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Autore: dilpa93    21/07/2017    3 recensioni
“Io… lo so, lo so che si è dimenticato di me, che è stata una mia scelta, ma le avventure trascorse insieme… spero ricordi qualcosa, anche solo vagamente, come un ricordo distante e sfocato e che magari userà quei racconti come leggende, come esempio per i compagni che seguiranno e che staranno al suo fianco. Che faccia qualche commento che chi prenderà il mio posto non possa capire all’istante, come succedeva a me”.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Clara Oswin Oswald, River Song
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amelia Pond. Like a name in a fairy tale
                                      -Eleventh Doctor-

 
 
Girava con gli occhi fissi sul pavimento, lentamente, contando i passi uno dopo l’altro. Uno sbuffo ogni tre, gli occhi che ruotavano verso l'alto fino ad incontrare la consolle del Tardis.
Sorrise timidamente.
Non poteva evitare di chiamarlo così, non riusciva a trovare nemmeno un valido motivo per cui dovesse cambiarle nome, il Dottore non ne aveva l’esclusiva, almeno sperava fosse così, e dopotutto non sarebbe venuto comunque a saperlo.
 
Un altro sbuffo.
 
Quel folle uomo gli mancava, ma la cosa peggiore era sapere che lui non rammentava nulla delle loro avventure. Solo attimi sfocati e sbiaditi e quella melodia che gli ricordava vagamente Lei. Niente altro, ed era stata una sua scelta, il solo modo per farlo andare avanti e non sprecare la sua vita in inutili tentativi di salvarla.
Lei, invece, non riusciva a dimenticare neanche volendo un solo momento passato insieme. Faceva male sorridere e poco dopo arricciare il naso sentendo gli occhi bruciare diventando subito lucidi.
Non riusciva a darsi pace sapendo che, al contrario, Ashildir aveva preferito dimenticare certe cose, letteralmente strappare dei ricordi dai suoi diari per non essere costretta a rivivere quei momenti, a provare nuovamente quella gioia pungente o il sapore amaro per la scomparsa di qualcuno di caro.
Certo, era divertente viaggiare per il tempo e lo spazio con lei, ma più le settimane passavano, più notava quanto con gli anni fosse divenuta arida, vuota, e come facesse di tutto per mascherare i suoi sentimenti.
Poggiò i gomiti sulla balaustra che contornava la consolle, accompagnandosi con l’ennesima scrollata del capo e quell’ormai consueto soffio d’aria.
“Uhh, quanti sbuffi uno dopo l’altro. Giornata pesante, cara?”.
Lentamente raddrizzò la schiena sorridendo compiaciuta.
Non credeva che lo avrebbe mai detto, ma quella voce le era mancata. Lei le era mancata in quei mesi.
 
Voltandosi, il sorriso di River Song si specchiò nei suoi occhi.
 
Il collegamento mentale non era mai svanito completamente. Ogni tanto eccola apparire, al suo fianco, con qualche consiglio e battute pungenti a non finire.
Non lo aveva mai detto al Dottore.
River glielo aveva fatto promettere e lei, spalancando gli occhioni nocciola ed arricciando il naso con fare infantile, aveva allungato la mano verso di lei, l’aveva chiusa a pugno lasciando disteso solo il mignolo, “Pinky promise” aveva esclamato convinta. La Dottoressa Song aveva sorriso davanti alla sua infantilità, schiarendosi poi la voce e ritrovando contegno. “Un promesso sarebbe stato più che sufficiente”, aveva detto prima di sparire accompagnandosi con un, “ci vediamo presto, Clara”.
 
“Solo noiosa…”, allungò il braccio facendo roteare più volte il polso.
River annuì, dandosi un’occhiata intorno. “Oh… vedo che qui qualcuno ha ridecorato. Sembra… spoglio”, Clara fece per parlare ma, ancora prima che le sue labbra potessero schiudersi, la Dottoressa Song l’anticipò. “Sai, è strano. Per un po’ non sono riuscita a mettermi in contatto con te. Odio quando non riesco a fare anche le cose più semplici, specie se non ne capisco il perché. Come fosse uno smacco sul mio curriculum. E poi, se Lui dovesse scoprirlo, non la smetterebbe più di gongolare”. Un velo malinconico si posò sul suo viso, fugace come un battito di ciglia, per poi tornare al suo solito cipiglio saccente, sguardo che il Dottore trovava incredibilmente sexy sebbene non lo avrebbe mai ammesso, ma bastavano le sue guance, che si imporporavano al primo sguardo, per farlo capire.
“Temo che la colpa sia mia”, sussurrò Clara, dandole le spalle e carezzando i comandi sparsi lungo la consolle. I polpastrelli scivolavano lungo ogni curva che incontravano, come una danza, e leggeri brividi le sfioravano la base del collo ogni qualvolta le dita entravano in contatto con il freddo metallo.
“Ci siamo trovati in una situazione un po’... complicata. Non ho saputo stare al mio posto, ho voluto aiutare un amico. Ormai credevo di aver imparato alla perfezione i trucchi e i bluff del Dottore e pensavo che sarei riuscita ad usarli a mio vantaggio, e invece... “. Rimase immobile, a guardare lo sviluppo in verticale della consolle come se potesse trovare le parole nel conglomerato di tubi all’interno del cilindro trasparente. Nessuna parola arrivò, solo il su e giù del meccanismo ed il costante rumore dell’aria che veniva compressa. “Per farla breve, sono morta. O… o ero morta, non so ancora cosa sono in realtà”. Alzò di nuovo il braccio verso l’alto, “Ancora non mi sono abituata a non sentirlo battere”, asserì riferita al polso.
River ci pensò su qualche istante, poi sorrise scuotendo il capo. “Non riesce proprio a lasciar perdere, non è vero? Quell’uomo… quell’incredibile uomo. Farebbe di tutto per le persone a cui tiene”.
In quel momento Clara fu certa di cogliere nella sua voce orgoglio, ma anche una punta di gelosia. Probabilmente, prima del suo arrivo, quelle attenzioni erano state rivolta solo a lei.
 
Era pur sempre sua moglie, doveva essere difficile vederlo affezionarsi ad altri.
 
“È tornato su Gallifrey”, sussurrò tutto un tratto, quasi impaurita dalla possibile reazione dell’archeologa, ma lei non disse nulla, come sapesse che Clara non sarebbe riuscita a trattenersi dal spiegarle cosa fosse accaduto. E così fu.
Le parole si susseguirono una dietro l’altra, incapace di fermarle perché non aveva mai avuto l’opportunità di parlarne con qualcuno, perché da troppo non parlava con qualcuno di così simile al Dottore.
“Ho dovuto fare una scelta e ho scelto lui. Aveva rischiato così tanto e così tante volte per tutti e per me, per aiutarmi, per regalarmi le avventure di cui avevo bisogno. Era tempo di liberarlo da quella prigione di obblighi che credeva di avere nei miei confronti. Ora tornerà ad essere il Dottore e io… io per un po’ volerò nel cielo, in una tavola calda”.
Clara, che aveva abbassato lo sguardo, lo spostò nuovamente sulla figura che aveva di fronte, giusto in tempo per vederla svanire e riapparire a qualche secondo di distanza.
“Scusami cara, piccole interferenze”, disse ammiccando. “E questa Ashildr?”.
“Oh lei… lei è a posto. Ha alle spalle una vita complicata e lunga. Davvero molto, molto lunga. Terrà un occhio sempre puntato su di lui. Ha fatto cose che non avrebbe dovuto ma… mi fido. Se il Dottore dovesse essere in pericolo, lei saprà come aiutarlo”.
River non ricordava di averla mai vista così convinta. Le era sempre sembrata una ragazzina timida, poco intraprendente, e nei confronti della quale, almeno al primo incontro, aveva provato un pizzico di gelosia, ma con il tempo si era ricreduta.
Le compagne del Dottore non erano mai scelte a caso. Lui vedeva qualcosa in loro, una scintilla di coraggio e fermezza, e anche Clara possedeva quelle qualità, benché non sempre venissero alla luce.
 
La ragazza impossibile si sedette sui primi gradini della scalinata che portava al piano superiore e accomodò i gomiti sulle ginocchia prendendosi il viso tra le mani.
“Tu non sei curiosa?”, domandò con rinnovato entusiasmo.
“Di cosa?”, rispose l’altra, evidentemente spaesata e confusa dalla domanda.
“Professoressa Song, non mi stava ascoltando?”, la canzonò Clara divertita dall’averla colta in flagrante.
River alzò le spalle e arricciò le labbra, “Beccata! Allora”, proseguì, “a cosa ti riferisci?”
“Alla nuova fortunata viaggiatrice che si unirà a lui. O viaggiatore! Oddio, credo di non vedercelo proprio a viaggiare con un uomo”.
“Cosa ti preoccupa veramente?”.
Pur essendosi distratta, la professoressa Song aveva colpito nel segno.
“Io… lo so, lo so che si è dimenticato di me, che è stata una mia scelta, ma le avventure trascorse insieme… spero ricordi qualcosa, anche solo vagamente, come un ricordo distante e sfocato e che magari userà quei racconti come leggende, come esempio per i compagni che seguiranno e che staranno al suo fianco. Che faccia qualche commento che chi prenderà il mio posto non possa capire all’istante, come succedeva a me”.
River inclinò il capo. I suoi capelli ricci seguirono ondeggianti il lieve movimento, i ricci rimbalzarono appena come piccole molle, tornando poi nella loro posizione, “Che cosa intendi?”.
“Nulla di particolare… è capitato un paio di volte che io ricordi. Ha nominato una certa Amy e io non sono mai riuscita a capire a chi si riferisse, a quale avventura pensasse.Con lui succedono così tante cose che appena hai un attimo di respiro ti dimentichi anche delle domande più semplici che avevi da porgli. Ti concentri solo sull’essere viva, sull’averla scampata per l’ennesima volta. Viene quasi da ridere nel pensare a quante volte ci si ritrovi in pericolo in sua compagnia.
Anche qualche settimana fa, quando credeva fossi una semplice cameriera inglese in un Diner nel deserto dello Utah in cerca di avventura, ha parlato di lei e di… Accidenti, lo avevo in mente poco fa… due sillabe, ehm… Rory! Rory era il nome!
Il Dottore é così, cambia, vive migliaia di anni ed incontra chiunque, letteralmente chiunque e nelle epoche più disparate. Siamo di passaggio per lui, ma lei c’era sempre tra i suoi ricordi, era sempre nei suoi pensieri. Non gli ho mai chiesto chi fosse, benché mi fossi ripromessa più di una volta di farlo ed ora… si, immagino che ora non lo saprò mai”. Un’affermazione rivolta più a se stessa che a River.
Stese le gambe, i gomiti ora poggiati sui gradini, vicino ai suoi fianchi.
“Tu l’hai conosciuta, hai idea di chi fosse?”.
La Professoressa Song arricciò le labbra in un sorriso amaro e triste. Benché il suo viso tentasse di esprimere felicità, i suoi occhi dicevano la verità, mostrando una tristezza patinata. “Oh si, certo che l’ho conosciuta. Amy… la cara e dolce Amy. Ne ho più che sentito parlare. È stata con il Dottore per molto, molto tempo. Lei e Rory erano la sua famiglia... ed erano anche la mia.”
Clara corrugò la fronte assumendo un’aria di stupore nell’udire quelle parole, ancora una volta avrebbe potuto imparare qualcosa sul Dottore, cosa che riteneva ormai impossibile, e forse avrebbe scoperto un po’ di più sul passato di River.
“Non… non capisco.”
In quell’istante le porte del Tardis si aprirono e Ashildir comparve sulla soglia. River fece l’occhiolino a Clara scomparendo subito dopo.
“Chi era?”, la sua voce ruppe il silenzio creatosi dopo quell’implicita domanda di Clara rimasta nuovamente senza risposta.
“Clara… Clara…?”, la richiamò più volte, fino a che non sembrò risvegliarsi da quella trance momentanea, spostando lo sguardo che teneva ancora fisso sul punto in cui fino a pochi secondi prima si trovava River.
“Mh? Nessuno, solo un’amica, una vecchia amica... Allora”, proseguì alzandosi dai gradini con rinnovata freschezza e finto entusiasmo, “scoperto qualcosa?”.
 
E sotto lo sguardo vigile ed accigliato di Ashildir, si avvicinò di nuovo alla consolle pronta ad inserire le coordinate e partire. Avrebbe avuto altre occasioni per parlare con River, almeno sperava fosse così, e la prossima volta non si sarebbe lasciata scappare dalle mani l’opportunità di conoscerla e approfondire quel discorso.


Diletta's coroner:
Sono mesi e mesi che non srivo e non pubblico più nulla, è bello tornare!
Non sono convinta al 100% di questa fanfic, l'avevo in cantiere da un po', ma ogni volta che la rileggevo non ne ero mai soddisfatta.
Ho corretto qualcosina e oggi mi sono decisa a pubblicarla, spero di aver fatto bene e che vi piaccia!
Ci si vede nelle recensioni :)
Geronimooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo
  
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