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Autore: _Fire    21/07/2017    3 recensioni
[Questa storia ha partecipato alla From the beginning - Glee Challenge 2015, indetta da Ambros, darrencolfer e Nemesis]
Inghilterra, 1940. Kurt e suo padre vivono in un paesino a sud di Londra: Burt lavora in un'officina, mentre lui è un aspirante scrittore. Un giorno incontrano Blaine, alla ricerca di un lavoro, per riuscire a mantenere se stesso e suo figlio Michael, dopo la morte della moglie. Le due famiglie cominciano così a vivere a stretto contatto, passando la maggior parte della giornata insieme.
Passano un paio di anni, prima che l'esercito inizi a reclutare civili per difendere la patria, ormai attaccata dalla Germania sia sul fronte aereo che marittimo...
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Burt Hummel, Kurt Hummel, Nuovo personaggio | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Agosto 1940
 
Kurt trasse un profondo respiro, mentre cercava le parole per iniziare a scrivere il suo romanzo.
Passò delicatamente le dita sui tasti della macchina da scrivere, aspettando quasi che gli parlassero, rivelandogli la strada da prendere.
Buttò giù qualche parola, ma niente che lo convincesse davvero. Spostò gli occhi verso la finestra aperta, e per un secondo il sole lo costrinse a chiuderli. Di solito gli era più facile scrivere se il tempo era bello, perché la pioggia lo intristiva.
Pioveva, quando sua madre era morta. Non voleva pensarci, ma i ricordi si susseguivano fugaci nella sua mente, dietro le palpebre abbassate.
Sua madre che si ammalava. Non avevano modo di curarla. Moriva.
Kurt steso nel suo letto, alla disperata ricerca del suo odore.
Suo padre che piangeva silenziosamente di notte, cercando di non farsi vedere, perché voleva essere forte per lui.
Kurt spalancò gli occhi, tornando a concentrarsi sul foglio davanti a lui, scuotendo la testa.
Era da quel terribile avvenimento che era nata in lui la passione per la scrittura. Aveva iniziato con delle semplici lettere di un bambino di otto anni a sua madre, come se lei fosse solamente partita. Poi aveva imparato a creare delle rime, scrivendo brevi poesie. Aveva avuto un periodo di blocco nel periodo in cui aveva cominciato ad affrontare la sua sessualità: all'inizio non voleva ammettere di essere omosessuale – come se non dirlo lo rendesse meno reale. Poi aveva capito che poteva solo imparare ad accettarsi ed amarsi così com'era. E l'aveva fatto.
Allora aveva ripreso a scrivere: versi su come desiderasse poter essere libero, poter amare qualcuno alla luce del sole.
Ora però cercava di più. Era cresciuto, ormai aveva vent'anni. Era il momento di scrivere qualcosa di vero.
Stava per rimettersi a scrivere quando notò che il cielo stava diventando sempre più scuro. Immediatamente si alzò e corse giù per le scale di casa.
«Papà! Papà!» gridò, mentre raggiungeva il salotto, dove Burt era seduto sul divano, scuotendo la testa. Kurt si mise accanto a lui.
«Un'altra bomba?»
Suo padre annuì lentamente. «Di nuovo Londra.» disse, regolando la radio in modo da farla funzionare. «Sembra che i Tedeschi vogliano minacciare la popolazione civile per costringerci alla resa.»
In quell'anno, il 1940, la Luftwaffe – l'aeronautica militare tedesca – aveva iniziato con una serie di incursioni per sabotare la Royal Air Force, e ora bombardavano ripetutamente Londra. Loro abitavano in una cittadina poco più a sud, Leicester, e grazie a Dio non avevano ricevuto nessun attacco.
«Speriamo che riescano a fermarli prima che le perdite diventino ancora più gravi di quelle che sono.» mormorò Kurt, inclinando la testa all'indietro.
Burt gli scompigliò i capelli affettuosamente. Erano solo loro due, da quando sua madre era morta. E Kurt non poteva che ritenersi fortunato del padre che gli era rimasto.
«Devo andare a lavoro in officina. Ci sono delle cose che hanno bisogno di essere aggiustate al più presto.»
«Vengo con te.» disse Kurt, prendendo il suo cappello dal tavolino accanto alla porta.
«Non dovevi scrivere il tuo romanzo?»
«L'ispirazione non collabora.» sospirò lui, seguendo il padre all'esterno.
«Vedrai che prima o poi riuscirai a trovare l'idea giusta. E sarà spettacolare.»
Kurt sorrise. «Lo spero. Sarebbe bello riuscire a fare qualcosa di cui essere fiero, una volta.»
«Potresti aiutar-»
«Non lavorerò in officina con te, papà. Non è nel mio… stile.»
«Non è così male.» rispose Burt, ridendo.
«Beh» disse Kurt, toccandogli una spalla. «magari quello lì la pensa come te.»
Indicò con un cenno del mento l'uomo che stava guardando. Non era molto alto, e Kurt ipotizzò che i suoi ricci contribuissero di almeno cinque centimetri, ribelli com'erano sulla sua testa.
Era di profilo, fermo davanti all'ingresso dell'officina, quindi non riusciva a vedere molto. Poi notò un guizzo dietro di lui, e poco dopo sbucò fuori la testa di un bambino.
Il piccolo, non appena si accorse di Kurt e Burt, tirò la manica di suo padre, indicandoli. L'uomo girò immediatamente la testa, e andò loro incontro, seguito dal figlio.
«Salve, ragazzo, sono il proprietario. Cosa posso fare per te?» domandò Burt.
«Sto cercando un lavoro.» rispose lo sconosciuto, poi allungò una mano verso di loro. «Mi chiamo Blaine Anderson.»
 
+
 
Blaine era fermo davanti all'officina da più di cinque minuti, mentre aspettava che aprisse.
Aveva bisogno di un lavoro per mantenere se stesso e suo figlio di  tre anni, Michael.
Sua moglie, Laurel, era morta due anni prima, e quando era successo aveva dovuto lasciare il suo precedente lavoro, perché non aveva un posto dove poter lasciare i bambini e per via degli orari troppo poco flessibili.
Non c'era nessuno a cui potesse lasciare Michael e ovviamente non voleva che restasse da solo.
Laurel gli mancava, non poteva negarlo. Le aveva voluto davvero bene, nonostante il loro non fosse un matrimonio convenzionale.
Lei non voleva dipendere da nessuno, e lui… preferiva gli uomini.
Quindi si erano sposati, in modo da rendere felici i genitori di Laurel e lei libera, e fornire anche una copertura a Blaine, in modo che nessuno potesse accusarlo di essere omosessuale – cosa che era illegale.
Erano stati insieme per dieci anni, e ad un certo punto entrambi volevano una famiglia, così era nato Michael.
Non erano più stati intimi, ma avevano comunque avuto dei bei momenti.
Ricordava sempre sua moglie con un sorriso, perché nutriva ancora un profondo affetto per lei, nonostante non fosse vero amore.
Si riscosse da questi pensieri solo perché Michael aveva richiamato la sua attenzione.
Lui e il proprietario dell'officina si erano presentati – si chiamava Burt.
Poi porse la mano al ragazzo che intuì essere il figlio.
«Kurt.» disse lui, stringendogliela.
Blaine annuì e sorrise, anche se gli sembrava di aver appena ricevuto una scossa. Aveva tenuto Laurel per mano tante volte, ma non aveva mai provato nulla del genere.
Si disse che era solo un caso, e seguì i due Hummel all'interno dell'officina, sempre con Michael al suo fianco.
«Allora, Blaine» disse Burt. «hai qualche esigenza particolare, riguardo il lavoro?»
«No, signor Hummel.» rispose lui. «Solo che non ho nessuno a cui lasciare mio figlio, Michael.»
Blaine si voltò a guardare il bambino, e vide che era seduto sul pavimento accanto a Kurt, che aveva tirato fuori carta e penna e lo stava facendo disegnare, guardandolo sorridente.
«Vorrei dirti di tenerlo qui, ma non è molto sicuro con tutti questi attrezzi intorno, potrebbe farsi male.»
Lui si passò una mano nei capelli, abbassando la testa. Aveva disperatamente bisogno di quel lavoro.
Kurt dovette accorgersene. «Posso stare io con Michael. È un bambino adorabile.» disse all'improvviso. «E credo di piacergli.» aggiunse, mentre il piccolo poggiava la testa sulle sue gambe.
«Abbiamo trovato una soluzione, allora. Tanto mio figlio non lavorerà mai qui, e io ho bisogno di un aiuto.» disse Burt.
«Ma… Kurt, sei sicuro? Non siete obbligati a fare tutto questo-»
«Vuoi questo lavoro o no, Blaine?» rispose Kurt, alzando la testa per guardarlo negli occhi.
Blaine si sentì indifeso sotto il suo sguardo, come se i penetranti occhi azzurri di Kurt potessero vedergli dentro.
Gli sorrise, cercando di comunicargli tutta la gratitudine che provava, mentre il suo cuore accelerava guardando come il viso di Kurt si illuminò quando sorrise di rimando.
«Quando posso iniziare, signor Hummel?»
«Anche subito. E chiamami Burt. Ora lavoriamo insieme, Blaine.»
 
+ 

Erano passate due settimane da quando Blaine lavorava lì. Gli Hummel e gli Anderson si incontravano ogni mattina alle nove, al di fuori dell'officina, e si separavano esattamente dodici ore dopo.
Kurt passava la maggior parte della sua giornata con Michael, il figlio di Blaine, ma doveva dire che non gli pesava. Aveva un debole per i bambini, e lui era il più dolce che avesse mai incontrato. In più, Michael sembrava ricambiare la sua simpatia.
Lui e Blaine non si parlavano molto, dato che l'uomo lavorava tutto il tempo, sotto lo sguardo attento di Burt.
Come aveva già notato all'inizio, Blaine aveva folti – e spettinati – capelli ricci, scuri, dello stesso colore delle sopracciglia. Tutta la sua attenzione era stata catturata però, quasi subito, dai suoi occhi.
Erano grandi, a mandorla, di un colore indefinibile, un misto tra verde, castano, nocciola e caramello.
Blaine era bello.
Una di quelle bellezze non convenzionali, che non possono essere spiegate, ma che ti travolgono quando le vedi.
In quel momento, le sue gambe erano circondate da pastelli: Michael stava disegnando qualcosa che somigliava vagamente ad un aereo.
Con i bombardamenti in corso, era una scelta a dir poco curiosa. “I bambini apprendono solo quello che vogliono” pensò Kurt.
Si chinò sul foglio, mettendosi nella stessa posizione del bambino.          
Prese il verde e il marrone, e cominciò a sovrapporli, colorando quella che doveva essere un'iride. Ci aggiunse una punta di nero e di giallo, ma ancora non lo convincevano.
Alzò la testa per cercare Blaine nell'officina del padre, e lo vide impegnato a riparare qualcosa sul bancone opposto.
Kurt mosse il capo, per intravedere gli occhi.
Quasi come se avesse avvertito la sua attenzione, Blaine distolse lo sguardo da quello che stava facendo per posarlo su di lui.
Il cuore di Kurt perse un battito – anche un paio – negli attimi successivi.
Blaine aveva le labbra leggermente dischiuse, che formavano quasi un cuore roseo. Le lunghe ciglia scure contornavano gli occhi aperti e fissi verso di lui.
Kurt arrossì e distolse lo sguardo, nonostante sentisse ancora quello di Blaine su di sé.
«Kat» disse Michael, toccandogli un braccio.
Lui sorrise per il modo in cui il piccolo pronunciava il suo nome, e gli scompigliò i capelli ricci come quelli del padre, ma molto più chiari.
«Sì?»
«Ho sono.» mormorò il bambino, e Kurt lo prese prontamente in braccio. Era incredibile come quel bambino si sentisse già a suo agio con lui.
Kurt si guardò intorno: avrebbe dovuto portare Michael a dormire in camera sua, finché Blaine non avesse finito il turno e quindi fosse tornato a casa, ma di certo non poteva portarlo via così.
Si schiarì la gola, facendo qualche colpo di tosse, per attirare l'attenzione di suo padre e Blaine. Purtroppo, entrambi erano concentrati sul lavoro, e tutti i suoi sforzi furono vani.
“Dio, Kurt, devi solo parlargli” si disse, maledicendo la sua timidezza e le sue guance rosse.
«Blaine» lo chiamò, con quanta più sicurezza gli riuscisse.
L'uomo si girò immediatamente, sorridendogli.
Kurt si sentì improvvisamente meglio, e continuò. «Michael è stanco. Non voglio farlo restare qui, lo porto a casa con me e lo faccio riposare. Poi puoi passare a prenderlo quando stacchi.»
Blaine continuò a guardarlo, con quei bellissimi e grandissimi occhi.
“Sono andato troppo veloce?” si chiese, e subito aggiunse: «Se- se per te va bene, ovviamente.»
«È perfetto, ti ringrazio.»
Poi andò verso di loro, e Kurt sentì un brivido lungo la schiena, mentre Blaine si abbassava per dare un bacio sulla fronte a Micheael, e gli sfiorava il mento con i capelli ricci.
«Ciao piccolo.» gli sussurrò, e anche se sembrava che il bambino stesse dormendo, Kurt fu sicuro di averlo visto sorridere.
«Allora noi andiamo.» disse lui, prendendo più saldamente Michael.
Mentre uscivano, Blaine e Burt li salutarono con un cenno della mano.
 
Una volta a casa, Kurt adagiò il piccolo sul suo letto, credendo che avrebbe continuato a dormire tranquillamente.
Invece, Michael si svegliò all'improvviso.
«Ehi, piccolo, tutto bene?»
Il bimbo piegò la testa di lato, mettendosi seduto. «Stoia. Stolia.» domandò, stendendo le labbra in un sorriso adorabile che gli creò due fossette nelle guanciotte paffute.
«Ehm...»
Kurt non conosceva molte storie per bambini, e quelle che gli raccontava sua madre da bambino se le ricordava a malapena.
Ma non voleva deludere Michael, così si sedette sul letto accanto a lui, facendolo stendere di nuovo, e cominciò a raccontargli di un antico regno, con un grande castello al centro.
«Ma c'era quest'uomo cattivo, che odiava tutti gli altri regni. Allora addestrò i draghi a sputare palle di fuoco sulle città.»
Non poté negare di romanzare la realtà, in alcune parti.
Ci aggiunse due cavalieri, uno timido dagli occhi azzurri, che cercò di elaborare un piano teorico, e un altro, con i capelli ricci, che passò subito all'azione.
Nonostante si avvicinassero sempre di più al momento clou della storia, Michael si addormentò. Kurt sorrise e non poté biasimarlo.
Anche lui era piuttosto stanco – si sarebbe riposato volentieri –  ma c'era qualcosa che lo teneva sveglio.
L'ispirazione.
L'aveva sempre considerata una cosa strana. Poteva non farti visita per mesi, e dedicarsi a te in una notte.
Dopo aver sistemato Michael sul suo letto, sotto le coperte, Kurt si sedette alla scrivania.
Accese la lampada, dato che iniziava a fare buio, e dalla finestra si vedeva il cielo scurirsi.
Sentì una scarica di adrenalina attraversargli il corpo, fino alla punta delle dita, mentre avvicinava le mani alla macchina da scrivere.
Non sarebbe stato il suo romanzo, ma doveva pur cominciare da qualcosa, persino da una fiaba per bambini.
 
+
 
«Buongiorno, Kurt.» disse Blaine, entrando in officina, tenendo per mano il piccolo Micheal, con gli occhi svegli come sempre.
«Buongiorno.» mormorò Kurt, alzando appena la testa dal suo foglio. La notte precedente si era addormentato sulla macchina da scrivere, e si era svegliato giusto in tempo per aprire il negozio. Ovviamente si era prima assicurato di avere con sé il suo taccuino e una matita.
«Vedo che sei impegnato.» scherzò Blaine.
Kurt finalmente lo guardò, e sorrise imbarazzato, mettendosi la matita dietro l'orecchio. «Scusami, ma quando mi viene un'idea, la seguo disperatamente.»
«Fai bene, a quanto mi ha detto Mike.» sussurrò, alludendo al figlio, che intanto stava correndo in mezzo all'officina. «Quando l'ho svegliato per tornare a casa ieri, ha detto che avrebbe voluto che venissi con noi per finirgli di raccontare la storia della buonanotte. Voleva sapere se il cavaliere bruno sarebbe andato a combattere oppure no.»
Mentre parlava, Blaine si era avvicinato sempre di più al suo viso. «B-beh, presto lo scoprirà.» rispose vago, cercando di nascondere il rossore sulle guance, anche se sapeva che era impossibile, a quella minima distanza.
«Non potrei avere una… anticipazione?» soffiò Blaine, sempre così vicino.
Kurt sorrise, e piegò la testa di lato. «Uhm… direi di no.»
Blaine mise su un finto broncio. «Scrittori.» sbuffò. «Non si può avere a che fare con voi.»
«Sei più bambino di tuo figlio.» lo prese in giro Kurt, notando quanto fosse strano come riuscisse a sciogliersi piano piano quando parlava con Blaine. Anche se all'inizio c'era imbarazzo, e si conoscevano da poco, quei brevi scambi di battute, gli sguardi rubati, faceva tutto parte di un percorso che era appena cominciato.
Almeno per Kurt.
«Allora sarà meglio che torni a lavoro, giusto per sembrare adulto.» disse, prendendo con due dita la matita di Kurt da dietro il suo orecchio. Quando le dita di Blaine toccarono la sua pelle, gelo e calore lo invasero allo stesso tempo. Paura ed eccitazione.
Due sensazioni che potevano sembrare opposte ma che in realtà potevano essere più vicine di quanto si pensasse.
«E io dovrei riprendere a scrivere.» concluse per lui Kurt, prendendo la matita dalle mani di Blaine, prima di osservarlo andare via.
 
Le due ore successive furono un alternarsi di silenzi colmi di concentrazione da parte di entrambi e di frecciatine occasionali. Michael giocava a far rotolare le biglie per terra, e per ben due volte rischiò di far cadere il padre che si spostava per cercare gli attrezzi che gli servivano.
In quel momento, Blaine si ritrovò a guardare – per l'ennesima volta – Kurt, mentre faceva oscillare la matita tra l'indice e il medio, riflettendo sulle parole da usare.
Non sapeva esattamente cosa stava succedendo.
Si conoscevano da nemmeno un mese, eppure sentiva che dentro di lui stava accadendo qualcosa, qualcosa che la sua mente e il suo corpo non avevano ancora capito.
Cioè, sapeva di essere omosessuale, ma dopo la morte di Laurel non era mai stato con nessuno, un po' perché non sapeva come l'avrebbe presa Michael, un po' perché non se la sentiva.
Ma da quando aveva visto Kurt, era come se tutti i sentimenti che aveva provato un tempo, quando era più giovane, stessero tornando a galla.
Quello strano imbarazzo iniziale, il voler fare una bella impressione ed essere sempre gentili, cercare di catturare l'attenzione dell'altro, anche solo per un secondo. Gli sembrava di essere tornato ai tempi del college, quando gli piaceva un certo Jeremiah, e avrebbe fatto qualsiasi follia purché lo notasse. Anche se alla fine tra i due era finita anche prima di cominciare.
Sapeva che Kurt era molto più giovane di lui, di dieci anni, che aveva tutta la vita davanti, che doveva ancora sperimentare tutto ciò che aveva da offrirgli, e che lui sarebbe stato solo un peso. Un uomo più grande, e per di più con la responsabilità di un figlio.
Non era una cosa da nulla.
Decise che per ora avrebbe lasciato le cose così com'erano. Non voleva forzare né Kurt né se stesso a provare qualcosa di falso – lo faceva già abbastanza la società per loro.
Guardò l'orologio: Burt sarebbe arrivato a lavoro più tardi quel giorno. Aveva ancora due ore per stuzzicare Kurt, e vedere come la sua pelle si tingesse adorabilmente di rosso.
«Allora, Kurt...» cominciò Blaine, senza staccare gli occhi da quello che stava facendo, per fingersi disinteressato. «Hai una ragazza?»
Il ragazzo tossì, e Blaine fu sicuro, anche se non poté vederlo, che si stesse strozzando con la mela.
«N-no.»
«E un ragazzo?»
«No.» ripeté Kurt.
Blaine si morse un labbro. Forse era stato troppo invadente. «Va bene, se ce l'hai.»
«Lo so, che va bene.» rispose Kurt, e finalmente i loro sguardi si incrociarono. «Ma davvero, non ce l'ho.»
«D'accordo.» disse Blaine, passandosi una mano tra i capelli, e pentendosene subito dopo perché era sporca di grasso.
Sentì Kurt ridere, e aggrottò le sopracciglia. «Cosa c'è di divertente?»
Lui fece un giro intorno al bancone e gli si mise davanti. «Hai una striscia nera sulla fronte»
«Oh-»
Kurt aveva preso un fazzoletto dal taschino della giacca, e glielo stava passando sulla pelle, senza mai staccare gli occhi dai suoi.
«Ecco fatto.» mormorò Kurt, riponendo il pezzo di stoffa al suo posto.
La vicinanza tra i loro corpi era ancora minima, e Blaine riusciva quasi a sentire i loro cuori che battevano simultaneamente l'uno di fronte all'altro, come se i loro battiti si fossero improvvisamente sincronizzati.
«Nemmeno io ho un ragazzo.» sussurrò, sperando che quelle poche parole bastassero a spiegare tutto.
Vide gli occhi di Kurt spalancarsi un po', la sorpresa illuminare l'azzurro delle iridi.
Blaine allungò la mano, sfiorando le sue dita.
E, proprio in quel momento, la porta dell'officina si spalancò con un cigolio. Immediatamente Kurt e Blaine si separarono, guardando comparire sulla soglia Burt, confuso e imbarazzato allo stesso tempo.
Blaine temette seriamente di perdere il lavoro in quel preciso istante, e di essere sbattuto fuori. Ma Burt lo sorprese, riscuotendosi dalle sue emozioni iniziali e comportandosi come se fosse tutto normale.
«Kurt, forse è meglio se porti Michael a casa. Oggi mi hanno commissionato un nuovo lavoro, e questo posto si riempirà di polvere e di sporcizia.»
Il ragazzo annuì, e prese il braccio il bimbo, lasciando però che prima Blaine potesse salutarlo.
Dopodiché uscì, lasciando i due uomini a lavorare, in assoluto silenzio.
 
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«A domani, Burt.» si congedò Blaine, uscendo dall'officina mentre si passava una mano sulla fronte. Avevano lavorato tutto il giorno, senza mai una pausa. In più, il silenzio che regnava nell'officina era stato opprimente, senza mai essere interrotto da qualche frecciatina di Kurt o risatina di Michael.
Blaine si avviò verso casa Hummel, contento di poter finalmente rivedere il figlio – e di approfittare di quell'occasione per salutare Kurt.
Una volta raggiunto l'edificio, si diresse spedito al piano di sopra, dove sapeva essere la camera del ragazzo, in cui di solito riposava sempre Michael. Infatti, appena entrò, vide suo figlio rannicchiato sul letto, coperto da una trapunta celeste.
«Mike.» sussurrò, cercando di svegliarlo delicatamente. «Andiamo, dai.»
Mentre aspettava che il bambino si alzasse, iniziò a guardarsi intorno. La camera di Kurt era elegante e ordinata, proprio come se la sarebbe immaginata lui. L'unica cosa fuori posto era la scrivania: accanto alla macchina da scrivere, con un foglio all'interno scritto solo per metà, c'erano pile e pile bianche, alcune crollate, che si erano sparse su tutta la superficie. I fogli ricoprivano tutto.
Blaine venne invaso da una strana curiosità, e fu come se le sue mani si muovessero da sole: non pensò a quello che stava facendo finché non si ritrovò con una poesia di Kurt tra le mani.
La lesse tutta d'un fiato.
Parlava di un bambino che rincorreva una donna, cercando di afferrarle la mano, ma quando stava per riuscirci, quella scompariva, e il bambino cadeva nel buio.
Blaine capì immediatamente che quella era una metafora per un dolore molto più profondo. Iniziò a domandarsi cosa doveva essere successo a Kurt, per fargli scrivere una cosa del genere. E non era l'unica poesia così.
«Oh.» mormorò Blaine, sentendosi improvvisamente in colpa. Aveva invaso la privacy di Kurt, leggendo qualcosa che aveva scritto probabilmente nel momento peggiore della sua vita.
Rimise tutto al suo posto, prendendo Michael in braccio per portarlo a casa. Mentre scendeva le scale, si imbatté proprio in Kurt.
«Blaine.» disse lui, e si vedeva che era ancora imbarazzato per ciò che era successo quella mattina all'officina.
«Ciao.» soffiò Blaine, parlando piano, per non dare fastidio a Michael. «Sono venuto a prendere lui, è ora di andare a casa.»
«Lo so.» sorrise Kurt, inclinando la testa di lato. Si appoggiò alle scale, senza staccare gli occhi da Blaine.
In un altro momento, lui sarebbe rimasto volentieri lì a parlare con Kurt, o semplicemente a specchiarsi nelle sue iridi azzurre. Ma non riusciva più a guardarlo come prima: vedeva il bambino che aveva sofferto, e dei ricordi che aveva invaso. E non era giusto, soprattutto perché lui non si era aperto con Kurt, lui non gli aveva confessato la sua storia – non ancora, almeno.
«Stavo riordinando delle cose in cantina, mentre cercavo qualche scatolone. Michael dormiva come un sasso, russava addirittura un po'.»  continuò Kurt, ridendo piano.
«Fa sempre così.» rispose Blaine, scompigliando i capelli al bambino addormentato sulla sua spalla, che emise un lieve rumorino. «Uh. Forse è meglio che vada.
»
«Buonanotte, Blaine.»
 
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Kurt entrò in officina con una delle sue sciarpe preferite attorno al collo. Ottobre era alle porte, e si addentravano sempre di più nell'inverno. Michael aspettava impazientemente la neve.
«Buongiorno a tutti.» disse, strofinando una mano sulla spalla di suo padre per salutarlo, non avendolo visto prima, visto che era uscito presto. Arrivato accanto a Blaine, gli sorrise, e poi spettinò i capelli a Michael, prendendolo in braccio. Tuttavia, notò che l'uomo cercava di evitare il suo sguardo in tutti i modi: effettivamente, Blaine si era comportato in modo strano anche la sera prima, e lui non riusciva a spiegarsi perché.
Forse Burt lo aveva rimproverato dopo che li aveva sorpresi così vicini?
Passò tutta la giornata a cercare di intercettare lo sguardo di Blaine, ma gli sembrava quasi di essere diventato invisibile, ai suoi occhi.
«Burt? Hai preso tu i nuovi pezzi di ricambio?» chiese Blaine all'improvviso, parlando per la prima volta da ore.
Il padre di Kurt gettò la testa all'indietro. «Sono ancora in magazzino.» si tolse il cappellino e si passò una mano sulla testa. «Vado a prenderli ora, tanto abbiamo ancora un paio d'ore di lavoro. Sarò qui tra mezz'ora.»
Burt salutò Kurt con la mano, che gli sorrise semplicemente di rimando, dato che aveva le mani piene dei pastelli che Michael aveva sparso per terra. Dopo che il padre fu uscito, lui si avvicinò al banco dov'era Blaine, lasciando per un po' il bambino da solo a disegnare.
«Blaine.» lo chiamò, e l'uomo grugnì in risposta. «È successo qualcosa di…strano?»
«È imbarazzante...» mormorò Blaine, poi finalmente alzò la testa per guardare Kurt e si morse il labbro, chiudendo gli occhi. «Okay, ecco…so che non avrei dovuto farlo, ma l'altra sera, quando sono venuto a casa tua a prendere Michael, ho letto le tue-»
«Le mie poesie.» finì Kurt, e stavolta toccò a lui abbassare lo sguardo.
«Kurt, mi dispiace, mi dispiace davvero. È stato inopportuno.»
«Forse un po'.» rispose lui. Adesso capiva l'imbarazzo di Blaine, e non poteva negare di sentirsi indifeso davanti ai suoi occhi, ora. Quelle poesie rappresentavano il suo periodo peggiore, il suo lato più debole. Normalmente se ne sarebbe andato, lasciandosi Blaine alle spalle per sempre, ma quella volta aveva voglia di vedere cosa sarebbe successo se fosse rimasto. «Ti sono piaciute, almeno?» chiese allora, sorridendo suo malgrado.
Blaine coprì la mano di Kurt con la sua, stringendola mentre lo guardava negli occhi. «Mi hai emozionato, Kurt. Ed era tanto tempo che non mi succedeva.»
Kurt arrossì, senza capire se fosse per il gesto o per le parole di Blaine.
«Va tutto bene tra noi, allora. D'accordo?»
Blaine gli fece il sorriso più luminoso che avesse mai visto. «Se tu sei a tuo agio, lo sono anche io.»
Si resero conto solo dopo di avere ancora le mani una sopra l'altra, ma dopotutto non dispiaceva affatto a nessuno dei due.
L'importante era che avessero chiarito quel malinteso e che non ci fosse più imbarazzo tra loro, perché Kurt era convinto che avrebbero avuto la possibilità di trascorrere insieme tanto altro tempo.
 
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Terrore. Ecco cosa si fiutava nell'aria, la notte tra il quattordici e il quindici novembre, mentre la Gran Bretagna tremava sotto le bombe tedesche.
Blaine e Burt avevano scelto la sera sbagliata per lavorare fino a tardi: quando si accorsero che qualcosa non andava corsero subito a casa Hummel, dove si trovavano Kurt e Michael già da qualche ora.
Kurt stava cercando di comportarsi normalmente, per non allarmare il bambino, che non aveva ancora capito cosa stava succedendo, mentre a lui era bastato solo vedere il fumo.
«Michael
«Kurt
I due scesero immediatamente le scale, gettandosi ognuno tra le braccia del proprio padre. Kurt e Blaine si ritrovarono a guardarsi negli occhi per qualche secondo, prima che il più giovane li chiudesse. Avrebbe voluto essere più coraggioso, ma aveva paura. Anche se la guerra non li riguardava da vicino, e c'erano momenti in cui sembrava esserci tranquillità, sentiva quel costante brivido dietro la schiena, un fiato sul collo, che gli ricordava di non essere mai al sicuro. Gli ricordava che sarebbero potuti accadere attacchi come quelli anche nella sua piccola cittadina, di cui ai Tedeschi non sarebbe dovuto importare nulla.
Ma era quello il loro scopo, dopotutto, no? Incutere terrore, radicarlo nella mente delle persone, finché non avessero ceduto.
Una scossa.
«Papà, cos'era?» domandò Michael, con la solita curiosità innocente dei bambini.
«Niente, piccolo, niente.» disse Blaine, che, come Kurt, non voleva allarmarlo. L'uomo lanciò uno sguardo agli altri due, e andò a sedersi sul divano, facendo stendere Michael accanto a lui.
«Vado a vedere se in radio riesco a sentire qualcosa.» sussurrò Burt a Kurt, scompigliandogli i capelli, guadagnandosi un'occhiataccia. «Non guardarmi così.»
Non ci fu bisogno che aggiungesse “Potrebbe essere l'ultima volta che ho la possibilità di farlo”, perché Kurt lo pensò subito, e si morse la lingua.
«Ti voglio bene, papà.»
«Lo so.» rispose Burt, prima di dirigersi al piano superiore.
Kurt fece un respiro profondo, cominciando a sentire un freddo incredibile. Si sedette sull'angolo opposto del divano rispetto a Blaine e Michael, portandosi le ginocchia al petto. Le strinse e ci poggiò sopra il mento, cominciando a ripetersi la ninna nanna che gli cantava sua madre quando era spaventato, o dopo un incubo.
Probabilmente si addormentò così. Quando si svegliò, dovevano essere passate almeno un paio d'ore, perché il sole aveva cominciato a sorgere all'orizzonte, anche se fuori dalle finestre era ancora buio. Si girò, e vide Blaine che guardava fuori, con una mano immobile sul divano, stretta da Michael. Quell'immagine gli fece tenerezza, e sorrise piano.
«Ehi.» mormorò, nell'aria fredda come quando si era addormentato.
Blaine si voltò verso di lui. Aveva gli occhi arrossati, e la stanchezza era evidente anche dai movimenti lenti. «Ehi. Come ti senti?»
«Non lo so.» disse Kurt, sinceramente, scrollando le spalle. «Credo di non sentire nulla. È finita?»
«Tuo padre è venuto qualche ora fa, prima di andare a riposarsi. Hanno bombardato Coventry per tutta la notte. Non so se sia rimasto qualcosa in piedi, o se sia sopravvissuto qualcuno...»
Blaine si passò la mano libera sul volto. «Darei qualsiasi cosa affinché finisca.»
Ecco perché avevano sentito la terra tremare e il fumo era arrivato così presto: Coventry era solo una quarantina di chilometri da loro. Le bombe tedesche avrebbero potuto colpire Leicester da un momento all'altro, e allora sarebbe davvero tutto finito – anche se Kurt credeva che Blaine non intendesse finire in quel senso.
«Credi che ne usciremo?» gli chiese, abbandonandosi completamente alle sue sensazioni.
Blaine mosse impercettibilmente la testa. «Possiamo solo sperare, no?»
«Suppongo di sì.»
Blaine lo guardò un'ultima volta e, prima di voltarsi di nuovo verso la finestra, intrecciò la mano a quella di Kurt.
E il freddo aveva sentito tutta la notte sembrò attenuarsi improvvisamente.
 
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Il resto di Novembre era trascorso nel timore di essere il prossimo obiettivo della Luftwaffe. Alla fine però erano venuti a conoscenza che i Tedeschi stavano riducendo il numero di incursioni aeree contro la Gran Bretagna, per limitare la perdita di aerei. Girava la voce che Hitler stesse progettando un blocco navale, potenziando gli U-Boot, i sottomarini. Purtroppo, ogni tanto, si stavano verificando comunque attacchi a sorpresa, sia agli accampamenti dei soldati che ai raduni dei civili.
In un modo o nell'altro, Dicembre era ormai arrivato, e mancavano una decina di giorni a Natale. Sembrava assurdo festeggiare in un momento del genere, mentre Hitler continuava a cercare di soffocare con il suo regime l'Europa, che pativa cercando di combatterlo.
«Papà! Kat!» gridò a gran voce Michael, senza staccare la faccia dalla finestra di casa Hummel. «La neve!»
Burt e Kurt avevano deciso di invitare Blaine a Michael a passare il Natale con loro: avrebbero messo insieme quello che avevano per cercare di passare un paio di giornate nel modo più normale possibile, illudendosi almeno per poco che la neve che Michael tanto adorava veder scendere dal cielo non venisse imbrattata di sangue ogni giorno.
«È bellissima, piccolo.» rispose Blaine, abbracciando il figlio. «Ti va di andare a giocarci fuori?»
Gli occhi del bambino si illuminarono, mentre correva verso la porta, seguito dal padre che rideva.
«Ehi, signorino.» lo fermò Kurt, guardandolo con un finto sguardo severo. «Vuoi ammalarti? Vieni qui.» disse, avvolgendogli la sua sciarpa intorno al collo, e abbottonandogli la giacca.
«Glazie.» rispose Michael, che ancora non riusciva a pronunciare la r. Poi si girò verso il padre e chiese: «Può venile anche Kat
«Se è abbastanza coraggioso.» sussurrò Blaine, guardando Kurt con aria di sfida.
Il ragazzo alzò un sopracciglio di rimando, aprendo la porta. «Hai iniziato un gioco pericoloso, Anderson.»
Uscirono dopo qualche secondo, giusto in tempo per sentire Burt dire: «Andate pure, non ho mica bisogno di una mano qui in cucina!»
Kurt e Blaine cominciarono subito a lanciarsi palle di neve addosso fuori dalla casa, con Michael al fianco di quello che sembrava star vincendo.
Dopo una mezz'oretta, Kurt scagliò il colpo vincente, colpendo sulla spalla Blaine, che si gettò a terra in modo plateale. Michael scoppiò a ridere, seguito a ruota da Kurt.
Si avvicinò a Blaine e gli porse la mano per tirarsi su. Una volta che l'uomo fu in piedi di fronte a lui, Kurt tornò serio. «Sei un buon giocatore, ma non puoi che perdere contro di me.» gli disse, togliendogli alcuni fiocchi di neve dalle spalle.
Le sue dita si fermarono nel punto in cui l'aveva colpito. «Spero di non averti fatto veramente male.» mormorò, sorridendo, prima di dirigersi verso casa.
Blaine prese Michael sulle spalle e lo raggiunse subito. «Avrò la mia rivincita, Hummel.»
«Staremo a vedere.» rispose Kurt, mentre rientravano in casa per mangiare.
Ormai gli Anderson facevano parte della famiglia, per lui. Era a suo agio – cosa strana, dato che tendeva sempre ad essere molto riservato – e poi credeva che lui e Blaine si conoscessero bene. Tuttavia, c'era un punto interrogativo che si era prefissato di chiarire. Michael era spaventosamente uguale a Blaine, quindi non c'erano dubbi che fosse suo figlio. Ma allora Blaine aveva una moglie? E lei dov'era? A Blaine piacevano…le donne?
Decise che avrebbe trovato il momento giusto per chiederglielo. Dopotutto, lui non gli aveva nascosto nulla.
In ogni caso, quando si sedettero tutti a tavola, queste domande passarono in secondo piano, e si godette quell'atmosfera così serena che non c'era in casa Hummel da quando sua madre era morta.
Se quei giorni fossero stati tutti così, la loro illusione sarebbe stata davvero bella.
 
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Blaine si svegliò presto quella mattina, ricordandosi solo dopo qualche minuto che fosse Natale.
Quei giorni erano letteralmente volati, e non riusciva a credere che stesse capitando a lui: non era così felice da anni. Si alzò dal letto, per controllare se Michael fosse sveglio: lo trovò seduto sul tappeto, che guardava fisso davanti a lui.
«Buongiorno.» disse Blaine, spettinandogli i capelli. «Che fai?»
«Babbo Natale non mi ha poltato nessun legalo.» mormorò il bambino, con una vocina triste.
Quell'anno, Blaine non aveva avuto il tempo di fare l'albero – anche perché avrebbero trascorso le vacanze dagli Hummel – e aveva deciso di nascondere il regalo che aveva fatto a Michael, per non renderne così evidente l'assenza.
«È impossibile.» rispose, prendendolo in braccio. «L'avrà nascosto.»
Facendosi guidare dalla manina di Michael, che indicava di qua e di là, Blaine lo fece girare per tutta la casa, finché il bambino non vide un piccolo pacchetto rosso nascosto dietro un mobile in cucina.
Con l'aiuto del padre, Michael scartò il pacco. «Sono bellissime!» esclamò, non appena vide le due macchinine di legno, una verniciata di rosso e una di verde, che c'erano al suo interno.
Blaine sorrise: le aveva fatte tutte con le sue mani, in officina, mentre il figlio era a casa con Kurt.
«Ti va se ci giochiamo un po'? Vediamo qual è più veloce.»
Passarono la mattinata così, spingendo i giocattoli su un circuito improvvisato, i cui ostacoli erano bottiglie e lattine vuote.
Proprio quando Michael l'aveva sorpassato, l'orologio segnò mezzogiorno e mezza.
«Mike, è tardissimo!» esclamò Blaine. A quell'ora sarebbero già dovuti essere dagli Hummel. Prese in braccio il figlio e corse a vestirlo, poi si cambiò anche lui, indossando per l'occasione un papillon.
Uscirono di casa pochi secondi dopo, e arrivarono a destinazione venti minuti dopo.
Blaine bussò alla porta, e gli aprì Kurt. Michael sorrise immediatamente al ragazzo, tendendo le braccia verso di lui; Kurt lo prese in braccio, facendo cenno a Blaine di entrare e chiudere la porta. Nel frattempo arrivò anche Burt, con un grembiule indosso – cosa che fece ridere tutti i presenti – per salutarli, prima di tornare in cucina.
Kurt fece sedere Michael sul divano, complimentandosi con lui per le macchinine, aggiungendo che: «Allora spero che ti piacerà anche il regalo che ho chiesto io a Babbo Natale per te.»
Blaine sorrise istintivamente a quella scena – il rapporto che si era creato tra i due in così poco tempo era incredibile – e si avvicinò, mentre il ragazzo si voltava verso di lui. 
«Buon Natale, Kurt.» sussurrò, stringendolo in un abbraccio.
Si aggrappò alle spalle di Kurt, ricoperte da una sottile giacca di colore blu, che si intonava perfettamente con i suoi occhi.
Ormai loro due si conoscevano da quattro mesi, e Blaine non poteva negare di provare qualcosa per Kurt. Ed era qualcosa che diventava sempre più forte.
Il problema era che Kurt era più giovane di lui e lavorava con suo padre: una storia avrebbe potuto funzionare, in quelle circostanze?
E poi, Blaine non stava con uomo da moltissimo tempo. Dopo varie cotte da college, l'unica relazione seria che aveva avuto risaliva a quando aveva vent'anni, ed era durata quattro anni: aveva amato Peter come nessun altro, e gli si era spezzato il cuore quando lui l'aveva lasciato. Un anno dopo aveva sposato Laurel – anche se per i primi anni aveva continuato ad avere rapporti occasionali con alcuni uomini – ma non era più stato con nessuno da quando Michael era nato.
Pensava di aver smesso di cercare, a quel punto, ma quando aveva incontrato Kurt, in lui si erano risvegliati dei sentimenti che non credeva di essere in grado di provare ancora. Forse non aveva smesso di cercare, semplicemente stava aspettando che arrivasse la persona giusta.
Non gli era mai sembrato di imparare a conoscere Kurt, piuttosto aveva una sensazione diversa, come se si stesse ricordando di lui, spolverando la sua memoria con ogni dettaglio di cui veniva a conoscenza.
«Buon Natale, Blaine.» gli rispose Kurt, staccandosi con un sorriso.
Blaine non sapeva se Kurt ricambiasse i suoi sentimenti. In realtà, credeva – e sperava – che fosse così, perché c'era un'innegabile intesa fra di loro, ma magari Kurt la intendeva solo come amicizia.
Si rese conto che i suoi pensieri erano pieni di mase e forse.
«Papà!» chiamò Michael, che intanto si era messo in piedi tenendosi al bracciolo del divano. Quell'immagine fece sorridere Blaine, che andò immediatamente da lui.
«Cosa c'è, piccolo?»
«Puoi appendele questo?» gli chiese, porgendogli un ramoscello.
Lui lo prese, supponendo che Michael l'avesse trovato nella neve. «Certo.» rispose, andando verso una trave del soffitto più bassa, per metterla lì.
Si alzò sulle punte, allungando le braccia il più possibile. Sbuffò, provando anche a saltare.
Mentre ci riprovava, sentì qualcuno ridere alle sue spalle. «Vuoi una mano?» chiese Kurt, prendendolo in giro. «Sembri in
difficoltà.»   
«Ce- la- faccio-» disse Blaine, tra un salto e l'altro.
«A me sembra di no.» continuò il ragazzo, senza smettere di ridere.  
Blaine si girò per guardarlo negli occhi, cercando di mettersi più dritto per sembrare più alto. «Allora provaci tu, spilungone.» ribatté, con aria di sfida.
Kurt inclinò la testa, alzando un sopracciglio con un'espressione eloquente, prima di prendergli dalle mani il rametto. Si avvicinò alla trave e ce lo appese con un minimo sforzo. «Fatto.» mormorò, ammirando la sua opera.
Alla fine si ritrovarono in quel punto l'uno di fronte all'altro.
«Ma è...» sussurrò Kurt, guardando in alto e arrossendo immediatamente. In quel momento, Blaine si rese conto che il rametto che era appeso sopra di loro era vischio. Vischio.
«Se vogliamo rispettare la tradizione-» cominciò Blaine, ma venne interrotto dalla voce di Burt, proveniente dalla cucina, che chiamava il nome di Kurt, probabilmente per avere una mano.
Blaine non capì subito se era sollevato o infastidito: magari quella sarebbe stata l'occasione giusta per vedere cosa sarebbe successo. Sperò solo che ne avrebbe trovata un'altra, prima o poi – altrettanto buona.
«Mi devi un bacio.» disse Blaine, lasciando andare Kurt – le cui guance si erano arrossate ancora di più – che si diresse verso il padre. «Tienilo presente.»
 
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«Adesso sono un velo pilota!» esclamò Michael, indossando il berretto rosso con il suo nome scritto in bianco che gli Hummel gli avevano regalato.
Anche se si erano accordati con Blaine di non scambiarsi regali tra loro, Kurt aveva insistito per fare un'eccezione per il bambino. Gli si era davvero affezionato, ed era felice che fosse entrato a far parte della loro famiglia.
Come Blaine, del resto.
Il pranzo di Natale era stato fantastico, per quello che potevano permettersi – non si sarebbe detto a vederlo, ma Burt era davvero un ottimo cuoco – anche se Kurt aveva pensato a quello che era successo con il vischio per quasi tutto il tempo. Non capiva se Blaine scherzasse o no, se lo stesse semplicemente provocando o se ci fosse qualcosa di più sotto. Avrebbe dovuto affrontare la questione, ma non voleva rischiare di fare la figura dello stupido che si era semplicemente immaginato tutto.
«Grazie, ragazzi.» disse a un certo punto Blaine, mentre guardava il figlio che giocava sotto l'albero degli Hummel. «L'ho visto sorridere più in questi mesi che in tutto lo scorso anno.»
«È questo che fa la famiglia.» rispose prontamente Burt.
«E tu sei uno di famiglia.» concluse Kurt per lui.
Lo pensava davvero. Al di là dei suoi sentimenti più intimi, teneva davvero a Blaine – e a Michael, ovviamente – e non riusciva a pensare di trascorrere il Natale con qualcun altro.
«Non potrò mai ringraziarvi abbastanza.» aggiunse Blaine, guardando prima Kurt e poi porgendo la mano a suo padre. Burt rise e lo abbracciò.
Blaine li aiutò a rimettere in ordine la casa, prima di andarsene, quando era ormai sera.
«Ciao!» esclamò Michael, mezzo addormentato tra le braccia del padre, facendo sorridere tutti.
«A domani.» dissero all'unisono gli altri due, mentre la porta di casa Hummel si chiudeva, lasciando padre e figlio da soli.
Entrambi si sedettero sul divano, e Kurt buttò subito la testa all'indietro, sullo schienale. «Credevo che con questa atmosfera l'ispirazione sarebbe tornata.» sospirò. «E invece non sono nemmeno riuscito a finire la fiaba per Michael.»
«Forse è perché sei distratto.» buttò lì suo padre.
Kurt si raddrizzò immediatamente. «Cosa vorresti dire?»
Burt si tolse il berretto che aveva sempre, passandosi una mano sulla testa, chiaramente imbarazzato. «Siamo solo noi due da quando avevi otto anni. Ho imparato a capire quello che provi anche senza chiederti ogni minimo dettaglio.»
Abbassando lo sguardo, Kurt cominciò a torturarsi le mani. «E sentiamo, cosa provo?»
«C'è qualcosa tra te e Blaine?» vedendo Kurt scuotere la testa, si corresse. «O vorresti che ci fosse?»
«Lo so cosa stai per dire.» sospirò Kurt, guardandolo negli occhi. Suo padre lo appoggiava sempre, era vero, ma era pur sempre un genitore. E aveva tutte le ragioni per voler essere protettivo.
«Non ti dirò che sarà facile. Perché, ora come ora, nella situazione in cui ci troviamo, nulla è facile. E io voglio che tu sia pronto a tutto, Kurt.»
«Cosa dovrei fare, papà?» gli chiese allora Kurt. Da quando sua madre era morta, Burt era stato la sua roccia. Il suo punto di riferimento, la sua unica costante. Si fidava ciecamente di lui.
«Anche se mi piacerebbe che tu fossi sempre il mio bambino» disse Burt, avvolgendo le spalle di Kurt con un braccio – guadagnandosi un'occhiataccia nonostante tutto – «sei un uomo, ormai… segui il tuo cuore. Questo non vuol dire che puoi fare ogni cosa che vuoi, ricordati sempre a cosa porterà e se lo vuoi davvero.»
«E se sbagliassi?»
«Imparerai dai tuoi errori.»
«C'è un momento giusto per seguire il proprio cuore?»
Burt rise. «Non sono mica un indovino. Non ho tutte le risposte.»
«Il mio momento potrebbe essere adesso.» sussurrò Kurt, più a se stesso che a suo padre. Lo abbracciò stretto, prima di afferrare il cappotto e correre velocemente fuori.
Mentre se lo infilava, continuava spedito, senza fermarsi, verso casa di Blaine. Pensieri indecifrabili frullavano nella sua testa, ma decise che quella volta avrebbe agito. Non si sarebbe fermato a riflettere, avrebbe scritto ciò che voleva succedesse.
Bussò alla porta dell'appartamento di Blaine, che comparse sulla soglia dopo qualche momento, in vestaglia, palesemente – e giustamente – sorpreso di vederlo.
«Kurt, che ci fai qui?» gli chiese, guardandolo sempre con quello sguardo intenso che riservava solo a lui.
«Ti devo un bacio, no?» rispose istintivamente. Era la prima cosa ad essergli venuta in mente.
Kurt vide che Blaine rimaneva immobile, di fronte a lui. Immaginava che non volesse forzarlo, e aspettasse un suo segno.
Subito Kurt si fece coraggio, nonostante il suo cuore battesse all'impazzata.
Si sentiva come un uccellino sul bordo del nido, al momento del suo primo volo. Adesso poteva tornare indietro, nel terreno sicuro e conosciuto, o spiegare le ali e buttarsi, senza sapere cosa sarebbe successo, se avrebbe volato o sarebbe caduto. Dopo pochi secondi, la scelta gli sembrò assurdamente semplice.
Fece un respiro profondo e saltò.
Inizialmente fu strano, perché quella era la prima volta che baciava un ragazzo. Poi Blaine lo avvolse in un abbraccio, sfiorando dolcemente le sue labbra, mentre lo conduceva dentro la casa e chiudendo la porta dietro di loro.
Kurt si lasciò guidare, sciogliendosi sotto il calore di Blaine. All'inizio aveva avuto paura, lo ammetteva, ma adesso voleva solo di più: non pensava che si sarebbe sentito così.
Mentre il bacio si faceva più profondo, entrambi cercavano sempre più contatto con l'altro. Senza mai staccarsi, raggiunsero la camera da letto di Blaine.
In quel momento, l'uomo si allontanò un po', e lo guardò sorridendo. «Voglio che tu sia a tuo agio, Kurt.» sussurrò. «Forse non… forse dovremmo aspettare.»
Kurt vide le labbra rosse di Blaine, immaginando che anche le sue fossero così, e sorrise. Normalmente si sarebbe fermato, sarebbe stato molto più insicuro, ma chi poteva assicurargli che avrebbero avuto il tempo? Da quando avevano bombardato Coventry viveva nel terrore che ogni giorno potesse essere l'ultimo – e trascorrere l'ultima notte al mondo con Blaine non sarebbe stato per niente male. Si fece le due domande di Burt.
A cosa porterà? Non lo so, ma sono sicuro che valga la pena scoprirlo.
Su questa era stato un po' dubbioso, perché sinceramente non sapeva cosa sarebbe accaduto, se lui e Blaine avrebbero deciso di renderla una cosa ufficiale o no, se avrebbe funzionato… Poi guardò gli occhi di Blaine, e sentì qualcosa dirgli che stava facendo la scelta giusta.
La seconda domanda fu più facile.
Lo vuoi davvero? Sì.
Era pronto. Kurt si tolse la maglietta, scontrandosi con il gelo dell'aria. Prese le mani di Blaine e le mise sul suo petto. «Insegnami.»
Le dita di Blaine cominciarono a disegnare cerchi sulla sua pelle, eppure sembrava ancora restio.
«Sono così male?» chiese Kurt, mordendosi il labbro. Sperò di non aver sbagliato tutto, anche se continuava ad essere sicuro di quello che stava facendo.
«Sei bellissimo.» rispose immediatamente Blaine, continuando a guardarlo come se fosse affamato. Perché quei baci non l'avevano saziato, avevano solo aumentato il suo appetito.
«Allora insegnami.» ripeté Kurt, e finalmente Blaine lo spinse sul letto, chinandosi su di lui e riprendendo a baciarlo. 
Velocemente i vestiti scivolarono dai loro corpi, finendo per terra. Adesso c'erano solo Kurt e Blaine, senza niente a separarli. Blaine fece piano, permettendo a Kurt di abituarsi, e poi tutto venne da sé: si muovevano in sincronia. Ed era una sensazione bellissima.
Kurt si godette ogni piccolo dettaglio: gli occhi di Blaine che brillavano di piacere, la morbidezza dei suoi ricci quando ci infilava le mani, il sudore sul suo petto, le mani strette alle sue spalle, i baci per soffocare i gemiti, i loro cuori che battevano contemporaneamente, all'impazzata. 
Fecero l'amore tutta la notte, e per la prima volta in mesi Kurt si dimenticò di tutte le cose brutte che stavano accadendo là fuori.
C'erano solo Kurt e Blaine. 
 
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«Buongiorno, tesoro.» sussurrò Blaine, lasciando un leggero bacio sulla fronte di Kurt, quando vide che era sveglio.
Stava ancora realizzando quello che era successo, era stata una delle notti più belle della sua vita.
Per tanto tempo aveva associato il sesso a qualcosa privo di importanza, senza sentimento, ma con Kurt… con Kurt era stato tutto nuovo. Si era sentito vivo.
Non si era pentito di aver acconsentito, anzi, ne era contento: i suoi sentimenti per Kurt stavano aumentando, ogni secondo di più. A ogni sguardo, ogni sorriso, ogni tocco, ogni bacio.
E pensava seriamente che sarebbe stata una strada tutta in salita.
«'Giorno.» mormorò Kurt, ancora assonnato, strofinando il naso sulla spalla nuda di Blaine. Poi alzò il viso per guardarlo negli occhi.
Appena i loro sguardi si incrociarono, nella mente di Blaine cominciarono a susseguirsi immagini della notte precedente, di quando si era perso negli occhi di Kurt mentre si fondeva con lui.
Blaine non riuscì a trattenersi e lo baciò sulle labbra, afferrandogli il mento con le dita. Sentì Kurt sorridere, e lo fece a sua volta.
Quando si staccarono, Blaine gli chiese: «Va tutto bene?»
Kurt arrossì – cosa che lui adorava, e che gli scaldò il cuore – e mormorò la sua risposta. «Benissimo.»
«Papà?» si sentì chiamare dall'altra stanza. Michael.
Blaine sgranò gli occhi, mentre Kurt si mise una mano sulla bocca per cercare di soffocare le sue risate. Si erano quasi dimenticati che nella stanza accanto dormiva un bambino di tre anni.
«Ne parliamo dopo?» sussurrò Blaine, alzandosi e infilandosi il pigiama. «Tu fai piano.»
Kurt annuì, ma prima di lasciare uscire Blaine dalla stanza gli scoccò un ultimo bacio sulle labbra.
«Piccolo, arrivo!» disse lui, a voce abbastanza alta, per coprire i passi di Kurt che scendeva le scale. Gli venne istintivamente da ridere, era un uomo adulto, per la miseria!
Allo stesso tempo, però, non se la sentiva di parlarne con Michael. L'unica persona con cui aveva visto suo padre era stata Laurel, e non gli sembrava opportuno parlargli di cose così serie, addossargli la responsabilità di un segreto che spesso faceva stare male anche lui. Era solo un bambino.
Così si diresse nella stanza di suo figlio, sorridendo come se fosse una mattina normale, arrivata subito dopo una notte normale.
 
Poco lontano da casa Anderson si stava svolgendo una scena simile, solo che quello ad essere imbarazzato, stavolta, era il figlio.
Kurt era quasi arrivato, e sapeva di non poter nascondere nulla di quello che era successo a suo padre: lui capiva sempre tutto. E poi era alquanto ovvio, dato che era stato fuori tutta la notte, cosa che non succedeva mai.
Sperò solo che si ricordasse di aver detto, la sera prima, che ormai era un adulto.
Aprì con le sue chiavi, e trovò Burt in cucina.
«Papà… sono tornato...»
«Oh- ehi Kurt.» borbottò lui di rimando. Nessuno dei due era particolarmente bravo in quelle situazioni. «È andato tutto bene?» buttò lì poi.
«Sì, sì.» rispose Kurt, avvicinandosi, con le mani in tasca. «Grazie dei tuoi consigli di ieri sera.»
«Spero che non mi pentirò di averteli dati.» disse Burt, facendolo ridere immediatamente. «So che Blaine è un bravo ragazzo, ma non si sa mai…» e mentre diceva quest'ultima frase, agitò il coltello che stava usando per tagliare le carote.
«Sei un po' spaventoso così, papà.» rise Kurt.
Burt fece qualche verso irriconoscibile, ma poi sorrise.
Era questo che Kurt amava del loro rapporto, che suo padre riuscisse a lasciargli i suoi spazi pur tenendo enormemente a lui. Ed era tutto merito della fiducia che avevano l'uno nell'altro.
«Comunque, perché stai già cucinando?» chiese Kurt, rendendosi conto che erano solo le dieci.
«Sto cercando di fare lo stufato che piaceva tanto a tua madre. Sai che ci mette ore per essere pronto. Dopotutto, oggi è il mio ultimo giorno di vacanza fino al trentuno.»
«Me lo ricordo.» sussurrò Kurt. Sua madre lo faceva di giovedì, quando riusciva ad avere tutti gli ingredienti in casa. Dopo la sua morte, Burt aveva cercato di portare avanti la tradizione per un po', ma ad un certo punto avevano semplicemente smesso di farlo.
Quindi Kurt fu felice di ricordare i vecchi tempi, anche se erano avvolti da uno strato di malinconia. Per un momento  gli era sembrato quasi di sentire sua madre canticchiare – lo faceva sempre mentre cucinava.
Si chiese se le sarebbe piaciuto Blaine.
“Probabilmente” si disse, cercando di accontentarsi di quella risposta, dato che non avrebbe mai potuto saperlo.
«Verrà anche Blaine?»
«Beh, questo dovresti dirmelo tu.» rispose Burt, facendo arrossire suo figlio, cosa che lo fece ridere. «Sto scherzando, ci eravamo già accordati ieri. Sarà qui tra un paio d'ore.»
«Ti do una mano.» si offrì Kurt, cercando di cambiare argomento, pentendosi di aver messo in mezzo Blaine di nuovo.
«Credo che dovresti fare una doccia, prima.» disse suo padre.
Adesso Kurt era completamente bordeaux. «È quello che farò.» fu la sua risposta prima di correre verso il bagno. Alla fine, però, rise anche lui. Sapeva che quello era il modo di Burt di non pensare seriamente a ciò che era successo, ed era disposto a sorbire tutte le prese in giro del mondo, pur di non fare quella chiacchierata.
Il primo accenno che il padre gli aveva fatto anni prima gli era decisamente bastato.
Si infilò sotto la doccia, lasciando l'acqua scorrere sul suo corpo. Non appena chiuse gli occhi, immagini della notte precedente gli tornarono in mente a frammenti, come in flash.
Kurt si chiese come potesse essere sbagliata una cosa che fa stare così bene, che annulla tutto il dolore. Un misto di paura, eccitazione, sorpresa e piacere, che travolge il corpo e tutti i sensi.
Odiava il fatto che qualcuno si era sentito in diritto di decidere di punirli per questo, e soprattutto che tante persone fossero state d'accordo.
Perché a loro non doveva essere permesso amare, e dimostrare questo amore? Cosa c'era che rendeva loro mostri?
Kurt vedeva chiaramente chi fossero i veri mostri.
Finì di lavarsi, deciso a vivere qualsiasi cosa sarebbe successa con Blaine continuando a provare quelle emozioni e quelle sensazioni, senza mai sentirsi sbagliato.
 
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Kurt doveva ammettere che non si sarebbe aspettato tutta quella tranquillità. Era l'ultimo giorno dell'anno, e la settimana precedente era trascorsa nella più totale normalità.
Blaine e Burt andavano d'accordo, e lavoravano insieme come sempre: il loro rapporto non era stato rovinato dall'imbarazzo, anzi, Blaine era diventato ancora di più uno della famiglia.
Michael non sapeva nulla, ma non faceva domande, nemmeno quando vedeva suo padre abbracciare Kurt un po' più a lungo e un po' più forte del normale. Ormai era come un altro genitore per lui.
E Kurt e Blaine… loro due cercavano di stare insieme in ogni momento che avevano. All'officina si comportavano come al solito, anche perché tutti potevano vederli lì, ma quando erano soli era tutto diverso.
«Kurt!»
Il ragazzo si riscosse dai suoi pensieri non appena sentì la voce di Blaine chiamare il suo nome. Erano a casa Hummel: Burt puliva la bocca a Michael, al quale aveva fatto mangiare decisamente troppa cioccolata per i suoi gusti, mentre Blaine era salito al piano di sopra.
«Papà, ti occupi tu di lui?» chiese Kurt.
«Sì, sì, tranquillo. Devo ancora stracciare questo piccolino in una corsa automobilistica.» rispose il padre, sorridendo sia al figlio che a Michael, per due motivi diversi. «Mi raccomando.» mimò poi con le labbra, solo a Kurt, mentre Michael andava a prendere le sue macchinine.
Kurt annuì, e rimase qualche altro secondo a guardare Burt giocare con Michael. Con lui non aveva mai potuto fare quelle cose, tanto è vero che il padre aveva capito che era omosessuale  già da quando era bambino, quindi era felice. Michael sembrava quasi il suo nipotino. Salutò entrambi, prima di dirigersi verso le scale.
Andò in camera sua, e trovò Blaine inginocchiato sul letto, con i gomiti appoggiati sul davanzale della finestra, che era proprio lì sopra.
«Blaine, cosa c'è?» chiese Kurt, sorridendo. Poi si avvicinò e si mise nella sua stessa posizione.
«Guarda, le stelle sono chiarissime stanotte.» rispose lui, indicandogliele con un braccio, fendendo l'aria.
«Sono bellissime.» confermò Kurt, voltando la testa verso di lui. L'entusiasmo che Blaine continuava a provare per qualsiasi cosa, nonostante tutto quello che stava succedendo nel mondo, era una cosa che adorava. Ogni volta che lo guardava, si sentiva un po' più felice.
Aveva letto in tanti libri come fosse innamorarsi, la descrizione di quel sentimento che era semplice e impossibile allo stesso tempo.
Ma dopotutto, aveva imparato proprio sulla sua pelle che l'impossibile era solo a un bacio di distanza dalla realtà.
«Lo sei anche tu.» sussurrò Blaine, prima di girarsi a sua volta, facendo incontrare le loro labbra.
Ecco. Stavano annullando la distanza.
Kurt sospirò, sedendosi meglio sul letto, seguito da Blaine. Adesso davano le spalle alle stelle, con la schiena appoggiata al muro.
«Kurt, c'è una cosa che devo dirti.» cominciò Blaine, chiudendo la finestra per non far entrare l'aria fredda.
Il tono serio di Blaine lo spaventò un po'.  «Va tutto bene?» chiese.
L'altro gli prese una mano tra le sue, e lo guardò negli occhi. Sembrava che stesse facendo uno sforzo enorme.
«Blaine, non capisco, che sta succedendo...» mormorò Kurt.
«Sei meraviglioso. E io non pensavo che sarei mai più stato felice con qualcuno come lo sono ora.»
Kurt sorrise, cercando di incoraggiarlo. 
«Devo essere onesto con te. Non lo sono stato con il resto del mondo, e sappiamo entrambi che non potrò mai esserlo, ma tu meriti di sapere la verità. Io avevo una moglie, Laurel. È morta due anni fa.»
Quando pronunciò il suo nome, Blaine sorrise, e Kurt capì che doveva aver tenuto molto a lei.
«Lei sapeva che io ero- insomma, diverso. Ma non le è mai importato. Era la mia migliore amica, e stavamo bene. Michael è nostro figlio. Noi...»
«Blaine.» lo interruppe Kurt, non voleva sapere tutti i dettagli, gli sembrava troppo. «Non devi sentirti obbligato a raccontarmi tutto. Immaginavo che fossi stato con una donna, prima, anche se devi ammettere che Michael è la tua fotocopia.»
«Tranne il colore dei capelli. Laurel li aveva così.»
Kurt annuì, accarezzandogli una guancia. «Scommetto che lei sarebbe fiera di come lo stai crescendo.»
Gli occhi di Blaine si fecero lucidi, ma non smise di guardare Kurt. «Quindi non cambierà nulla?»
«No. È ovvio che hai avuto una vita prima di me, è normale. E adoro Michael. Sono solo felice che tu abbia deciso di condividere queste cose con me.»
Blaine fece un leggero movimento con la testa, per baciare il palmo della mano di Kurt, ancora sulla sua guancia, prima di passare alle sua labbra.
Kurt si stese, lasciando che Blaine si mettesse a cavalcioni su di lui, e afferrandogli i fianchi. L'altro mise le mani ai lati del suo viso, con i pollici all'altezza delle orecchie.
«Bl-» cercò di dire Kurt tra un bacio e l'altro. «Blaine.»
«Sì?» disse lui, alzandosi un po'.
«Perché me l'hai detto proprio ora?»
«Perché mi sto innamorando di te.» ammise Blaine sorridendo, mentre la luce di tutte quelle stelle li illuminava.
Anche se il suo sorriso splendeva già abbastanza da solo.
«E io di te.» soffiò Kurt sulle labbra di Blaine, mentre si chinava di nuovo su di lui.
Si baciarono proprio mentre scoccava la mezzanotte.
Kurt Hummel aveva l'impressione che avrebbe avuto un anno niente male.
 
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Marzo 1942
 
Kurt Hummel aveva avuto un anno niente male.
«Amore, devo andare a lavoro.» disse Blaine, liberandosi dal groviglio di coperte in cui era avvolto.
«Uhmm.» grugnì Kurt, fingendosi infastidito, ma in realtà sorrideva.
Blaine e Michael erano andati a vivere da loro un paio di mesi, con la scusa che fosse solo per stare più vicini all'officina. Avevano preparato una specie di stanzetta per il bambino, mentre Blaine dormiva con lui – fingendo che ci fosse un altro letto.
«Non mi saluti nemmeno?»
«Quanto sei fastidioso.» sbottò Kurt, aprendo finalmente gli occhi.
Nonostante desse le spalle alla finestra, una luce lo inondò comunque: quella del sorriso di Blaine. Lui era il sole, con i suoi occhi luccicanti dal colore indefinibile.
«Ti amo anch'io» rispose Blaine, baciandolo sulle labbra prima di uscire dalla stanza, per scendere al piano di sotto. Kurt lo sentì salutare Burt, che probabilmente stava facendo colazione.
Lui si trattenne ancora un po' nel letto, dato che non aveva per niente voglia di alzarsi.
Era così quasi tutte le mattine: ormai lui e Blaine avevano creato una routine tutta loro, tanto che Kurt spesso diceva che erano una vecchia coppia sposata. Blaine a quel punto sorrideva malinconico, pensando un po' al suo vero matrimonio e un po' al fatto che non avrebbe mai potuto sposare Kurt legalmente. Questo faceva intristire anche lui, ma preferiva non pensarci, perché quando erano insieme si sentiva sempre più leggero.
«I Tedeschi festeggiano» giunse dal piano di sotto. Era Burt, con un chiaro tono ostile – e giustamente.
Il '41 era stato un anno instabile per la Gran Bretagna: si erano alternati periodi di maggiore tranquillità, come quando gli U-Boot erano diminuiti, e altri di crisi. Purtroppo, il '42 si prospettava essere peggiore. L'ingresso in guerra degli Stati Uniti al fianco degli Alleati, dopo l'attacco a Pearl Harbor, aveva avuto dei risvolti sull'attività degli U-Boot, che erano diventati ancora più accaniti contro le navi mercantili anglo-americane. La Battaglia dell'Atlantico infuriava da quattro anni. In quel mese in particolare, i Tedeschi stavano collezionando talmente tanti successi da definirlo “momento felice.”
In questo modo, la Gran Bretagna era attaccata sia dal fronte marittimo che aereo: si vociferava che presto il Governo avrebbe deciso di chiamare a combattere anche i cittadini, se la situazione avesse continuato ad essere così critica.
Kurt cercava di non rifletterci troppo a lungo, dato che l'eventualità che Blaine fosse convocato al fronte lo tormentava già nei suoi sogni. Ogni notte, da più o meno un mese, si svegliava temendo di non trovarlo più e, quando invece lo vedeva al suo fianco, lo stringeva il più forte possibile, sperando che così non se ne sarebbe mai andato.
Si costrinse ad alzarsi, e raggiunse il resto della famiglia al piano inferiore.
«Kat!» gridò Michael, andandogli in contro.
Il bambino aveva compiuto quattro anni, aveva imparato a dire la r, ma con il suo nome aveva ancora un po' di difficoltà. Sul viso di Kurt si aprì immediatamente un sorriso genuino, mentre prendeva in braccio il bambino. Alzò lo sguardo e incontrò quello del padre, che gli mimò “Kat”, come per prenderlo in giro. In risposta, lui alzò gli occhi al cielo. Aveva detto mille volte a Blaine che era più bambino del figlio.
Senza lasciare Michael, si avvicinò a Burt e salutò anche lui.
«Papà e il nonno stanno parlando di cose che non capisco.» mormorò il piccolo, scocciato.
Burt arrossì, sentendo quell'appellativo, anche se veniva chiamato così da Michael da un po', dato che passavano tanto tempo insieme.
«Non li pensiamo.» rispose Kurt, e guardò subito dopo gli altri due con uno sguardo di disapprovazione. Credeva davvero che non dovessero parlare della guerra davanti a Michael, secondo lui era ancora troppo piccolo per sentire già di battaglie e morti. «Andiamo.» continuò. «Dobbiamo finire di imparare l'alfabeto.»
Kurt aveva deciso di cominciare ad insegnare qualcosa a Michael, come le lettere e i numeri, però sempre attraverso giochi e attività che lo divertissero e lo stimolassero, come aveva fatto sua madre con lui.
Prima però lo rimise a terra, facendogli salutare suo padre.
«Mi raccomando, fai il bravo e non far arrabbiare la maestra.» disse Blaine, accovacciandosi davanti al figlio, indicando Kurt con  un cenno del mento. Michael rise, mentre il diretto interessato preferì fargli una linguaccia.
«A dopo, piccolo.» lo salutò Blaine, lasciandogli un bacio sulla fronte.
«Ciao papà!» esclamò Michael, cominciando a dirigersi verso le scale.
Kurt lo seguì, ma senza staccare gli occhi da Blaine. Quest'ultimo infatti, prima di uscire, approfittò di un momento in cui il figlio era girato per mandargli un bacio.
Lui gli mimò un ti amo con le labbra, prima di seguire Michael.
 
Blaine seguì Burt per la strada verso l'officina. Con l'arrivo di Marzo il freddo si era attenuato e c'erano giorni – come quello – in cui usciva addirittura il sole. Era davvero una bella giornata e gli sarebbe piaciuto uscire, o portare Michael al parco.
«Abbiamo tanto lavoro da fare oggi?» chiese allora.
«Da quando stai con Kurt sei diventato molto più sfaticato.» rispose Burt, e lui rise.
Da quando Kurt era diventato il suo fidanzato, Blaine sentiva che lui e Michael erano entrati a far parte di una vera famiglia, una famiglia che lo aspettava ogni sera al ritorno dal lavoro. Ecco perché ultimamente aveva molta più voglia di finire prima il turno, di prendersi giorni di festa, fare pause in più e cose del genere, ma Burt non era molto d'accordo.
«Hai ragione, lo so, ma oggi è una così bella giornata...» disse, proprio mentre entravano in officina, dove avrebbe passato le successive dodici ore. Era consapevole che il loro lavoro era fondamentale, dato che serviva a mantenerli tutti, e che comunque se non avesse trovato gli Hummel sarebbe stato in condizioni decisamente peggiori, anche se ogni tanto avrebbe voluto solo dimenticarsene. Si serviva quindi di scuse occasionali, come quella, perché non voleva riconoscere il fatto che avesse paura di essere chiamato al fronte. Sapeva che le possibilità erano altissime, ma cercava di nasconderselo a tutti i costi: non era pronto a lasciare tutto, ad andarsene.
Quegli ultimi anni erano stati – senza esagerare – i più belli della sua vita, e non voleva rinunciarvi.
Non aveva mai capito l'espressione “adesso posso morire felice.” Credeva che proprio perché si è felici si deve cercare di sopravvivere, di tenersi stretto ciò che si ha. In quel momento, lui voleva solo vivere, vivere e continuare a vivere. Vedere Michael crescere, provare ad allargare l'officina di Burt, approfondire la sua relazione con Kurt e perché no, magari sposarlo, un giorno, se mai fosse diventato possibile.
«Pensala così» cominciò Burt, lanciandogli un attrezzo. «più in fretta lavori, prima finiamo.»
Blaine sbuffò, facendo ridere l'altro. «Allora è meglio che mi sbrighi.»
 
+
 
Lo sapevano tutti, naturalmente. Ormai la notizia era ufficiale: il Governo avrebbe selezionato una fascia d'età, e chiamato gli uomini compresi in essa a combattere. Servivano più soldati, dato che la Germania continuava a devastare le loro schiere.
Kurt l'aveva letto sul giornale. Non ne avevano più parlato.
«Il reclutamento è domani.» sussurrò Kurt, entrando in camera da letto e chiudendosi la porta alle spalle. Si strinse nella vestaglia leggera che aveva sopra il pigiama.
Blaine, steso sul suo letto, lo guardò distogliendo appena lo sguardo dai suoi fogli – i dati dell'officina. Kurt avrebbe voluto gridargli di gettarli, perché se fosse stato chiamato non gli sarebbero serviti a nulla.
«Già.» disse Blaine.
«Non è giusto.» continuò Kurt, sedendosi sul bordo del letto.
Blaine mise via tutto ciò che aveva in mano, stringendo le braccia intorno alla sua vita, con la testa appoggiata sulla sua spalla. «Non possiamo farci niente, Kurt.»
«Questo lo so.» sbottò lui. Non era un bambino, o uno stupido: capiva benissimo che se Blaine fosse stato convocato non ci sarebbe stato nulla da fare. «Vorrei solo che mi parlassi. Che la smettessi di fare così, magari.»
Kurt si alzò dal letto, seguito da Blaine, che gli si mise di fronte.
«Che vuoi dire?»
«Ti comporti come se non provassi niente.»
«Eccome se provo qualcosa!» gridò Blaine, spalancando le braccia. «E questo- tutto questo fa schifo! Ma cosa dovrei fare? Cosa potrei fare? Scappare?»
Kurt dischiuse le labbra per dire qualcosa, ma l'altro lo fermò immediatamente.
«Che uomo sarei se lo facessi? Che insegnamento darei a mio figlio? No, Kurt. Se mi chiameranno, partirò.»
Lui cominciò a scuotere la testa, mentre sentiva le lacrime scorrere sulla sua pelle.
«Deve andare così, stanotte?» mormorò Blaine, esasperato, passandosi una mano sulla fronte.
«Ho paura.» ammise Kurt, con voce talmente bassa che Blaine dovette avvicinarsi. «Ho paura di perderti. E ce l'ho ogni giorno.»
Blaine lo fece sedere di nuovo sul letto, e si inginocchiò di fronte a lui, tenendo gli occhi alla sua altezza.
«Quando ritardi, temo sempre che ti sia successo qualcosa. Che qualcuno ti abbia picchiato perché ti ha visto abbracciarmi troppo a lungo o perché ti ho preso la mano prima di andare via. E adesso- adesso tu potresti essere chiamato a combattere in una guerra, dove potresti--»
Kurt si accorse di star singhiozzando e si strofinò il viso con la mano. Sapeva che lui avrebbe dovuto consolare Blaine e non il contrario, ma non riusciva a controllarsi. Sentiva di star perdendo tutto, come se il mondo si stesse sgretolando sotto i suoi piedi.
«Ho capito, Kurt.» disse Blaine, prendendogli il viso tra le mani, cominciando ad accarezzarlo piano con le dita. «Ma non mi è successo niente, e domani capirai che questa litigata è stata stupida.»
Si sedette accanto a lui e lo abbracciò, appoggiando il mento nell'incavo tra la spalla e il collo.
Poi si stesero, sempre vicini, e in silenzio.

«Scusa.»
Kurt pensava che Blaine si fosse addormentato – dato che erano passati alcuni minuti – ma sentì comunque il bisogno di dirlo, così continuò a parlare.
«È solo che l'idea di perderti mi fa andare fuori di testa. So che hai paura, anche se non me lo dici, perché vuoi che stia tranquillo. Sei arrivato in un momento della mia vita in cui avevo un disperato bisogno di qualcuno come te- e ne ho ancora. Ne avrò ancora.
Se ti chiameranno, andrai. Noi terremo duro, finché non tornerai.
Perché lo farai, vero?»
Kurt ebbe la conferma che Blaine fosse sveglio solo quando sentì risuonare nella notte tre parole, al suo orecchio.
«Te lo prometto.»

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Blaine, Kurt e Burt erano in salone, seduti sul divano, quando la notizia arrivò.
Tutti gli uomini d'età compresa tra i 28 e 43 anni dovranno presentarsi alla base militare entro tre giorni.
Blaine aveva 32 anni.
All'inizio, nessuno disse nulla: Burt diede un paio di pacche dietro la schiena a Blaine, ma non riuscì a dire niente. Il diretto interessato, semplicemente, si alzò e si sedette sulle scale, con la testa tra le mani.
Kurt si diresse invece verso la cucina, come un automa: prese un bicchiere per versarsi un po' d'acqua, ma le sue mani tremavano talmente tanto che cadde.
«Oh.» soffiò Kurt, chinandosi per raccogliere tutto.
Il rumore scosse sia suo padre che Blaine, il quale fermò Burt, dicendogli di andare sopra e che se ne sarebbe occupato lui.
Ma Kurt non sentiva nulla. Continuava, imperterrito, a raccogliere i pezzi di vetro, che intanto gli stavano tagliando i palmi delle mani.
«Amore…» disse Blaine, cercando di fermarlo. «Amore, basta. Calmati.»
«Si è rotto, Blaine.» sussurrò Kurt, alzando i profondi occhi azzurri su di lui, gli occhi di cui si era innamorato, che ora erano tutti lucidi.
«Lo aggiusteremo.» gli rispose lui, sentendo le lacrime che pizzicavano per uscire. Stava cercando di essere forte, perché non poteva crollare in quel momento, ma la verità era che aveva paura.
Allo stesso tempo, però, ancora non se ne rendeva conto. Aveva la mente quasi vuota, mentre cercava di realizzare. Vedere soffrire in quel modo Kurt gli fece capire che era reale. Stava succedendo davvero. E in quel momento, la discussione della sera precedente acquistò un profondo significato. «Lo aggiusteremo.» ripeté, stavolta anche a se stesso.
Blaine prese le mani di Kurt, mettendo via il vetro. «Andiamo a medicare queste, d'accordo?»
Kurt non rispose, si fece solo tirare su da Blaine. Mentre andavano in bagno, il ragazzo si voltò verso la cucina. «Non ritornerà mai come prima.»
Blaine non disse nulla, ma sapeva che valeva anche per lui. Qualsiasi cosa fosse successo, sarebbe cambiato tutto. Se gli fosse successo qualcosa, avrebbe lasciato la sua famiglia, e se fosse tornato, non sarebbe più comunque stato lo stesso.
Ed era quella la sua paura più grande, diventare un fantasma.
 
+

Blaine aveva parlato con Michael, ma Kurt non aveva voluto essere presente. Anche se avevano deciso di non dirgli la verità, sapeva che non avrebbe resistito, e che sarebbe crollato. Blaine aveva detto al figlio che andava fuori città per un affare di lavoro per conto di Burt, e che Kurt si sarebbe preso cura di lui.
L'ultimo giorno sembrò passare in un battito di ciglia.
Kurt cercò di comportarsi come sempre, ma sentiva continuamente che il momento si avvicinava, una nube che incombeva sull'angolo di cielo sereno che si erano ritagliati.
Blaine passò il pomeriggio con Michael, giocando con lui e cercando di insegnargli qualcosa in quel poco tempo, con Kurt che li guardava sorridendo – anche se si trattava di un sorriso colmo di tristezza. Burt fece qualche battuta, provando a far ridere gli altri, anche per dare a Michael l'illusione che non stesse per succedere nulla di grave.
«Papà, ma allora quando tornerai?» chiese ad un certo punto il piccolo, mentre il padre gli rimboccava le coperte. Blaine esitò un attimo, poi guardò Kurt, con una tacita richiesta d'aiuto: sentirsi fare quella domanda da suo figlio l'aveva scombussolato.
«Appena avrà concluso la trattativa. Tuo padre è un tipo molto abile, vedrai che non ci metterà molto.»
«Parti presto domani?»
«Sì.» stavolta fu Blaine a rispondere. Doveva prendere il treno che lo avrebbe condotto alla base militare alla sette, e aveva deciso di non portare Michael. L'avrebbe accompagnato solo Kurt, in veste di semplice amico.
«Credo in te, papà.» disse il bambino, sbadigliando. «Ti voglio bene.»
Blaine sorrise con la sua solita dolcezza, in quel modo che comunicava solo amore, anche se Kurt riuscì a cogliere che era velato di malinconia e rammarico.
Per non aver avuto più tempo. Per non essere abbastanza forte. Per non essere sicuro di resistere. Per non vivere una situazione diversa.
«Ti voglio bene anche io, piccolo.» rispose lui, accarezzandogli la testa. «Buonanotte.»
Kurt e Blaine si diressero poi verso la loro camera di letto. Si spogliarono lentamente, e si infilarono sotto le coperte.
Blaine lo baciò più volte, ma l'unica cosa che sentì fu il sapore delle lacrime di Kurt, che non riusciva a smettere di piangere.
«Mi dispiace.» mormorò Kurt, coprendosi la faccia con le mani. Non voleva che l'altro lo vedesse.
«Non fa niente.» Blaine gli scoprì il volto, guardandolo negli occhi. «Va bene anche così. Ti amo più di ogni cosa.»
«Ti amo anch'io.» rispose Kurt, mentre Blaine copriva con le labbra ogni lacrima che solcava le sue guance.
«Voglio solo che tu mi stia vicino.» continuò Blaine, con la voce incrinata, facendo poggiare sul suo petto la testa di Kurt, che poi si rannicchiò contro il suo corpo.
«Lo sono. Capito? Ricordalo, che sono lì, se ne hai bisogno.»
«Io ho sempre bisogno di te.» ammise, in un sussurro. La facciata di sicurezza che aveva assunto con Michael era crollata ad ogni passo fatto verso la loro camera, e ora si sentiva crollare, oppresso dal peso di quello che doveva fare.
Passarono la notte così, senza far nulla, in silenzio. Blaine dormì al massimo un paio d'ore, e passò la maggior parte della notte a godersi il calore della pelle di Kurt contro la sua, il profumo dei suoi capelli, il suo respiro regolare, che calmò anche il battito del suo cuore.
Ne avrebbe sentito la mancanza. Di ogni cosa, ogni dettaglio.
Sentì di stare per riaddormentarsi, ma prima strinse più forte Kurt. Sperò che non stesse avendo incubi.
Lui non li ebbe, anche perché la sua più grande paura si stava realizzando in quel momento: perdere la sua famiglia.
Dopo la morte di Laurel, gli era rimasto solo Michael. E ora che si era rifatto una famiglia, rischiava di perderla di nuovo, suo figlio compreso.

«Kurt.» lo svegliò Blaine.
Il ragazzo aprì immediatamente gli occhi. L'abbraccio di Blaine – che lo aveva avvolto per tutta la notte – gli aveva dato quasi l'illusione che i giorni precedenti fossero stati un lunghissimo incubo.
Ma l'incubo era appena iniziato.
«Fai piano.» sussurrò Blaine, passandogli dei vestiti. Lui stava chiudendo la valigia.
«Certo.» rispose Kurt.
Si infilò un pantalone e una camicia, si allacciò le scarpe e aiutò Blaine a portare i bagagli fuori alla porta. Prima di andare, però, Kurt tirò indietro Blaine, sottraendolo alla vista di occhi indiscreti.
«Baciami prima di andare.»
Sentendo quelle parole, senza farselo dire due volte, Blaine poggiò le labbra su quelle di Kurt. Poi passò una mano dietro il suo collo, per spingerlo più vicino, approfondendo il bacio, con Kurt che stringeva le mani sulle sue spalle.
Fu il bacio più intenso che si fossero mai scambiati, perché conteneva tante parole non dette, esperienze lasciate in sospeso, sentimenti feriti, ma soprattutto amore. Un amore che non si era mai affievolito, ma solo intensificato.
Era una fiamma che ardeva nei loro cuori, e nemmeno la tempesta più devastante l'avrebbe spenta.
Quando si separarono, Kurt rimase con le labbra dischiuse e gli occhi lucidi. Non c'era bisogno di parlare.
Nonostante fosse stato bellissimo, sapevano entrambi che quello era il modo in cui si baciano le persone quando sanno di stare per morire, o di separarsi definitivamente.
Uscirono in silenzio e, anche se non potevano più toccarsi, cercarono di stare il più vicino possibile, facendo finta che lo sfiorarsi delle loro mani fosse casuale.
«Mi chiedo come sarà.» disse Blaine all'improvviso, mentre erano in macchina. Avevano tutti e due i finestrini aperti, ma mentre lui guidava, Kurt aveva gli occhi chiusi, come se guardare il suo viso o dove stavano andando facesse troppo male.
A questo punto però spostò gli occhi su di lui. «Me lo racconterai quando tornerai.»
«Quando tornerò.» ripeté Blaine, e il discorso finì lì.
Qualche minuto dopo arrivarono alla stazione. Kurt deglutì, scendendo dalla macchina, e vide Blaine trasalire – probabilmente aveva i brividi.
«Sono giusto in tempo per il treno.» commentò Blaine, trascinandosi dietro la valigia, sentendo il vento provocato dall'avvicinarsi di esso.
Kurt si avvicinò a Blaine. «Un semplice amico ti abbraccerebbe prima che tu parta?»
«Credo di sì.» rispose lui, ricordando l'odiosa copertura che avevano dovuto adottare. «Ma tu fallo comunque.»
Kurt lo avvolse con le braccia immediatamente. «Non ti dirò mai addio.»
Poté sentire la stretta di Blaine farsi più forte, e affondò la testa nell'incavo del suo collo.
«Allora è un arrivederci.» replicò lui.
«Arrivederci.» mormorò Kurt.
Arrivò il treno, e dovettero lasciarsi. Blaine aveva gli occhi arrossati, ma cercava di non piangere. Indugiò, continuando a tenere la mano di Kurt per un po’, accarezzandone il dorso con il pollice. Poi la lasciò, solo per poter asciugare una lacrima che scivolava sulla candida pelle del più giovane.
«Non lasciare che queste ombre spengano la tua luce, Kurt.» sussurrò Blaine.
Kurt lo guardò, sorpreso da quella affermazione. Era Blaine che stava andando incontro alle vere ombre, eppure si preoccupava sempre più per lui.
«E la tua, di luce?» chiese allora.
«Se la tua brillerà, troverà la forza di farlo anche la mia. Ho bisogno di sapere che non ti abbatterai quando saremo lontani. Non potrei sopportarlo.»
«Farò il possibile.»
Blaine annuì, e si diressero finalmente verso il treno.
«E se-»
«Non dirlo.» lo interruppe Blaine. «Ti ho promesso che tornerò.»
«Va bene.»
Kurt lo accompagnò fino a un certo punto, poi lasciò che salisse da solo. Attorno a lui c'erano donne di tutte le età, con le mani ferme sui finestrini, di fronte ai mariti e i fidanzati.
E lui, invece? Doveva rimanere lì, fermo, a guardare l'amore della sua vita partire, senza potergli dire nulla.
Il treno partì pochi secondi dopo, e Kurt sentì qualcosa rompersi dentro di lui.
Tornò a casa in silenzio, sotto la pioggia mattutina. Sembrava che il cielo avesse il suo stesso umore.
Quando arrivò, si rese conto che quel luogo non era più una casa, non adesso. Blaine era la sua famiglia, e sentiva la sua mancanza come se fosse aria e lui stesse affogando.
«Ti amo.» mormorò, realizzando che non glielo aveva detto prima che partisse, ma ormai era troppo tardi. Blaine era già su quel maledetto treno, e chissà cosa lo aspettava. «Ti amo.» ripeté, chiudendo gli occhi.
Vide solo la camicia di Blaine inzuppata di sangue.
Cadde in ginocchio.
 
+
 
Blaine era partito da due mesi.
A Kurt sembrava che le sue giornate trascorressero con una lentezza logorante: adesso che Blaine non c'era, aiutava lui Burt, ogni tanto, ma principalmente si occupava di Michael. Dedicava un paio d'ore ogni giorno alla scrittura, ma non era riuscito a buttare giù due parole. Si sedeva davanti alla macchina da scrivere, aspettando non sapeva nemmeno lui cosa: cominciava a scrivere qualcosa, arrivava ad appena due righe e buttava tutto. Il cestino accanto alla sua scrivania straripava di fogli appallottolati. Di solito la scrittura l'aveva sempre aiutato ad evadere dalla realtà, e quindi dal dolore che provava, ma quella volta la paura era troppa, come una catena – e non poteva scappare.
In più, lui e Blaine avevano deciso di non scriversi, perché sarebbe stato rischioso esprimere i loro sentimenti in qualcosa che chiunque poteva trovare e leggere.
Di conseguenza, Kurt non aveva idea di cosa stesse facendo Blaine e soprattutto non sapeva se fosse vivo. Sentiva la radio con suo padre ogni giorno, sperando di sentire di un improvviso evento favorevole agli Alleati, e che magari i soldati sarebbero tornati a casa.
Ma niente.
La Wehrmacht – le forze armate tedesche – sembrava imbattibile, anche se in quel momento concentravano le loro forze contro la Russia.
A Leicester, dato che non c'erano bombardamenti nelle vicinanze da un po', esclusa la scarsità di alimenti, i cittadini avevano ripreso a vivere normalmente –  quanto più potevano in quella situazione.
 
«Ti chiedi mai come sarà, dopo tutto questo?»
Blaine sorrise, e lo avvolse con le braccia. Erano seduti a terra, con la testa appoggiata sui cuscini del divano, davanti al camino – anche se preferivano riscaldarsi stando vicini.
«A volte.» rispose. «Ma se c'è una cosa che so per certo, è che io sarò con te.»
Kurt gli lasciò un bacio in mezzo ai ricci. «Mi sembra bella, come prospettiva.»
«Ti porterò a Londra, un giorno, a cena in un bel posto.»
«Mi vizierai.»
«Molto.» sussurrò Blaine, facendolo stendere sul tappeto, con un cuscino sotto la testa. Poi lo baciò sulle labbra, poi sul mento, sul collo...
 
«Katt-»
«Uhm?»
Kurt si era perso nei suoi pensieri, un ricordo risalente al Dicembre del '41, seduto sul suo letto: Michael lo stava tirando per una manica, cercando di dire bene il suo nome.
«Kurt»
«Ehi, ci sei riuscito!» esclamò il ragazzo, e fu la prima volta che sorrideva – sinceramente –  da mesi. Prese in braccio il bambino, che era a terra, e lo mise accanto a sé. «Vuoi provare a dire qualche altra parola difficile?»
«Quando torna papà?» chiese invece Michael.
Questo sì che era difficile.
 «Sta lavorando.» rispose seccamente Kurt, distogliendo lo sguardo. Gli ci voleva un'enorme forza di volontà per mentire così al piccolo, e soprattutto per mascherare l'angoscia che lo invadeva ogni volta che pensava a Blaine.
«Avevi detto che avrebbe fatto presto.» Il faccino di Michael si intristì. «Mi manca.»
Kurt lo abbracciò, forse con più slancio del dovuto. «Manca anche a me.» mormorò, ingoiando forte le lacrime. «Scommetto che anche lui sente la nostra mancanza.»
«Davvero?» domandò il bambino, stropicciandosi gli occhi con i pugnetti.
Kurt lo guardò, guardò il corpicino curvo, i capelli dorati spettinati, gli occhioni lucidi, e il suo cuore si strinse in una morsa.
«Ne sono sicuro.»
   
Da qualche altra parte, abbastanza lontana dal loro piccolo paesino e dalla camera di Kurt, Blaine Anderson sentiva davvero la loro mancanza.
«Andiamo, amico, il Sergente aspetta!» gli gridò un uomo – Sebastian Smythe – mentre lui ficcava delle cose sotto la sua brandina.
«Eccomi.» disse lui, correndogli incontro.
«Si può sapere cosa fai, e perché ci metti così tanto?»
«Nulla.» rispose lui, risoluto, marciando con gli altri soldati.
«Se lo dici tu.»
In realtà, una mattina ogni tanto, quando la maggior parte degli uomini erano già usciti, Blaine scriveva una breve lettera con quello che trovava. Anche se lui e Kurt si erano accordati sul non spedirsi nulla, fare finta che Kurt leggesse le sue parole lo confortava.
Non era mai troppo esplicito, per sicurezza, ma gli serviva a sfogarsi: avrebbe dato qualsiasi cosa per poter parlare con Kurt e Michael, anche solo per un minuto, per dirgli che stava bene e sentire che stavano bene anche loro. E ribadire la promessa che sarebbe tornato.
Era quello che gli dava la forza di andare avanti, davanti a tutti gli orrori che aveva visto in quelle settimane: sapere che a casa c'erano persone che lo amavano, e che non voleva che soffrissero a causa sua.
Sebastian l'aveva visto una mattina di qualche giorno prima, perché si era svegliato troppo tardi. Lui aveva nascosto tutto, dicendo che scarabocchiava e basta, lasciando l'altro interdetto. Alla fine, però, Sebastian gli aveva promesso che non avrebbe detto nulla, e più o meno erano diventati amici – anche perché avevano le brandine una accanto all'altra. Tuttavia, Blaine sapeva poco e niente su di lui: solo che viveva molto più vicino a Londra rispetto a lui, e che era più giovane di due anni.
«Anderson, chi è Kurt?» gli chiese Sebastian una mattina.
Blaine sussultò. Aveva letto le sue lettere? Gli sarebbe successo qualcosa?
O peggio, a Kurt era successo qualcosa?
«Chi? Non conosco nessuno con quel nome.»
Anche se sapeva che era necessario che le pronunciasse, quelle parole lo fecero stare male: immaginare di non aver mai conosciuto Kurt era terribile. Chissà che fine avrebbero fatto lui e Michael senza gli Hummel…
«Allora perché sussurri il suo nome durante la notte?»
Blaine rimase spiazzato – ma era comunque meglio che scoprire che a Kurt era capitato qualcosa. Riflettendoci, non era raro che sognasse i momenti passati insieme nei due anni precedenti, eppure non gli sembrava di aver mai parlato. Non gli era mai successo in tutta la sua vita. Perché avrebbe dovuto cominciare ora?
«Non so di cosa parli.» continuò a negare Blaine.
«Ti ricordo che dormo proprio accanto a te.» replicò Sebastian con la sua solita voce da saputello, alzando le sopracciglia.
Blaine alzò le spalle, tentando di chiuderla lì. «Dovremmo andare.»
Sebastian lo trattenne per un braccio, e gli sussurrò all'orecchio. «Blaine.» – era la prima volta che lo chiamava per nome – «so che cosa sei.»
«Lasciami.» rispose, divincolandosi. «Tu non sai niente di me. Niente.» sputò, con quanta più acidità possibile.
Il ragazzo sorrise. «Conosco questo meccanismo. Ma non ne hai bisogno… io sono come te.»
Non c'era bisogno che specificasse, sapevano entrambi di cosa stavano parlando.
«E fidati» continuò. «lo sono anche altri, qui. E alcuni di loro non sono niente male.»
Suo malgrado, Blaine rise. Nonostante spesso Sebastian fosse insopportabile, c'era da dire che gli teneva su il morale con il suo sarcasmo.
«Se vuoi, posso presentarti qualcuno.»
«Il mio cuore appartiene a un'altra persona.» mormorò Blaine seccamente, senza dettagli. Non poteva sapere che qualcuno li stesse ascoltando, e comunque non gli andava di rischiare.
«Certo, Nessuno.» disse Sebastian, facendogli l'occhiolino – si riferiva chiaramente a Kurt – prima di uscire dall'accampamento.
«Sarà meglio che corriamo, altrimenti saranno guai.»
Per quanto tutta quella situazione facesse schifo, Blaine fu felice di aver trovato un amico – più o meno.
«E correremo anche quando torneremo a casa.» aggiunse Sebastian.
«Come fai ad essere così ottimista?» domandò sinceramente Blaine. Se non fosse stato per la famiglia che lo aspettava a casa, probabilmente avrebbe già perso la speranza. Era facile arrendersi, lì. Blaine aveva provato a prepararsi alla guerra, ma viverla era completamente diverso. Era una battaglia continua, non solo fisicamente, anche psicologicamente: si insinuava nella tua mente, come un ladro nella notte, e ti cambiava nel profondo.
«Voglio vedere il mondo.» confessò il ragazzo, guardando il cielo. «Quando tutto questo schifo sarà finito, farò un bel viaggio.» Poi lo guardò, con una scintilla negli occhi. «Ti manderò delle cartoline.»
«Abito a Leicester.»
«Lo ricorderò.»
 
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Maggio 1947
 
Sebastian Smythe camminava con le mani in tasca, mentre il sole splendeva alto nel cielo. Era da tanto che non lo vedeva.
Da quando gli Alleati avevano sconfitto i Tedeschi, nessuno doveva più temere un bombardamento: se il cielo si oscurava, erano solo nuvole.
Non appena la guerra era finita, era tornato in Inghilterra, ma non ci era rimasto più di una settimana. Era ripartito poco dopo, stavolta di sua spontanea volontà: aveva girato il mondo.
Però, non aveva avuto nessuno a cui spedire cartoline. Quello era il motivo per cui si trovava a Leicester.
Doveva trovare Kurt, il ragazzo che portava il nome che tante volte Blaine aveva mormorato nel sonno. Glielo doveva.
Dopotutto, Blaine Anderson gli aveva salvato la vita, sul campo di battaglia. Era un eroe.
E come tutti gli eroi, era morto.
 
Ci mise un paio di giorni, ma alla fine rintracciò l'officina in cui aveva lavorato Blaine e ci andò, sperando di trovare qualcuno.
Bussò un paio di volte. Ad aprire arrivò un uomo sulla sessantina, con un capellino marrone sulla testa e una camicia di flanella.
«Posso aiutarti?»
«Sto cercando Kurt.» rispose lui, lasciando l'uomo confuso.
«E tu chi sei?»
«Papà, va tutto bene.» disse all'improvviso un'altra voce.
L'uomo si scostò dalla soglia, e comparve un ragazzo slanciato, con i capelli castani e profondi occhi azzurri. Sembrava ancora al di sotto dei trent'anni.
«Sono Sebastian Smythe.» si presentò lui, allungando una mano.
«Kurt Hummel.» disse l'altro, stringendola. «Ma sembri già saperlo. Ti conosco?»
«In realtà no.» mentre parlava, Sebastian tolse dalla sua borsa un pacco, legato con un elastico. Visto dall'esterno poteva anche sembrare spazzatura. «Ma conoscevo Blaine.»
Fu solo un lampo, ma Sebastian fu sicuro di aver visto il celeste degli occhi di Kurt incupirsi, e la sua postura incurvarsi leggermente. Capì che faceva ancora molto male.
«Aveva la brandina accanto alla mia, quasi attaccata.» spiegò. «Ho delle sue cose. Cioè, sono solo lettere, ma sono per te. Credo che dovresti leggerle.»
Detto questo, Sebastian gliele porse, e Kurt le prese immediatamente.
«Ti ringrazio, Sebastian.» mormorò. «Se è tutto, io...»
«Sì, sì.» disse.
Kurt annuì, e rientrò senza aggiungere altro, scomparendo alla sua vista.
Burt, che era rimasto lì tutto il tempo, strinse la mano a Sebastian e lo ringraziò. «Sei stato gentile.»
«Era il minimo che potessi fare per Blaine. Era un brava persona.»
«Lo era.» replicò Burt, intristito. «Lo era davvero.»
Mentre se ne andava, Sebastian alzò gli occhi al cielo e sorrise. Aveva come la sensazione che Blaine fosse lassù, un po' più in pace ora che l'uomo che amava aveva ricevuto le sue ultime parole.

+
 
Kurt farfugliò qualcosa a suo padre e uscì dall'officina, portando Michael con sé. Se in quelle lettere c'era qualcosa che lo riguardava, Kurt voleva che lo sapesse.
«Cosa sono quelle?» chiese Michael, che ormai aveva quasi undici anni.
«Lettere… di tuo padre.»
«Ma lui è-»
«Ce le ha portate un suo amico.» concluse Kurt, e fecero il resto della strada in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
Kurt ricordava perfettamente il giorno in cui aveva saputo che Blaine era morto.
 
Giugno 1944
 
«Kurt, devo dirti una cosa.» disse suo padre, raggiungendolo in salone. Avevano suonato alla porta, ed era andato Burt ad aprire, tornando poco dopo.
«Chi era?» chiese lui, abbassando il volume della radio. Stranamente, sorrideva, perché aveva appena sentito che gli Alleati erano sbarcati in Normandia: erano vicini alla vittoria.
Quello che anni prima gli sembrava così lontano si stava finalmente realizzando. Non vedeva l'ora che Blaine tornasse a casa per festeggiare con lui.
«È meglio se ti siedi.» cominciò Burt, senza il coraggio di guardarlo in faccia.
«Papà, mi stai spaventando.»
La gioia era scomparsa dal suo volto, lasciando posto alla preoccupazione. Suo padre non aveva mai un tono così solenne con lui, e l'ultima volta che gli aveva parlato così era stato quando sua madre era morta.
Ed ecco la paura. «Papà, cosa è successo?»
«Kurt… Dio, non so come dirtelo.» Burt prese un respiro profondo. «Blaine non ce l'ha fatta. La guerra…»
L'uomo si interruppe, sgranando gli occhi. Kurt stava ridendo.
Ma, prestandoci attenzione, non era una vera risata: era spaventosa. Isterica, quasi.
«Forza, Blaine, vieni fuori!» gridò, alzandosi e guardandosi intorno. Blaine doveva essere lì, nascosto da qualche parte. Non poteva credere che se ne fosse andato, che l'avesse lasciato. No, lui  non l'avrebbe mai fatto, glielo aveva promesso. E le promesse si mantengono, giusto? «Dai, amore, non è divertente!»
La sua voce era più alta, stridula.
Le lacrime cominciarono a solcare il suo viso, ma se ne accorse solo quando ne sentì il sapore sulla labbra, ancora dischiuse in un sorriso.
La realizzazione lo colpì come uno schiaffo in pieno viso.
Si stava comportando come un pazzo, perché Blaine era morto.
Morto.
Quella parola riecheggiò più volte nella sua mente, fino a distruggere le difese e le sue forze.
Burt gli si avvicinò, ma Kurt lo respinse.
«No! No!»
Tentava di urlare, invano, la voce gli era morta in gola.
«Me l'aveva promesso… invece mi ha lasciato… mi ha lasciato da solo…» ormai Kurt farfugliava, inginocchiato con il busto piegato sulle gambe. «Era l'amore della mia vita. Non credo che amerò mai qualcun altro come ho amato lui- ne sono quasi sicuro. E ora se n'è andato. Cosa dovrei fare? Cioè, so cosa fare, ma- ma lui se n'è andato. Se n'è andato.»
Pianse. Piangeva disperatamente, con tutto il corpo scosso dai singhiozzi.
Suo padre provò di nuovo a consolarlo, ad aiutarlo ad alzarsi, ma Kurt sembrava essere in un altro posto. Era in uno di quei frangenti violenti della vita in cui non si avverte nulla.
Era paralizzato dal dolore. Una parte di lui era morta, la parte indissolubilmente legata a Blaine.
Ma se lo amava con tutto se stesso, con ogni fibra del suo corpo, era morta tutta la sua anima?
Avrebbe dato qualsiasi cosa per riportarlo indietro.
Improvvisamente, Kurt si alzò, barcollando leggermente.
«Kurt, vuoi qualcosa?» domandò Burt, che non sapeva cosa fare, vedendo suo figlio così devastato.
«Voglio Blaine.» rispose istintivamente Kurt. Ironico, l'unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento, l'unica persona che avrebbe potuto farlo stare meglio, era l'unica che non c'era. «Il bicchiere si è rotto.» continuò, e Burt non sapeva cosa dire. Non poteva capire che Kurt si riferisse all'episodio successo in cucina, il giorno dell'arruolamento. «Il vetro è dappertutto...»
Kurt si guardò le mani, e per un secondo la sua mente creò l'illusione che fossero ricoperte di tagli.
Ma le ferite, questa volta, il vetro le aveva fatte sul suo cuore. E non ci sarebbe stato Blaine a medicargliele, abilmente, sussurrandogli che andava tutto bene.
Per un momento, pensò di lasciare che il sangue continuasse a scorrere sulla sua pelle. Arrendersi. Di seguire Blaine, nell'ignoto, nel buio. Se avesse potuto attutire il dolore che provava in quel momento, l'avrebbe fatto, senza paura.
«No.» sussurrò.
Non avrebbe deluso Blaine. Si sarebbe preso cura di Michael, e di se stesso. Era quello che avrebbe voluto.
Si chiese dove fosse ora. Probabilmente in un posto migliore, come si dice spesso. In Paradiso non c'erano lacrime, no?
Magari poteva vederli, si ricordava di loro e della sua vita, ma comunque non gli avrebbe più parlato, non lo avrebbe più toccato… Sarebbe stato un'ombra. O un ricordo. O un dettaglio, che Kurt avrebbe visto in ogni cosa, in ogni sguardo.
“Blaine” pensò Kurt, sperando che la brezza estiva che entrava dalla finestra aperta portasse quelle parole da lui. “Sai che non potrò vivere facendo finta che tu sia qui. Ho già dovuto fingere per troppo tempo, con tutti gli altri. Ma non con te, con te non è mai stata una bugia. Non c'è mai stato nulla di più sincero dell'amore che provav- che provo per te. Proverò ad essere forte, a tenere accesa la mia luce – tanto so che la tua sta brillando. Sei sempre stato un sole, Blaine.
Un giorno ti raggiungerò, e a quel punto niente potrà più separarci. Non lascerò che ti portino via da me di nuovo. Non so dirti tra quanto arriverò, vorrei prima assicurarmi che Michael sappia cavarsela da solo.
A proposito, lo crescerò come avresti fatto tu, come avresti voluto. Spero che diventi come suo padre, non potrei volere di più per lui.”
«Ti amo, Blaine.» queste ultime parole le disse davvero, anche se a bassa voce. «Spero di avertelo detto abbastanza spesso, e che tu lo sappia.»
Si rese conto solo in quel momento di essersi avvicinato alla finestra, appoggiandosi al davanzale con i gomiti. Come la notte in cui Blaine gli disse che si stava innamorando di lui.
Burt, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, finalmente parlò. «Kurt, credo che Michael ti abbia chiamato.»
«Uhm?»
Kurt non aveva minimamente sentito, ma era probabile, dato che lo aveva lasciato da solo di sopra per tutto quel tempo.
«Devo dirlo io a Michael.» disse, un po' a se stesso e un po' a Burt.
In tutta sincerità, non sapeva ancora come avrebbe fatto. Prima di tutto, doveva raccontargli tutta la storia, la verità. Si ricordò come stava quando aveva saputo che sua madre era morta – era distrutto. E Michael era anche più piccolo di lui.
«Ma ho bisogno di un minuto, prima… solo un minuto… va bene, Blaine? Un minuto.»
Per dirlo a Michael, doveva assimilarlo innanzitutto lui. 
Capiva che Blaine fosse morto.
Bisognava solo spiegarlo al suo cuore.
 
Kurt asciugò le lacrime a Michael, e gli soffiò il naso.
Gli aveva raccontato che Blaine era andato in guerra, non a fare un lavoro fuori, e che non gli aveva detto la verità solo per non farlo preoccupare. Aveva descritto come si era battuto con coraggio, provando in tutti i modi a tornare da loro, e come aveva contribuito a salvarli tutti.
«Il tuo papà è un eroe.» sussurrò, abbracciando il bambino.
Sapeva cosa stava provando, in parte. Lui aveva perso sua madre, ma gli era comunque rimasto Burt – cosa di cui si riteneva ancora fortunatissimo – mentre Michael aveva perso tutta la sua famiglia.
Kurt non sapeva se avesse dei nonni o degli zii, ma Blaine parlava sempre come se lui e Michael fossero da soli.
Adesso toccava a lui provare a crescere il bambino, e si ripromise che avrebbe fatto di tutto affinché non perdesse più nessuno.
Dopo qualche minuto in silenzio – doveva capire ciò che Kurt gli aveva appena comunicato – Michael lo guardò, con i grandi occhi spalancati.
«E papà è triste ora?» chiese, mentre il colore indefinibile delle iridi diventava appannato a causa delle lacrime.
«No, piccolo, no.» si affrettò a dire Kurt. «È in un bel posto… Qual era il suo posto preferito?»
Michael sembrò rifletterci qualche secondo e strizzò gli occhi per cacciare fuori le lacrime. «Gli piaceva tanto passeggiare nei prati, o nelle strade tranquille, giocare a palla con me, ma anche rilassarsi e basta sul divano.»
«Ecco dov'è.» Kurt sorrise, al pensiero di Blaine che faceva tutte quelle cose. Lo rivide nella sua mente in ognuno di quei luoghi, con gli occhi luminosi di gioia, e sentì la sua risata nelle orecchie.
«È in tutti i questi posti. Ma non è più qui.»
Michael annuì, come se quella spiegazione lo risollevasse un po'. Effettivamente, anche Kurt si sentiva meglio a immaginare che, ovunque realmente fosse, Blaine fosse felice, che stesse bene.
«E con lui ci siamo anche noi?»
«Ogni tanto, sì.»
«Almeno così non gli manchiamo troppo.» mormorò Michael. Suo padre era sempre stato il suo punto di riferimento, e adesso che l'aveva perso si sentiva quasi vuoto. «Ma lui a me manca.»
Kurt abbracciò forte Michael, sentendolo tremare tra le sue braccia.
«Lo so. All'inizio non ci avevo creduto...»
«Io sì.» rispose il bambino, stupendo Kurt. «Papà è sempre arrivato subito quando stavo male, quindi se non è venuto adesso...»
«Hai ragione.»
Quel pensiero era servito a Michael per accettare la realtà, ed era molto maturo per la sua età. Kurt l'aveva sempre detto che Blaine era più bambino di lui.
«Kurt?»
«Sì?»
Gli sembrava ancora strano che Michael adesso sapesse pronunciare il suo nome. Era passato del tempo, era cresciuto…
«Secondo te ci sente?»
E faceva un sacco di domande.
«Non lo so. Forse. Se vuoi provarci, male non può farti.»
«Sono contento che tu sia qui, cioè, che papà mi abbia lasciato a te.»
Kurt gli diede un bacio sulla fronte. «Ne sono contento anche io.»
Finalmente Kurt capì perché Blaine ci teneva così tanto, che lui e Michael restassero uniti. Perché sapeva che, se gli fosse mai successo qualcosa, avrebbero potuto aiutarsi a tenere duro e ad andare avanti.
Il suo primo pensiero era sempre stato il loro bene.
Quanto ti amo.
 
Il funerale fu una breve cerimonia, riservata e semplice. Vennero degli amici di Blaine, alcuni anche se non lo sentivano da anni. Quella fu l'ennesima riprova del fatto che non si potesse non amare una persona come lui.
Kurt si presentò a tutti come un lontano cugino, al quale Blaine aveva affidato suo figlio, dopo che lui e suo padre li avevano ospitati per un paio d'anni. Le bugie di quel tipo erano tremende da dire. Gli sembrava di star rinnegando tutto ciò che lui e Blaine avevano condiviso, quando non si sarebbe mai scusato per quello che erano. Persino al suo funerale, Kurt e Blaine dovevano fingere.
Kurt non poté nemmeno dirgli addio come suo compagno.
Burt disse qualche parola, Michael stette seduto in silenzio per tutto il tempo.
Quando fu il turno di Kurt, decise di non parlare a lungo. Non poteva – e non voleva – raccontare la loro storia, o esprimere i sentimenti che provava per Blaine.
Quelle erano cose loro. Non gli importava se il mondo le odiava, o le condannava, erano loro.
«Molti di voi, oggi, quando sono arrivati, hanno detto che Blaine è in un posto migliore.» cominciò. «E lo è. Sta passeggiando in un prato, giocando a palla di neve con suo figlio, bevendo qualcosa sul divano. Perciò, dato che deve essere in tutti questi posti… Credo che noi dovremmo dirgli addio.»
Annuirono tutti, e fecero così.
Tranne Kurt. Nonostante tutto, lui disse arrivederci.
 
+
 
Kurt aprì la porta di casa, correndo all'interno.
«Credo che dovresti leggerle prima da solo. Io resto giù.» suggerì Michael, vedendo lo stato in cui si trovava l'altro.
«Sì, sì, d'accordo.»
«Kurt.» lo richiamò. «Mio padre era innamorato di te, non è vero? Non eravate solo amici.»
Gli si bloccò il cuore in gola. Sapeva che Michael avrebbe capito che il legame che l'aveva legato a Blaine era molto più forte di una semplice amicizia.
Deglutì. «Sì. Lo amavo molto.»
Michael annuì, e lo abbracciò all'improvviso. «Sono sicuro che lo faceva anche lui.»
«Grazie.» mormorò Kurt, superando lo sgomento iniziale. Ricambiò l'abbraccio. Michael ormai era diventato come un figlio suo, ed era importante che accettasse quello che era e quello che aveva condiviso con suo padre.
Poi salì in camera sua, e si sedette alla scrivania, aprendo il pacco. Vedendo quante lettere c'erano, si sentì improvvisamente in colpa: era sempre stato lui lo scrittore, quello “bravo con le parole”, eppure era Blaine che si era occupato delle lettere. Avrebbe dovuto recuperare.
In quei tre anni, Kurt si era dedicato a dei racconti per bambini, aiutato da Michael, che gli diceva cosa poteva piacere ai suoi coetanei. Il ragazzo – perché ormai non si poteva definire più un bambino – era cresciuto tantissimo, in quell'arco di tempo. Aveva una statura nella media, anche se Kurt sperava che continuasse a crescere, diventando un po' più alto di com'era Blaine, i capelli biondastri erano ricci e li teneva corti. Ma la cosa che colpiva di più Kurt, ogni volta che lo guardava, erano gli occhi.
Man mano erano diventati esattamente uguali a quelli di Blaine, di quel colore indefinibile, per cui Kurt cercava ancora parole che potessero descriverlo. Gli capitava spesso, infatti, di chiamare Michael Blaine.
Era strano quando succedeva, perché prima si intristivano un po', al pensiero che non arrivasse più lui quando lo chiamavano, poi sorridevano. Kurt aveva capito, anche dopo la morte di sua madre, che quando si perde una persona che si ama molto è così: il suo ricordo può provocare malinconia, ma a questa segue la gioia dovuta alla consapevolezza di aver vissuto quei momenti. C'era rimpianto, ovviamente, ma Kurt non riusciva ad essere completamente triste pensando a Blaine che gli sorrideva, o che gli diceva 'ti amo'.
Perché quei ricordi racchiudevano tutto l'amore che li aveva legati, ed erano tutto ciò che gli restava: non voleva che anche quelli si impregnassero di tristezza.
Di certo Blaine avrebbe voluto essere ricordato con un sorriso sulle labbra.
Prese un respiro profondo e aprì la prima lettera.
La carta era maltrattata, sporca, e gli angoli erano strappati. L'inchiostro era sbiadito.
Caro Kurt.
Blaine era vago, molto spesso. Accennava agli sviluppi delle battaglie, raccontava del suo accampamento e del suo Sergente, talvolta appuntava anche le condizioni climatiche. Sembrava che avesse tenuto una sorta di diario. Kurt pensò che avesse preferito essere cauto: se qualcuno avesse trovato quelle lettere, non sarebbe mai stato sicuro che Blaine stesse scrivendo a una persona reale, quindi nemmeno alla persona – all'uomo – che amava.
Riflettendoci, avrebbe anche potuto spedirgliele, di tanto in tanto.
“Non volevo darti false speranze” quasi sentì la voce di Blaine, che gli dava questa risposta. Sapeva che si sarebbe attaccato a quelle parole con tutte le sue forze, convincendosi che Blaine stava bene, che la guerra sarebbe finita a breve e che sarebbero stati tutti sani e salvi.
Senza conseguenze.
E invece le conseguenze c'erano state eccome.
Kurt notò anche che Blaine non metteva mai la data sulle sue lettere. Chissà come passava il tempo, quando era in battaglia. Aveva dovuto uccidere. Blaine, che non avrebbe fatto male a una mosca, se non per difendere le persone che amava.
Aveva gli incubi? Kurt si chiese se l'avrebbe trovato diverso, se mai fosse tornato a casa. Avrebbero potuto aggiustare il bicchiere, o effettivamente non sarebbe mai più tornato come prima?
Sinceramente, lo spaventava immaginare che Blaine avrebbe potuto dimenticare chi era, addirittura magari smettere di amarlo…
Ma sarebbe stato comunque lì.
Kurt non sapeva se aver perso Blaine sarebbe stato meglio che averlo lì, ma senza che ci fosse davvero.
Continuò, impilando tutte le lettere già lette, che poi doveva dare a a Michael.
Andando avanti sentiva di star cedendo, ad ogni riga si sbriciolava un mattone del muro che aveva costruito per smettere di soffrire. Credeva di star riuscendo a superare ciò che era successo, ma in quel momento gli stava tornando tutto in mente.
Crollò all'ultima lettera. Non solo erano le ultime parole che Blaine gli lasciava, ma era diversa dalle altre. Era molto più personale: finalmente Blaine esprimeva i suoi sentimenti, come se avesse deciso di rischiare tutto, e di smettere di fingere.
“Caro Kurt,
mi manchi sempre.
Non ti mentirei mai, per nessuna ragione al mondo , quindi devo dirti la verità – anche se non sai quanto sia difficile per me sapere che ti farà soffrire.
Qui le cose non vanno bene. I Tedeschi hanno un codice indecifrabile, e non sappiamo quando e dove attaccheranno. Ci spostiamo sempre, cercando di prevenire il pericolo. Mi sembra di giocare a una mortale mosca cieca. Molti dei nostri sono morti.”
Ecco perché Blaine parlava apertamente, credeva che quella sarebbe stata la sua ultima occasione per farlo. Forse era veramente morto così, in quella battaglia…
“Sappi che non mi arrenderò. Vedo il tuo sorriso quando chiudo gli occhi, la tua luce, la tua speranza. Non smetterò mai di combattere. (Soprattutto per te e per Michael.)
Spero che voi stiate bene.”
Ecco il Blaine che conosceva e che amava. Era incredibile come riuscisse a pensare sempre prima a loro. Poi Blaine continuava a parlare della sua luce, senza sapere che quella luce c'era grazie a lui. Perché tutti avevano cercato di spingerlo nelle tenebre, mentre Blaine l'aveva preso per mano e portato nel sole.
“Quando tutto questo sarà finito saremo una famiglia, te lo prometto.”
Poggiò la lettera sulla scrivania, respirando affannosamente. Strinse i pugni, conficcando le unghie nei palmi fino a lasciarsi segni. Ma fu tutto inutile, e cominciò a piangere. Con gli occhi appannati dalle lacrime notò che alla fine, scritto molto più piccola  delle precedenti, c'era un'altra riga.
“Ti amo tantissimo”
Le sue guance erano solcate dalle lacrime. Si mise una mano sulla bocca, cercando di fermare i singhiozzi.
Si rigirò la lettera tra le mani, come se non riuscisse a separarsene.
Con la testa abbassata, notò qualcosa: un'ultima frase, che spiccava nera sul retro bianco del foglio.
Dopo una macchia – che sembrava quasi bagnata – Blaine gli diceva:
 
“Scrivi di noi.”
 
Kurt strinse la lettera al petto più forte che poté, ma senza rovinarla, sperando che tenendo vicino le ultime parole di Blaine il suo dolore si attenuasse. Poi la poggiò sulla scrivania e rilesse quella frase, ancora e ancora.
E ogni volta, nuove macchie bagnavano la carta. Lacrime su lacrime.
Si morse l'interno della guancia, per costringersi a smettere, ma nessun dolore fisico superava quello che stava provando ora.
Ma doveva provarci, per Blaine. Per loro. E così Blaine avrebbe continuato a vivere, non solo nei loro cuori, ma anche nelle sue parole. E forse era la cosa più bella che Kurt potesse fare per lui.
Asciugandosi l'ennesima lacrima, mise un foglio nella macchina da scrivere, pronto a narrare di un'avventura unica, di quello che era sembrato un sogno da svegli, di un amore che non si sarebbe mai spento. Di come due anime gemelle si erano trovate, incuranti dei pregiudizi e dei pericoli, perché loro stessi sarebbe stati tutto quello di cui avevano bisogno. Di come due persone si erano salvate, rivoluzionando il mondo dell'altro. Di come due innamorati possano perdersi senza mai perdersi davvero.
Era finalmente pronto a scrivere il suo romanzo. Sembrava che il cerchio si fosse chiuso.
Quando Kurt sfiorò i tasti con i polpastrelli, fu come se tutto venisse da sé: aveva trovato le parole.
La sua mente cominciò a formare un volto ben preciso, mentre scriveva di un uomo davanti a una vecchia officina, una mattina d'Agosto...
 

 

 




 

Note dell'autrice:
Come ho scritto nell'introduzione, ho partecipato con questa storia alla From The Beginning Challenge, nel fandom di Glee, ormai due anni fa. Sebbene con un bel po' di ritardo, ho deciso di spostarla finalmente sul mio profilo, anche perché ci tengo moltissimo. Ho amato scrivere questa storia, mi sono emozionata nel farlo, e spero quindi che possa piacervi.

Ringrazio chi si è fermato a leggere - mi rendo conto della lunghezza - e in anticipo chi mi lascerà un parere, che è sempre gradito  
Un abbraccio,


Ps.
Per qualsiasi cosa, vi
 lascio la mia pagina autrice.
   
 
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