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Autore: Avareil    22/07/2017    4 recensioni
Mito ancestrale, fondativo, quello di Ade e Persefone narra del legame tra Superficie e Oltretomba, avvinte in una danza ciclica e imperitura.
Un'unione ostacolata, un sentimento messo a tacere, il destino dell'uomo minacciato dall'egoismo.
I miti raccontano l'immortalità degli dei, tralasciando il loro essere vivi e pervasi da sentimenti umani, troppo umani.
Celebriamo la vittoria della fiamma sulla brace.
Cantiamo la storia di una vita promessa alla morte.
*In revisione*
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Estia, Persefone
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

L’impatto era stato così violento da sottrargli qualsiasi consapevolezza del corpo.
Un dolore acuto, lancinante, assordante, accecante lo aveva strappato alla consapevolezza della vita per consegnarlo alla più nera delle incoscienze.
Il nulla, voragine nera e insaziabile, lo avvolgeva come un mantello spesso, soffocando ogni mormorio, ogni richiesta, ogni preghiera e la mente, oramai al collasso, non guidava più il corpo distrutto, massa informe e disarticolata.

Cosa è successo?

Un solo interrogativo echeggiava ciclicamente da sponda a sponda nella mente turbata, ricordi contorti dietro le palpebre serrate.

Cosa mi è successo?

Cullato da ciò che sembrava acqua, ma che acqua non era, sprofondava lentamente verso le viscere della terra, madre esasperata dalle azioni dello spregevole Crono.

Madre?

Padre.

Un’immagine, più vivida delle altre, tormentava adesso l’animo squarciato: un colpo a tradimento in pieno petto, due occhi cristallini e sgranati rivolti verso di lui, poi, quel dolore maledetto e terribile.
 
Lì aveva avuto inizio la sua discesa: quella dei sensi, quella della coscienza.
 
Perso nelle tenebre che lo abbracciavano come grembo di donna, percepiva distintamente una sostanza vischiosa risucchiarlo in profondità: la sofferenza, compagna perenne, infieriva sulle carni schiacciate, pungeva i polmoni contratti, rallentava il flusso sanguigno rendendo qualsiasi attività vitale profondamente penosa.  
La vita fuggiva da lui come una lepre dal proprio carnefice, eppure, l’essenza divina, lo ancorava all’esistenza, rendendo impossibile l’agognata morte, porto sicuro e scevro da ogni dolore.
Disperato dalla consapevolezza di sapersi in eterno legato a una vita fatta di nulla e silenzio, smarrita in una notte eterna, il dio distrutto aveva tentato un movimento, un qualsiasi movimento che urlasse che lui era lì, ancora vivo, ancora forte, ma nessun arto, nessun pensiero accompagnava la sua strenua volontà di mantenersi in vita.
Era stato proprio in quel momento, logorato da un’evidenza alla quale non voleva ancora arrendersi, che l’aveva sentita per la prima volta.
Non bisbiglio divino, non parola umana, ma sensazione sottile capace di manipolargli la mente, di ottenebrare gli ultimi lucidi pensieri:

“Il tempo è oramai propizio, Ade”.

Quel che rimaneva del dio, dai fulgidi capelli biondo cenere agli arti scomposti e laceri, si ricomponeva con sforzo sovrumano, rianimato da quell’essenza che permeava corpo e animo come soffio vivifico.  

“Il vostro animo pone domande alle quali non è facile trovare risposta. Saprete ciò che è giusto sapere, nulla di meno, nulla di oltre, Ade, figlio di Crono”.

Ade, figlio di Crono.

Quel nome.
Quei nomi.
Riconosceva quel nome, Ade, Ade figlio di Rea, essenza benevola, ma quell’altro, il patronimico, riecheggiava nelle cavità del suo essere, malsano e infausto: pochi istanti, pochi ricordi, poche immagini e già il cuore tremava di piena consapevolezza.
Il colpo feroce scagliato contro il petto rivestito di brillante e inutile armatura, due occhi azzurri sgranati per la paura, urla straziate di dea, fetore di bruciato.
E come se il tormento del ricordo non fosse ancora sufficiente, il dolore squarciava il velo della memoria e faceva assaporare nuovamente quella luce del sole, vissuta per poco, troppo poco, prima che la fame paterna lo risucchiasse in una nuova oscurità: lui il primo, lui l’ospite per quei fratelli che, impauriti, lo raggiungevano nelle cavità atroci del ventre nero.

Ade, figlio di Crono, divorato per fame di potere.

“Ade, figlio di Crono, ascoltate attentamente la parola eterna”,

lo spirito fumoso e viscido scandiva ogni parola, cadenzava ogni verbo affinché egli lo udisse con apodittica chiarezza.  

“Il vostro cuore è altruista, l’animo forte. Vi si offre una possibilità, da questa dipenderà la sorte dei fratelli e del cosmo”.

L’ennesimo soffio l’aveva pervaso intimamente, un fiato caldo capace di elettrizzare le membra donando nuova consapevolezza.
Eppure non era cosa buona: con la consapevolezza era giunta la sensibilità e, con essa, il dolore che l’apatia aveva messo con difficoltà a tacere. Brividi sanguinanti logoravano la mente prima che il corpo, massa informe di organi e pezzi di arti, acquisisse piena coscienza di sé: la vita scorreva via dalle gambe tumefatte, dalle ossa fuori posto, dagli occhi spenti, dalle orecchie sorde, dalle emorragie interne e purulente.
Essenza ambigua, colei che lo rianimava, poneva in essere la sofferenza come punizione per una scelta errata.  
Quel tormento, infatti, sarebbe durato in eterno, goccia di sangue dopo goccia di sangue, a meno che la strada intrapresa non fosse stata quella designata dal fato.

“Dite”. Un rantolo proferito tra i denti che non sapeva di possedere ancora.

Era come morire ad ogni respiro.

“Sacrifichereste la vostra vita in cambio della salvezza dei fratelli e del cosmo?”
Fra le spire di quel dolore che lo avvolgevano per stritolarlo con ferocia, udiva la proposta dell’essenza equivoca e ne saggiava il significato come si fa con l’ambrosia dolciastra.
Avrebbe dato la sua vita mille e mille volte ancora in cambio di quella dei fratelli.
Avrebbe abbracciato la morte come benevola sorella piuttosto che soffrire un’esistenza fatta di quel dolore assurdo e crudele.

“Si, sempre”. Con quel poco fiato rimasto nei polmoni feriti, egli aveva risposto, imboccando la strada della morte.

Solo allora lo aveva udito, un gorgoglio basso e terrificante che sapeva di patto diabolico:

“La scelta è compiuta, la vita ceduta: siete legato all’invisibile, all’oltre.  L’occhio che scorgerà le vostre sembianze non sarà estraneo al terrore, mai”.

Un altro sospiro gutturale, un vento gelido che sferzava il volto distrutto del dio candido:

“Promettete, sovrano d’Averno”.

“Prometto”,  aveva ringhiato all’ennesimo pezzo di sé che sentiva staccarsi.

Gelida aria, gelida acqua, gelido abbraccio.
L’essenza lo cullava materna e terribile restituendo la forza e l’integrità delle membra, ma esigendo in cambio la vita splendente: un destino peggiore della morte, con l’inganno veniva carpita l’aura superficiale del maggiore dei Cronidi.

Nel silenzio aveva riaperto gli occhi, ora attenti e lucidi.
Uno strano luogo lo accoglieva: immerso fino alla cintola in acque calme e fresche, si ritrovava al centro di una conca segnata dalla presenza di quattro affluenti. Le tenebre regnavano sovrane insieme ad un odore pungente che sapeva di zolfo e metano.
Nuovamente corpo, nuovamente mente, nuovamente dio vivo e tangibile, aveva raggiunto la sponda ma quando il piede si era poggiato sul suolo nero, una fitta lancinante lo aveva colpito alla bocca dello stomaco costringendolo a curvarsi.
Un feroce colpo di tosse, sangue nero misto ad acqua macchiava il suolo brullo.

Il nuovo tributo veniva versato all’Averno, dimora nera dell’oltre.







L'Angolo di Avareil
Eccoci qui, come promesso inizia questo lungo cammino di nome revisione.
Alcune cose cambieranno, soprattutto nei primi capitoli muterà lo stile e la forma. Di base le immagini saranno le stesse ma alcune cose, necessariamente, saranno modificate. Vi invito, dunque, a rimaner sintonizzati. Qualora aggiungessi delle scene mi premurerò di avvisarvi.
A presto e un forte abbraccio.
La vostra Avareil

 
  
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