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Autore: Princess_of_Erebor    23/07/2017    19 recensioni
May è una giovane donna che vive nel XXI secolo. Un giorno si ritrova magicamente nella Terra di Mezzo, vedendo così realizzato il suo sogno più grande. Si unirà alla Compagnia dei Nani di Thorin Scudodiquercia e combatterà al loro fianco; vivrà esperienze uniche e incontrerà l'amore della sua vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Fili, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO XIII

L'ombra del dubbio





 
 
“Che ti avevo detto?” disse Fili, tirando un respiro di sollievo. “Il nostro amico è uno scassinatore esperto!”.
Si rivolgeva a May e parlava in tono sommesso, anche se avrebbe voluto gridare e saltare, euforico com’era. Prese la fanciulla per mano, sorridendole radioso: lei gli aveva dichiarato il suo amore e lui si considerava l’essere più fortunato della Terra di Mezzo. Sentiva il cuore scoppiargli di gioia.
“Aspettatemi qui, vado a liberare gli altri!”.
Così dicendo, Bilbo si allontanò rapidamente e con circospezione dal corridoio. Quando fu certo di non essere visto infilò l’Anello al dito e scomparve, dirigendosi verso i piani superiori; era l’unico modo per evitare le sentinelle elfiche. Ritornò pochi minuti dopo, seguito da dodici prigionieri dall’espressione trionfante. Alla vista di Fili e May che si tenevano la mano, Kili non poté trattenere una risatina compiaciuta; non ebbe bisogno di chiedere cosa fosse successo, poiché lo lesse negli occhi di entrambi, e un’affettuosa pacca sulla spalla del fratello maggiore rappresentò la sua sincera benedizione.
“Adesso che si fa?” domandò Dwalin, impaziente di abbandonare quel posto.
“Seguitemi!”, ordinò Bilbo. “Mi raccomando: siate veloci e silenziosi!”.
Li condusse giù per un certo numero di scale, fino a raggiungere le cantine; nell’ampio locale in cui si intrufolarono c’era un forte odore di vino. Due guardie russavano beatamente con la fronte appoggiata ad un tavolo, sopra il quale bicchieri e bottiglie vuote lasciavano dedurre che anche gli Elfi si ubriacavano, di tanto in tanto. Decine di botti vuote erano allineate sul pavimento e impilate l’una sull’altra; molte apparivano grandi abbastanza da contenere un Nano ciascuna. Sulla sinistra, una grossa botola di quercia – ora chiusa – si apriva per mezzo di una leva.
“Da questa parte!” indicò Bilbo, oltrepassando le guardie dormienti con passi lenti e felpati.
“Non ci credo, siamo nelle cantine!” bisbigliò Kili, innervosito e già pronto a tornare indietro.
“Dovevi portarci fuori, non ancora più all’interno!”, protestò Bofur.
“So quello che faccio!” rispose lo Hobbit, alquanto seccato. “Se non avete fiducia in me siete liberi di rientrare nelle vostre fresche celle, ma in quel caso tenete a mente che lo scassinatore non verrà di nuovo a liberarvi e, una volta che vi avrà rinchiuso, vi lascerà là dentro ad arrovellarvi il cervello finché non avrete elucubrato un piano migliore per tirarvi fuori da soli!”.
I Nani ammutolirono; non avevano mai visto Bilbo tanto risoluto. Si fermarono dinanzi alle botti, in attesa di ricevere ulteriori istruzioni.
“Entrate nei barili, presto!” sussurrò lo Hobbit, in preda all’ansia. Tutti lo guardarono confusi e Dwalin gli andò incontro accigliato.
“Sei impazzito?! Ci troveranno!” ringhiò.
“Non è così, te l’assicuro. Vi prego, dovete fidarvi di me!” li supplicò Bilbo.
“Ascoltate: dobbiamo fidarci del nostro scasshobbit! Non ci ha deluso finora, si è anzi dimostrato un compagno esemplare comportandosi meglio di quanto avrebbero fatto molti di noi. Dunque, il minimo che possiamo fare per ringraziarlo è affidarci a lui, non credete?”.
Tutti si voltarono verso quella voce innocente e decisa: a parlare era stata May, che nel frattempo aveva pensato bene di dare il buon esempio ficcandosi in un barile disposto in orizzontale, dal quale ora li fissava con aria di rimprovero. Lo Hobbit le sorrise con fiera gratitudine, ma gli altri – non ancora convinti e nient’affatto soddisfatti del piano – cercarono lo sguardo di Thorin, fermo su quello implorante dello scassinatore.
“Fate come dice!” intimò sottovoce il capo della spedizione, scambiandosi un cenno d’intesa con May e Bilbo. Ai Nani non rimase che obbedire. S’infilarono velocemente nelle botti; tutti tranne Fili, che invece si chinò su uno dei barili nella prima fila in basso.
“Non provare a fuggire via da me, perché ti troverò ovunque andrai”, disse il Nano in un sussurro. May colse la giocosa malizia delle sue parole e ne fu deliziata.
“A dire il vero vorrei fuggire non da te, bensì con te…” replicò, ammiccando.
Colpito dall’inaspettata audacia della giovane donna, Fili avvicinò il volto al suo, sfiorandone le morbide labbra con una dolcezza tale da farla tremare. Fu un bacio breve, interrotto dal severo richiamo dello zio che – sporgendo la testa oltre la botte – vide il nipote indugiare.
“Fili! Svelto!”.
Thorin non si era preoccupato di celare il suo disappunto, e a May venne da chiedersi se lo indispettiva di più il fatto che il parente si attardasse, o che l’avesse sorpreso a scambiarsi effusioni con lei.
“Benedetto ragazzo!” grugnì Dwalin rivolto a Fili, che si affrettava a prendere il proprio posto, “ti sembra il momento di mettersi ad amoreggiare?!”.
“Bilbo, che dobbiamo fare?” chiese Bofur, irrequieto.
“Trattenete il fiato!” fu la perentoria risposta, di cui i Nani afferrarono il significato non appena lo Hobbit tirò la leva: la botola di legno su cui poggiavano i barili si aprì lentamente verso il basso e i compagni piombarono nelle acque sotto di loro.
 
Bilbo li seguì poco dopo, lanciandosi goffamente nel fiume per poi cercare un appiglio nel barile di Bombur, il più vicino a lui.
“Complimenti, mastro Baggins!” esclamò Thorin, che come gli altri aveva iniziato a pagaiare con l’ausilio delle mani, facendosi strada attraverso la buia galleria che conduceva al cuore della collina. A May toccò fare altrettanto; non le piaceva remare e per sua fortuna non dovette continuare a lungo, poiché una corrente improvvisa e turbinosa la spinse in avanti. Ma sentendo il ruscello scrosciare sempre più forte tra le rocce, intuì che stava per fare un bel volo e provò il desiderio di riprendere a vogare.
“Tenetevi forte!” urlò Thorin, preparandosi a precipitare dalla cascata che li accoglieva spumeggiante. May si aggrappò convulsamente al bordo della botte; durante il salto mantenne serrati occhi e bocca (o almeno ci provò) e, riemergendo dall’acqua gelida, tossì. Respirava a fatica, bisognosa di aria. Non era allenata a trattenere il respiro per più di qualche secondo. In quel momento, i fuggiaschi udirono un corno suonare: era un chiaro segnale d’allarme ed essi sapevano che proveniva dalle caverne appena lasciate. Guardando avanti, scorsero quattro guardie in cima al tetto roccioso di una chiusa – sovente aperta per via del traffico che passava in ambedue le direzioni – in grado di sbarrare il corso d’acqua. Una leva collocata su quel piccolo “ponte” di roccia fu tempestivamente tirata da un Elfo all’approssimarsi dei barili e per i  prigionieri non ci fu scampo: il cancello si chiuse con fragore. Avanzare fu impossibile.
“No!”. Il grido di Thorin lacerò l’aria e dal fondo della fila May era sul punto di fargli eco, udendo il tintinnio delle spade elfiche sguainate all’unisono. Non osò alzare lo sguardo. La sua botte andò ad urtare quelle di Nori e Bombur, che si erano arrestate sotto l’arco scontrandosi con altre botti, ed ecco che la fanciulla si ritrovò anch’essa a galleggiare da ferma, bloccata a qualche metro dall’inferriata. Il corpo senza vita di una guardia cadde improvvisamente dall’alto colpendo il suo barile di striscio e, come veniva trascinato via dal moto del fiume, ella vide una freccia conficcata nella schiena dello sventurato. Inorridì, consapevole del fatto che lei e gli amici rischiavano di fare la medesima fine: gli orchi dai quali stavano scappando avevano teso loro un’imboscata e li trovarono disarmati. Senza darle la possibilità di tentare qualche disperata manovra difensiva, un orco si tuffò di fronte a May afferrando l’orlo del barile con una mano, inclinandolo, mentre con l’altra sollevava il pugnale, pronto a tagliarle il collo. Fortunatamente la lama di un altro pugnale, dalle magiche e potenti virtù, venne piantata nell’immonda carne della creatura dall’unico membro della compagnia che recava ancora un’arma con sé.
“Bilbo!” disse May con un filo di voce sorridendo allo Hobbit, che ora si reggeva alla sua botte. Fili era rimasto immobile ad osservare la scena, incapace di riaversi dal terrore; se non fosse stato per lo scassinatore, l’avrebbe persa. Era accaduto talmente in fretta che gli era mancato il tempo di agire. Si trovava troppo distante da lei, maledettamente incastrato e per di più sprovvisto di spada. Gli Elfi Silvani avevano confiscato ogni singola arma posseduta dai Nani, i quali, per combattere gli orchi che si gettavano nel ruscello, dovettero servirsi unicamente dei propri pugni e di tronchetti d’albero pescati sulla superficie dell’acqua. May approfittò della confusione per sgusciare fuori dalla botte, che lasciò nelle mani di uno Hobbit sconvolto, e correre in aiuto di Kili; vedendolo salire di corsa i gradini che portavano al ponticello e indovinandone le intenzioni, la giovane aveva provato un senso di orrore. Forse non sarebbe riuscita ad evitargli il peggio, tuttavia doveva rischiare. Era il suo migliore amico e il fratello minore di colui che amava; inoltre, egli si stava adoperando per salvarli e lei non poteva permettere che gli accadesse qualcosa. Con un balzo gli fu accanto, porgendogli una spada nemica raccolta ai piedi degli scalini. Lui la impugnò senza indugio e staccò ferocemente braccia e teste intorno a sé, proteggendo l’amica dagli orchi che sopraggiungevano sempre più numerosi. Ma fu inutile.
 
“May! Kili!”.
 
Il grido angoscioso di Fili giunse alle loro orecchie nello stesso istante in cui la freccia sibilante dell’orco Bolg, figlio di Azog, penetrava nella gamba destra di Kili, a lato del ginocchio. Il Nano cadde all’indietro e la speranza sembrò l’ombra di un soave ricordo, finché l’arrivo di Legolas – seguito da una decina di Elfi guerrieri – non capovolse la situazione. Le frecce piovvero impazzite in ogni dove, per affondare nel petto o nel collo delle malvagie creature. May si accovacciò sul ferito per soccorrerlo, ma non era sola: Fili l’aveva raggiunta.
“Presto!” li sollecitò Kili, facendo uno sforzo per rialzarsi. I due annuirono e si buttarono sulla leva da lui indicata, tirandola con tutta la forza che avevano: grida ed esclamazioni di vittoria furono udite in tutto il colle quando finalmente il cancello si aprì, cigolando. Con movimenti rapidi e delicati, Fili aiutò il fratello a mettersi in piedi guidandolo verso il barile che lo attendeva dabbasso; Kili vi saltò immediatamente dentro, ma nell’impatto la lunga freccia piantata nella gamba si spezzò e un’estremità schizzò via, procurandogli un dolore acuto. La punta, invece, rimase penosamente conficcata nel ginocchio. May lo sentì grugnire proprio nell’attimo in cui Fili la prendeva saldamente tra le braccia per tuffarsi dal tetto della chiusa; provò pena per il suo “fratellino” e si dolse di non avergli potuto risparmiare quella sofferenza. Ma non c’era tempo per pensare: la botte stava galleggiando via e il suo innamorato le diede una mano ad entrarvi, prima di recuperare la propria. La corrente era impetuosa e nel corso della fuga May, sballottata da ogni parte come una pallina da golf, ingoiò accidentalmente una gran quantità d’acqua. Decine di frecce provenienti da ambo le rive saettarono in direzione dei fuggitivi, ma nessuna di queste arrivò a colpire il bersaglio e, grazie all’intervento degli Elfi arcieri, gli ultimi orchi rimasti furono sterminati. Infine, la compagnia approdò su una spiaggia acciottolata situata sulla riva settentrionale del Fiume Selva (così veniva difatti chiamato), che in quel punto aveva scavato un ampio golfo.
 
 
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“Sto bene” disse Kili, sforzandosi di apparire rassicurante, “non è niente!”.
Aveva estratto la punta della freccia dalla gamba servendosi di un panno umido e a May, che lo osservava con la fronte aggrottata, non erano sfuggiti i denti serrati in una smorfia di dolore.
“Non è vero”, lo smentì prontamente lei in tono di bonario rimprovero.
“Stai tranquilla sorellina, ti assicuro che ora va molto meglio! E tu, fratellone”, proseguì rivolgendosi a Fili, che in ginocchio davanti a lui esaminava la ferita, “tu non hai nulla da dire alla nostra intrepida guerriera?”. Al fratello maggiore bastò un’occhiata per capire che Kili voleva restare solo, quindi si allontanò portando May con sé. La fanciulla sentiva un freddo cane e starnutiva a più non posso; dopo averla aiutata a strizzare bene gli abiti fradici, Fili l’abbracciò sfregandole schiena e braccia con le mani per scaldarla quanto più poteva, sebbene lui non fosse meno bagnato di lei.
“E’ molto bello ciò che hai fatto oggi per Kili”, le mormorò all’orecchio. “So che sei coraggiosa, ma devi promettermi che d’ora in avanti agirai con maggiore prudenza. Sei troppo preziosa per me, se ti capitasse qualcosa io… Io…”. Piegò il capo da un lato e chiuse gli occhi stringendola forte, come per impedire che qualcuno la portasse via.
“Oh no, tu non devi pensare queste cose!” lo riprese dolcemente May, accarezzandogli i contorni del viso con l’indice. “Non potrà capitarmi nulla di male, finché tu sarai al mio fianco”.
Fili non si aspettava una risposta simile. La sua voce tremò: “Resterò al tuo fianco finché tu lo vorrai!”.
May sorrise come solo una donna innamorata può fare e lui la baciò teneramente, ignorando gli sguardi niente affatto stupiti dei presenti.
“Qui ci scappa un bel nanetto prima o poi, ve lo dico io!” disse Bofur, ridendo sommessamente.
“O un cucciolo d’uomo”, rifletté Ori.
“O entrambi in un sol colpo”, concluse il sagace Nori.
I Nani esplosero in una sonora e grassa risata; tutti, eccetto Thorin.
“Fili! Vieni con me!”.
Il giovane obbedì con una certa riluttanza al comando dello zio e con un sospiro si staccò dalla sua amata che, confusa, lo guardò allontanarsi verso la sponda del fiume. I due parenti parlavano a bassa voce con la schiena rivolta al gruppo e May ebbe la sgradevole sensazione che Thorin stesse indirizzando al nipote dure parole di biasimo. Si rammaricò di aver messo Fili in difficoltà gettandogli le braccia al collo davanti agli altri. Non era quello il momento di lasciarsi andare, ma lo aveva fatto senza riflettere, spinta dalla felicità di poter poggiare nuovamente i piedi su di un terreno solido e di riavere il suo amore vicino a sé. La missione esigeva una vigile concentrazione e May si era appena ripromessa di evitare altri errori del genere in futuro, quando Fili tornò; aveva un’aria infastidita e abbattuta, ma sorrideva. Fu allora che un terribile dubbio si affacciò alla sua mente, oscurandone la luce: Thorin avrebbe mai approvato la loro unione? In fondo Fili era l’erede al trono di Durin e, se fosse sopravvissuto alla missione, sarebbe diventato Re dopo di lui. Pertanto, era molto probabile che lo zio avesse dei progetti ben precisi sul nipote primogenito, tra cui un matrimonio sapientemente organizzato con una Nana di alto rango, degna del titolo di “Regina”.
“Come potrei dare torto a Thorin?” si disse, con la morte nel cuore. “Nemmeno io, al suo posto, acconsentirei alle nozze tra un Nano di origine nobile e un’anonima ragazza povera, per giunta appartenente alla stirpe degli Uomini. Cosa gli potrei offrire? E soprattutto, cosa ho nella testa?! Gli ho solo dato un bacio e sto già pensando di sposarlo!”.
 
“May, ti senti bene?”.
Fili la scrutava con ansia: l’aveva vista impallidire e poi arrossire di colpo.
“S-sì, sono solo infreddolita e avrei bisogno di…”.
 
“Coraggio, dobbiamo proseguire!”.
May fu interrotta da Thorin, che passandole davanti lasciò scorrere lo sguardo arcigno su di lei, facendola sentire a disagio; si era impegnata con tutte le forze per guadagnarsi la sua fiducia, e non sopportava l’idea che lui cominciasse a considerarla una piccola irresponsabile.
“Kili è ferito, bisogna fasciargli la gamba!” si oppose Fili, mentre correva dal fratello.                     
“Abbiamo un branco di orchi alle calcagna, continuiamo a muoverci!” ribatté lo zio, irremovibile.
“Verso dove?” chiese Balin, pur prevedendo la risposta.
“La Montagna… Ci siamo quasi!”, lo informò il signor Baggins.
“Un lago si trova tra noi e quella Montagna, non c’è modo di attraversarlo!”, gli fece notare Balin.
“Ci gireremo intorno!”, considerò Bilbo con irragionevole ottimismo.
“Gli orchi ci piomberanno addosso, sicuro come la luce del sole!” contestò Dwalin. “Non abbiamo armi per difenderci!”.
“Fasciategli la gamba!” comandò Thorin. “Avete due minuti”.
Fili e May si misero all’opera e applicarono un bendaggio provvisorio sulla ferita di Kili, impiegando la metà del tempo che avevano a disposizione.
Un rumore di passi sui ciottoli li fece voltare: un uomo dall’aria minacciosa era in piedi alle loro spalle e puntava il suo arco contro l’ignaro Ori che, seduto sulla riva, svuotava gli stivali dai residui di acqua. Lesto come un fulmine, Dwalin si parò dinanzi al compagno impugnando un ramoscello sul quale si conficcò subito una freccia. Poi fu la volta di Kili: si sbrigò a raccogliere un sasso da terra, ma prima che potesse scagliarlo contro l’arciere gli scivolò di mano, colpito da una seconda freccia.
“Fatelo di nuovo e siete morti!” disse il tipo misterioso, tendendo l’arco e mirando all’intera compagnia.
Balin azzardò qualche passo verso di lui, con le mani alzate e bene in vista. “Scusami, ma… Sei di Pontelagolungo, se non vado errato. Quella tua chiatta…” indicò l’imbarcazione poco distante, “non sarebbe possibile noleggiarla, per caso?”.
“Può darsi” rispose l’uomo, abbassando l’arco senza smettere di scrutare a fondo gli stranieri. Quando fu sicuro di potersi fidare abbastanza, incoraggiò Balin a seguirlo con un cenno del capo e gli altri si mossero al suo seguito, propensi ad assecondare il tacito piano del Nano.
“Cosa ti fa pensare che vi aiuterò?” domandò l’arciere, mentre caricava uno alla volta i quindici barili vuoti sulla chiatta.
“Quegli stivali hanno visto giorni migliori, come quel cappotto” replicò Balin, con la sicurezza di chi sa di aver colpito nel segno.
Il chiattaiolo continuò a sollevare le botti per sistemarle sul barcone; non sembrava interessato all’offerta.
“Sospetto che tu abbia delle bocche da sfamare” si arrischiò ad insistere il Nano dalla barba bianca biforcuta. “Quanti bambini?”.
“Un maschio e due femmine”.
“E tua moglie, immagino che sia una bellezza!” seguitò Balin, tentando la via della lusinga.
L’uomo si arrestò all’improvviso, reggendo un barile tra le mani. Lo sguardo, fisso in un punto oltre il fiume, sembrò spegnersi per un lungo istante; stava rievocando un lontano e penoso ricordo.
“Sì, lo era”, disse a voce bassa.
Le più dolorose corde del suo cuore erano state urtate dall’inconsapevole Balin, che tosto gli porse le proprie scuse. L’espressione di Bard – quello era infatti il nome del chiattaiolo – sapeva di cordoglio e May, nel vederla, non poté reprimere una fitta di compassione che subito dopo cedette il posto ad un puro sdegno, causato dall’indelicatezza manifestata da un insofferente Dwalin.
“Adesso basta! Bando alle ciance!”.
“Perché tanta fretta?”, chiese Bard.
“Perché ti interessa?”, chiese Dwalin di rimando.
“Vorrei sapere chi siete e che cosa ci fate in queste terre”.
“Siamo dei semplici mercanti delle Montagne Azzurre, in viaggio per vedere i nostri parenti sui Colli Ferrosi” mentì astutamente Balin, al quale era stata rivolta la domanda.
“Semplici mercanti, tu dici?”. L’uomo – che non credette ad una sola parola – si voltò verso May, inarcando le nere sopracciglia. “E cosa ci fa una donna in mezzo a tredici mercanti e un Mezzuomo?”.
“I miei affari mi appartengono, signore” rispose la fanciulla, per nulla intimidita dal ghigno ironico del nuovo personaggio (a lei ben noto) che la fissava con occhi penetranti.
“Ci occorrono cibo, provviste, armi…” intervenne Thorin facendosi avanti, spostando l’attenzione dell’arciere su di lui. “Puoi aiutarci?”.
“So da dove sono arrivati questi barili” affermò Bard, strofinando una mano sul legno di una botte. “Non so che affari avevate con gli Elfi, ma non credo sia finita bene. Si entra a Pontelagolungo solo col permesso del Governatore, tutte le sue ricchezze vengono dagli scambi col Reame Boscoso: ti metterebbe ai ferri, prima di rischiare l’ira di Re Thranduil!”.
Thorin bisbigliò a Balin di offrire una cifra più alta al chiattaiolo, che si preparava a partire.
“Scommetto che ci sono altri modi per entrare non visti!”, incalzò Balin.
“Certo”, convenne Bard, “ma per quello vi ci vorrebbe un contrabbandiere!”.
“Per il quale pagheremmo il doppio” dichiarò il Nano, risolvendo la questione.
 
 
-s-s-s-
 
 
May distingueva a malapena i contorni del paesaggio circostante, sebbene non vi fosse granché da vedere, oltre al lago che si stendeva a perdita d’occhio. Si era alzata una nebbia fitta e opprimente, che non contribuiva a migliorare l’umore cupo dei passeggeri a bordo della chiatta guidata da Bard. Alcuni fra questi, Dwalin per primo, borbottavano insoddisfatti ostentando una scarsa fiducia nei riguardi dell’arciere, che chiaramente non rientrava nelle loro simpatie.
“Non ci deve piacere per forza, dobbiamo soltanto pagarlo” chiarì giudiziosamente Balin, raccogliendo le monete d’oro da consegnare al chiattaiolo.
May sedeva davanti a Fili. Le braccia del giovane cingevano la sua esile vita da dietro; il mento di lui poggiava sulla sua spalla ed ella avvertiva sulla schiena il calore emanato dal possente torace del Nano. Un sorriso gioioso splendeva sul suo volto: aveva l’amore del suo Principe! Ad un tratto, Fili le raccolse i capelli con una mano per posarle un lieve bacio sul lato del collo, cogliendola di sorpresa; il tocco di quelle soffici labbra e il respiro caldo di lui sulla sua pelle nuda scatenarono una serie di brividi lungo tutto il suo corpo.
“La smetti di tormentarmi?”, mormorò May con una risatina ironica e nervosa mentre faceva del proprio meglio per tenere a bada un’improvvisa esplosione di emozioni, lottando contro il violento istinto di dare libero sfogo ad una passione che reputava del tutto inappropriata, in presenza dei compagni.
“Lo farò quando tu smetterai di tormentare i miei occhi con la tua bellezza…” le sussurrò Fili all’orecchio, in un tono che le fece correre un nuovo brivido caldo sulla pelle. La donna tremò e lui la strinse al petto, felicemente consapevole di essere la causa di quei fremiti.
Kili sedeva silenzioso accanto a loro, la testa appoggiata contro una botte, lo sguardo fisso a terra. Sembrava assente.
“Come ti senti?” domandò May, sorridendogli affettuosamente.
“Bene sorellina, non preoccuparti” replicò lui con un sussulto, abbozzando un sorriso non proprio convincente. Allora la fanciulla lasciò le mani calde di Fili per afferrare quelle gelide di Kili, stringendole dolcemente: si era accorta di un rivolo di sangue che gocciolava dalla fasciatura intorno alla gamba del Nano e provò ad immaginare quanto grande fosse il dolore causato da una tale piaga. Il suo amico doveva soffrire molto.
“Non temere, fratellino: quando scenderemo di qui penseremo al tuo ginocchio e ti assicuro che guarirai in un batter d’occhio!” promise, rassicurante. Ma la reazione di lui la lasciò interdetta.
“Ho detto che sto bene e che non devi preoccuparti per me!” ribadì Kili, indispettito. Liberò bruscamente le mani dalla stretta di lei e si alzò per andare a sedersi dalla parte opposta della chiatta. May avrebbe voluto seguirlo ma Fili, intuendone le intenzioni, la trattenne con ferma delicatezza nel suo abbraccio, scuotendo il capo.
“Lascialo andare, gli passerà” disse con sicurezza. “Non ce l’ha con te. Lo conosco, ha soltanto bisogno di rimanere un po’ da solo. Ha una brutta ferita e la prima cosa che faremo una volta arrivati in Città sarà pulirla, disinfettarla e fasciarla per bene!”.
May annuì, poiché quello era anche il suo piano. Sospirò pensierosa – conscia di ciò che attendeva il povero Kili – e affondò il viso tra i capelli d’oro del suo innamorato, abbandonandosi a lui. Eppure, le incessanti carezze di Fili non bastarono a tranquillizzarla: improvvisamente aveva percepito un non so che di diverso in lui. Sollevò lo sguardo ansioso e, in quelle iridi blu cielo che la contemplavano come fosse la più grande meraviglia mai esistita, scorse un’ombra che li offuscava. Magari il giovane era semplicemente in pena per la salute di Kili, tuttavia sarebbe stata pronta a giurare che ci fosse dell’altro. E lei doveva andare a fondo, a costo di mordersi la lingua dopo aver parlato.
“Ho l’impressione che qualcosa ti turbi” incominciò senza preamboli, cercando di nascondere l’agitazione che le attanagliava lo stomaco. “Se si tratta di tuo…”.
“Oh no, mio fratello non c’entra” la interruppe Fili, anticipandola. “Presto ci occuperemo di lui e sono certo che guarirà completamente. Quanto a me, non potrei stare meglio! E il merito è tuo, mia piccola guerriera!”. Tracciò con l’indice i contorni delle labbra di lei; lo fece con tutta la grazia e la dolcezza del suo animo gentile, come se le sue mani stessero accogliendo la più delicata e sacra delle creature.
“E’ solo che…” proseguì incerto evitando di guardarla negli occhi, “avrei bisogno di parlarti. E’ m-molto importante e n-non posso farlo qui”.
May sentì la Terra di Mezzo crollarle miseramente addosso. Aveva imparato a conoscerlo: Fili balbettava quando era nervoso e quel nervosismo non prometteva nulla di buono. Per quanto si sforzasse di trovare una spiegazione, proprio non riusciva a capire. Cosa poteva avere, lui, di così impellente da dire che non le avesse già detto nella cella in cui si era dichiarato? Era successo qualcosa, nel fattempo? In un baleno la risposta arrivò e la colse tutt’altro che impreparata, portandole un nome: Thorin. I suoi timori si erano infine rivelati fondati. Era ovvio! Lo zio aveva proibito al nipote di fidanzarsi con lei mettendolo di fronte ai suoi doveri di futuro sovrano, nonché membro di una compagnia che si stava dando da fare per riconquistare il proprio regno. Però… Se il suo Principe aveva intenzione di obbedire a Thorin, come mai continuava a dimostrarsi tanto affettuoso? Forse stava racimolando il coraggio per lasciarla. E se, invece, avesse deciso di rinunciare alla corona per stare con lei? No, una scelta del genere sarebbe stata follia pura, come forse lo erano le sue congetture dettate dalla paura di perdere l’unica persona che avesse mai amato.
“Forza, ragazzi! Kili, Fili, Dori, Bifur… Mancate giusto voi, svuotate le tasche!”.
Fu Balin a riportare May coi piedi per terra, mentre Fili e gli altri “debitori” gli  lanciavano i loro sacchetti pieni.
“Io metto dieci monete in più, visto che la nostra guerriera non ha denaro con sé!” annunciò Kili, sorridendo a May; era il suo modo di scusarsi per il comportamento di poco prima e lei gliene fu profondamente grata.
“Hum, sì ma… C’è un problema: ci mancano dieci monete” osservò Balin, dopo aver contato e ricontato il denaro su un piccolo tavolo.
“Glóin! Avanti, dacci quello che hai!”, ordinò Thorin con le braccia incrociate sul petto.
“Non guardate me!” gridò l’ostinato e taccagno Glóin, scuotendo l’indice per enfatizzare il discorso. “Io sono stato dissanguato da quest’avventura! E cosa ho ottenuto dal mio investimento?! Nient’altro che miseria… E dolore… E…”.
Avrebbe arricchito l’elenco con una serie di scuse per evitare il pagamento, ma tacque di colpo, vedendo i compagni alzarsi in piedi con lo sguardo fisso in un punto lontano e la bocca spalancata dallo stupore: la nebbia che li avvolgeva, diradandosi poco a poco, aveva scoperto un paesaggio che mostrava i contorni della Montagna Solitaria, ora straordinariamente vicina.
“Per la mia barba… Prendi! Prendi tutto quanto!” esclamò Glóin scosso, mettendo il suo sacchetto di monete nella mano di Balin.
May imitò gli altri e si alzò, trattenendo il fiato. Fili l’aveva attirata a sé ed ella percepì in lui una commossa emozione che, unita alla vista di Erebor, andò a smuovere le più profonde fibre del suo cuore di donna. Per un attimo fu sopraffatta dal solenne, trepidante desiderio di percorrere i maestosi saloni un tempo abitati dagli eroici antenati del suo amato, al quale non era stato finora concesso di mettere piede in quel regno che gli apparteneva di diritto.
Ma fu solo un attimo: una gelida folata di vento la strinse nella sua morsa e, come in un sogno, May vide le migliori speranze dissolversi nella nebbia. Si ricordò del drago che dormiva sotto la Montagna, dell’occhiata dura di Thorin, del misterioso discorso che il suo Nano le avrebbe fatto a breve. Era riuscita a conquistare il cuore di Fili e, nello stesso tempo, aveva realizzato con sgomento che il suo rischiava di rivelarsi - per una serie di ragioni – un amore impossibile.
 







 
  
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