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Autore: lilylunapotter02    23/07/2017    0 recensioni
Harry/Louis, accenni Liam/Zayn
Allenatore!Harry, Ginnasta!Louis
Note: Harry, 22 anni, 172 cm Louis, 17 anni, 156 cm Usa team Ispirato al film Stick It
Louis ha abbandonato una finale mondiale a squadre di ginnastica artistica facendo perdere la sua nazione e Harry è l'allenatore della VGA, la palestra dove sarà obbligato ad andare un anno dopo lo scandalo che lo portò su tutti i giornali del paese.
Genere: Erotico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Si era assopito, aveva la testa poggiata sul braccio puntellato di fianco al finestrino e le gambe stese davanti a lui. A risvegliarlo fu uno stridore di freni, la macchina che si fermava e una portiera che sbatteva. Louis sperava davvero fosse un autogrill dove potersi cambiare quanto meno i pantaloni, ma il suo sesto senso da guai in arrivo gli suggeriva che non fosse così. Si passò le mani sugli occhi cercando di scacciare via la sensazione di stanchezza dal suo corpo. Quando si stiracchiò le gambe e le braccia sentì ogni fibra del suo corpo che implorava un'altra ora di sonno, come minimo. La voce del padre che gli intimava di scendere dalla macchina però non era d'accordo. Avrebbe voluto urlargli che poteva anche smetterla di urlare e di rompere il cazzo perché in ogni caso nel giro di due ore massimo si sarebbe liberato del figlio imperfetto, quindi ora poteva anche aspettare. Si trattenne solo al pensiero del telefono custodito gelosamente nella tasca dei pantaloni che in teoria non dovrebbe avuto dietro secondo le disposizioni del giudice. Si scrocchiò il collo e le dita delle mani prima di aprire la portiera e scendere dall'auto. Il suo più grande incubo alla fine era divenuto realtà. Davanti a lui si stagliava un edificio che recava a caratteri cubitali la scritta VGA. Si fermò un attimo a guardarlo, o meglio, a fulminarlo con lo sguardo, ma essendo fatto di mattoni era immune al tipico sguardo carico di odio alla Louis Tomlinson. Il padre gli urlò di prendere i borsoni in baule e di seguirlo velocemente perché non aveva tempo da perdere. Louis si domandò se non avesse tempo da perdere o non avesse tempo in generale da spendere per lui. Probabilmente la seconda. Afferrò svogliatamente i suoi bagagli prima di sbattere con forza la portiera del baule. Che gli importava ormai se la macchina si rompeva. Suo padre in ogni caso l'avrebbe lasciato lì, era lui quello che doveva tornare velocemente a casa perché in teoria quella sera avrebbe avuto una cena di beneficenza. La ghiaia scricchiolava sotto i piedi del ragazzo e continuava a piovere. Giornata peggiore di quella non sarebbe mai esistita sulla faccia della terra. Possibile che tutte a lui dovessero capitare le sfighe del mondo? Quando arrivò davanti alla porta della VGA dovette rivalutare però lo stare sotto l'acqua a bagnarsi, perché davanti a lui c'era una porta che portava in una fottuta palestra di ginnastica artistica e lui si era ripromesso di non mettere mai più piede in vita sua in un posto del genere. Attraverso il vetro poteva vedere suo padre parlare con due uomini che gli davano le spalle. Non aveva senso aspettare ancora, anche perché non aveva via di scampo. Cercò di aprire la porta ed entrare senza fare rumore. Il suo piano funzionò fino a quando non lasciò cadere i borsoni per terra. Non aveva previsto che l'impatto con il pavimento sarebbe stato così forte. Arricciò il naso infastidito al sentire il rumore e quando alzò lo sguardo trovò tre paia di occhi che lo guardavano. Arricciò il labbro in un'espressione di superiorità. Quando si avvicinò si rese conto di non aver mai odiato così tanto la sua scarsa altezza. Tutti e tre gli uomini erano più alti di lui di minimo quindici centimetri, per non parlare del padre che da sempre svettava su di lui. Nuovamente si sentì a disagio in quei vestiti così poco simili a quelli che era solito indossare di solito. E poi, Dio, quei pantaloni assomigliavano così tanto alla tenuta da gara. Così aderenti che sembrava che non arrivasse neppure il sangue alle gambe. E poi sembravano fatti apposta per mettere in risalto le gambe e il culo.  Louis rabbrividì a quel pensiero. Non vedeva l'ora di poterseli togliere. 《Louis, questi sono Vikerman》il padre non si preoccupò di spiegare chi fosse Vikerman, ma non ce n'era bisogno, tutta l'America sapeva che era il proprietario della VGA nonché ex ginnasta《e Harry Styles》 Non c'era bisogno neppure di presentare Harry Styles. Anche lui era un ex ginnasta di solo 22 anni, ritirato dalla vita agonistica due anni prima in seguito a un infortuneo durante una gara. I due uomini lo guardavano in silenzio. 《Harry accompagna Louis in palestra》Louis digrignò i denti. No la palestra no, Cristo.《Spero che tu abbia qualcosa da metterti per fare il tuo primo allenamento dopo un anno dall'ultimo.》 Vickerman era appena entrato nella sua lista nera, decisamente. 《Io non mi allenerò.》 Lo sguardo dell'uomo era duro. 《Come scusa?》 Louis sbuffò mentre guardava il profilo di Harry sparire dentro la palestra. Era stato richiamato da uno dei suoi assistenti e si era congedato velocemente. 《Ho detto che non ho intenzione di allenarmi.》 Il padre gli lanciò uno sguardo da far accapponare la pelle. 《E cosa ci fai qui allora?》 Una risata saccente fece guadagnare a Louis l'ennesima occhiataccia. 《Evito il carcere minorile o i marines. Anche se rispetto a tornare ad allenarmi preferirei andare a combattere in Iraq.》 Quando Louis entrò in palestra ebbe un piccolo deja vu. Che non era poi così piccolo. La prima cosa che sentì fu quel suono che aveva sempre associato alla ginnastica artistica. Le parallele che scricchiolano leggermente, il rumore che fanno i piedi quando toccano la pedana, le mani che si spostano sul cavallo, gli anelli che si spostano. Serrò gli occhi mentre troppi ricordi che non sarebbero mai dovuti riaffiorare lo investivano come una macchina da corsa lanciata alla massima velocità. Chiuse i pugni così stretti che sentiva le unghie conficcate nella carne. Il rumore di qualcuno che cade lo obbligò ad aprire gli occhi e affrontare la realtà. Un ragazzo stava facendo una gran volta sulle parallele mentre un altro si preparava probabilmente al salto finale per completare il suo esercizio alla sbarra alta. Sulla pedana due ragazzi ascoltavano musica con gli auricolari mentre allungavano i muscoli. Due lacrime scesero dagli occhi di Louis. Le asciugò velocemente prima che qualcuno le potesse vedere. Aveva un dannato bisogno di piangere, di lasciarsi andare alla debolezza. Nessuno avrebbe mai potuto capire. Semplicemente perché nessuno in quello sport riusciva a guardare oltre il coefficiente di difficoltà e il punteggio finale. Ma forse era giusto così. Più cose capisci più possibilità hai di cadere. E l'anno prima Louis era crollato. Era crollato e si era ritirato in piedi. Ma non era pronto a cadere di nuovo. Perché non avrebbe avuto la forza per risollevarsi nuovamente. Vide quell'Harry correggere la posizione del bacino di un ragazzo. Dio, quello stava facendo un esercizio così fottutamente banale e scadente. Strinse le maniche della sua felpa quando sentì dei sussurri non tanto celati. Vari occhi erano puntati su di lui. Alcuni erano curiosi, altri indifferenti, ma quelli che lo ferirono di più furono quelli pieni di disprezzo. Già, non sarebbe stato facile ricominciare con così tanti pregiudizi su di lui. Anche Harry parve rendersi conto che Louis fosse entrato in palestra dopo essersi cambiato, perché lasciò il ragazzo che stava seguendo a completare il suo terribile esercizio per avvicinarsi a lui. 《Ti sei cambiato.》 Appena due ore prima Louis avrebbe dato carte false per potersi togliere i vestiti che indossava fin da quella mattina, ma ora non era poi così felice. 《Che ne dici di iniziare con un po' di riscaldamento? Non tocchi pedana da un bel po'.》 Tutti i ragazzi avevano interrotto quello che stavano facendo per guardare Louis Tomlinson, l'atleta che aveva fatto perdere la sua nazione. Il castano avrebbe voluto mettersi a ridere. Tutti lì a guardarlo, anche quelli che stavano ascoltando la musica si erano tolti gli auricolari, aspettando che lui facesse un passo falso, che sbagliasse anche il salto più semplice. Ne avevano dette di tutti i colori quando aveva abbandonato la pedana dei mondiali. Alcuni dicevano che non era pronto per affrontare una finale (cazzate, appena il giorno prima aveva vinto l'oro alla sbarra alta e l'argento al corpo libero) altri che era così egoista da importarsi solo dei suoi risultati. Mai uno che si fosse avvicinato alla realtà. 《Perché riscaldarsi? Magari se mi faccio male mi lasceranno andare via da qua. E poi non posso annoiare i miei nuovi spettatori con delle semplici verticali o delle banali spaccate.》 Alcuni restarono a bocca aperta, probabilmente, convenne Louis, nessuno aveva mai osato parlare così all'allenatore. Lentamente, quasi stesse facendo uno spogliarello e volesse essere sicuro che tutti gli occhi fossero puntati su di lui, si tolse le scarpe. Non si dovette neanche abbassare per togliersi i calzini. Le vans si mettono rigorosamente senza fantasmini. Era arrabbiato. No, non era arrabbiato, era furioso. L'avevano obbligato a rimettere piede in palestra e a ricominciare ginnastica artistica senza preoccuparsi di come lui stesse andando a pezzi. Ogni attimo che trascorreva in quel posto sentiva un mattone del muro che aveva costruito per esternarsi dal mondo crollare. E ora era ritornato a far parte di quel mondo che l'aveva distrutto così tante volte. Fece un risvoltino in più ai suoi pantaloni della tuta per evitare di inciamparci e si tolse la felpa restando a petto nudo. Si avvicinò alla pedana e i ragazzi che prima si stavano scaldando su essa si sposarono andando ad appoggiarsi alla trave. 《Cos'è che fate adesso prima di fare un esercizio?》chiese ironico, prima di unire i piedi e piegarsi afferrando le caviglie. 《Non male per uno che non fa ginnastica da un anno.》commentò con un ghigno sul volto. Il petto aderiva perfettamente alle gambe. Alzò una gamba portandola in alto fino a formare un angolo di 180°. Poggiò le mani a terra, i palmi aperti a contatto con la stoffa della pedana. Poi, lentamente, sollevò anche l'altra gamba, arrivando a compiere una verticale perfetta. La schiena non era eccessivamente arcuata e le punte dei piedi erano tese. Non si muoveva, stava lì immobile. 《Noioso vero?》spostò gradualmente il peso del corpo dalle braccia alle gambe, ritornando in piedi. Mentre eseguiva la rovesciata la schiena scrocchiò. Di nuovo a testa in su sorrise sornione a nessuno in particolare. 《Com'è che sono i vostri esercizi banali?》 Con ancora gli occhi di tutti puntati addosso si avvicinò alla vaschetta con la pece poggiata a terra. Ci mise dentro i piedi e si piegò per cospargerli per bene. Fece la stessa cosa anche con le mani mentre milioni di flash di lui che faceva le stesse operazioni gli passavano davanti agli occhi. Prese un respiro profondo e alzò entrambe le braccia come per salutare la giuria. Ora c'era solo lui, lui e la maledetta pedana. Sentiva il ciuffo solleticargli la fronte e cercò di portarlo il più indietro possibile. Non lo obbligava nessuno a farlo, certo. Poteva benissimo mettersi a ridere e chiedere "davvero pensavate che l'avrei fatto?" e sarebbe andato bene. Ma era una questione irrisolta tra lui e la ginnastica artistica. Non c'era nessuno a giudicarlo ora, nessuno che guardava il suo corpo come se fosse stato un oggetto. Beh, a parte uno o due ragazzi che fissavano in modo ossessivo il suo petto, ma loro non facevano testo. Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi sulle sue emozioni. Come aveva sempre fatto. Ma in quel momento non aveva senso annullarle. Lui era lì, su quella pedana, perché era arrabbiato non perché doveva vincere. Era lì per cercare di non spezzarsi completamente. O forse quello era il modo per distruggersi a fondo. Non aveva importanza. Riaprì gli occhi e guardò fisso davanti a sé. Si spostò in un angolo della pedana e prese un respiro profondo. E iniziò a correre. Contò i passi come aveva sempre fatto, rovesciata e si parte. I suoi muscoli si mossero da soli. Era semplicemente un esercizio che aveva fatto un'infinità di volte. Non ricorda per che gara. O magari era per una di quelle esibizioni organizzate per mostrare a non si sa chi quanto sono bravi i ginnastica di quella società. O forse era già in nazionale. Probabile. C'era stato per così tanti anni. Anzi sì, era sicuramente uno degli esercizi degli anni del team USA. In aria il suo corpo si muoveva veloce, preciso. Poteva quasi sentire la voce del suo vecchio allenatore ricordargli di tendere le punte dei piedi. Tocca terra una volta e i suoi polpacci si tendono e sta nuovamente ruotando. Un piccolo saltello è l'unica sbavatura di quella diagonale di alta classe. Un piccolo insignificante errore che il vecchio Louis non avrebbe mai accettato. Si gira ed è pronto per la seconda diagonale. È consapevole di avere varie paia di occhi puntati addosso. Ma per la prima volta non gli interessa. Non davvero. Quel giorno non ci sono avversari da battere per afferrare l'ennesimo oro, non c'è nessun allenatore da stupire (o quanto meno quello non è il suo intento). C'è solo la sua rabbia da sfogare, il suo inferno personale da affrontare, le sue paure da superare, ma soprattutto una persona a pezzi da cercare di non distruggere ancora di più. La seconda diagonale è quasi perfetta, arriva solo troppo vicino alla fine della pedana per i suoi gusti. Manca la terza e poi il lavoro a terra. Anche quella finisce prima che lui se ne possa rendere davvero conto. Una rincorsa che sembra voler iniziare una nuova diagonale ma che non resta nulla più che una capriola. Con la spinta della rotazione alzarsi in una verticale non è difficile. Le gambe inizialmente allineate (e con le punte tirate) si divaricano. Il bacino scende leggermente. Poi, lentamente scende dalla verticale lasciando le mani a terra a reggere il peso del corpo e delle gambe ancora tese e divaricate. Alla fine si poggia a terra con tutto il corpo distendendosi per poi arcuare la schiena e tirarsi su in ponte. Tre rovesciate indietro ed è nuovamente sull'angolo della pedana. Quando manca solo l'ultima diagonale prende l'ennesimo respiro profondo e gli sembra quasi di sentire il suono che gli ricorda che ha solo altri dieci secondi per completare l'esercizio. Si mette in punta di piedi, difetto che ritorna sempre nell'ultima diagonale, e inizia a correre. Lo stacco è buono, magari al massimo un po' anticipato, ma va bene. Un doppio avanti, i piedi si bloccano leggeri per terra, le braccia alzate in segno di saluto ed è finita. Non aveva aspettato neanche un attimo. Era corso via, fuori dalla palestra. Aveva vaghi ricordi di dove fosse il bagno e si era fiondato lì. Neppure lui sapeva spiegare quel suo comportamento, semplicemente sentiva il bisogno di scappare. Da cosa poi? Forse era la consapevolezza che il suo corpo in quell'anno non era cambiato di una virgola. Sapeva svolgere quasi alla perfezione quasi tutti quei movimenti che aveva impiegato anni ad imparare. Ma ancora ora erano lì, impressi sotto pelle. Neanche tutte le cadute dallo skateboard, tutte le sigarette che aveva fumato, tutto l'alcool che aveva bevuto, erano riusciti a rovinarlo. A renderlo il corpo non così dannatamente perfetto del ginnasta modello che era. Ma invece, alla prima occasione, eccolo lì che tornava. Schifosamente impeccabile. Si poggiò con le mani al lavandino e si dovette perfino alzare in punta di piedi per vedersi allo specchio. Odiava essere così basso, così nano anche per un ginnasta. Altri avrebbero pagato oro per essere come lui. Essere bassi significa avere un baricentro più basso, e aver un baricentro basso porta al avere maggiore equilibrio. Che in quello sport è la base di tutto. Lui al contrario avrebbe davvero voluto essere più alto. Venti centimetri, non chiedeva tanto. Sentì delle lacrime scendergli dagli occhi e quando alzò lo sguardo l'immagine che gli restituì lo specchio non fu quello che sperava. Quell'esercizio l'aveva distrutto. Era come se ogni cosa gli volesse dire "questo sei tu. Non puoi scappare anche da te stesso"  No, non poteva. Sentì la porta del bagno aprirsi per poi essere sbattuta con forza. Dei passi risuonarono nella stanza silenziosa a eccezione di qualche singhiozzo sommesso proveniente dal castano. Non ci provò neanche ad asciugarsi le lacrime senza essere visto, le lasciò semplicemente scivolare veloci sulla sua pelle. Le strisce più lucide che si lasciavano dietro erano come ferite di guerra. Di una guerra persa per l'ennesima volta, però. 《Ti sei fatto male?》 Louis si girò, poggiandosi al lavandino con il corpo. 《Perché avrei dovuto farmi male?》 Il ragazzo, o forse avrebbe dovuto chiamarlo allenatore, davanti a lui lo guardò quasi scocciato. 《Perché dopo un anno passato a non allenarti e a distruggerti hai fatto senza neppure riscaldarti un esercizio che alcuni di loro non riescono a fare con così poche imprecisioni neppure quando sono al massimo della forma. Saresti potuto cadere e avresti potuto sbattere la testa. Volevi finire in ospedale per caso? Perché c'eri vicino.》 《Lo prendo come un complimento. E comunque Styles lo dovresti sapere che io non sono come loro. Sarebbe ben diversa la reputazione di questa palestra se almeno uno di quelli fosse arrivato quanto meno in una finale mondiale. Non dico vincerla, quello non è da tutti. L'anno scorso quell'esercizio l'avrei potuto fare senza imprecisioni a occhi chiusi. Non aveva un alto coefficiente. Appena 5.800, basso.》 Harry guardò quel ragazzo mentre l'altro continuava a parlare e si chiese come facesse ad andare avanti. Si vedeva ad occhio nudo che c'era qualcosa che lo distruggeva dentro. 《E tornerai a farlo a occhi chiusi. Come il 5.800 di coefficiente tornerà a essere un 7.100, ma lo farai riscaldandoti prima e facendo le cose in modo graduale. O vuoi fare anche un Cassina alla sbarra alta senza riscaldarti? Giusto per sapere se devo iniziare a chiamare un'autoambuanza.》 Il Cassina era uno dei salti più difficili che si potessero fare alla sbarra alta. Prendeva il nome dal suo inventore, Igor Cassina, ginnasta italiano che alle Olimpiadi di Atene 2004 aveva vinto l'oro proprio in quella specialità. Louis lo aveva sempre invidiato, soprattutto per la sua altezza. Un metro e ottanta, uno dei ginnasti più alti di sempre. 《Tranquillo Styles, non si pone il problema. Io non mi allenerò proprio, quindi niente Cassina. Immagino che dovrai insegnarlo a qualcuno se lo vuoi veder eseguito qui. Se no ci sono sempre i video su YouTube.》 Harry lo guardò duramente. Ma quando incontrò quegli occhi azzurri ancora velati dal pianto e da cui continuavano a scendere lacrime capì che non era così che l'avrebbe avuta vinta. Quel ragazzo era in grado di dare risposte piccate e piangere allo stesso tempo. Non seppe cosa glie lo fece fare, ma si avvicinò a Louis e lo strinse forte, abbracciandolo come se non lo dovesse più lasciare. Era basso, basso davvero. Mentre faceva l'esercizio non lo sembrava così tanto. Ma a quanto pare il suo metro e cinquantasei non era solo una leggenda. 《Staccati Styles, non ho bisogno della compassione di nessuno.》 Due braccia forti lo spinsero via. No, quell'approccio aveva fallito. 《A me sembrava che tu non stessi poi così bene.》 Louis si spostò lateralmente, compiendo un mezzo giro intorno al ragazzo in modo da trovarsi vicino alla porta. 《E dimmi, perché dovrei star male? Ti posso assicurare che la ginnastica artistica non mi era mancata per niente.》 Harry aprì e chiuse la bocca un paio di volte senza trovare nulla da dire. Il liscio dal canto suo aprì la porta pronto ad andarsene. E fu quello c'è fece mentre ribadiva nuovamente la sua scelta. 《Io non mi allenerò.》 Gli era toccato ritornare nella palestra per prendere la sua felpa e le sue amate vans nere sfondate. Quando entrò gli sembrò di trovare i ragazzi nell'esatta posizione di quando era corso via. Sembravano congelati, come se fosse passato un mago con la bacchetta magica e li avesse immobilizzati. Si mise velocemente le scarpe e la felpa, non curandosi di sporcarli di pece prima di avviarsi verso l'uscita. Aveva bisogno di darsi una fottuta calmata. Doveva smetterla di tremare come una foglia e di piangere. Così non avrebbe risolto nulla. Fuori pioveva ancora, ma per la prima volta c'era qualcosa che gli faceva più paura di un temporale. Quindi non se ne curò e iniziò a correre sotto l'acqua diretto dove i piedi l'avrebbero portato. Non andò molto lontano in ogni caso. Si fermò dopo appena cinque minuti di corsa. Non si era accorto di quanto la VGA fosse in una posizione centrale in quella città. Si sedette a terra, la schiena poggiata contro un muro, sotto a quello che poteva benissimo essere il porticato di una banca o di un'università. Si sentiva perso, solo. Seduto lì a guardare le persone che passavano e a dirottare i pensieri lontani dai ricordi. Dalla tasca della felpa tirò fuori il telefono con degli auricolari attaccati e un pacchetto di sigarette. Ne tirò fuori una e come aveva fatto un'infinità di volte la accesse e prese la prima boccata di fumo. Ma per la prima volta dopo tanto tempo non aspirò, buttando invece il fumo fuori. Non gli era mai piaciuto fumare, ma almeno una volta aveva un senso. Ora gli mancava anche quello. Fumava perché era diventata un'abitudine. Ma quella era un'abitudine del Louis che era crollato, morto, nel momento in cui aveva messo i piedi nella pece. Quel Louis fumava, beveva e cercava di cambiare il suo corpo in tutti i modi possibili. Ma quel nuovo, o era meglio dire vecchio, Louis cosa faceva? Scappava da se stesso e riportava alla luce vecchie routine. Ma non fumava, perché non ne aveva alcuna ragione ora che i suoi incubi erano diventati realtà. Stizzito buttò la sigaretta a terra e la pestò col piede prima di allontanarsi. Se devi attraversare l'inferno fallo a testa alta. E con le punte dei piedi tirate.
   
 
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