mentre si distraeva inseguendo il significato, si accorse che lui aveva iniziato a rallentare e si stava avvicinando al ciglio della strada.

Si trovavano in una via poco fuori dalla zona industriale, ben illuminata ma poco trafficata. Thomas accostò e spense il motore, sotto lo sguardo interrogativo di Tori. Lui continuava a fissare solo la strada, con il volante ancora tra le mani, il che rendeva la ragazza ancora più tesa.

- Sai… - disse infine. – E’ strano. Quando ho saputo di essere stato assunto al market, avevo più di un dubbio. Lo consideravo un lavoro come tanti altri, e a dire il vero, non ne avevo nemmeno tanta voglia. Quello che non sapevo, però, è che sarei arrivato a conoscere una come te. -

Tori lo stava ascoltando come se fosse in un film, mentre per la mente stava passando un treno di immagini.

Quando Thomas si voltò verso di lei, scoppiò in una risata nervosa. – Scusami, non sono molto bravo con le parole. Di solito sì, ma non con questo genere di discorsi. – ammise, per poi abbassare ulteriormente la voce. – Insomma, tra noi c’è qualcosa, Tori. –

Gli occhi della giovane finirono per perdersi, per l’ennesima volta, in quelli di Thomas. Quella sera, però, c’era qualcosa di diverso. Sentiva l’attrazione crescere più forte, fino al punto in cui capì che sarebbe stato inutile e stupido continuare a combatterla.

Per questo, quando Thomas si sporse verso di lei per baciarla, Tori si abbandonò completamente al vigore delle sue braccia e al soffice impeto delle sue labbra.

 

 
   
 
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