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Autore: Echocide    22/07/2017    3 recensioni
Una piccola raccolta di missing moments dedicata alla serie 'Quantum Universe'.
01. Come Adrien e Rafael si conobbero...
A pelle, sentiva proprio che quella sarebbe stata una persona da tenere alla larga: troppo sicuro di sé, troppo sfrontato, troppo…tutto.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quantum Universe'
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Titolo: Scene
Personaggi: Un po' tutti
Genere: slice of life, generale
Rating: G
Avvertimenti: oneshot, what if...?, raccolta
Wordcount: 1.321 (Fidipù)
Note: Salve a tutti! Eccoci qua con un nuovo capitolo di Scene, stavolta il protagonista è Wei: il nostro caro Portatore della Tartaruga l'abbiamo conosciuto come un giovane, giunto a Parigi dalla lontana Cina, che trova leggeri problemi per il cambio culturale e di lingua; sappiamo già come ha ricevuto il suo Miraculous e, con questo capitolo, ho cercato di dar voce al motivo per cui ha lasciato casa e si è trasferito in Francia.
Ed ecco che nasce questa scena, ben diversa da quelle degli altri portatori.
Detto ciò, come sempre si passa alle informazioni di rito: vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli e vi do appuntamento alla prossima settimana, bella carica di aggiornamenti come sempre.
E infine vi ringrazio tantissimo tutti per il fatto che leggete, commentate e inserite le mie storie in una delle vostre liste.
Grazie mille!

 

 

Attorno a lui c’erano rumori e voci, tanto che avrebbe voluto chiudere gli occhi e ascoltare tutto: era l’ultima occasione per sentire la sua lingua natale, prima di imbarcarsi sull’aereo e attraversare gran parte del globo.
Inspirò profondamente, cercando di non pensare alle ore di volo che lo avrebbe costretto in un cilindro di metallo sospeso nel cielo.
Non aveva mai fatto viaggi così lunghi e, doveva ammettere, che sentiva l’ansia ghermirlo e posarsi alle sue spalle: il cuore batteva furioso nel petto e più volte si era attaccato alla bottiglietta dell’acqua, cercando di rendere meno secca la gola.
«Io non ti capisco» la voce di sua madre lo fece sorridere, mentre abbassava lo sguardo sulla donna minuta al suo fianco, la mano ben artigliata sul braccio del suo fratellino più piccolo: «Potresti rimanere qui e andare a lavorare con tuo padre.»
Wei abbozzò un sorriso, infilando le mani nelle tasche dei jeans e guardando il pavimento di mattonelle grigie: era un discorso già fatto, ben conosciuto al ragazzo, che accettò il seguito con un sospiro, mentre sua madre recitava alla perfezione quel soliloquio già provato.
Pechino non offriva grandi possibilità di lavoro per uno come lui che, a stento, era riuscito ad arrivare alla fine delle superiori senza gravi voti fallimentari. Entrare in un’università con l’agevolazione di una borsa di studio era stato pressoché impossibile, troppa la competizione.
Aveva iniziato a lavorare, ma il guadagno non era all’altezza delle ore di lavoro e molto presto si era ritrovato insoddisfatto.
Perché ammazzarsi di lavoro per una manciata di yuan?
Forse era stato viziato, forse era stato troppo ottimista.
Forse semplicemente avrebbe dovuto chinare la testa e continuare per la strada.
Tutte cose che non era riuscito a fare, troppo il volere più guadagni e rendere così più agiata la famiglia alla sua famiglia: non erano poveri ma arrivare alla fine del mese risultava sempre più faticoso, soprattutto adesso che i suoi fratelli stavano crescendo e nuovi bisogni nascevano.
La sua famiglia si era altamente infischiata delle leggi cinesi sulla prole, mettendo al mondo ben cinque figli, pagando la sanzione dovuta allo stato per ogni bambino in più.
Wei ricordava ancora gli sguardi dei vicini quando, da un piccolo villaggio della Manciuria, si erano trasferiti nella grande Pechino: all’epoca erano solo tre figli, eppure i suoi genitori venivano additati e le voci sussurravano alle loro spalle.
Quando poi erano giunti il quarto e quinto figlio, la famiglia Xu era ormai segnata come ribelle e per nulla interessata ai problemi del loro paese.
Una famiglia numerosa, però, richiedeva anche molte entrate e quelle non le avrebbe avute rimanendo lì.
Suo padre era solito narrargli di quando lui era giovane e si sognava uno stipendio, come quello che aveva ora, ma per Wei erano ancora troppo poco.
L’idea di andarsene era giunta quando un parente lontano della madre era tornato in Cina per un viaggio di piacere e aveva raccontato di come si era stabilito in Francia e dei guadagni che lì faceva: Wei era stato letteralmente catturato dalle appetitose opportunità che la capitale francese offriva, iniziando a progettare il piano che lo aveva portato lì in quel momento.
Aveva quasi implorato il parente di trovargli un lavoro e lo aveva contattato con cadenza regolare, fino a quando questi non lo aveva informato delle possibilità che aveva trovato per lui: Wei aveva subito accettato, tagliando velocemente i ponti che aveva lì e preparandosi alla partenza verso quella nazione così lontana e sconosciuta a lui.
«Potevi rimanere qui» mormorò sua madre, scuotendo la testa e alzando lo sguardo verso di lui, le labbra imbronciate mentre alzava decisa il mento: «Ti eri trovato anche quella brava ragazza e cosa fai? La molli perché te ne vuoi andare in Francia!» lo picchiò sul braccio, tirando su con il naso e voltandosi di lato, lisciando con la mano libera la casacca che indossava quel giorno, sulle cui maniche erano ricamati due dragoni.
Proprio come era lei in quel momento.
«Devo pensare a voi» mormorò Wei, avvicinandosi alla donna e poggiando la testa contro quella della madre, lasciando andare un sospiro: «Non posso rimanere qui, mamma.»
«Devi pensare a te stesso» bofonchiò la donna, tirando nuovamente su con il naso: «Devi trovarti una brava ragazza e sposarla, metter su famiglia e…» si fermò, sbuffando stizzita e pestando un piede per terra: «Che dico? Ormai hai preso la tua strada e sei un testone come tuo padre. Buono e calmo, per carità. Ma quando si mette in testa qualcosa, non lo smuovi quasi fosse l’Himalaya!»
Wei ridacchiò, stringendo la donna in una stretta decisa e socchiudendo gli occhi, aspirando il profumo di fiori che lei emanava sempre: «Mi mancherai» mormorò, lasciandola andare e sorridendo appena: «Ogni giorno sentirò la tua mancanza.»
«Non partire e non avrai questo problema.»
«Mamma…»
«Finché non ti vedrò salire su quell’aereo, mi sento in dovere di provarci» decretò la donna, tirando nuovamente su con il naso e fissandolo imbronciata: «E’ un peccato che tuo padre e i tuoi fratelli non siano potuti venire.»
«Non importa.»
«Sì, che importa. Chissà quando tornerai.»
«Appena mi sarà possibile» dichiarò Wei, alzando poi la testa quando dall’alto giunse la voce metallica che annunciava i voli successivi, li ascoltò in silenzio, annuendo quando sentì il proprio e lasciando andare un sospiro: «Devo andare.»
«Stai attento.»
«Lo farò» mormorò il giovane, stringendo in un abbraccio la madre e poi chinandosi verso il fratellino più piccolo, sollevandolo da terra e facendolo volteggiare, ricevendo in cambio una risata gorgogliante: «Starai attento alla mamma, mentre non ci sono?»
«Sì» dichiarò il piccolo, stringendosi a lui e strusciando il viso contro il collo: «Torna preso, fratellone.»
«Appena possibile» bisbigliò Wei, allungando il braccio sinistro e stringendo la madre in un ultimo abbraccio, inspirando gli odori che, per un po’, non avrebbe sentito: «Mi mancherete tanto, ma sarete sempre con me» dichiarò, lasciandoli poi andare: «Dì a papà di non lavorare troppo, appena avrò il primo stipendio…»
«Wei, vai e non pensare a noi.»
«E’ per la mia famiglia che vado, mamma» dichiarò il ragazzo, sorridendole appena: «Tienili in riga, ok?»
«E’ quello che faccio sempre.»
«E…»
«Saremo qui, quando tornerai» dichiarò sua madre, spintonandolo leggermente: «Adesso vai, altrimenti ti lasciano a terra.»
Wei annuì, sistemandosi lo spallaccio dell’ampio zaino che aveva scelto come bagaglio a mano e si voltò, facendo il primo passo verso la sua nuova vita: Parigi.
Si era informato sulla capitale francese, trovandola così diversa dalla sua Pechino.
Aveva letto con avidità ogni informazione, aggiornandosi sulle ultime notizie e rimanendo quasi stupito, quando aveva letto del duo parigino di eroi che proteggeva la città: questi occidentali che leggevano troppi fumetti…, si era ritrovato a pensare con un sorriso, mentre passava a informazioni più importanti per la sua sopravvivenza nella città.
Come imparare il francese.
«Parigi…» mormorò fra sé, mentre seguiva le indicazioni e si avvicinava sempre di più al proprio gate: che cosa avrebbe trovato in quella città? Come sarebbe stato vivere in un posto così diverso?
Doveva avere paura, sentirsi agitato per questo salto nel vuoto e, in parte, si sentiva così: il cuore batteva furioso, la gola era secca e più volte aveva dovuto stringere i pugni, per fermare il tremore delle mani.
Ma quella non era la paura e l’ansia che si aspettava.
Non era il terrore dell’ignoto, era più un’impaziente voglia di giungere.
Voleva andare a Parigi, il suo intero corpo lo desiderava e non capiva il perché.
Che sia il mio destino?, pensò fra sé e ridacchiò del suo stesso pensiero, così simile a quelle che la nonna materna era solita fare, quando si ritrovava a fare qualcosa di inconsueto.
Destino.
Forse era veramente il destino ad averlo messo sulla strada per Parigi.
Un destino migliore di quello di semplice operaio in un fabbrica pechinese.
Un destino più grande, dove avrebbe fatto soldi e avrebbe fatto vivere nell’agio i suoi.
Un bel sogno, senza ombra di dubbio.

 

   
 
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