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Autore: achilles29    18/07/2017    2 recensioni
10 canzoni, una per ogni personaggio. Perché la vita è davvero come un musical
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Losing My Religion

Autore: Achilles29

Personaggi: Genzo Wakabayashi, Karl Heinz Schneider, Nazionali tedesca e giapponese (solo citate)

Rating: Arancione (sarebbe giallo ma per sicurezza è meglio così…)

Avvertimenti: Nessuno… bhe, c’ è una scena di sesso, ma non è descrittiva… però, fangirl e fanboy avvisati, mezzi salvati!

Pairing: Genzo/Karl

Note: Cosa posso dire? E’ la mia prima fan fiction in questo fandom, ed il tutto è un piccolo esperimento senza pretese… Scritta per festeggiare il mio terzo anno su questo sito, non tiene conto degli eventi del manga (alcuni numeri li ho letti, ma ella mia biblioteca sono irrecuperabili... sigh!).

E quindi, Once more, with feeling!

 

 

Dedicata a slanif, che mi ha introdotto alla Genzo/Karl

E a quegli amici che sono rimasti nonostante il vento contro

 

 

N. 1: Losing my religion (R.E.M.)

 

(Karl Heinz Schneider/Genzo Wakabayashi)

 

“Oh, Life is bigger

It's bigger than you
And you are not me
The lengths that I will go to
The distance in your eyes

Oh no I've said too much
I set it up”

 

La prima volta che si baciarono, all’ ombra di un palcoscenico al Große Freiheit 36 (1), avevano sulle labbra il sapore della birra e delle lacrime.

Erano venuti per festeggiare una vittoria, e mentre gli altri ballavano al centro della pista, con in mano bicchieri traboccanti di Astra e Ratsherrn (2) loro due erano rimasti gli unici fermi sul bordo, in bilico.

Non seppe mai come, ne quando: in quel caleidoscopio assordante di luci multicolori, Karl riuscì a trovare Genzo. L’ altro, alzando la testa dal boccale di birra, incrociò il suo sguardo.

Fu un attimo. L’ attimo eterno prima dello scoppio di una bomba.

Attraversò la pista con passo marziale, come se i tacchetti da calcio gli si fossero incollati ai piedi. Prendendolo per mano, quasi trascinandolo, fino all’ impalcatura di legno lucido.                                                                             

Erano come un piccolo, autonomo micro-universo,dai colori forti: i capelli dorati di Karl, simili a un immenso campo di grano, gli occhi del colore del cielo primaverile.

Lui invece, era inchiostro e oro. E in quel chiaroscuro di musica assordante, fumo e alcool, si ritrovarono per la prima volta, guardandosi in faccia con gli occhi sgranati.

Dopo lo schiaffo, improvviso, non gli rimase altro che un sorriso lieve, di sfuggita, mentre tutt’ intorno il tempo tornava a scorrere inesorabile, e la musica copriva ogni pensiero. Karl se ne era andato, inghiottito dalla folla.

Gerzo rimase solo. E senza un perché...                         

“That's me in the corner
That's me in the spotlight
Losing my religion
Trying to keep up with you
And I don't know if I can do it”

Ma la scintilla, tra loro, era scoppiata molto tempo prima: durante il suo primo allenamento tedesco, quando, ormai sfinito e con in bocca fili d’ erba e terra, aveva rialzato per l’ ennesima volta lo sguardo.

E aveva incontrato il suo.

Gli occhi di Karl, il sorriso obliquo, un:” Non sei male” che aveva significato tutto, per lui, mentre prendeva in mano un pallone e lo sistemava al limite dell’ area, con lo sguardo deciso e fermo di sempre.

Genzo si era rimesso tra i pali, con i muscoli brucianti e la maglietta appiccicata alla schiena, sistemandosi meglio il cappellino per guardare in faccia il suo nemico.

Rimanendone folgorato.

“Oh no I've said too much
I haven't said enough

“Pronto?”

“... Sono Schneider. Sto cercando Genzo”

“Ciao Karl… Sono io…”

“…”

Un sospiro. Due corridoi vuoti di due anonimi hotel. Due nazionali, anche se diverse, appiccicate alle porte per origliare quell’ improbabile telefonata nel cuore della notte.  E due ragazzi troppo soli, troppo giovani ed orgogliosi per ammettere le proprie debolezze.

Perfino quella telefonata, al limite dell’ onirico. Perché entrambi sapevano che non avrebbero dovuto. Non la sera prima di un Mondiale. Non con i propri compagni così vicini.

Ma c’ era la solitudine, a roderli dentro; una lontananza metaforica, non solo reale; non da quando avevano litigato, prima di partire per le rispettive strade, e si erano ritrovati a corto di parole, aridi di immagini e amore.

Vuoti dentro.

Erano orgogliosi: Karl lo era. Genzo pure. Ma per un attimo, per entrambi, non rimase altro che la desolazione del corridoio deserto davanti agli occhi. E faceva paura.

“Mi dispiace…” E fu un sussurro, nel silenzio, perché era da così tanto tempo che non lo diceva a qualcuno.

“Anche a me” Perché le barriere da abbattere erano due: la freddezza di Karl, e l’ orgoglio di Genzo; perché, per una notte, volevano solo dimenticare.

Tutto e tutti. E rimasero solo loro, con le loro mezze parole e i loro silenzi. Senza più alcun motivo per continuare a parlare, ma incapaci di interrompere la chiamata.

Perché erano davvero stanchi,  di tutto e di tutti. Il vuoto dentro rimbombava delle parole non dette, e faceva male.

“Scommetto che ti sei appena seduto sul pavimento…” disse, con il solito tono strafottente, in un modo come un altro di spaccare il ghiaccio.

“Tu come lo sai?”

Silenzio:” Perché l’ ho appena fatto anche io” e in quell’ affermazione c’ era lo sfinimento, quello di una guerra combattuta a suon di silenzi e urla rabbiose, guardando un telefono sempre muto.

Il muro di legno era freddo, contro la sua schiena, così come il metallo della cornetta tra le sue mani; era scomodo, ma non lo avrebbe mai ammesso.

“Allora… come va il ritiro?” C’ era dell’ esitazione, nella voce di Karl, lo sforzo di allungare una conversazione con tante, troppe parole. Nessuno dei due amava parlare, ferventi sostenitori di un Ermetismo tutto loro. Eppure quel compromesso lo accettarono entrambi.

Gettare o le armi e cominciare a parlare. Fregandosene delle belve nascoste dietro le porte ad origliare…

“Bene dai… soliti compagni, soliti allenamenti… il sorriso da pirla di Tsubasa e le maniche arrotolate di Hyouga non è che siano cambiati così tanto…”

Lo sentì ridere, attutito, immaginandoselo mentre si portava una mano alla bocca per non farsi sgamare…

“Voi invece? Kaltz, Margas, Shuster?”

“Kaltz ha preso una sbandata incredibile per una dell’ hotel… Margas e Shuster invece si sono barricati nella loro stanza…”

“Davvero?” Rise, e continuarono così per tutta la notte. Ininterrottamente.

 Birrerie prese d’ assalto, corteggiamenti mortali… inspiegabili incendi…

Mai niente come questo…

Alla fine non si sentivano più così lontani, e pazienza se i mattino dopo si ritrovarono con delle occhiaie spaventose…

Era solo un’ altra cosa che li accomunava.

“I thought that I heard you laughing
I thought that I heard you sing
I think I thought I saw you try “

La notte di Amburgo era calda, in quell’ afosa metà di luglio; avevavo buttato la coperta ai piedi del letto, con foga, mentre si spogliavano, bramosi l’ uno dell’ altro, in un unico vortice di sensazioni e rumori, fino a divenire un’ unica entità.

Fino a quando non erano rimasti altro che due corpi nudi uno accanto all’ altro, e una meravigliosa sensazione di calore nel petto.

La notte era calda, e loro, nel manto scuro e opprimente della stanza, erano due stelle bollenti.

“Siamo come il sole” borbottò, con il volto nascosto nella clavicola dell’ altro.

Genzo, guardandolo con un sorriso serafico, da gatto sornione, sul volto, non riuscì a trattenersi: “E da dove arriva questa filosofica affermazione?”

Karl alzò gli occhi, due sottili fessure color ghiaccio, e il moro ne approfittò per ribaltare la situazione, sovrastandolo e riempiendolo di baci.

Il biondo ricambiò, stringendogli i capelli tra le dita, per poi scorrere i palmi per tutta la schiena, rotolando tra le lenzuola nocciola sotto di loro.

Ridendo, e soffocando le parole con i baci, ignorando lo scorrere inesorabile del tempo.

Un tempo che non li voleva, e che non li avrebbe mai accettati per ciò che erano davvero.

Si fermarono solo quando le persiane dimenticate aperte lasciarono entrare i primi raggi del sole; avevano il fiatone, ed erano entrambi coperti da un leggero velo di sudore.

I capelli di Karl, illuminati dal sole, brillavano come l’ oro; Genzo si avvicinò e gli sussurrò all’ orecchio: “Avevi ragione prima… sei davvero come il sole”

Il tedesco lo guardò, sapendo di aver ragione.

Mise un braccio dietro alla testa, sospirando soddisfatto, mentre canticchiava sottovoce, stonando inesorabilmente:

“They call her sunshine
The kind that everybody knows
They call her sunshine
She’s finer than a painted rose
Yeah yeah, Sunshine, yeah”

Finì la canzone, sfumando, per poi ricominciare dal ritornello. E guardandolo, cambiò quell’ her in him.

 Genzo, baciandolo nuovamente, si sentì Infinito.

 

Finita il 18/07/2017

Modificata il 19/07/2017

Ringrazio Melanto per avermi fatto notare, con la sua recensione, alcuni errori grammaticali. Mi scuso con tutti i lettori.

 

 

Credits: Losing my religion appartiene ai R.E.M. La canzone canticchiata da Karl è Sunshine degli Aerosmith.

(1)  Große Freiheit 36, 22767 Amburgo. Famoso locale della città, divenuto leggendario per le esibizioni dei Beatles.

(2) Astra e Ratsherrn, famose birre amburghesi.

   
 
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