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Autore: __f__r__a__    17/07/2017    1 recensioni
L'emozione che si fa spazio tra le riflessioni. Il cuore che si agita tra le costole. Il raggio di luce nascosto, soffocato dall'oscurità. L'introspezione. La crescita di un'anima. Il rovello interiore. L'evoluzione di un pensiero, resa simbolicamente da sottili analogie. E' questo ciò che vuol rappresentare l'unione dei "racconti" che riporterò nei prossimi giorni su questo sito, i quali non dovranno essere considerati come i capitoli di una stessa storia, ma come tanti piccoli tasselli di un puzzle in ordine sparso, volti all'analisi e alla comprensione delle problematiche della società contemporanea.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Pensieri. 2013
 
 
 
Chi sono io?
Cosa sono io?
Sono seduta su questo sgabello, le mie mani sono già 
posizionate sui tasti del pianoforte davanti a me.

I tasti sono i suoi denti, legati alle corde vocali; la coda è la sua schiena e i pedali i suoi piedi.
Tasti bianchi e neri che raccontano una storia, ognuno di loro ha qualcosa da dirmi, bianchi e neri come i colori di un vecchio film dimenticato su uno scaffale.
Parlano tutti insieme, confondendo la mia mente.

Non riesco a mettere a posto i pensieri!
Ogni nota penetra e tutte insieme riempiono quella che non è altro che una scatola vuota: la mia testa.
Vi regna il caos. 
Urlo, il pianoforte tace.

Tutto tace.
Eppure il caos regna ancora dentro di me...
Il Nulla ha costruito la propria dimora nella mia testa e in fondo cos'è il ''caos'' se non qualcosa di disordinato?
E cosa esiste di più disordinato del nulla?
Come si fa a ordinare qualcosa se non c'è niente da ordinare?
Voglio suonarlo: il pianoforte è lì e mi tenta. Si vede che è molto vecchio, ma brilla ancora, la luce in quella stanza è tutta puntata su di lui. Era lui la star, era lui il re di quella stanza.
Voglio suonarlo, in modo tale da raccontargli la mia storia, poi lui la condividerà con il prossimo che si siederà, come me, su questo sgabello. Allo stesso modo io ascolterò qualsiasi storia lui voglia raccontarmi.
Ecco che alzo il dito indice ma non pigio sul tasto. Non so da dove cominciare.
Per poterlo fare dovevo prima rimettere a posto i pensieri, per poter raccontare tutto con ''ordine''.
Sono qui ferma, immobile. I minuti continuano a scorrere veloci e comincio a non interessarmene più.
Mi sto perdendo.
Ad un tratto il mio dito cade e ''LA''.

I miei occhi si spalancano e il suono si diffonde in tutta la stanza.
“LA”.
Un’onda sonora, meccanica, longitudinale.
Una perturbazione che si propaga nella mia testa, che si fa spazio tra i miei pensieri e ammutolisce per un solo attimo le voci che ho nella testa.
Si propaga, lo fa con una propria frequenza, con una propria lunghezza d’onda, quasi come se fossero delle caratteristiche personali, tratti somatici capaci di renderla unica nel suo genere, unica nel proprio timbro. Attraversa il mio corpo, così come attraversa l’aria umida che mi avvolge.
Una nota, la mia preferita, non so per quale motivo e non voglio saperlo: mi spaventa l’idea che la scienza possa spiegare tutto, da un qualsiasi fenomeno atmosferico a ogni tipo di impulso, di istinto, di sentimento. Questa assurda tendenza a voler sottoporre tutto a un’analisi che secca, inaridisce e isterilisce ogni cosa, rendendola ovvia, logica, fredda, oggettiva, impersonale, “sensata”. Un’attività mentale che esclude l’uomo dalla propria vita, dall’esistenza, dall’essenza ultima delle cose, dall’intimità impalpabile nascosta al di là delle apparenze.
E anche io divento un’esule, contagiata da questo meccanismo innaturale, mentre la vita continua a pulsare fuori di me, lontana e irraggiungibile.
Non so se ho più paura del fatto che tutto potrebbe avere, potenzialmente, un senso o della possibilità che tutto potrebbe essere perfettamente fine a se stesso, privo di senso.
Riflessioni che raggelano i sentimenti.
Più che vivere, mi osservo vivere.
Ecco la storia.
Il primo tassello del puzzle si muove e trova il suo posto.
Chiudo gli occhi e lo vedo: era lì davanti a me ed io col capo chino guardavo la punta delle sue scarpe gialle.
Poi non ricordo altro che queste parole:
-''Ha piovuto, la panchina è bagnata...Tutto è bagnato''
-''E allora? Soffiamo. Prima o poi si asciugherà'', mi rispose, come se credesse davvero che ci fosse una soluzione a tutto, a tutto tranne che per una cosa.
Potrei considerare questo piccolo frammento come il momento in cui gli eventi che hanno caratterizzato la mia vita, abbiano cominciato ad assumere rilevanza, per quanto la vita di una persona possa avere effettivamente “rilevanza”, sotto questo cielo.

 E con il ripresentarsi di questa scena nella mia mente, con essa compare ogni volta, nuovamente, il rifiuto di pensare e batto forte le dita su quei tasti.
Il pianoforte non suona. 
Sopra di esso è  incisa una frase: 
''UNA STORIA PER UNA STORIA''.
Da quello strumento così vivo per me, ma allo stesso tempo morto per molti altri, comincio a cercare risposte:''Cosa c'è da dire? Cosa vuoi sapere? Non ha senso rimembrare il passato.''.
Mi rispose ''Tutto passa: il tempo, le parole, le persone... Siamo solo passeggeri e viaggiamo su un veicolo troppo veloce e troppo ingiusto. Si chiama 'Vita'. Ora dimmi: se tutto passa, che senso ha vivere?''
Cosa ne poteva sapere lui? Era un pianoforte.
E io ero io. 
Ero solo io. Sì, io, ma io chi?
Non sono altro che mucchio di ossa, carne e pelle. E' inquietante a dirlo così. Eppure… è così?
Chi sono io? 
Non sono altro che qualcosa che può avere tanta influenza sul mondo quanto quella che potrebbe avere un ... Sassolino. Come tutti voi altri. 
Viviamo attraverso schemi, programmi. Nulla più viene lasciato al caso.
Non esiste più la semplicità di un gesto quotidiano. Tutto è una forzatura.

Bisogna alzarsi la mattina per essere quello che la società ci obbliga ad essere.
Guardami. 
Non sono altro che una comune mortale.
Sono tutta io. La mia personalità non è altro che un barattolino di tintura per capelli.
I miei occhi non sono altro che il colore o la forma che voglio dargli.
Le mie labbra sono nascoste dietro un rossetto troppo rosso.
Ed il mio viso è dietro una maschera troppo spessa.
C'è un involucro intorno a me.
Neanche le lacrime possono uscire. I robot non piangono.
Le lacrime sono cristallizzate e racchiuse dentro di me.
Tengo tutto dentro di me.
Si dà troppa importanza all' aspetto fisico perché non si riesce più a vedere quello che c'è dentro. 
Quello che dicono, per me, ha troppo peso.
Ma loro non sanno chi sono. E se loro non lo sanno, come potrei saperlo io?
''Se non so chi sono come posso raccontarti la mia storia?''
''Prova a dirmi chi sei.''
''Sono solo il riflesso di ciò che gli altri hanno lasciato in me.''.

 
   
 
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