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Autore: mido_ri    19/07/2017    0 recensioni
Due ragazzi completamente diversi entrano in contatto in un apparente contesto scolastico.
Alessio: il solito ragazzo disordinato e "piantagrane" che reputa la sua vita una noia, così come la scuola e qualsiasi tipo di legame con le altre persone.
Riccardo: un ragazzo, meglio definito "ragazzino", che sembra fin troppo piccolo per poter frequentare il secondo anno di liceo; al contrario del suo fisico, la sua mente è grande.
Così come ci si aspetterebbe da un ragazzo del genere, Riccardo nasconde a tutti, perfino alla sua famiglia, la vera vita che conduce ogni giorno, difficile e sconvolgente.
Un inaspettato incontro spingerà Alessio a porsi sempre più domande su quello strano ragazzo.
Come si svolgerà la storia dei due incompatibili compagni di banco?
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gio, 2 novembre, sera

Quella sera non cenai, rimasi chiuso in camera a fissare lo schermo del cellulare, aspettando che si illuminasse all’arrivo di un messaggio.

“Cavolo, sembro una ragazzina innamorata”

Sospirai e posai il cellulare sul comodino, decidendo di spegnere la luce e mettermi a letto, dato che era quasi mezzanotte; stavo per tirarmi le coperte fino al mento, quando il display si illuminò, squarciando l’oscurità in cui mi ero rifugiato.

Hey…  inviato alle 23:46

 Ciao inviato alle 23:46

Il mio cuore batteva all’impazzata, mentre nella mia testa continuavo a ringraziare quel qualcuno che aveva ascoltato le mie suppliche e aveva fatto sì che Riccardo inviasse quel messaggio.

Scusa per oggi inviato alle 23:47

Non importa… inviato alle 23:47

Ti ho detto la verità, mi credi? inviato alle 23:47

Sì, ma non mi hai detto tutto… inviato alle 23:48

Non voglio parlarne ora inviato alle 23:48

Neanche io, ma dimmi solo una cosa… inviato alle 23:49

Cosa? inviato alle 23:49

Non c’è nessuno stalker? inviato alle 23:50

No inviato alle 23:50

Ho voglia di vederti… inviato alle 23:52

Domani mi trovi a scuola, come sempre :) inviato alle 23:52

Ok, a domani :) inviato alle 23:53

Notte~ inviato alle 23:53

Sorrisi come un ebete e spensi il cellulare, pensando con impazienza al giorno successivo.

Ven, 3 novembre, mattina

Salutai Matteo sventolando una mano ed entrai in classe, lanciando un’occhiata all’orologio appeso in corridoio come al solito.

All’ultimo banco della fila centrale trovai Riccardo che, come sempre, era indaffarato a scrivere; alzò il capo e mi sorrise debolmente.

- Be’? -

Lui mi guardò stranito.

- Che? -

Nel suo sguardo c’erano ancora timore e distacco.

- Quando dico che voglio vederti, non vuol dire che voglio vederti e basta -

Mi avvicinai a lui e feci strisciare la sedia a terra, poi mi sedetti e gli rivolsi un’espressione seria.

- Voglio sapere come stai…e scusarmi di nuovo -

Allungai una mano verso di lui, un po’ tremante; spostai il colletto della sua felpa e sospirai pesantemente alla vista di quel segno violaceo, meno evidente rispetto al giorno precedente. Lui si ritrasse subito, a disagio.

- Sicuro che quel tipo non c’entri niente? -

- S-sì… -

Il mio volto sereno fu oscurato da ombre di rabbia.

- E allora perché ti stava intorno? -

Lui aggrottò le sopracciglia, contrariato.

- Perché, ti sembra così strano che un uomo sessualmente represso e ubriaco mi venga dietro? -

- Be’…dietro a te? Insomma… -

Mi grattai il capo confuso, pensando che effettivamente la mia affermazione era infondata, dal momento che anche io gli sbavavo dietro spudoratamente.

- Grazie, eh…ha parlato Mr. Socializzocontutti -

- Tieni la lingua a posto, nano -

Lui mi fece una smorfia, poi s’imbronciò perché la conversazione era giunta a un punto morto. In realtà c’erano migliaia di cose di cui avremmo entrambi voluto parlare, ma avrebbero tutte inevitabilmente rovinato uno dei pochi momenti tranquilli.

“Che m’importa, devo sapere almeno questo..”

Riportai a galla l’argomento del tizio ubriaco nel parcheggio.

 - Allora, vuoi dirmi che voleva quello? -

Riccardo alzò gli occhi al cielo e sbuffò.

- Non è importante -

- Sì, invece -

Mi avvicinai ancora di più a lui e lo scrutai attentamente.

- M-mi ha baciato… -

- Aspetta…innanzitutto, che ci facevi da solo là fuori? -

- Mi serviva un po’ d’aria -

- Okay…e poi? -

- Quel tizio stava fumando vicino a una macchina e mi fissava in modo inquietante, mi ha detto che ero un bel ragazzo -

Afferrai la matita di Riccardo sul banco e cominciai a stringerla forte, quasi a volerla spezzare.

- E nulla…che devo dirti? Mi avrebbe picchiato se non gli avessi dato retta, non l’hai visto?  Era un armadio… -

“Già…è proprio per quello che ho girato i tacchi e ti ho lasciato nella merda”

Notai che si sentiva in imbarazzo a parlarmene, perciò la buttai sul ridere.

- Be’, ho fatto giusto in tempo a rubarti il primo bacio -

Gli feci l’occhiolino scherzosamente.

- Come fai a dire che era il primo? -

- In realtà non lo so, ma spero che sia così -

Lo guardai male, attendendo una risposta.

- E invece no, ho dato il mio primo bacio a nove anni a una mia compagna di classe che aveva una cotta per me…e mi è letteralmente saltata addosso -

- Ah! Mi stai dicendo che una stupida bimba mi ha fregato il ragazzo? -

Non potei fare a meno di pensare a Noemi, strizzai gli occhi per scacciare quel brutto pensiero.

- Eh già…ora il mio cuore appartiene a lei -

Abbassò il viso per nascondere un sorriso, lo vidi arrossire.

- Hey -

Gli diedi un colpetto su una spalla.

- Sicuro di stare bene? -

- Adesso sì -

- Scusa se ho fatto il cazzone con te in questi ultimi giorni -

- No, no…avevi i tuoi motivi, e non ti darei nessuna colpa se mi dicessi che hai ancora molti dubbi, anche se sai già che ti ho detto quello che so… -

Una lacrima riuscì a fuggire dal suo occhio, lui la spazzò via immediatamente con il dorso della mano.

- Però mi farebbe davvero piacere se mi dicessi che… -

Gli afferrai il viso con le mani e premetti le mie labbra sulla sua guancia rossa, zittendolo.

Una sua mano si chiuse timidamente attorno al mio polso; mi allontanai dal suo viso e lo strinsi in un forte abbraccio. Mi ritrovai a piangere con lui.

- Ro…è tutto okay…non c’è nessuno stalker -

Presi un respiro profondo e gli passai ripetutamente una mano fra i capelli castani, cercando di tranquillizzarlo.

- Nessuno…è tutto nella nostra testa…nella mia testa…l’ho sempre detto io che sono una testa di cazzo! -

Mi sentii improvvisamente libero, come un prigioniero che, dopo aver scontato una lunga pena in carcere, si accorge che la chiave è sempre stata lì, nella serratura, e non può fare nulla, se non battersi una mano in fronte con forza e maledire se stesso per la propria incredibile stupidità.

Lo sentii ridere debolmente, scuotendo il petto contro il mio.

La campanella suonò, facendo scoppiare la bolla in cui ci eravamo messi al riparo, insieme.

Sab, 4 novembre, notte

Mi gettai sul letto senza fiato: ogni volta che ripensavo a ciò che era successo quella mattina in classe, il cuore iniziava a martellarmi forte nel petto e sentivo le guance diventare bollenti. E pensare che solo il giorno precedente lo odiavo a morte.

“Sono un cretino, come al solito non capisco mai niente…ma che mi costava fargli prima quelle domande?”

Restava comunque il fatto che nessuno dei due aveva idea di cosa fosse successo ai miei genitori né ai suoi amici, su cui mi ero informato attraverso vecchi articoli su vari siti internet. Per tutto quel tempo avevo dato la colpa a una persona inesistente, per così dire; ma era davvero giusto affermare l’inesistenza di un pazzo che tormentava Riccardo facendo del male a tutti coloro che gli stavano intorno? In tal modo, sarebbe stato impossibile spiegare quelle morti misteriose. Scossi la testa.

“Nah, deve essere un caso…”

Voltai il capo verso il balcone con le persiane ancora spalancate; un leggero venticello scuoteva le poche foglie secche rimaste sugli alberi circostanti, spesso strappandole crudelmente dai rami a cui appartenevano.

“Una corsetta mi aiuterebbe a schiarirmi le idee…tanto domani è il mio giorno libero, diciamo”

In effetti, pur di vedere Riccardo, avrei potuto cominciare ad andare a scuola perfino il sabato.

“No, quel nanetto non è così importante…ahah”

Mi rivestii e mi infilai una felpa calda, poi indossai un paio di scarpe da ginnastica e uscii silenziosamente di casa. Il display del cellulare segnava le 02:02 del mattino.

Dopo neanche cinque minuti di corsa lenta, avevo già il fiatone; tentai di distrarmi guardando il paesaggio che mi circondava. Era tutto incredibilmente triste e tetro: gli alberi spogli, le strade vuote, le luci spente negli edifici, le saracinesche dei negozi abbassate, i cani che abbaiavano in lontananza, soli e chissà dove. Eppure io stavo bene.

Dopo un tempo indeterminato di corsa, mi arrestai e mi poggiai con le mani sulle ginocchia tremanti per la stanchezza. Alzai il capo a fatica, con il petto che andava su e giù troppo velocemente per i miei gusti; sulla collina che mi stava di fronte intravidi la casa in cui abitavo quando tutto andava noiosamente bene, quando le mie uniche preoccupazioni erano mamma e papà che parlavano costantemente a telefono, soprattutto di notte, e il telecomando troppo distante dal divano.

Decisi di fare un ultimo grande sforzo e raggiungere quella casa; ficcai una mano in tasca e la strinsi attorno al mazzo di chiavi che sobbalzava a ogni mio passo, producendo un ritmico rumore metallico.

Spinsi la porta ed entrai, il salotto era nelle stesse pessime condizioni in cui l’avevo lasciato prima di andarmi a stabilire da Matteo. Passai delicatamente le dita su tutte le superfici dei mobili che incontravo, a partire dal salotto fino alla mia stanza. Percorsi il corridoio facendomi luce con la torcia del cellulare.

Il mio letto era ancora vergognosamente sfatto, e la famosa sedia dei panni ovviamente era carica di indumenti di cui ormai avevo dimenticato l’esistenza.

Aprii il balcone per far cambiare l’aria viziata e colma di granelli di polvere che fluttuavano ovunque e si sollevavano da ogni oggetto a qualsiasi mio movimento, ben visibili alla luce della torcia.

Mi affacciai alla ringhiera verniciata di bianco, per metà arrugginita, appoggiando il viso sui miei pugni chiusi. Voltai il capo in tutte le direzioni, scrutando l’appezzamento di terreno che mi stava di fronte, i cui alberi erano stati brutalmente mozzati; ne rimanevano solo i tronchi scuri e contorti, simili a spesse dita ossute e terrificanti.

Sussultai, la mia quiete fu interrotta da un’immagine orripilante.

Una sagoma scusa era china sulla terra umida e scavava maniacalmente con le mani, mormorando parole quasi incomprensibili a causa della distanza.

- Ma…mamma… -

Prima ancora di poter formulare delle frasi sensate nella mia testa, sapevo già con certezza che quella persona era Riccardo. Non osai spostarmi di un solo centimetro né fare alcun tipo di rumore che potesse attirare la sua attenzione, mi limitai a guardarlo.

Le sue azioni sembravano essere dettate dalla disperazione, mi dispiaceva enormemente per lui, ma lì sotto non avrebbe trovato niente: era stato portato tutto via. Difatti, dopo un lungo e incessante scavare, il ragazzo ricadde su un lato, scosso da tremiti e singhiozzi. Ripensai a quelle iridi di ghiaccio e alle parole del padre di Matteo, quella donna ai miei occhi poteva essere tutto, tranne che una buona madre; ma in fondo cosa ne sapevo io della vita di quel ragazzino, prima che fosse ulteriormente stravolta dalla mia esistenza? Non ero nient’altro che un dolore in più e, come se non bastasse, più forte di tutti gli altri.

Mi sentii terribilmente in colpa ripensando al modo in cui ero piombato nella sua vita, pretendendo di sapere, ricevere affetto, essere ricambiato.

“E se si sentisse costretto ad assecondare i miei sentimenti? In fondo non mi ha mai dimostrato nulla…e io? Neanche…”

Ero completamente assorto nei miei pensieri, quando d’un tratto fui colto da una sgradevole sensazione di disagio; abbassai il capo e constatai che un paio d’occhi era fisso su di me, i suoi occhi.

Il ragazzo aveva in viso un’espressione sorpresa anche se, differentemente da come mi aspettavo, non sembrava più fuori di sé, anzi, dopo avermi visto, i lineamenti del suo viso si distesero e lo vidi sospirare. Abbandonai la mia postazione e mi affrettai a raggiungerlo.

- Hey -

Mi tolsi la felpa e gliela poggiai delicatamente sulle spalle contratte per il freddo.

- Vuoi salire su? -

Lui scosse la testa, respirando attraverso le scure labbra socchiuse.

- Sicuro? Qui fa freddo -

- M-mh…ho paura -

Si guardò intorno e si soffermò sulla casa disabitata, rabbrividendo di colpo.

- Hey…sono sicuro che non sei stato tu -

- S-sì, ma…dov’è mamma? -

- L’hanno portata via -

Capii il suo dolore, la sicurezza di averla ancora con sé e la speranza che stesse solo dormendo furono distrutte dalla mia affermazione.

Circondai le sue spalle con un braccio e lo aiutai a rialzarsi, aveva ancora le mani e il viso sporchi di terra bagnata.

- Ti riaccompagno a casa…c’è tua nonna, vero? Ora non devi più avere paura…ti hanno rilasciato -

- No…non voglio -

- Perché non vuoi? -

- La nonna non mi vuole bene…crede anche lei a quello che dicono tutti gli altri -

- Però ti ha difeso  -

Lui emise un sospiro triste.

- Solo perché non vuole trovarsi ancora in mezzo a queste cose… -

Le sue ginocchia parvero cedere, lo strinsi a me. Lui alzò il capo e mi puntò gli occhi in viso, al buio apparivano scuri e profondi.

- Non mi lasciare…anche se ti faccio arrabbiare, tu continua a sederti vicino a me, anche se mi tratti male e mi prendi in giro -

Da quelle sue parole, proferite a voce bassa, compresi che anche io, così come lui per me, ero l’ultima cosa rimasta.

- D’accordo, però adesso vieni su, stai morendo di freddo -

Varcammo la porta insieme, poi lo feci accomodare su una delle vecchie sedie di legno accanto al tavolo da pranzo, anche se l’unica fonte di luce era ancora la torcia del mio cellulare.

- Mh…ti avrei offerto un tè, ma evidentemente non posso -

Mi lasciai sfuggire una risatina nervosa, era una situazione davvero imbarazzante.

Ma lui non mi stava ascoltando davvero, la sua attenzione era altrove: teneva gli occhi puntati su un mobile della cucina, quello stesso mobile sotto il quale avevo trovato il corpo senza vita di sua madre.

Sembrava essere da tutt’altra parte anche con la mente, come se fosse in uno stato di trance.

- Adesso ricordo…sono stato io, vero…? Mamma…? -

  
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