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Autore: sinfovnia    21/07/2017    1 recensioni
Sono due giorni che Sofia dorme da me. Il suo spazzolino giace nel mezzo del lavandino insieme a capelli di donna. C'è qualcosa di strano in tutto questo, qualcosa che mi sfugge e che lei non vuole spiegarmi. Non le è mai piaciuto dormire fuori casa, allontanarsi dal suo spazio. Eppure, da quando si è presentata alla mia porta con un borsone pieno di roba e un'espressione allucinata sul viso, ha l'aria di non volerci più tornare.
Il titolo è provvisorio.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Violenza
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Smanetto col cellulare mentre Sofia si gira una sigaretta. Ha un sacco di nuove opzioni, è decisamente meglio del mio vecchio modello. Più leggero, più veloce... posso anche andare su internet. Non che sia una novità. Voglio dire, per me lo è, ma solo perché fino a ieri mi sono ostinato a possedere un telefono preistorico e obsoleto. Poi mia sorella l'ha investito "accidentalmente" e me ne ha comprato uno nuovo. In realtà l'ho pagato io, ma ha promesso di restituirmi i soldi spesi perché si sentiva in colpa. Come no. Erano mesi che guardava minacciosa il mio cellulare, e quella di due giorni fa è stata solo la conclusione di anni e anni di odio infondato nei suoi confronti. Sofia mi guarda, ha smesso di girare la sigaretta e ora la sta accendendo. Non ha fatto un buon lavoro e per quanto l'ha riempita sembra più uno spinello, ma osservarla mentre porta la sigaretta alla bocca e inspira per poi aspettare qualche secondo e buttare fuori il fumo mi fa venir voglia di fumare. Allungo due dita verso di lei senza neanche guardarla, e lei mi passa la sigaretta.

Ha capito cosa volevo senza che glielo dicessi a parole. Strabiliante. Non che fosse difficile, certo. Ma non è sorprendente il modo in cui un semplice gesto possa essere universalmente compreso?

Prendo due tiri profondi, Sofia mi guarda impaziente. La vedo picchiettarsi le dita sul braccio mentre mi fissa con i suoi occhi grandi e marroni. È rigida. Le sorrido e le restituisco la sigaretta. Si scioglie. Il suo sguardo torna tranquillo e lentamente lascia che il braccio le ricada lungo il fianco. Mi sorride di rimando.

«Ti sei più iscritto all'università?» chiede allontanandosi da me per appoggiarsi al balcone. Scuoto la testa ed emetto un grugnito di frustrazione. Lei non mi guarda. Sofia è una persona ok, capisce quando deve tacere e smettere di fare domande sconvenienti. Di certo non la migliore compagnia, ma neanche la peggiore. È nel mezzo, sempre che questo si possa dire per definire una persona. Non è mai stata una presenza scomoda, né una di cui non si potesse sopportare l'assenza. Semplicemente, c'era. Ed essendo anche io una persona a metà, un essere umano sopportabile e con il quale è facile convivere, siamo diventati amici. Migliori amici. Due presenze neutrali che si sostengono a vicenda in un mondo di estremi. Poetico.

«Be', immagino che per quest'anno sia ok. Ma quello dopo? Cosa farai? Hai intenzione di campare sui soldi di tua madre per tutta la vita?»

"Quello dopo" riecheggia nella mia mente come una bestemmia urlata sulla cima di una montagna. "Quello dopo" è ciò a cui non avevo pensato. Non c'era un "quello dopo" nella mia mente prima che Sofia la violentasse e mi riportasse alla realtà.

«Non ci hai nemmeno riflettuto» suona come un'accusa. Si gira verso di me e mi scruta con lo stesso sguardo truce del padre, perennemente incazzato e giudicante. Fingo di non notarlo e faccio spallucce. Lei sbuffa, scuote la testa. Una ciocca di capelli le ricade sulla fronte.

«Non ho avuto tempo» dico, e lei ride. Cazzate, sta pensando. Sei stato tutto il giorno, tutti i giorni sdraiato sul tuo cazzo di letto a fissare il nulla. Lo pensa ma non lo dice. Qualità apprezzabile in una buona amica. Tira la sigaretta nel giardino dei vicini.

«Tanto quella vecchia insopportabile non se ne accorgerà mai» si giustifica. Alza le spalle ed entra in casa, lasciandomi solo sul balcone a fissare il filtro spento che viene trascinato dal vento per le mattonelle del giardino.

Sono due giorni che Sofia dorme da me. Il suo spazzolino giace nel mezzo del lavandino insieme a capelli di donna. C'è qualcosa di strano in tutto questo, qualcosa che mi sfugge e che lei non vuole spiegarmi. Non le è mai piaciuto dormire fuori casa, allontanarsi dal suo spazio. Eppure, da quando si è presentata alla mia porta con un borsone pieno di roba e un'espressione allucinata sul viso, ha l'aria di non volerci più tornare.

Stamattina ha chiamato mia madre. Io ero nella doccia, quindi ha risposto Sofia. L'ho sentita ridere mentre uscivo dal bagno con l'asciugamano legato in vita e i capelli gocciolanti sulla fronte. Quando mi ha visto mi ha passato il telefono. Mia madre sembrava felice di aver parlato con lei. Ha detto che c'era un problema. Che non posso continuare a stare nel mio – suo – appartamento. Che sto buttando la mia vita, che devo trovarmi qualcosa da fare. O torni a casa, o ti trovi un lavoro, ha detto. Avrei voluto incazzarmi con lei, ma la verità è che ha ragione. Sto buttando la mia vita.

Ho diciannove anni, sono il più piccolo della famiglia e passo le mie giornate sdraiato sul letto a fissare il soffitto grigio di una casa grigia. Le ho detto che la capivo. Ho chiesto di darmi tempo. Mi ha salutato e sembrava veramente dispiaciuta. Certo, mamma. Sì. Anche io ti voglio bene. Un bacio.

Mi sono vestito e mi sono lanciato sul sofà accanto a Sofia. Stava per addormentarsi. Sulla sua guancia, l'impronta di una lacrima ormai asciutta. Mi sono ripromesso di chiederle spiegazioni e ho chiuso gli occhi. Il respiro di Sofia e il ronzio del frigo mi hanno cullato fino al sonno.

   
 
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