Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: comewhatmay    19/07/2017    3 recensioni
Firenze, 1510.
Levi Ackerman è cittadino fiorentino, innamorato della propria città e di tutta l'arte in essa racchiusa. Contempla ogni chiesa, dipinto o scultura dinanzi ai suoi occhi.
Non sa però che quella stessa materia, da lui tanto elogiata, gli sconvolgerà irreversibilmente la vita ponendolo a contatto con un ragazzo dagli occhi rari e indescrivibili come mai nessuna opera che egli abbia mai vissuto.
[Ereri] [Storico]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Capitolo IV
-Nube rossa-
 
Scorse in lontananza il tetto di quella casa e senza che nessuno avesse la possibilità di individuarlo, penetrò nel retro. Si sporse quel poco che bastava per guardare oltre il vetro della finestra, ciò che vide lo lasciò contrariato: un lungo e marrone cappotto era appeso vicino alla porta d’ingresso mentre sotto di esso, sul pavimento, era poggiata un'inconfondibile valigia in cuoio marrone, non usurata tuttavia dalle perizie subite in tutti quegli anni nei quali era stata utilizzata. Tutto questo poteva star a significare solamente una cosa: doveva trovare anche per quel giorno un altro rifugio. Ciò non solo perché non potesse varcare la soglia di casa ma soprattutto perché non aveva la benché minima intenzione di farlo. Il sol pensiero di fronteggiarsi con quell’essere che qualunque individuo avrebbe definito suo padre gli dava il voltastomaco e le sue viscere si contorcevano tant’era l’odio che risaliva lungo l'esofago senza alcun remore.
Quello stesso odio, ne era certo, si sarebbe concretizzato in parole non minimamente gentili. Un moto di fastidio si propagò per tutto il suo corpo, esplicitando le proprie intenzioni. 
 
S’incamminò, verso quale luogo non era ancor sicuro. Di una cosa era però certo: non poteva rimanere lì un secondo di più, ne andava dei suoi nervi.
I suoi passi furono svelti. Si trovò presto lontano dalla casa dei suoi genitori e dal luogo del suo presente tormento e delle sue passate gioie.
 
Arrivato in periferia, velocizzò ancor di più il suo andamento. Il sole stava silenziosamente calando, lasciando posto al buio notturno. La possibilità di esser in qualche modo infastidito da gruppi di briganti o simili non lo allettava per niente ed è per questo motivo che avrebbe fatto meglio ad affrettarsi. Di sera, il pericolo incombeva nelle strade non sorvegliate, lontano dal centro della città. Anche se sentiva un gran bisogno di tirar le mani prudergli le nocche, non aveva per nulla voglia di esser assalito da un branco di animali.
 
Si ritrovò in poco tempo fuori dalla periferia e dalle zone ritenute pericolose per il tardo orario. La luce solare era quasi del tutto esaurita mentre il cielo era coperto da una minacciosa nube rossa che s'avvicinava, silenziosa. Non prometteva nulla di buono ma era troppo tardi per trovare un altro luogo. Per quella notte, Eren avrebbe resistito sotto l'enorme salice piangente, lo stesso sotto il quale qualche giorno prima aveva avuto il presentimento che vi sarebbe ritornato.
Raggiunto l'imponente albero ed ormai fuori dalla portata di ogni possibile disturbatore o qualsiasi esser umano, si appoggiò con pesantezza sul tronco e lasciò scivolare la sua schiena lungo il legno umido. Distese le gambe ed osservò ciò che nel suo campo visivo si estendeva: il caldo color degli ultimi raggi di sole era appena percepibile oltre l'orizzonte, il loro arancione sfumava nel cielo blu notte. Non vi era un filo di vento.
La nube arrivò e alterò del tutto quello spettacolo offrendone uno nuovo, dalla sfumatura ben più malinconica. 
Gli ultimi gabbiani migravano lontani, l'erba sotto le sue mani si fece umida. Il caotico contesto urbano divenne uno spiacevole ricordo e venne temporaneamente rimosso dal suo inconscio, assieme agli avvenimenti ad esso legati. 
Incominciò a piovere. La moltitudine di foglie sulla sua figura garantì al giovane un riparo sicuro ed egli fu grato di potersi beare di tale spettacolo.
Gli spilli d'acqua sottili graffiavano l'aria, rinfrescandola. Essi risvegliarono dalla terra quel profumo che al ragazzo tanto piaceva, quel profumo che gli alleggeriva l'anima e gli faceva pregustare quella libertà tanto ambita.
Ora vi era spazio solo per la natura ed Eren approfittò di quell'occasione per goderne al meglio dei modi. Lasciò che il profumo delicato dei fiori s'infiltrasse tra le sue narici, in contrasto con quello più forte e deciso del legno mentre l'aria si faceva più fresca e piacevole. Sarebbe potuto rimanere lì per un tempo indefinito, con la testa leggera, a contemplare quelle meraviglie.
Chiuse gli occhi e, senza fatica alcuna, cullato dalla danza piacevole delle gocce, si addormentò.

 

-Alcuni giorni dopo
 

Il Sole, quasi nel suo punto più alto, riscaldava piacevolmente le sue spalle. Dopo un paio di giornate animate dalla pioggia, le strade non perdevano occasione di pullulare di gente al primo fascio di luce. Il mercato si presentava più affollato che mai mentre mercanti esponevano la loro merce ed altri attiravano l'attenzione della folla, invitandola a dare un'occhiata ai loro prodotti.
Eren trovò quel trambusto incessante piuttosto sgradevole dopo vari giorni passati nella completa e singolare quiete, immerso nella natura. Una fitta lancinante attraversò il suo capo da una tempia all'altra.
Un mormorio provenne dal suo stomaco e il ragazzo si accorse che necessitava di mangiare qualcosa. Si diresse verso la tavola calda più vicina ma fermò i suoi passi quando si rese conto che sarebbe stato meglio per il suo sostentamento cercar di risparmiare più soldi possibile. Avrebbe sicuramente pernottato in una camera nella solita locanda in cui era abituato ad andare, gestita da un vecchio amico di famiglia. Doveva risparmiare se non aveva intenzione di far affidamento solamente sulla fortuna e la magnanimità di quel caro uomo.

Nei suoi pensieri si materializzò la figura di sua madre intenta a rigirare il mestolo nel calderone in rame, sprigionando fragranze che preannunciavano l'eccellente qualità delle pietanze e che facevano venir l'acquolina in bocca al piccolo Eren. Quella stessa acquolina fece capolino nel giovane allo stesso modo in cui nei suoi dolci ricordi rimembrava. 
Si diresse verso la casa dei suoi genitori. Visto l'orario, sua mamma doveva star cucinando come suo solito mentre l'uomo avrebbe dovuto trovarsi altrove e rientrare tra circa il tempo di mezz'ora. 

Arrivato in pochissimi minuti, non si accertò neanche dell'assenza di suo padre guidato da un famelico bisogno. Spalancata la porta in legno grezzo, trovò sua madre e le parve tale e quale ai suoi ricordi. Gli anni volavano via irrefrenabili ma c'era qualcosa che invece non era soggetto all'azione travolgente del tempo. 
Carla smise di trafficare con gli arnesi da cucina e guardò Eren, un moto di spavento le attraversò le grandi iridi marroni. Corse verso la porta ed in un tonfo deciso la richiuse.

"Sei impazzito? Entrare in questa maniera dalla porta principale!", mentre ella esclamava con rabbia mista a preoccupazione queste parole, si avvicinò a suo figlio e lo scosse tenendolo per le spalle guardandolo diritto nelle profonde iridi turchesi. 
"Madre, io-", il ragazzo fece per controbattere ma un inequivocabile lamento fu capace di spezzare la frase in procinto di pronunciare: proveniva direttamente dallo stomaco vuoto di Eren. Dallo sguardo di sua madre tutta la preoccupazione sfumò, lasciando spazio unicamente alla tenerezza. 

"Siediti, ti servo qualcosa". 
Quelle parole risuonarono come una benedizione alle orecchie del giovane. 

 
La ciotola fumante contenente un delizioso stufato fece quasi venir gli occhi lucidi ad Eren. Fu vuota nel giro di pochi secondi e la scena si ripeté per più di un paio di volte. Oramai il vuoto avvertito dal ragazzo nel suo stomaco era una lontana e fastidiosa memoria. Egli avrebbe volentieri voluto che rimanesse tra i meandri del suo subconscio il più a lungo possibile.
Bevuto l'ultimo lungo sorso d'acqua, ringraziò sua madre schioccando due baci sulle sue guance mentre lei sollevava dalla tavola la ciotola assieme al cucchiaio per porli sul ripiano della cucina. 

"Figlio mio, per qualsiasi cosa, sono qui. E sappi che tua madre ti vuole bene e ti ha sempre appoggiato", nel pronunciare codeste parole, Carla poggiò la sua mano sul viso di suo figlio in una dolce carezza materna mentre rivolgeva lui uno dei più dolci ed affettuosi sorrisi che Eren avesse mai visto.
Uno scricchiolio improvviso spezzò la temporanea atmosfera di serenità che tra madre e figlio era andata creandosi. 

Fu per una frazione di secondo che il giovane vide nell'espressione di Carla paura e, altrettanto velocemente, egli fu abile nel raggiungere la vicina porta che dava sul retro e richiuderla alle proprie spalle in una mossa fulminea ma silenziosa.

Lasciò che il peso del suo corpo poggiasse completamente sulla superficie lignea dietro di lui. La voce pesante di suo padre raggiunse i suoi timpani, riuscendo a superare la spessa porta. A quel suono provò un fastidio immenso. Un riflesso incondizionato fece sì che si mordesse con violenza un labbro. Doveva andar via, prima di commetter qualche errore. 
Seppur nulla rimpiangesse, ne aveva commessi fin già troppi.


 
-

 
Avvertiva l'impellente necessità di sfogare la propria frustrazione, in qualche modo. Se l'occasione di menar le mani non si presentava, l'unico alternativo rimedio che nella sua mente balenava era la pittura. Nutriva l'urgenza d'illudersi piacevolmente, ben consapevole che il risveglio da un tale sogno sarebbe stato duro da affrontare. Ciò, al momento, passava in secondo piano difronte ad un'altra priorità. Sentiva il bisogno di macchiare una tela, di distrarsi, di catapultarsi il più lontano possibile da una realtà che avrebbe voluto non gli appartenesse. 

Era questo il motivo che lo aveva spinto a recarsi quanto prima avesse potuto in bottega, quel giorno. Non vi era nessuno ad animare le due stanze che la componevano, oltre il giovane.
Nei giorni antecedenti, i suoi colleghi erano stati capaci di portare avanti in modo più che sublime l'opera commissionata dalla famiglia Strozzi, stando ben attenti a seguire tutte le indicazioni che Eren aveva loro dato. 
Il disegno preparatorio di Zeus era quasi terminato, così come quello di Ade. Afrodite ed Ares erano appena accennati da un leggero strato di matita mentre d'Apollo non si scorgeva neanche la sagoma: sotto l'esplicita richiesta di Eren, nessuno aveva osato raffigurarlo. Era un compito che aveva assegnato esclusivamente a sé stesso: nessuno avrebbe potuto meglio di lui descrivere quel Dio, somigliante così chiaramente a Levi, servendosi dell'arte.
Si sentì inspiegabilmente speciale ed un sorriso fece sì che gli angoli delle sue labbra si sollevassero senza che il giovane potesse accorgersene.

Nonostante tutto, ciò che in quel momento sentiva più premere era il dovere d'imprimere su tela lo spettacolo a cui aveva assistito sotto quel salice giorni prima al fine di fissarlo nel tempo: una volta steso sul tessuto, quell'incanto sarebbe rimasto immutabile e intoccabile dall'incombere irrefrenabile degli eventi.
Munitosi di tela, la poggiò sul cavalletto dinanzi a lui, in corrispondenza dell'angolo più illuminato del bilocale grazie al lume che egli aveva appena infiammato adoperando un fiammifero. Intinse il pennello nella boccetta d'olio scuro e miscelò, servendosi di esso, i pigmenti scuri posti sulla tavolozza in legno che con l'altra mano reggeva. Senza alcuna fase preparatoria iniziò a stendere pennellate blu notte, il panorama ben definito nella sua mente. 

"Eren, non spaventarti".

Una voce provenne dalle spalle del ragazzo. Col pennello ancora alzato, egli torse il suo busto in modo da incontrare lo sguardo del suo interlocutore, già avendolo riconosciuto: quella voce era pressoché inconfondibile.
A quel suono, il suo stomaco si contorse non troppo spiacevolmente. I suoi occhi brillarono, riflettendo la calda luce proveniente dalla candela posta nella lanterna ancorata al soffitto.
L'uomo era sulla soglia del locale, un regale mantello nero poggiato sulle spalle, tra le dita tratteneva un lembo di tenda appena scostato mentre l'altro braccio era conserto sul suo busto, l'espressione consuetudinalmente irremovibile.

"Siamo magnanimi, oggi?".
"Non essere insolente". Quella frase portò solo un'inspiegabile ondata di buon umore nell'animo di Eren. Una risata leggera scappò dalle sue labbra e Levi fu convinto che non avesse udito suono più dolce nei suoi ventisei anni di vita. 
"Pensavo che quando l'avrei rivista, sarei stato troncato da un infarto", Levi si perse nella profondità di quei due abissi turchesi e volentieri si sarebbe lasciato sprofondare in quel piacevole oblio.
Il suo volto rimase impassibile mentre si avvicinava al ragazzo ed i suoi passi riecheggiavano fra quelle spesse mura.

"La prossima volta sarà quella buona", sussurrò l'uomo quando gli fu abbastanza vicino. Eren non poté far a meno di scorgere la nota ironica nel tono dell'altro. Rise ancora, rinnovando quello strano calore che precedentemente all'altezza del cuore di Levi si era sprigionato. 
L'uomo osservò con attenzione ciò a cui il ragazzo stava dedicandosi appena un attimo prima del suo arrivo inatteso: poche ma incisive pennellate di blu si estendevano occupando la parte superiore della tela, senza in realtà coprirla del tutto. Chiaro fu all'uomo che il ragazzo aveva cominciato quel dipinto poco prima che lui mettesse piede in bottega, oscuro però gli restava il soggetto di essa.
L'opera al momento si presentava troppo poco definita per permettere al più grande di decifrare ciò che nella mente dell'artista passasse. Raramente era capitato nella sua esistenza di sentirsi così impotente.

"Di cosa si tratta?", egli chiese, indicando con un cenno del capo ciò che aveva davanti, non riuscendo a tener a freno la sua curiosità. Eren, ricomponendosi, distolse lo sguardo dall'uomo per dedicarlo momentaneamente al precedente oggetto delle sue attenzioni. 
"È uno spettacolo che è stato capace di stregarmi". Lo sguardo ammaliato del ragazzo si fece lontano e Levi avvertì nuovamente un fastidioso senso di estraneità attanagliarlo all'altezza del petto. Tuttavia, non ci fece troppo caso.
Una moltitudine di emozioni attraversarono le iridi del giovane e l'uomo paragonò l'adorazione che il giovane nutriva per ciò che stava raffigurando alla devozione che egli stesso provava per quei grandi, limpidi occhi.
Si sentì stupidamente devoto ad essi, la sua mente eliminò quello sciocco pensiero velocemente. 
Non era la prima volta che, vicino a quel ragazzo, aveva dovuto ricorrere a simili stratagemmi dinanzi alle frivolezze che nella sua testa erano transitate.

"Come se la cava con la pittura, lei?". Eren tornò a rivolgere la sua attenzione unicamente a lui e Levi non poté far a meno di sentirsi, per un motivo che non gli era dato comprendere, segretamente rincuorato.
"Faccio pena", furono le uniche due parole che disse, sincero. Eren apprezzò tutta quella schiettezza e la sua reazione a quella frase non diede motivo all'altro di sentirsi in qualche modo turbato per qualcosa che non era capace di fare. 

Eren riprese il pennello che aveva momentaneamente poggiato vicino agli altri strumenti sul banco posto lateralmente alla sua figura e lo intinse nuovamente nel pigmento sciolto, trattenendo la tavolozza con l'altra mano. Tenendo il pennello tra l'indice ed il pollice, stese semplicemente uno vigoroso tratto sulla parte superiore della tela. Puntò gentilmente in seguito il pennello in direzione di Levi e quest'ultimo non poté evitare di rivolgere lui uno sguardo interrogativo e allo stesso momento accigliato. 
"Non è così complicato come sembra", disse il giovane. L'atteggiamento perplesso dell'altro non mutò minimamente. 

Eren si avvicinò allora ancor di più all'uomo e senza che avesse la possibilità di rendersene conto si trovò alle spalle dell'altro. In un gesto del tutto naturale, dettato dall'istinto, poggiò delicatamente la sua mano esperta su quella titubante di Levi. L'uomo avvertì un brivido silenzioso percorrerlo per tutta la lunghezza della sua schiena a quel contatto inaspettato. Dovette adoperare tutto il suo coraggio al fine di tener la sua attenzione sulla tela dinanzi ai suoi occhi. La mano di Eren era così calda e grande, posata leggera sulla sua, fredda e pallida. 

Il giovane guidò sapientemente le sue dita e col suo ausilio Levi tracciò una spessa ed incontornata fascia scura. Eren fece sì che egli intinse le setole nel pigmento e, nell'avvicinare la tavolozza al fine di compiere l'azione, un braccio del giovane gli fu attorno. All'uomo parve un qualcosa di troppo simile ad un abbraccio ma scacciò via quel ridicolo pensiero dalla sua testa. Cercando il più possibile di ciò che era umanamente lui concesso, ignorò il calore che le membra dell'altro emanavano, quello stesso calore che, impercettibilmente, lo stava avvolgendo.

Focalizzò tutta la sua attenzione sulla lunga scia blu che aveva steso. A quella ne seguirono altre e lentamente Levi acquistava visibilmente fiducia in ciò che faceva. Nonostante ciò, la mano di Eren non abbandonò mai la sua. Dopo pochi tocchi, tre quarti del tessuto dinanzi alle due figure furono del tutto dipinti di blu. 

Il ragazzo lasciò temporaneamente la sua mano e si allontanò dall'altro mentre Levi non poté inconsciamente evitare di sentir la mancanza di quello stesso tepore che fino a pochi attimi prima lo racchiudeva. Sotto lo sguardo attento dell'altro, Eren pose il pigmento giallo sulla tavolozza e, dopo aver miscelato anch'esso servendosi d'una punta d'olio, tornò dove prima era. Nel medesimo modo, catturò una mano dell'uomo nella sua e pose inconsapevolmente l'altro braccio ancor più vicino al busto di Levi. Il respiro caldo del giovane s'infranse sul collo dell'altro e quest'ultimo trovò inspiegabilmente piacevole quel soffio leggero sulla sua pelle ormai divenuta bollente.
Pennellate gialle vennero stese in basso, andando a sfumare man mano tra il blu scuro: adesso striature dorate caratterizzavano l'incontro tra il calar del sole e l'incombere della notte. 

Lo scenario iniziò ad essere più chiaro nell'immaginario di Levi. 
Eren posò la tavolozza sul banco ed allungò il braccio, afferrando la boccetta in vetro contenente il pigmento rosso. Rimosso il tappo servendosi d'una sola mano, lasciò che una piccola parte del contenuto ricadesse sulla tavolozza e in seguito riprese quest'ultima inserendo il pollice nell'apposito foro. L'altra sua mano diresse quella di Levi verso la boccetta contenente l'olio e, una volta intinte le setole del pennello che l'uomo impugnava, mescolò il pigmento carminio. 
Il più grande non lasciò che una singola mossa di quelle semplici ma interessanti manovre sfuggisse alla sua attenzione.

Eren fece sì che il pennello puntasse all'altezza dell'angolo superiore destro della tela. Con leggerezza, le setole sfiorarono il tessuto che lievemente assorbì il colore. Sotto il controllo dell'altro, Levi picchiettò con più decisione nello stesso punto. Uno strato leggero e delicato ma al contempo dal colore pesante e deciso si venne a formare. Eren mescolò a quello stesso pigmento una punta di bianco, dando vita ad una sfumatura rosata che fu capace di dare tridimensionalità a quella che Levi aveva percepito come una minacciosa nuvola.
Essa gli ricordava la stessa che aveva visto pochi giorni fa: uno strano effetto era causato al pensiero che egli avesse condiviso la stessa visione del ragazzo, quel giorno, pur essendo lontani. Era sotto lo stesso cielo che, loro due, esistevano.

Un contrasto soave venne a crearsi tra quella delicatezza rosea ed il blu intenso della notte. 
Fu a causa del flusso inarrestabile dei suoi pensieri che egli non ebbe la possibilità di avvertire come il respiro del giovane si fosse fatto ancor più vicino da divenir quasi palpabile. Il tocco del loro pennello si fece più leggero, permettendo alla nube di non aver una forma ben delineata. Levi notò come il braccio dell'altro si fosse stretto ancor di più all'altezza della sua vita senza però minimamente sfiorarlo. L'uomo voltò impercettibilmente il suo viso e lentamente si ritrovò a rivolgere il suo freddo sguardo completamente al volto dell'altro mentre quest'ultimo continuava indisturbato a servirsi della mano dell'uomo per proseguire il dipinto. Eren fermò la sua mano operatrice e dedicò la sua attenzione all'altro mentre, resosi conto del fatto che Levi lo stesse guardando intensamente da non era al corrente quanto tempo, le sue gote presero una sfumatura rosea e delicata, simile alla nuvola che avevano appena raffigurato, insieme.

Senza timore ma con una malcelata nota d'imbarazzo, il più giovane resse lo sguardo penetrante dell'altro. Levi, per l'infinitesima volta, pensò a quanto fosse dolce il naufragar in quel mare che quelle due immense iridi turchesi contenevano. In esse l'uomo poteva cogliere tutte le emozioni che colpivano l'altro: erano lo specchio della sua anima e rimasero a scrutarsi nel profondo per quelle che sarebbero potute esser ore così come pochi secondi. 
Le narici di Eren vennero pervase dal profumo del più grande. Esso aveva il sapore di muschio, pungente ma delicato e fu capace di stordire completamente i sensi del più piccolo. Egli fu capace di osservare attentamente la pelle nivea dell'altro e bramarla nel suo interiore. 

Deglutì non troppo silenziosamente e Levi osservò come il pomo del giovane potesse sedurlo in un modo del tutto disinteressato. Il volto di Eren era parzialmente illuminato dalla fioca luce della candela e un gioco di ombre e luci veniva a crearsi su quella pelle olivastra. Le labbra involontariamente dischiuse riflettevano audacemente il tepore di quella fiamma e Levi le desiderò come mai prima d'allora aveva fatto.
Senza aver la possibilità di rendersi conto di ciò che stesse facendo, sollevò i talloni dal pavimento reggendosi sulle punte. Eren s'avvicinò pericolosamente al suo viso ed i loro respiri si mescolavano in un'eccitante danza che entrambi ambivano ballare. Lentamente le loro labbra s'avvicinarono e silenziosamente s'incontrarono in un tocco gentile. Il loro bacio fu casto mentre le loro iridi rimasero ancorate, inscindibili. Si risfiorarono impercettibilmente e fu allora che, inaspettatamente la passione li travolse. Il bacio fu profondo e il pennello sfuggì dalle dita tremanti di Levi, tintinnando sordamente dopo la caduta. Egli posò una mano sulla nuca dell'altro che in un inaspettato momento di lucidità aveva poggiato la tavolozza sul vicino banco. L'uomo lo tirò ancor più verso di sé mentre le loro bocche s'assaggiarono fameliche. Le mani di Eren si poggiarono sui fianchi dell'uomo, scendendo in seguito, impercettibilmente.
Levi portò l'altra mano sulla spalla del giovane, avvicinandolo ancora. I loro petti si sfiorarono.

Il ragazzo dischiuse le labbra, silenziosamente concedendo l'accesso alla lingua dell'altro. L'uomo, guidato da un istinto che non gli apparteneva, si lasciò trasportare non perdendo l'occasione. Le loro lingue erano complici d'una erotica danza fatta di desiderio e saliva. 
I loro petti si toccavano mentre le loro mani con discrezione studiavano le une il corpo dell'altro. Eren sentì le gambe divenir molli, essendo lui completamente in balia delle sensazioni. 

Sentirono la tenda venir scostata con poca grazia e Levi, fulmineamente, si staccò lasciando l'altro boccheggiante. 
Leonardo fece capolino nel bilocale, tenendo sottobraccio un paio di documenti e rivolgendo loro due un'espressione sorpresa. "Non m'aspettavo che qualcuno fosse in bottega già a quest'ora", disse. Dedicò la sua attenzione ad un soggetto in particolare.
"Levi", salutò. L'uomo rispose lui con un cenno eloquente del capo. Il rinomato artista si dileguò in fretta nell'altra stanza lasciando i due soli.
L'uomo guardò Eren: le gote arrossate, i capelli scompigliati e l'espressione sconvolta non potevano che renderlo ancora più meraviglioso. Egli non si concesse però il tempo che l'altro avrebbe meritato per esser ammirato. Senza pronunciare parola alcuna, con passo veloce varcò la stessa soia dalla quale era dapprima entrato, sotto lo sguardo confuso del più giovane. 
Quando l'altro non poté più esser colto dal suo sguardo, Eren avvertì un'inspiegabile pesantezza piombargli irruenta sulle spalle. 
Egli non comprendeva. Non ci riusciva.

 

-Palazzo Ackerman, Largo fratelli Alinari

 
Guardò il soffitto scuro. L'espressione impassibile non mutò minimamente ad ogni suo più insignificante pensiero. Una domanda nella sua testa non poteva esser ignorata: per quale motivo aveva deciso di recarsi in quel posto, quel giorno, in quel soleggiato e precoce pomeriggio? 
Aveva completato le sue mansioni in poco tempo e dopo aver riscosso del denaro sotto esplicito ordine di suo padre, aveva deciso di passeggiare per le vie della città: quando la sua mente aveva deciso di sviare il suo percorso senza chiedergli il permesso non gli era dato però saperlo. Era stato spinto dalla sua solita curiosità verso qualunque cosa? Era stato guidato dal veder artisti indaffarati nel dipingere le proprie opere?
Sì, certamente. Questa era parzialmente parte di una verità che ormai era fin troppo chiara anche a lui. C'era qualcosa che lo portava a rigettare quella falsa possibilità.
Mentire a sé stesso, ne era ben conscio, non lo avrebbe portato da nessuna parte, nondimeno a capo della situazione. Era consapevole che il motivo più palese che lo avesse portato in bottega fosse quel minimo di barlume di speranza di incontrare quel ragazzo. 
Era finito in bottega per una persona specifica e nasconderselo non avrebbe avuto il benché minimo senso.  
Eren: ecco il semplice motivo. Chiaro e coinciso.
Voltò il capo verso la grande vetrata ed osservò le stelle brillare, immerse nell'infinita volta blu. S'addormentò così, con una splendida visione a cullare il suo sonno ed un pensiero tormentevole a incombergli sulle spalle. 

 
 
 
~~~~~~~
 
Posso tornare a respirare. Profondamente e lentamente. 
Oddio, perdonatemi, questo capitolo è arrivato non troppo tardi ma non così presto come avrebbe potuto- causa vari impegni. 
E dire che scriverlo è stato impegnativo è dir poco, ma son abbastanza sicura che non c'è finora capitolo migliore di questo. O sbaglio? ;) 
I nostri piccoli hanno fatto un bel passo in avanti. 
Non odiate Leonardo, e scusate le mie citazioni a Leopardi ahah
Nessuna precisazione da fare per questo capitolo, ammesso che non me ne siano sfuggite.
Ora la smetto di annoiarvi con le mie robe, vi aspetto tra le recensioni care~
A presto! ♡

 
comewhatmay
  
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