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Autore: milly92    21/07/2017    5 recensioni
“Io sono Alice, piacere. La mediatrice culturale”.
“La che?”.
Offesa, feci una smorfia: il mio era un mestiere come tanti, non di certo uno di quelli super fighi con il titolo tradotto in inglese giusto per sembrare ancora più irraggiungibili.
“La me-dia-tri-ce culturale” rispiegai pazientemente.
“Ah, mediatrice! A causa del viaggio sto così fuso che avevo capito meretrice, ecco perché ero confuso” ridacchiò, con un palese accento romano. “Salvatore, comunque. Piacere. Faccio questo mestiere da cinque anni e non ho mai sentito parlare di una mediatrice nel team!”.
“E’ un’eccezione, oltre agli inglesi ci sono gli spagnoli e l’azienda aveva bisogno di una traduttrice. Diciamo che è un esperimento... Scusami comunque, mi sono bloccata nel bel mezzo della strada perché ho appena ricordato di aver dimenticato l’adattore e il mio cellulare è appena morto”.
“Azzò, sei perspicace, Alice la Mediatrice. Spero non dimentichi le traduzioni delle parole così come dimentichi le cose essenziali”.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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alice1

Alice, La Mediatrice

Capitolo 1

Day 1: Adattarsi e Adattatori

 

“Quando ho saputo che l’azienda avrebbe assunto una mediatrice culturale ho tirato un sospiro di sollievo. Insomma, me la sono sempre cavata con l’inglese, ma quando ho saputo che questa volta i ragazzi avrebbero studiato anche spagnolo sono rimasto decisamente sorpreso... E ci tengo a lavorare bene con te, quindi eviterò la solita battutina in stile ‘tanto basta aggiungere solo una S a fine parola’. In sintesi, grazie Alice, mi dispiace dirti che quando si tratterà di avere a che fare con il team spagnolo ti romperò davvero le scatole”.

Saverio Caponi mi era subito sembrato il classico Direttore disponibile e alla mano e per fortuna con quel discorso, fatto ad ora di pranzo il giorno del mio arrivo a Londra, me lo confermò.

Ero partita da Roma senza sapere bene cosa aspettarmi perché avevo semplicemente fatto domanda per questo lavoro tramite il sito dell’azienda, dopo una segnalazione della mia amica.

Mi aveva detto che la Emperor Travel cercava una mediatrice culturale per un soggiorno in Inghilterra di due settimane, per fare da traduttrice tra il team italiano e quello spagnolo ospite degli inglesi.

Dei ragazzi tra i quattordici e i diciotto anni, accompagnati costantemente da dei group leader, sarebbero stati i protagonisti di quella esperienza, avrebbero studiato inglese e spagnolo, visitato le città vicine al college e ottenuto un attestato a fine esperienza, come ogni vacanza studio che si rispetti.

Così, appena laureata da circa un mese, avevo tentato la fortuna e avevo fatto domanda per poi essere contattata nel giro di una settimana.

“Tranquillo, sono qui per questo. Amo il mio lavoro, anche se come saprai sono alla prima esperienza se escludiamo qualche tirocinio” risposi, mentre giocherellavo con un pezzo di insalata.

“Meglio, così hai più pazienza e l’entusiasmo avrà la meglio sulla stanchezza, almeno all’inzio. Non so se hai mai partecipato a queste vacanze studio, ma i ritmi sono assurdi, te lo dico”.

“No, solo che me ne hanno parlato. Però non capisco... Voglio dire, ci sarà da mediare anche sul tardi? Ad esempio, dopo le dieci di sera?”.

Probabilmente Saverio non mi rise in faccia per educazione e per professionalità, per questo si limitò a sorridere con un fare quasi paterno, nonostante avesse solo sette anni più di me.

“Dove ci sono io con gli spagnoli devi esserci tu. Se c’è un problema, se c’è un cambio di programma all’ultima ora o se c’è semplicemente una serata organizzata da loro, io avrò bisogno di te. Ecco perché non avrai un giorno libero mentre i group leader sì. Il tuo lavoro qui non sa farlo nessuno. Sei indispensabile per la riuscita del viaggio, ecco perché sono onesto e trasparente sin da ora. Sentiti libera di dire parolacce quando vuoi! Le accetto volentieri, per me se uno dice parolacce significa che non ce la fa più, e se non ce la fa più è perché sta lavorando tanto e di sicuro bene” disse senza giri di parole, per poi aprire una birra e riempire il mio bicchiere. “Finché non arrivano i ragazzi possiamo farlo” aggiunse, con tanto di occhiolino.

Ero sorpresa.

Era il mio capo quello che mi stava parlando in questo modo?

“Sarò sincera, non sei il direttore che mi aspettavo” borbottai, un po’ a disagio.

Ero abituata ad avere un rapporto formale con i miei superiori e questo trentadueenne con un po’ di barbetta e gli occhiali in stile hipster sembrava tutto fuorché rigido e dedito alle regole.

“Perché stiamo bevendo birra a ora di pranzo e ti ho appena invitata ad usare un linguaggio scurrile, se necessario?” osservò.

“Non ho ancora bevuto...”.

“Oh, dovresti farlo se questi primi cinque minuti di conversazione ti hanno sorpreso”.

Risi di cuore, felice di avere a che fare con una persona alla mano e schietta, così obbedì e bevvi un sorso generoso di birra.

“Ora sei pronta per firmare il contratto! Davvero, scusami se ti sto sembrando strano o fuori luogo, solo che il nostro lavoro è così stressante ed intenso che è impossibile svolgerlo se non si ha confidenza e ci si trova bene”.

Annuii, accennando un sorriso.

“Immagino. Non tanto io ma di sicuro gli altri arriveranno esausti a fine turno dopo due settimane passate con degli adolescenti...”.

“Oh, no, fidati, anche tu. Ad esempio, gli altri group leaders sono in viaggio al momento, mentre tu inizierai a lavorare ora. Ci sono mille email di cui devi spiegarmi il contenuto, poi alle quattro ho un breve meeting con Laura Rosales, la team leader degli spagnoli. Pronta?”.

“S-sì” borbottai per poi iniziare a mangiare, più che altro per stoppare il flusso di notizie con cui Saverio mi stava sommergendo.

Ebbi appena il tempo di mangiare un boccone del mio hamburger che Mario e Elena, rispettivamente l’activity e la team leader, entrarono in mensa.

Il primo aveva il compito di organizzare le varie attività per i ragazzi, l’altra dirigeva il gruppo come una sorta di vice del Direttore.

“Allora, quanto ti ha spaventato da uno a dieci?” attaccò subito Elena, dandomi ulteriore prova della sua parlantina proprio come quando, tre ore prima, ero arrivata al college e lei mi aveva accolta con una montagna di domande.

“Undici” biascicai, falsa intimorita.

“Ma dai Alice, ti divertirai con noi!” esclamò Mario. “Dobbiamo programmare una serata tutta spagnola, mi raccomando!”.

“Oh, certo”.

“Mario, non dire stronzate, lo sai che non avrà nemmeno il tempo di respirare, pensaci tu a queste idiozie”.

Di nuovo mi tuffai nel mio hamburger e lo mangiai abbastanza velocemente, mentre loro parlavano della distribuzione delle divise per i group leader, degli zaini, delle camere, delle liste...

“Tu non avrai la maglietta rossa che daremo agli altri, che fortunata” disse Saverio. “E’ un’esperienza che non auguro a nessuno, quattordici giorni con jeans e polo sono asfissianti”.

“Oh, bene”.

“Ti è andata di lusso, Alì!” disse Mario, con una cadenza tipica campana, ed io annuii senza sapere cosa altro dire e, per fare qualcosa, presi una mela rossa dal vassoio.

Il mio compito era comunicare e in quel momento mi sentivo sppraffatta dai pensieri, tanto da non riuscire ad esprimerli.

 

Dopo aver firmato il contratto, tradotto il contenuto di alcune email della Santo Domingo, l’ente per cui lavorava il team spagnolo, e aver fatto da mediatrice tra Saverio e Laura Rosales, mi fu detto che potevo starmene in camera fino ad ora di cena – ovviamente ciò significava le 18.30 –.

A quell’ora metà degli ottanta ragazzi sarebbe giunta al college, mentre gli altri erano attesi prima di mezzanotte.

“Ti avviso, quando arriveranno tutti i group leader, che da ora in poi chiamerò GL, ti aspetto alla riunione, devi conoscerli” mi aveva detto Saverio.

Io avevo annuito e poi ero fuggita in direzione dell’uscita dell’ufficio, quasi timorosa di un suo eventuale cambio di idea.

Avevo due ore libere ed ero intenzionata a passarle dormendo visto che a quanto pare avrei lavorato ogni giorno fino a dopo la mezzanotte.

Mi sentivo strana, ero eccitata perché l’incontro con Laura e il direttore era stato una figata pazzesca – Laura era di Siviglia e aveva quell’accento Andaluso che amo da morire – ma allo stesso tempo non sapevo cosa aspettarmi.

Saverio, Mario ed Elena sembravano ok, ma dovevo ancora conoscere i quattro GL e la Dottoressa.

Saremmo stati uno staff di quasi dieci persone, avremmo convissuto per due settimane a stretto contatto...

Ero una persona che aveva bisogno dei suoi spazi e temevo di fallire, di perdere le staffe sotto pressione.

Mi dissi di non pensarci e optai per una doccia veloce.

Prima di tutto mi tolsi il badge che recitava

 

Name/Nombre: Alice Sebastiani

Job/Trabajo: Mediatrice Culturale

 

Nome e professione era tutto ciò che gli altri potevano sapere di me, era il mio compito farmi valere, farmi apprezzare, collaborare per rendere l’ambiente di lavoro piacevole.

Ripensai a quando, in Erasmus, non mi ero trovata bene con le mie coinquiline e la mia salvezza erano state due amiche spagnole.

La storia si sarebbe ripetuta?

Avrei stretto più amicizia con la Rosales e i suoi colleghi?

Alice, piantala che sei ridicola! Vivi il momento!

Lasciai che l’acqua calda lavasse via non solo le impurità di ore e ore di viaggio ma anche i miei pensieri, così, esausta e ancora in biancheria intima mi appoggiai sul letto e chiusi gli occhi.

Avevo i muscoli delle spalle tesi più che mai come ogni volta che affrontavo un viaggio e avevo dei pensieri ansiosi, poi per fortuna riuscii a scacciarli via e mi addormentai, seppur per una sola ora e quindici minuti.

Di nuovo, rapidamente, come avevo fatto quella mattina prima di andare all’aeroporto di Fiumicino, indossai dei jeans, una maglietta a righe, le Adidas, il badge, spalmai un velo di fondotinta e di mascara sulla faccia e mi avviai verso la mensa, che distava circa cinquecento metri dalla zona dei dormitori.

Il campus che ci ospitava faceva parte dell’immenso Queen’s College, sembrava davvero uno dei tipici college da film inglese con enormi zone verdi ed edifici bianchi ed enormi con la bandiera inglese esposta.

Purtroppo la mensa e i dormitori erano distanti, mentre l’edificio in cui si sarebbero tenute le lezioni di inglese e spagnolo era a cento metri dalla mensa.

Con lo zainetto rosso in spalla che mi avevano dato in dotazione insieme al badge mi sentivo una scolaretta che si appresta a iniziare il primo giorno di scuola, anche se ormai per me lo studio era, almeno momentaneamente, un ricordo, visto che aveva da poco concluso il ciclo di studi magistrale e potevo considerarmi un’ “adulta”.

Sì, ero un’adulta, avevo tutto sotto controllo... Sì, tutto!

Bip Bip.

Abbasai lo sguardo e vidi il mio cellulare che si spegneva a causa della batteria scarica.

Per fortuna avevo chiamato già a casa per dire che era tutto ok, lo avrei ricaricato con calma quella sera una volta in camera...

“Cazzo, l’adattatore!”.

Mi bloccai di scatto nel bel mezzo del marciapiede, a circa cinquanta metri dalla mensa, mentre dicevo: “Chi idiota parte per l’Inghilterra e non porta con sè l’adattore?” e, allo stesso tempo, una persona che evidentemente era alle mie spalle mi veniva addosso per la mia brusca fermata.

“Ehiii!”.

“Oh, scusami!”.

Io e la persona ci scontrammo, mi appoggiai al muro per non cadere e lei invece barcollò, evitando non so come di cadere.

Era un ragazzo dal naso aquilino, pallido, non molto alto e indossava la maglia rossa dell’azienda.

“E’ ok ma fà più attenzione, per fortuna non c’erano i miei ragazzi con me” disse, piuttosto severo.

“Oh, sei un group leader, vero?” dissi, imbarazzata.

Lui annuì.

Di poche parole il ragazzo, a quanto pare.

“Io sono Alice, piacere. La mediatrice culturale”.

“La che?”.

Offesa, feci una smorfia: il mio era un mestiere come tanti, non di certo uno di quelli super fighi con il titolo tradotto in inglese giusto per sembrare ancora più irraggiungibili.

“La me-dia-tri-ce culturale” rispiegai pazientemente.

“Ah, mediatrice! A causa del viaggio sto così fuso che avevo capito meretrice, ecco perché ero confuso” ridacchiò, con un palese accento romano. “Salvatore, comunque. Piacere. Faccio questo mestiere da cinque anni e non ho mai sentito parlare di una mediatrice nel team!”.

“E’ un’eccezione, oltre agli inglesi ci sono gli spagnoli e l’azienda aveva bisogno di una traduttrice. Diciamo che è un esperimento... Scusami comunque, mi sono bloccata nel bel mezzo della strada perché ho appena ricordato di aver dimenticato l’adattore e il mio cellulare è appena morto”.

“Azzò, sei perspicace, Alice la Mediatrice. Spero non dimentichi le traduzioni delle parole così come dimentichi le cose essenziali”.

Aveva ragione. Uno sconosciuto, un collega che mi conosceva da mezzo minuto aveva già notato la mia tendenza ad andare nel pallone e dimenticare le cose importanti nei momenti critici.

Non potevo di certo prendermela, aveva fatto una giusta osservazione.

“Guarda il lato positivo: non sono una group leader e non posso dimenticare cose fondamentali come uno dei ragazzi che mi ha chiesto di andare in bagno o cose così”.

“Positivissimo, eh. Senti, ce l’ho io l’adattatore comunque, dopo cena te lo do” disse, burbero ma disponibile.

“Davvero?”.

“E che te pare che sto a scherzà? Ma sei romana pure te o sbaglio?”.

“No, no. Sì!”.

“No o sì?”.

“No, non mi sembra tu stia scherzando. Sì, nel senso che sono di Roma”.

“E allora aiutiamoci tra compaesani, io abito in provincia da come avrai capito”.

“Grazie mille, Salvatore. Mi stai salvando!”.

“Sì Alice, ma stai attenta che mancano ancora tredici giorni, eh”.

Di nuovo non ebbi il coraggio di ribattere ed annuii, seguendolo fino a mensa.

Questo è un lavoro in cui va avanti chi è pronto e sveglio e io dovevo fare del mio meglio per non addomentarmi sulla scrivania, ne ero sicura.

Fui accolta da una miriade di testoline che si agitavano, borbottavano cose, alcune bionde, altre scure, altre già tinte e decolorate nonostante la giovane età.

La mensa era la stessa di cinque ore prima eppure mi sembrava diversa, improvvisamente allegra e magica, con l’atmosfera tipica di un posto pieno di persone provenienti da luoghi diversi che si ritrovano in un nuovo paese tutti insieme, consapevoli del fatto che il destino li ha uniti per qualche suo magico scherzo e che questa esperienza li marcherà per il resto della loro vita.

“Londra 2017”, ecco cosa stavano vivendo, ed io avevo il privilegio di essere lì, per ora testimone ma forse piano piano sarei stata in grado di diventare anche una di quelle che passa all’azione e dà un contributo al viaggio.

I ragazzi sembravano allegri e spensierati nonostante la giornata di viaggio con vari scali, mentre Saverio, seduto al tavolo centrale con Mario, Elena, Salvatore e una ragazza alta e magra, sembrava diverso, più consapevole e serio.

“Alice, hai conosciuto Salvatore, vedo” mi accolse il direttore, mentre prendevo posto.

“Sì, mi ha già salvato la vita”.

“Non ho dubbi, lo conosco da quando ha iniziato ed è il migliore collaboratore che abbia mai avuto, ti risolve un problema in tre secondi. Dopo ciò, scusami Nadia, la tua presentazione ora sembrerà scialba ma non è colpa mia se sei arrivata con Super Salvatore. Lei è Alice, la nostra mediatrice culturale”.

“Io avevo capito meretrice culturale, pensa” lo apostrofò Salvatore, ridendo.

Saverio sgranò gli occhi e poi scoppiò a ridere, battendo il cinque con il collega mentre Nadia mi porgeva la mano e si presentava.

“Piacere”

“Piacere!”.

Nadia sembrava più grande di me ed Elena, aveva i lunghi capelli scuri raccolti in una coda e un trucco perfetto che evidenziava gli occhi a mandorla.

“Ora manca solo il gruppo di Bari e quello di Napoli, con Clara e Luca. Arriveranno per le dieci, il tempo di sistemare i ragazzi, dare i pacchetti con la cena, distribuire le chiavi e ci riuniamo tutti, per mezzanotte credo. Benvenuti al Queen’s College” ironizzò Saverio.

Per tutta la cena ci raccontò di alcune sue esperienze divertenti vissute negli ultimi dieci anni e la mia ammirazione per lui crebbe esponenzialmente perché non è da tutti farsi avanti e diventare direttore prima dei trenta anni e rimanere comunque una persona disponibile e alla mano.

 

Avevo accompagnato Salvatore nella sua stanza, nell’edificio C, per fargli recuperare l’adattatore e poi ci eravamo diretti nella mia stanza, nell’edificio E,  per mettere il telefono in carica.

Vederlo riaccendersi mi fece sentire meglio oltre che a farmi capire quanto siamo dipendenti dalla tecnologia, così tirai un sospiro di sollievo.

“Con questo ti sei guadagnato un rifornimento di caffè per tutta la durata del soggiorno” esclamai, improvvisamente rinvigorita nonostante fosse serata inoltrata.

“Bella cosa, caffè inglese, evvai”.

Salvatore aveva un’ironia tutta sua, un’ironia vera, per niente velata, condita di black humor, cosa che non apprezzavo molto ma dopotutto dovevo sottostare alle regole e ringraziarlo per l’enorme favore visto che quando sei fuori per lavoro il telefono è essenziale.

“Hai ragione, scegli tu, qualsiasi cosa”

“Qualsiasi cosa? Soldi, allora”.

“Hai beccato l’unica cosa...”.

“...Che qui non ha nessuno, lo so. Altrimenti non saremmo qui quasi a mezzanotte a lavorare dopo una giornata assurda. Scegli tu, Alì, non mi offendo”.

Gli sorrisi e ci avviammo verso l’uscita della stanza.

“Immagina la scena, io che torno in camera, prendo il caricatore e impreco...”, uscii dalla stanza, di spalle, mentre chiudevo la porta a chiave, “perché il coso non entra nel buco...”.

Mi voltai per andarmene e vidi il corridoio pieno di ragazzine che stavano entrando in camera e, evidentemente sconvolte per ciò che avevo detto e perché c’era un maschio che stava uscendo con me dalla mia  stanza, mi fissavano, incredule.

Qualcuna ridacchiava in maniera sfrontata, qualcuna ripeteva, sconvolta, “coso” e “buco”, mentre io arrossivo come una matta, portandomi una mano alla bocca, e Salvatore sembrava impassibile come ogni volta che era con i ragazzi.

“Ragazze! Si parla di prese e adattatori, eh. Io... Sono la vostra mediatrice culturale, Alice. A domani!” esclamai, ancora rossa in volto, prima di seguire Salvatore verso l’uscita del mini appartamento.

“Dì la verità, vista la scena, tra “cosi” e “buchi” questa volta Alice la Meretrice ci calzava alla perfezione!” ridacchiò lui, ridendo da solo alla sua battuta.

Sospirai e mi chiesi a quante figuracce sarei arrivata entro la fine di quella giornata.

 

 

Clara e Luca erano arrivati insieme alla Dottoressa, la squadra era al completo.

Clara era una ragazza bella robusta con i capelli neri e cortissimi mentre Luca sembrava irradiare fiumi di energie nonostante l’ora, aveva un piccolo accenno di cadenza campana e si presentò a tutti con una vigorosa stretta di mano.

Saverio sembrava rilassato ma deciso, ci guardava come un professore  guarda i suoi alunni il primo giorno di lezione.

Eravamo nella cucina del primo piano dell’Edificio N, dove Saverio, Mario e Elena alloggiavano e da quel momento in poi quel posto sarebbe stato la nostra sala riunioni.

La stanza era arredata con mobili bianchi e un tavolo nero per sei persone, un paio di divanetti e una finestra abbastanza grande che si affacciava sul giardino retrostante all’edificio.

Ognuno prese posto su una sedia o su un divano, senza proferire parola, così il direttore si schiarì la voce, bevve un sorso d’acqua e ci guardò uno ad uno.

“Allora, benvenuti. Da quel che ho visto saremmo una grande squadra, ne sono sicuro! GL, Nadia, Clara, Salvatore e Luca, confido in voi per la riuscita del viaggio, so che siete quasi tutti alla prima esperienza ma a pelle mi avete dato una buona impressione. Come vi ho detto io sono il Direttore, Mario si occuperà delle varie attività e Elena vi dirigerà come squadra, per qualsiasi cosa rompete le scatole a lei e non a me. Poi, Giada, la nostra dottoressa, arrivata circa venti minuti fa, salve!” – qui una ragazza sotto i trenta che se ne stava in un angolo ci salutò con la mano, non l’avevo proprio notata -, “E infine, la novità. Ragazzi, visto che non so un’acca di spagnolo, ho richiesto una mediatrice culturale, e l’azienda mi ha procurato Alice che già si è sorbita da oggi mille email e un incontro tra me e la Rosales, che domani conoscerete. Quindi rispetto a lei siete indietro di qualche ora di lavoro!”.

Tutti risero, qualcuno mi porse la mano, io mi limitai a fare cenni e a sorridere, dimenticando già i nomi associati ai volti.

“Ora vi spiegherò il programma di domani, dieci minuti e vi lascio in pace. Alice, la colazione è alle sette e trenta fino alle otto e trenta, regolati tu, basta che sei alle nove nell’ufficio dove hai firmato il contratto. Puoi andare”.

“Oh, ok. Allora... Ciao a tutti, è stato un piacere!” mi congedai, cercando di celare il mio entusiasmo.

Ero stanchissima nonostante la pennichella e non vedevo l’ora di dormire almeno sette ore.

Mi sentivo in colpa nei confronti dei poveri GL e della Dottoressa che avevano avuto un viaggio più lungo del mio con decine di ragazzi a cui badare e che dovevano ancora stare in riunione, solo che magari in futuro a me sarebbe toccato andare a dormire dopo di loro per qualche motivo o l’altro, il karma di sicuro non me l’avrebbe fatta passare liscia.

Quando tornai nella mia stanza ero in uno stato assurdo, strano, inspiegabile causato dalle varie emozioni vissute quella giornata.

Mi sembrava di star vivendo in un film tragicomico e avrei tanto voluto il mio copione per sapere bene cosa fare, ma a quanto pare la situazione era molto pirandelliana ed io ero ancora in cerca del mio autore.

 

*°*°*°*°*°*

Salve a tutti!

Non so se qualcuno si ricorda di me, in passato ero solita infestare questa sezione con i miei scleri poi ho avuto un periodo intenso a causa della laurea magistrale e dei miei primi tre lavori.

Questo progetto è proprio ispirato ad una mia esperienza lavorativa – no, non ero una mediatrice culturale purtroppo – così, essendomi trovata bene con i colleghi, ho deciso di dare vita a questa storia, aggiungendo di tanto in tanto qualche aneddoto realmente accaduto.

Se vi va potete indovinare piano piano ciò che è successo e cosa no, visto che è il primo capitolo vi dico che la questione dell’adattatore è vera XD non auguro a nessuno di essere circondata da un gruppo di ragazzine che ti guardano male perché stai uscendo dalla tua stanza con un collega...

Non so cosa dire, spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto,

se vi va fatemi sapere cosa ne pensate :D

A mercoledì con il capitolo 2, ecco una piccola anticipazione:

“Ma sono in pigiama e senza nemmeno il reggiseno!” protestai, con la testa ancora annebbita dalla sonnolenza, ma per fortuna lui era già scomparso e non aveva sentito la mia idiozia delle sei e cinquantacinque.

 

Grazie per essere arrivati fino a qui, a presto!

Milly.

  
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