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Autore: trottola    20/07/2017    0 recensioni
In una città di cemento che non fa dormire mai, dove ognuno rincorre i propri sogni o tiene fede ai suoi obblighi, la sola possibilità per scrollarci dalle spalle la polvere della fatica è quella di ritrovarsi con uno sconosciuto a sorseggiare caffè e menta.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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   Si presentava come una grossa opportunità, una di quelle occasioni che non ci si può far scappare. Prendere o lasciare, e ovviamente il tempo a disposizione per elaborare una decisione è esiguo, bisogna dare una risposta subito, compilare documenti, fornire carte, recuperare vecchi attestati e pregare di non imbattersi nei mille cavilli della burocrazia. Avrebbe voluto potersi attaccare ad un motivo per rifiutare. Un’onesta e valida scusa. Ma non ne aveva trovata una.
Solo da un mese si era lasciata alle spalle l’università. Laurea in architettura. Quattro anni da studentessa lavoratrice, con tutto ciò che questo comporta: stare incollata al telefono prima di un appello per sedare un po’ la propria ansia o quella di una compagna, nottate passate sui libri, scadenze dell’ultimo momento che si palesano come una spada di Damocle, recuperare dispense e appunti, restare in pari con gli esami per poter aspirare alla borsa di studio; e i pomeriggi infiniti in biblioteca, quei disgustosi caffè della macchinetta presi uno dopo l’altro perché la sera prima si è tirato fino all’alba ad una qualche festa. Poi i turni da cameriera nel week-end, i clienti insopportabilmente esigenti mentre i tuoi amici sono fuori a divertirsi, la misera paga settimanale. Ma anche le bevute delle due del mattino, quando ormai le sedie sono state sistemate sui tavoli per dare una passata al pavimento, il locale è chiuso, rimangono solo i fedelissimi, si dicono due stronzate e intanto insieme si fuma qualcosa. Dio..gli anni dell’università..come si era divertita..

   È dell’estate precedente la fotografia che la ritrae raggiante il giorno della proclamazione, eppure le sembra trascorso un secolo, è convinta che il vestito - comprato all’ultimo momento per la grande occasione - già non le vada più bene. Come se fossero sufficienti un manciata di mesi per cambiare, oltre che la prospettiva, anche le proporzioni. Dopo la laurea aveva avuto appena il tempo per regalarsi un vacanza (se poco più di un fine settimana poteva considerarsi vacanza) con il suo ragazzo, poi ecco piombare dal cielo quella che poteva essere l’occasione della vita. Congratulazioni. Siamo tutti molto felici per te. Del resto sei sempre stata una studentessa brillante. È quello che ti meriti. Un tirocinio (non retribuito) in un affermato studio di Tokyo. Cosa vuoi di più? Non capitano tutti i giorni queste opportunità!
Si era sempre ripetuta che appena terminati gli studi si sarebbe concessa ben altro che un paio di giorni alle terme; nei pomeriggi trascorsi a preparare l’ultimo, faticosissimo esame di urbanistica le piaceva immaginare cosa avrebbe fatto una volta laureata. C’era tutto un elenco di appuntamenti mancati, libri mai letti, ore di sonno da recuperare che si accumulavano nel cassetto. Si divertiva a progettare i plannings di una sfilza di ipotetici viaggi con la precisione di un origami: per prima cosa avrebbe subito acquistato un biglietto per l’Italia. Voleva avere la possibilità di trascorrere finalmente del tempo insieme al suo ragazzo perché quella dannata relazione a distanza oramai cominciava a pesarle addosso. Aveva voglia di godersi - per un mese magari - la quotidianità con lui, le mattine pigre tra le coperte, gli sbadigli, una serie tv, giocare a carte per un’intera serata.

Kojiro quali giochi di carte conosce? Non glielo ha mai chiesto. In che posizione dorme? Alla mattina, mentre lei si lava i denti, lui potrebbe sgattaiolare in bagno a fare la pipì o è tipo da vergognarsi? Adora anche lui i film dei fratelli Coen quanto li adora lei?
Ha il quadro di insieme del suo ragazzo e della loro relazione, ma le sfuggono ancora tutti quei particolari preziosi, le reciproche sbavature, i piccoli imbarazzi che si svelano solamente vivendo fianco a fianco. La grana dello zucchero.

   Sveglia alle 12.30. Doccia. Colazione o pranzo, a seconda dell’umore e della voglia del momento. Prepara la ventiquattrore, il regalo di laurea dei suoi orgogliosissimi genitori. Si infila in un abito e giacca formale che si è comprata poco dopo essere arrivata a Tokyo. In un grande magazzino. Ma fa la sua figura. I primi giorni si era presentata al lavoro in pantaloni neri, t-shirt bianca e giacca nera sopra. A lei sembrava di essere elegante così, certo sobria, il trucco acqua e sapone non le aggiungeva niente ai lineamenti, ma per una come lei, abituata a passare dalla divisa da softball a jeans e sandali, le pareva già di aver fatto un grande salto in avanti sul fronte moda e stile. Era sempre stata una maschiaccia, poco avvezza ad allunga ciglia, maquillage e pochette. La sua linea slanciata, da atleta, da una che di km di corsa ne ha sempre macinati, l’aveva negli anni aiutata a fare la sua figura, anche con i vestiti smessi del cugino maggiore. In ogni caso le era bastato sbirciare i centimetri di tacco esibiti dalla receptionist all’ingresso dello studio, la piega perfetta della sua senpai, l’impeccabile grigio Armani dell’altro tirocinante, per giungere alla conclusione che sarebbe stato necessario rivalutare le sue teorie sul buon gusto e seccare uno stipendio per aggiornare il guardaroba.

-Non c’entro niente io qui.
Dopo le prime settimane a Tokyo Maki si era lasciata andare, con un sospiro, al suo primo sfogo. Neanche ad un passo dalla laurea si era sentita così svuotata di energie. Dall’altro capo del telefono Maki aveva creduto di percepire un attimo di silenzio, di esitazione. O forse il suo ragazzo stava solo cercando le parole giuste da articolare visto che non era mai stato capace di esprimersi con grandi discorsi. Ma stringerla a sé per confortarla, o anche solo incoraggiarla, in quel momento proprio non poteva, per cui Kojiro si era ritrovato a dover vagliare fra le argomentazioni più appropriate, a selezionare la sua inflessione più dolce. Per non apparire anche a lei, la sua compagna, come il ragazzo granitico, graffiante e intransigente che tutti conoscevano.

Chissà se a Kojiro piacciono le ragazze che si lamentano, si era chiesta. L’aveva sempre vista tenace, determinata, combattiva. Si era sempre voluta far vedere così. Ma erano i suoi primi giorni a Tokyo ed aveva solo voglia di tornare a casa. O di salire sopra il primo aereo e volare da lui. Di certo a Kojiro non piacciono le ragazze che si lamentano. Un conto è piangere per una sconfitta. Un altro è volersi ritirare a metà partita.

-Sono solo i primi giorni...datti il tempo per ambientarti. Anche per me qua non è stato facile all’inizio.

-Mi sento un eschimese all’equatore…

-Sì. È stato così anche per me.

Maki in quel momento si era sforzata di immaginare un Kojiro titubante, che osserva le figure dei suoi compagni e si sente a disagio e fuori luogo come si era sentita lei la prima volta che era andata a pranzo fuori con i colleghi e, a fine pasto, aveva poi scoperto che il conto da pagare era assolutamente al di sopra delle sue possibilità. Chissà se anche Kojiro si è mai sentito così? Nella sua testa le sembrava impossibile che uno come lui potesse vacillare e coltivare dentro di sé un senso di inferiorità.

-Fatti forza, andrà sempre meglio. Tutti questi sacrifici verranno ripagati. È una grande opportunità.-

Sì, lo sa. Lo sanno tutti. Non fanno altro che ripeterglielo. Dopo un tirocinio in questo studio ti si apriranno tutte le porte. Ma Maki avrebbe solo voglia di salire su un maledetto aereo e giocare a carte con Kojiro. Mentre lei sorseggia un birra ghiacciata e lui la sua solita coca cola.

-Sì, lo so. Sono fortunata. - si era limitata a rispondere, sintetica, non aveva voluto sfigurare agli occhi del suo ragazzo.

-Comunque..se dovessi aver bisogno a Tokyo abitano due miei amici fidati. Per qualsiasi cosa chiedi a loro.

Kojiro le aveva poi fornito due numeri di telefono. Ci aveva tenuto a sottolineare che per i suoi amici non sarebbe stato assolutamente un incomodo. Maki aveva ringraziato, ma avrebbe voluto dire a Kojiro che quando vieni cresciuta in una famiglia che non fa altro che ripeterti che puoi contare solo su te stessa, questa cosa ti condiziona nella vita cazzo. Maki si era intestardita, non aveva chiamato. Voleva dimostrare a Kojiro di riuscire a farcela tranquillamente da sola, senza l’appoggio di scudieri di qualsiasi sorta. Si era poi ritrovata a riflettere sul fatto che Kojiro era sottoposto a pressioni ben più onerose della sua, lei stava facendo un tirocinio non pagato, se anche avesse fatto una cazzata e fosse stata lasciata a casa, fottosega, non era mica, il suo, il lavoro di una vita. Lui, invece, doveva centellinare ogni incertezza, non poteva permettersi cedimenti e c’era inoltre da considerare che stava affrontando tutto questo da solo, in un Paese straniero, addirittura in un altro continente. Quando pensava a lui non c’era parte del suo corpo che non vibrasse. Pulsava la testa, il petto, la pancia. Con di fianco un ragazzo del genere, a Maki non rimaneva che procedere come un toro, come aveva sempre fatto in fondo, a capo chino: dare il meglio di sé, ingoiare merda e tirare avanti senza troppo frignare. Del resto quando sei la maggiore di quattro sorelle impari presto che per quanto tu possa piangere non verranno mai a prendere in braccio te.

   I mesi passano, arriva Marzo, è vero, ha preso su i ritmi. I completi formali nell’armadio sono diventati cinque. Sta tenendo botta. Le sigarette da quelle tre-quattro che si concedeva durante la giornata dopo i pasti, sono diventate due pacchetti al giorno. Si nutre di insalata, tisane, zuppe, frutta, perché è sempre stata una sportiva, ma i nervi risentono del fatto che non riesca più a farsi i suoi tre chilometri di corsa verso il tramonto. Ha scambiato il giorno con la notte, ma quello era da mettere in preventivo. Sveglia alle 12.30. Dalle 15.00 alle 20.00 in studio. Dalle 20.00 alle 20.30 pausa cena. Dalle 20.30 alle 21.00 spostamento in metro verso l’azienda. Dalle 21.00 alle 4.00 turno notturno. Per guadagnarsi il necessario per vivere a Tokyo. È la prima di quattro sorelle. Le serve lavorare per porre freno ai suoi congeniti sensi di colpa, al suo orgoglioso anelito d’indipendenza. Ma arriva a fine giornata (che è in verità è l’inizio per tutti gli altri) sfinita. L’orgoglio non è un pugnale che ti colpisce a tradimento da dietro le spalle. Ma è un veleno che noi stessi, goccia a goccia, ci infiliamo sotto la lingua.

-Non hai mai preso contatti con i miei amici.

-Non ne ho mai avuto bisogno.

Silenzio. C’è la notte da una parte e una giornata di sole dall’altra. Un martedì azzurro intenso che fa male agli occhi.

-Maki...mi farebbe piacere. So che ce la puoi fare benissimo da sola. Ma mi sentirei più tranquillo io.

Maki è seduta sul pavimento di casa. È in mutande e reggiseno. Quando dorme poco la notte le si accende come un inferno dentro, suda molto, ed allora si toglie tutti i vestiti e si corica sul pavimento sperando di trovare un po’ di sollievo nel freddo delle piastrelle. Non è molto normale. Come non è molto normale dormire in un sacco a pelo per mesi e vivere in una casa senza frigo. Ma non c’è nessuno a Tokyo che le possa ricordare queste cose.

-Va bene Kojiro, ai tuoi ordini. Ridammi i loro contatti che li ho persi. Ma dici di vedere tutti e due insieme o separatamente?

-Come preferisci.

-Chi mi starà più simpatico?

-Chi ti dice che i miei amici siano simpatici?

-È vero...stiamo sempre parlando di te in fondo….

Kojiro sorride e Maki sente che sorride, anche se si trova dall’altra parte del mondo; anche se non hanno mai trascorso insieme una mattinata pigra fra le coperte calde. Anche se lui non ha mai visto un film dei fratelli Coen e lei li adora.

 

  
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