Serie TV > Agents of S.H.I.E.L.D.
Segui la storia  |       
Autore: Agent Janice    20/07/2017    2 recensioni
«Sono l'Agente Phil Coulson, lavoro per la Strategic, Homeland, Intervention, Enforcement & Logistic Division. Sei al sicuro adesso.»
Questa che (spero) state per leggere è la storia che ho creato intorno all'Agente Phil Coulson, mio personaggio preferito dell' MCU e dela serie TV "Marvel's Agents of S.H.I.E.L.D."
La storia comincia nel 2002, circa dieci anni prima gli avvenimenti del film "Marvel's The Avengers" e della "Battaglia di New York", ed ha come protagonista una ragazza, personaggio di mia invenzione, che non ha un vero nome se non il codice 3-1-7 che l'Istituto in cui è segregata le ha affibbiato. Non rivelo di più su di lei, non sono brava nei riassunti vi rovinerei i punti interessanti dei primi capitoli. E' una storia di lotta tra bene e male, come la 'casa delle idee', la Marvel, ci insegna e che, se riesco a portare a termine, dovrebbe ripercorrere e rivisitare alcune delle vicende salienti che abbiamo visto sia nei film, sia nella serie tv.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maria Hill, Melinda May, Nick Fury, Nuovo personaggio, Phil Coulson
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Istituto - parte II


L’ascensore rallentò la sua corsa soltanto dopo essere sceso svariati metri nel sottosuolo, al suo interno la squadra di agenti stava aspettando in silenzio l’apertura di quelle sue grosse porte d’acciaio, formulando mentalmente le proprie supposizioni su cosa aspettarsi.
Janice si era posizionata in uno degli angoli per poter avere tutto il vano ascensore sott'occhio. Ahimè in un luogo così chiuso, anche non volendo, era difficile evitare di percepire la curiosità ed il timore provati dal gruppo, con un contorno d’ansia provenienti da - reggetevi forte che questa è la ciliegina sulla torta - un soggetto claustrofobico, a cui Janice diede tanto di cappello perché stava riuscendo a mantenere una certa dignità esteriore. Infatti non seppe distinguere quale degli agenti stesse patendo le pene dell’inferno.
La realtà era che per una volta si sentiva sollevata che fossero gli altri a non poter percepire cosa lei stava provando in quel momento, e sperava di essere brava come quell'agente claustrofobico a nasconderlo.
Rivolse uno sguardo ad ogni agente presente nell'ascensore cercando di risultare il più tranquilla e naturale possibile: l’agente Roland, insieme ad un altro agente, ricambiarono il suo sguardo, entrambi con un breve cenno di approvazione, nel tentativo di rassicurarla.

«Direttore, posso dire due parole?» domandó Coulson, interrompendo il silenzio.
«Sí, Agente Coulson.»
L’agente si rivolse ai suoi compagni di squadra in tono sicuro, qualcuno avrebbe azzardato a dire che fosse autoritario ma in realtà era il suo modo per dimostrare schiettezza, come si suol dire ‘patti chiari ed amicizia lunga, questo non è un gioco’. 
«Janice non é ancora un agente operativo ma vi dó la mia parola che potete fidarvi di lei...» premise per fugare i dubbi sul particolare evento accaduto poco prima, ricordava come si era sentito la prima volta che aveva assistito ad una visione di Janice, aveva persino temuto di toccarla: «Noi abbiamo bisogno della sua conoscenza, e lei della nostra avanzata esperienza. Questa missione potrebbe portare a qualcosa di davvero importante sia per noi che per lei, e questo richiede un vero lavoro di squadra. Serve una certa dose di fiducia. »
Un lieve sobbalzo arrestò la loro discesa, chiudendo teatralmente il discorso di Coulson. Gli agenti rinnovarono uno sguardo più sicuro, annuirono all'uomo e si prepararono all'azione.
Le grosse porte scivolarono lentamente sulle guide spalancandosi, regalarono un nuovo panorama agli agenti… o forse no? Erano di nuovo nel buio più totale, a parte la luce del vano ascensore.

Fury uscì per primo accendendo la propria torcia per illuminarsi la strada. Fece cenno alla squadra di mantenere la posizione.
Si ritrovò in un largo corridoio, che girava a sinistra dopo pochi metri, con un'unica porta proprio di fronte a loro, con l’insegna: MANUTENZIONE.
Vi entrò speranzoso e come sospettato vi trovò un enorme pannello che gli permetteva di poter dare nuovamente vita all'impianto elettrico nei diversi reparti di quel piano. 
Si mise la torcia in bocca per avere le mani libere ed azionò diverse volte la leva grossa e piatta che caricava il generatore centrale, ed aspettò qualche attimo che la spia lampeggiante in arancio diventasse verde per poter attivare una ad una le diverse sezioni.

✔ Corridoi ed Uffici
✔ Alloggi Guardie / Armeria
✔ Sala Operatoria 1 e 2
✔ Sala Operatoria 3 e 4
✔ Ala Scientifica / Sezione Esperimenti
✔ Alloggi Reparto Scientifico / Medicina
✔ Mensa
✔ Biblioteca / Ala Studio
✔ Dormitori

O Reparto Ostetricia

Possibile che Janice sia nata quí? Che sia in realtà un esperimento genetico? pensó il Direttore indugiando qualche secondo prima di riattivare la corrente di quella zona.

✔ Reparto Ostetricia
✔ Centro Addestramento / Ala Riabilitazione
✔ Quarantena
✔ Zona scarto / Criocella

Quando tutte le luci furono accese spense la propria torcia ed uscí dalla stanza, la squadra di agenti era rimasta lí fuori ad aspettarlo come aveva ordinato, tranne Janice che si era spostata nell’angolo opposto, di fronte al secondo corridoio. 
Lo sguardo puntato a terra, pochi metri avanti a lei.
Coulson le si avvicinò, sorpreso da quel luogo. Lanciò un'occhiata giù per quella nuova ala dell’istituto e rimase a bocca aperta, le luci appena accese avevano rivelato che tanto era tetro, antico e malridotto il sanatorio, tanto era luminoso, moderno ed in perfette condizioni quel posto. A parte un lieve velo di polvere che copriva il pavimento, tutto il resto era di un bianco asettico quasi innaturale.
«Ero così vicina...» sussurrò Janice.
«Cosa?» le domandò Coulson avvicinandosi ulteriormente a lei.
«Quando cercai di scappare...» gli raccontò lei segnando una striscia per terra con lo sguardo: «Arrivai fino a qui. É dove mi atterrarono e mi scontrai con le guardie...» non specificò cosa successe, sapeva che Coulson conosceva bene la storia: «… pochi metri e c’era l’uscita, ed io non lo sapevo… di essere così vicina.»
Guardò l’uomo facendo spallucce con aria delusa, ed un po’ in imbarazzo per avergli dimostrato ingenuità.
«Probabilmente non sarebbe servito a nulla arrivarci. Me ne rendo conto. Con tutti i sistemi di sicurezza sarei rimasta ugualmente bloccata…però fa lo stesso rabbia.»
Fury era a pochi passi da loro, era rimasto in silenzio ad ascoltare la ragazza.
Notandolo, Janice cambiò atteggiamento tornando nella sua modalità ‘agente speciale’ - anche se ancora non lo era ufficialmente: «Chiedo scusa, signore.» Fece un breve inchino con il capo, in segno di rispetto che il Direttore ricambiò.
«Posso assicurarle che questo é il luogo da cui provengo.» fece un respiro profondo. «La soffiata era giusta.»
Fury le dette una pacca sulla spalla facendole l’occhiolino - avendo un occhio solo era un po’ azzardato dire che fosse effettivamente un occhiolino ma a lei piacque pensarla cosí.
«È tutto a posto recluta. Questo luogo...» lanció anche lui un’ occhiata lungo l’altro corridoio: «...è competenza tua. Ci mettiamo nelle tue mani.»
Si posizionó al suo fianco, facendo frusciare il lungo cappotto nero che faceva ormai parte della sua divisa - perlomeno Coulson non l’aveva mai visto senza, ed erano anni ormai che si conoscevano - come avrebbe fatto con un superiore, e le lasció carta bianca.
Janice cercó di concentrarsi, cominciando a regolare il ritmo di ispirazione ed espirazione, per staccarsi dai sentimenti che quella situazione le stava portando ed avere la mente lucida, esattamente come le aveva insegnato Coulson per affrontare i momenti di stress psicologici e fisici.
Tiró fuori nuovamente la pistola dalla fondina, senza peró togliere la sicura e si incamminó nel corridoio.
Indicó la prima porta, a due ante, bianca come le pareti, alla loro destra: «Da qui si entra negli alloggi delle guardie. A rigor di logica, con l’esperienza di ora, penso che possa includere anche un’armeria.»
Fury aprì la porta scoprendo un altro profondo corridoio con numerose porte.
«Ricordo che uscivano ed entravano sempre armati.» continuó Janice, motivando il suo ragionamento.
Infatti in fondo al corridoio Fury poté distinguere una porta diversa dalle altre, a prima vista sembrava blindata. Chiamó a se due agenti specialisti e gli diede il comando di perlustrare la zona.
Proseguendo trovarono un’altra porta,sempre a doppia anta, peró sulla sinistra.
«Non so bene cosa ci sia lì dentro, vedevo entrarci spesso i membri importanti dello staff, quelli che comandavano qui dentro. Per tutti gli altri, era severamente vietato avvicinarvisi.»
«Vediamo se abbiamo fortuna...» Coulson provó ad aprirla ma la maniglia non cedette, provó a forzarla ma fu interrotto da Fury sul pensiero: «Lasciamo fare agli altri, così noi intanto possiamo proseguire senza perdere tempo.» cosí dicendo chiamó altri due agenti, questa volta del reparto ingegneri e li lasció al loro lavoro.
Proseguirono arrivando cosí all’ultima grossa porta, una enorme frangi-fiamma grigio-azzurra, dell’ultima stanza di quel corridoio. Janice vi si affiancò dando un’occhiata all'interno da una delle due finestre in vetro doppio.
«Questa è la sala operatoria più piccola...» si toccó la nuca d’istinto: «...quella dove mi hanno sottoposta agli interventi alla testa.»
Con un braccio spinse piano su un’anta, affacciandosi cautamente nell’ambiente.
Nessun pericolo.
Entró facendo pochi passi, lasciando giusto lo spazio agli altri di entrare, poiché per terra di fronte a lei notó subito un camice polveroso con alcune grosse macchie di sangue sul colletto, vicino poco distante c’era una siringa ed il trapano chirurgico usato per le ossa del cranio.
Alzó lo sguardo confusa verso il lettino, dove le cinghie di contenimento erano spezzate.
«Possibile che se ne siano andati via quello stesso giorno?» si domandó a voce alta attirando l’attenzione dei due uomini che stavano osservando la credenza al lato della porta, cercando dei documenti ma trovando soltanto medicinali.«Cosa intendi?» le domandó Coulson.
«Quelle cinghie le ho rotte io.» gli indicò il lettino: «E questo é il camice del dottore che ho...» cercò di spiegare la sua perplessità trovandosi in difficoltà ad ammettere cosa aveva fatto. L’aver ucciso due uomini era il tema principale che lei e il suo psicologo, il Dr. Garner, discutevano durante le loro sedute: «...ucciso.» ammise alla fine con una fitta allo stomaco che le fece salire la nausea.
«Possibile.» asserì Fury accucciandosi sul camice per vedere se per caso nascondeva una spilla od un badge con un nome: «Hai creato scompiglio, una volta che non sono riusciti ad eliminarti avranno voluto allontanarsi da qui il più in fretta possibile...» Niente. Nel punto in cui sarebbe dovuto esserci il badge c’era rimasto solo il segno dei dentini della pinza che lo teneva.
«Ma non avrei mai potuto sapere come portarvi qui...» ammise la ragazza, ma nel dirlo a voce alta e ad ascoltare le proprie parole ci ragionó: «Pensa che fossero loro a conoscere voi... Perché hanno contattato direttamente la Strategic per la soffiata, giusto?»
«Si, esatto. Sembra ti stiano tenendo d’occhio e probabilmente temevano che prima o poi con le nostre risorse avremmo trovato il modo di risalire a loro...» Fury fece un sorriso quasi impercettibile rialzandosi in piedi.
Coulson lo notó. Ha apprezzato il collegamento che ha fatto Janice? non riuscí a fare a meno di domandarsi. La stà mettendo alla prova?

Sorvoló, senza indagare ed insieme alla squadra continuó a guardarsi intorno cercando di trovare ulteriori indizi. Ma non c’era altro, solo pochi arnesi ed uno schedario vuoto, cosí decisero di passare alla seconda sala operatoria, quella più grande.
Janice l’aveva già vista, era dove le avevano messo la protesi in titanio nella schiena e nelle gambe, per farla camminare nuovamente. «Non ci servi a niente se non sei autosufficiente.» le avevano detto.

Ricordava bene quel giorno. Aveva dodici anni e come al solito la sua giornata era cominciata all’alba. Non la portarono in mensa per la colazione e quello poteva solo significare che l’avrebbero sottoposta ad uno dei loro esperimenti.
«Andiamo, 3-1-7.» le disse uno dei due infermieri, che era venuti a chiamarla, prendendola sotto ad un braccio.
Lei non si ribelló, si era ormai resa conto da anni che era inutile agitarsi, tirare calci e sbraitare, contro quella gente. Serviva soltanto a ricordarle che era solo una bambina, che non poteva fare nient’altro che obbedire per non essere sgridata o maltrattata ulteriormente. L’unica piccola cosa che poteva fare, di nascosto, era domandarsi il ‘perchè’ la maggior parte delle persone che la circondavano provassero paura.
Di cosa? C’é qualcuno che tratta male anche loro?.
Seguí l’uomo lungo i corridoi trottando per mantenere il passo contro quelle lunghe gambe e non rimanere con il braccio appeso sotto la stretta di quella mano che trasudava nervosismo provocandole scossoni di brividi.
Arrivati davanti alla ‘Sala Operatoria 1’, cosí la chiamavano, l’infermiere aprí la porta, mentre l’altro si mise d’attesa nel corridoio.
«Dottore le ho portato 3-1-7. Se non ha bisogno di me, dovrei...»
«Sí, sí… dopo potrà fare quello che vuole, intanto la posizioni sul lettino.» taglió corto il chirurgo senza degnarli nemmeno di mezzo sguardo, concentrato nel compilare un documento.
L’infermiere trattenne un moto di rabbia, che passó tutto a 3-1-7 facendole salire le lacrime agli occhi, non tanto per il sentimento violento ma perché di conseguenza le strinse il braccio in maniera dolorosa. La tiró su di peso da sotto le braccia e la mise sul lettino facendola posizionare a pancia sotto con la fronte appoggiata ad uno strano piedistallo che le sorreggeva la fronte lasciandole libero il viso e nuca esposta verso l’alto.
La immobilizzó con le cinghie di contenimento.
3-1-7 cominció ad andare in apnea dalla paura, come se trattenere il fiato potesse fermare il tempo.
L’infermiere lasció la sala senza dire niente ed il chirurgo imprecó quando vide il lavoro fatto a metà. «Merda! Cos’ha due scimmie ebeti al posto del cervello?!»
Si avvicinó a lei, le slegó la testa e le mise una mascherina dell'ossigeno che ricopriva naso e bocca, era una sorta di respiratore che la costringeva a mantenere il ritmo respiratorio senza permetterle di andare in apnea. Dopo di che le fermó nuovamente la testa al piedistallo del lettino.
Janice ricordava di odiare quel respiratore, che le risucchiava e le ridava l’aria ad intervalli regolari in quel modo artificiale che le faceva salire la smania di divincolarsi in tutto il corpo.
Sentí un ronzio e la fredda lama del rasoio elettrico passarle sulla nuca, in un punto in cui i capelli avevano appena ricominciato a ricrescere.
Arrivarono i pizzicotti sul collo dell’ago che cercava i nervi per rilasciare l’anestetico, li trovó, dopo pochi attimi tutta la cute e parte del viso le divenne insensibile.
Sentí lo stridio del trapano chirurgico contro le sue ossa. Niente dolore, solo strani fastidi senza riuscire a capire bene a cosa corrispondessero, anche se sapeva cosa il chirurgo stava facendo, e sapeva già quale sarebbe stato l’esito.
Ormai andava avanti da mesi, le avevano già messo delle nano-sonde neurali in diversi punti del cervello nel tentativo di monitorare e scoprire l'origine del suo potere, ma involontariamente le aveva fulminate… era una sorta di autodifesa del proprio organismo, ogni volta che le sondine venivano accese, secondo più o secondo meno non faceva molta differenza, il suo strano dono si attivava, ed allarmato individuava i corpi estranei e ‘FZZT’ le fulminava… ma ancora non sapeva che quella volta sarebbe andata diversamente.

Appena finito di applicate la sonda la testa di Janice venne richiusa e medicata con cura, applicandole infine un grosso cerotto per coprire i punti.
Slegó la bambina e l'aiutò a mettersi seduta, 3-1-7 strinse il bordo del lettino un po’ frastornata.
Il chirurgo recuperó dal bancone dietro un piccolo computer palmare e lo accese, sedendosi vicino a lei, su uno sgabello con le rotelle. 
Digitó un codice d’accesso sulla minuscola tastiera e premette su: AVVIO MONITORAGGIO.
Ci fu un attimo di silenzio, in cui Janice aspettava che la nano-sonda venisse ful… una scossa di dolore le percorse tutto il corpo facendole serrare i denti. 
Paura. Dolore. Sorpresa. Pianto. 
Istintivamente diede forma a quello che stava provando sprigionando energia, in un'ondata che fece sobbalzare il lettino con lei sopra, il chirurgo venne scaraventato a terra e tutti gli attrezzi schizzarono per aria finendo sul pavimento.

La sonda era andata, ma 3-1-7 sentí che si era portata dietro qualcosa di suo... non riuscì a capire cosa, stanca e rintontita si lasció andare all’indietro, chiuse gli occhi per riaprirli solo svariate ore dopo. Era nella sua stanza, era ataccata alla macchina dell'ossigeno e ad una flebo. 
Tiró su la testa senza ricordare bene cosa fosse successo.

Entró in quel momento il dottore che principalmente si prendeva cura della sua salute dopo ogni esperimento e che aveva sempre dimostrato una sorta, anche se non puro, di affetto per lei. «Non ti agitare, bambina.» prese una sedia e si mise vicino a lei cominciando a spiegarle cosa le era successo, come si fa con gli adulti. Quella era una cosa che lei apprezzava di quell'uomo. Non la trattava freddamente, come il codice che portava per nome. 
Le raccontò che aveva riportato una lesione cerebrale e aveva quasi perso del tutto l’uso delle gambe. L’avevano operata subito, impiantato una protesi speciale, che poteva funzionare con i suoi poteri ma che ancora non era attiva.
La bimba aveva allungato una mano verso la gamba senza peró sentire niente. Era talmente sotto shock che non pianse nemmeno. Il dottore la consoló, spiegandole per filo e per segno come sarebbero andate le cose.

Ora, a distanza di anni, Janice non aveva più quella protesi, ne aveva una nuova a marchio Strategic... e anche se le cause del cambio erano state per una questione di salute, la cosa l'aveva gratificata anche a livello psicologico. Non aveva più niente di tangibile addosso che la collegasse direttamente a quel posto.

Anni prima, durante gli allenamenti con Coulson, man mano che le lezioni si fecero più difficili, si erano resi conto che c’era qualcosa che non tornava, le gambe di Janice erano innaturalmente rigide in specifici movimenti. Lí per lí l’uomo aveva pensato ad una incapacità naturale di Janice, ogni persona ha il suo punto debole nello scontro corpo a corpo, però poi durante una sessione ebbero un piccolo incidente, la ragazza aveva provato a tirare un calcio circolare al sacco, forzando la posizione corretta, oltre quel limite, facendo accapponare la pelle a Coulson quando udirono un sonoro *clack* quasi metallico all’altezza del bacino.
«Non suona bene...» aveva commentato lui stringendo le labbra in una smorfia di dolore.
Janice rimase immobile, in piedi. Al contrario di lui, lei non esibiva nessuna smorfia.
«Penso si sia rotta la protesi...» aveva annunciato con tutta la tranquillità di questo mondo, lasciando l’uomo di stucco. 
Janice non avendp grande sensibilità agli arti inferiori non stava sentendo dolore, solo un lieve fastidio, ma rimase ugualmente immobile, sicura che sarebbe potuta cadere se avesse provato a fare un passo.
Passato quel primo momento di titubanza Coulson l’aveva presa in braccio, mettendola un po’ in imbarazzo, e l’aveva aiutata a sdraiarsi sulla panca. Aveva chiamato immediatamente il team medico che la seguiva, e che una volta arrivato l’aveva subito portata nella base medica più vicina.
Alla fine dei conti, qualche giorno dopo: dopo un accertamento ed una adeguata preparazione, decisero di operarla e cambiarle la protesi con una nuova più leggera e più dinamica che potesse funzionare insieme al suo sistema neurologico con il minimo rapporto di ritardo input-neurologico/reazione.
Quella che le avevano messo nell’Istituto era molto avanzata come tecnologia, ma una volta studiata nel dettaglio l’equipe medica si era resa conto che a livello di ingegneria nella componente dinamica era davvero grossolana, e anche i materiali stessi davano già segno di usura a causa di questa mancanza di accortezza.

Cominciata la riabilitazione le cose per Janice cambiarono drasticamente, in meglio.

Cercó con lo sguardo Coulson tentando di far fluire via la rabbia che il ricordo di quel luogo le portava e di concentrarsi invece sul suo presente. L’agente si stava guardando attorno, stupito e vagamente schifato da quanto fosse grande quella stanza dove c’erano: tre lettini e diversi macchinari di implantologia avanzata, più altri che i due uomini non riuscirono a riconoscere ma che l’agente Roland cominció a catalogare e studiare offrendosi volontaria per l’incarico.
Il team guardandosi attorno si sentirono più in una sala tortura, che in un reparto medico. Anche lí però, non trovarono niente di importante.
Proseguendo dettero un’occhiata veloce alla mensa, all’aula studio, alla biblioteca che conteneva solo libri didattici e poi altrettanto velocemente passarono dagli alloggi dello staff medico dove continuarono a non scovare niente. Era tutto dannatamente spoglio... e frustrante. Ma erano sicuri che scavando, prima o poi qualcosa, anche solo della dimensione di un'unghia sarebbe entrato nelle loro mani.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Agents of S.H.I.E.L.D. / Vai alla pagina dell'autore: Agent Janice