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Autore: _Nausica    24/07/2017    4 recensioni
Rose Weasley.
Caos e confusione
È il panorama di sempre tra il groviglio indefinito di cugini che la intrecciano in una trama già scritta, e il sigillo di due genitori già brillanti. Un nome incandescente che rischia di plasmarla nel magma dell’anonimia.
Caos e confusione.
È la paura di lasciarsi sommergere dal disordine che le appartiene.
Sembrerà più facile essere trasportata in un mondo dove realtà e inganno si confondono, e quel confine tra fragilità e orgoglio sarà messo a dura prova dal ragazzo, odiato e amato, che irromperà nella sua vita. Costretta ad affrontare quel gioco semplice e affascinante dell’essere in due, farà emergere dal caos il suo significato, il suo reale contenuto.
Finché anche Scorpius Malfoy prenderà forma dentro sé
Dal testo
Il getto di acqua calda la tranquillizzò. Poi le ricordò il calore dei vapori di quella sera impregnare la camicia di Scorpius e spingerla contro il suo petto sicuro; i capelli biondi ricadere sul volto imbronciato; gocce d’acqua accarezzare i suoi lineamenti, seguire il profilo del naso, lambire le labbra sottili.
Avvertì pressione sulle cosce, lì dove lui l’aveva afferrata per lasciarsi imprigionare dalle sue gambe. Per avere la possibilità di toccarla.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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La verità certamente non fu mai ladra:
 la frode a noi venne sempre dal troppo immaginare. 



 

CAPITOLO IX

 

Orenda




 
Una raffica di vento penetrò dalla grande finestra ad arco e colpì come una sciabolata il gufo che Rose cercava di ammansire. Uno squittio di protesta la avvertì del crescente disagio del pennuto. Quell’inverno gelido di cui si era sentito parlare, non tardò a presentarsi.
  Rose avvertiva il vento tagliente perforarle ogni lembo di pelle non coperto, mentre lottava contro il gufo testardo di Johanna affinché si convincesse ad accettare la sua lettera. Quella mattina aveva aperto le tende prima di chiunque altro ed era sgattaiolata fuori dal dormitorio per spedire una lettera alla famiglia.
  Come sempre, con l’arrivo della prima ondata di freddo, anche la malinconia manifestava i propri effetti e l’assenza di casa premeva come una grande roccia in bilico sulla cima di un dirupo: aspettava con  timore di vederla precipitare lungo la dorsale rocciosa.
  La sua amata Hogwarts dai lineamenti austeri e dai segreti magici assumeva sempre più le sembianze di un dipinto di qualche artista surreale, che aveva copiato le incisioni compiute da un’opera precedente, perfetta e meticolosa e ne aveva ricalcato i contorni senza nemmeno conoscerli, senza curarsi di capire di cosa si trattasse, senza pensare di sconvolgerne l’ordine.
  E in questo caos che era il suo nuovo mondo, Rose si sentiva incredibilmente sola. L’assenza di Candice così duratura e costante creava un vuoto nel quale lei arrancava, raccogliendo frammenti di sensazioni che potessero colmarlo.
  Se l’estenuante malinconia non fosse sufficiente, la tempra da Grifondoro non ammorbidiva la propria presa e all’orgoglio ferito si aggiungeva un inequivocabile senso di inadeguatezza per aver abbandonato la sua migliore amica nelle grinfie fameliche di Vincent Nott. Il diario la confondeva, mostrandole immagini che finivano per aderire perfettamente alla propria realtà, fortificando in lei certezze, che venivano vanificate subito dopo da altrettanti ricordi ambigui; e alla fine della giornata Rose non sapeva più se disprezzare Penelope e Isidore o ammirarli per il loro amore coraggioso, se allontanare Perkins o lasciarsi lusingare dal suo fascino, se odiare Vincent Nott o … dopotutto una certezza le era rimasta.
  Il gufo le morse il dito con rabbia e Rose si riscosse dai propri pensieri. Non si era accorta di aver fissato la lettera alla zampa e di stringere con la mano l’ala del povero pennuto. Lo liberò della sua stretta e lo fissò mentre si allontanava in volo, portando con sé le parole indirizzate alla madre.
  Riflettendoci bene, l’unica persona della quale non sentiva la mancanza era proprio lei. La distanza e le incertezze del periodo avrebbero dovuto suscitare in lei un senso di affetto filiale, capace di superare tutte le inconciliabilità che separavano le due donne Weasley; l’avrebbero fatto certo, se solo quella lettera non avesse contenuto l’annuncio della sua prima insufficienza.
  Il professor Roberts le aveva consegnato la verifica di Trasfigurazione con una bella S marchiata in rosso e un’espressione desolata sul volto.
Stupido idiota.
  Rose lo aveva guardato fingendo un sorriso mortificato, poi era passata a maledirlo in tutte le lingue che conosceva, compreso Antiche Rune. Come se un esame di Trafigurazione potesse occupare i suoi pensieri in un momento del genere.
Ma questo chi lo spiegherà a mia madre?
  Quando varcò le porte della Sala Grande i primi studenti erano già accomodati, ma la grande stanza non era affollata come durante gli altri pasti. Nonostante dalle alte finestre filtravano solo dei timidi accenni di luce, le sue compagne di dormitorio erano già in piedi e si servivano i piatti abbondanti. Joa intercettò in un tempo da record il suo sguardo e prima che potesse filarsela, si sbracciò per annunciare la propria presenza, cosa che certamente non rischiava di sfuggire a nessun presente. Con un cenno della testa, Rose indirizzò il proprio saluto all’amica, forse l’unica che si sarebbe divincolata in quel modo per consumare la colazione insieme. Soffocando il nodo alla gola, distolse lo sguardo e abbandonò le premure di Joa, dirigendosi a passo spedito verso il tavolo dei Serpeverde.
  Una strategia ben collaudata in quegli anni da Albus per sopravvivere alle occhiate velenose dei Serpeverde era far credere loro che il proprio sguardo potesse essere ancora più micidiale. Se per un Weasley era difficile sfilare occasionalmente – o con una certa frequenza, come accadeva nell’ultimo periodo- lungo un tavolo Serpverde, per un Potter costretto a farlo ogni giorno, doveva essere stata un’ardua impresa.
‘Sguardo da Basilisco’ le aveva sempre ripetuto Albus, quando Rose le aveva chiesto quale fosse il suo segreto. ‘E poi dopo un po’ si abituano’.   Questo la confortava un po’ di più, perché al momento l’unico sguardo velenoso che riusciva a riprodurre somigliava più a quello di un lori lento.
Rivolse un sorriso ad un ragazzino troppo ingenuo per aver già maturato l’odio ingiustificato verso una ragazza più grande, solo perché incorniciata dai colori nemici. Questo si affrettò a farle posto sulla panca, permettendole di sedersi accanto ad Albus Potter. Un altro sorriso di gratitudine e una lieve carezza sulla sua spalla lo convinsero a concedere loro anche dell’intimità.
  «La mantide religiosa utilizza la stessa tattica» disse Scropius Malfoy, versandosi del latte caldo nella tazza di tè. Con l’altra mano reggeva una lettera aperta che portava il sigillo familiare.
Rose lasciò la borsa ai propri piedi e stampò un umido bacio sulla guancia del cugino. «Quante ti hanno già ucciso dopo averti sedotto?» disse.
  «Tu sei la prima». Malfoy sorrise e per un attimo Rose sperò davvero di averlo fatto.
Sedotto o ucciso?
  Albus, che sorseggiava il proprio caffè nel più totale silenzio, sogghignò con malizia e circondò la vita della cugina con fare protettivo, avvicinandola a sé. La sua evidente scissione tra la complice ilarità dell’amico e l’inevitabile senso di intenerimento che la cugina in difficoltà gli suscitava si stemperava in un morbido sorriso, che sfoggiava per uscire dall’imbarazzo della situazione.
  «Hai fame Ross?»
Lei si lasciò avvolgere da quel misero affetto, che aveva imparato a dividere a metà; poggiò la testa sulla spalla di Albus e permise alle sue attenzioni di coccolarla. «Molta. Datemi da mangiare, per favore».
  Malfoy contorse il volto in una smorfia spazientita e poggiò rassegnato la lettera sul tavolo. «Se ti alzi, ti volti, prosegui dritto per cinque metri e ti fermi quando senti puzza di arroganza e idiozia, saprai di essere arrivata a casa» sbottò.
  «Non oggi, Malfoy» sospirò Rose. «Voglio una tregua dai Grifondoro».
Per tutta risposta Albus le porse un abbondante piatto ricco di frittelle in sciroppo d’acero, seguito da una tazza di caffè caldo.
  Malfoy storse la bocca disgustato. «Come fate a mangiare quella roba di prima mattina?»
I due cugini si guardarono interrogativi, poi Rose scosse la testa indignata e decise che tale affermazione non meritasse nemmeno un grugnito rabbioso. Perciò si concentrò amabilmente sul contenuto del piatto.
  «Scorp, sei tu che hai un’educazione alimentare da signorina» rispose Al. «Hai il cibo diviso per giorni» aggiunse con una risata.
  «E bevi il tè a colazione» biascicò Rose, immersa nella propria tazza di caffè lungo, per rendere ancora più esplicita l’assurdità della situazione.
  «E vivrò più a lungo di tutti voi» sbottò lui con un basso rantolo di protesta. Con un disappunto che odorava di regalità, afferrò il bicchiere di spremuta d’arancia, su cui era incisa la propria iniziale e che ogni mattina gli Elfi domestici posizionavano al posto che sapevano sarebbe stato occupato da lui. Ostentò la fetta di pane integrale che ricoprì di una patina leggera di formaggio magro, per poi divorarlo con la stessa voracità che avrebbe dimostrato la regina Elisabetta II.
  Un acuto ed allegro fischiettare richiamò l’attenzione di Rose, che si voltò alla ricerca della sua fonte. Albus e Malfoy, invece, continuavano a consumare la colazione nella più assoluta indifferenza. Il fischiettio si fece più insistente e distinto nella sua macabra riproduzione di quella che voleva sembrare Twisted Nerve di Bernard Herrmann; prese vita nell’alta figura di Carter Zabin quando questo comparve alle spalle di Malfoy, esibendosi nell’acuto centrale, dove la difficoltà del pezzo raggiungeva il suo acme.
  Per nulla scoraggiato dalle espressioni allarmate dei presenti, accompagnate dalle non poco colorite manifestazioni di scontento di Malfoy, Carter terminò la sua performance e si accomodò sulla panca.
  «Buongiorno raggio di sole» disse con un bacio che raccolse con le dita e indirizzò a Rose. Malfoy al suo fianco anticipò la risposta della ragazza con un brontolio disgustato. «Ancora in lite con le altre?».
  Nuovamente la replica di Rose venne anticipata dall’intervento di Malfoy, che questa volta manifestò il proprio disappunto con un poderoso calcio rivolto alla gamba di Zabini.
  Rose non ebbe il tempo di lasciarsi turbare dalle parole di Carter, poiché le iteranti e contrastanti reazioni di Malfoy avevano catturato la propria attenzione e lei lasciò che la tazza di caffè, ormai vuota, coprisse il sorriso compiaciuto sulle sue labbra.
  «Mi chiedo tu come faccia a saperlo» disse Rose, guardando il cugino, che scosse la testa con oltraggio.
  «Oh no, non è stato Albus» intervenne Carter, nel mentre si affaccendava con la masticazione di un grosso pezzo di salsiccia. «Sono sicuro di aver sentito qualcuno affermare che tu abbia sfidato a duello Candice Morgan, subito dopo averle confessato di amare da sempre Vincent» disse, annuendo.
  Albus non riuscì a trattenersi dallo sghignazzare, mentre Malfoy scoppiò in una risata che di regale aveva davvero poco. Rose pensò di risolvere il problema ricorrendo ad uno dei suoi incantesimi di schianto meglio riusciti e di far sparire quei tre dalla propria vista. Poi ci ripenso e considerò che fosse meglio trucidare prima chiunque avesse messo in giro quella voce.
  «E’ davvero fantastico» sbraitò «Sono passata da questo» disse, indicando Malfoy che si copriva gli occhi con una mano, per trattenere le lacrime «a quell’invertebrato di Nott». Scorpius Malfoy le mandò un bacio con la mano, senza degnarsi minimamente di ricomporsi. «E’ davvero l’anno in cui mi innamoro degli idioti» aggiunse Rose, riservando un’occhiata arcigna al ragazzo che la fronteggiava, chiedendosi dove fossero finite tutte le sue moine pompose.
  «Ah, ho sentito anche che hai ricevuto un’insufficienza al compito di Trasfigurazione» disse Carter.
 «E magari che Gazza ha trovato una fidanzata?» disse Albus, tra un ghigno e uno sbuffo divertito, risalendo sempre di più verso le cime della compostezza. Subito dopo aver dato voce ai propri pensieri, il suo sguardo venne intercettato dall’amico, ancor prima che i cervelli di entrambi potessero realizzare la gravità di quanto affermato. Quando la consapevolezza li colse, un guizzo di irrisione illumino i loro occhi ed entrambi furono presi da un rinnovato attacco di risa, precipitando nella voragine dell’indecenza.
  A quel punto Rose pensò bene di ricomporre l’ordine nel modo più elegante che la magia – e sua madre- le avesse insegnato. Con un leggero movimento della bacchetta scosse la brocca d’acqua al centro del tavolo, nella più totale indifferenza dei presenti; due lunghe lingue cristalline emersero da essa e si diressero speditamente versi i volti dei due ragazzi. Le due facce infradiciati persero la voglia di continuare a ridere.
  «Vi interesserà sapere che ho ricevuto davvero la mia prima insufficienza» esclamò Rose fuori di sé, la voce incrinata dall’isteria.
Malfoy si passò il tovagliolo di stoffa sul volto con molta calma; poi passò alle punte dei capelli che gli ricadevano sul viso e ad esso aderivano; accarezzò anche il collo e quando constatò che l’acqua aveva raggiunto anche le pieghe della camicia, in un rapido movimento, ridusse il tovagliolo ad un groviglio informe e lo gettò con rabbia sul tavolo. «Dammi una sola ragione per non ucciderla».
  «Per favore Scorpius, ha ricevuto la sua prima insufficienza» esclamò Albus, asciugandosi il volto e guardandolo con biasimo per la sua misera sensibilità.
  «Mi congratulerei per questo importante traguardo con un brindisi. Benvenuta tra i comuni mortali». Carter Zabini sollevò in aria il calice di succo di zucca e ingerì il contenuto in un sorso.
  «Hai fretta Carter?» chiese Malfoy, guardando l’amico infilzare la salsiccia e le uova strapazzata, per poi ingerire il tutto in un solo boccone.
Il ragazzo annuì, cercando di spiegarsi a gesti con esiti negativi; infine deglutì e parlò «Devo prendere il posto anche per Vincent a Trasfigurazione; ieri notte non è tornato in dormitorio e mi ha gentilmente imposto di svegliarmi all’alba per assolvere al suo compito».
  Malfoy guardò rapidamente Rose, prima di aggiungere «Avrà passato la notte in dolce compagnia?».
Nel dormitorio femminile di Grifondoro? Impossibile, stava pensando in quel momento Rose. Ma Malfoy sapeva bene che Candice non lo avrebbe mai fatto entrare nella tana del lupo.
  Carter abbassò lo sguardo, esitando. «Non credo sia così facile» disse incerto. Guardò gli altri e insistette sul volto di Rose, poi si decise a parlare «Se ti riferisci a Candice, dubito che passino le notti insieme, considerando che non si sono mai neanche baciati».
  Rose per poco non si strozzava con la sua stessa saliva. La bocca ora completamente arida era ispida e asciutta e le impediva di proferire parola. Non riusciva a credere che dopo tutto quel tempo e alla luce degli innumerevoli sacrifici che Candice ebbe dovuto affrontare, Vincent Nott non aveva ancora colto ciò che lei era ben disposta ad offrirgli.
Che razza di problemi ha quel tipo?
  «Se la notte non è con Candice allora cosa fa?» suggerì Albus.
Carter questa volta sgranò gli occhi allarmato, mentre il volto impallidiva sempre di più. «Sentite, io non ne so niente» bofonchiò a disagio, abbandonando la forchetta nel piatto e raccogliendo le proprie cose in tutta fretta. «Sapete che è un tipo solitario. Ci vediamo a lezione» aggiunse, senza guardare in volto nessuno e si dileguò prima di poter aggiungere altro.
  Rose seguì la corsa fulminea di Carter Zabini, mentre un pensiero prendeva radici nella propria mente e si nutriva di sospetti e di menzogne, prosperando sotto il suo controllo vigile, per poi diventare troppo ingombrante da contenere.
  Affondò un pugno sul tavolo con un colpo poderoso e latrò tutta la propria collera «Maledetto stronzo». Fece per alzarsi ma la mano del cugino premette con forza sulla sua spalla, trattenendola. «Se quel verme tradisce Candice io non aspetterò altre dimostrazioni per fargliela pagare».
  «Non fare idiozie Weasley» disse Malfoy, incenerendola con lo sguardo. «Smettila di fare l’isterica e di saltare a conclusioni affrettate».
  «Non ho intenzione di sentirti spalleggiarlo nelle vostre scorribande notturne».
  «Non stiamo parlando di me» disse, alzando gli occhi al cielo. «Riesci per una volta a comportarti razionalmente?».
Albus poggiò una mano a coprire quella tremante di Rose. «Se può valere qualcosa la mia parola, Vincent è un ragazzo d’onore» disse e la ragazza affondò i propri occhi frementi in quelli serafici di lui, cercando un riparo. «Ma so che non ti basta, perché Candice è tua amica e tu non ti fidi facilmente» sospirò il cugino, aggiungendo un tenue sorriso.
  Malfoy sbuffò esasperato «Diamole delle prove allora, così eviterà di fare qualcosa di cui potersi pentire».
Rose lo guardò con interesse «Come?».
  «Scoprendo cosa fa di notte Vincent Nott».
 
 

 
- § -

 
 

Il campo da Quidditch era in grado di creare sicuramente i più vari paesaggi suggestivi. Durante le partite del campionato, allestito per lo spettacolo con gli stendardi delle case e la grinta dei tifosi, infondeva una carica esplosiva e se visitato di notte, per i più coraggiosi, assumeva le sembianze di uno scenario cupo, quasi agghiacciante. Ma deserto e illuminato dai raggi mattutini diventava uno dei luoghi di rifugio preferiti da Rose.
  La schiena distesa su un gradino degli spalti più bassi avvertiva il contatto con la pietra dura e iniziava a dolersi per questo, tuttavia il volto si rallegrava dell’effetto benefico che quei tenui fasci di luce autunnali ancora conservavano, vanificando le sciabolate del vento.
  Rose amava lasciarsi ricoprire dalle foglie che gli alberi cedevano a malincuore, quelle stesse foglie che, cadendo come lacrime, volteggiavano in aria, danzando con il vento e ritardando il momento della loro dipartita. E poi il mosaico di colori che creavano tutt’intorno le ricordava il calore della Sala Comune e i paesaggi della Casa sul Lago Weasley.
Amava l’autunno.
  La luce cessò d’improvviso di premere sugli occhi chiusi; una nuvola di passaggio o un’ombra la privarono del suo ristoro. Dischiuse le palpebre e fu accecata da una lunga chioma di capelli rossi. Sua cugina Lily la guardava circospetta dall’alto.
  «Indovina con chi si è rimesso Lucas Jorkins?» chiese la ragazza con voce piatta.
Rose si sollevò e sedette sul gradino, continuando ad osservare la cugina dal basso. «Oh mio Dio Lily, è fantastico».
  Lily inarcò le sopracciglia. «Avrei questa faccia se stessi parlando di me?».
Rose portò una mano all’altezza della fronte per ripararsi dal sole, che da quella posizione ancora la colpiva. Osservò meglio il volto tetro della cugina, i suoi occhi spenti e le labbra imbronciate. Decisamente non stava parlando di sé.
  «Sto parlando di Olivia Pinkerson, quinto anno, Tassorosso» sbuffò Lily. «E quando lui la porterà alla festa di Halloween tutti lo sapranno» disse con un lamento, incrociando le braccia al petto. Rose si aspettò di vederle sbattere i piedi per terra con disappunto.
  «Da quando c’è bisogno di un accompagnatore per la festa di Halloween?».
La ragazza piegò le palpebre sbigottita e replicò trattenendo vanamente l’esasperazione. «Da sempre, Rose, ma in che mondo vivi?» disse, portandosi una mano alla tempia. Ci pensò su qualche istante e decise di dimostrarsi indulgente con la cugina meno esperta, propugnando uno dei suoi saggi consigli. Si sedette accanto a lei e parlò. «Se non si ha un accompagnatore è bene andare con un gruppo di amiche, ma nella maniera più assoluta non con una sola. A meno che non si desideri fare la figura della disperata».
  Una certa sensazione familiare portò Rose a riflettere sulle parole della cugina. «Perfetto, farò la figura della disperata» sospirò con rassegnazione.
Lo sguardo di Lily si addolcì. «Ho notato che stai evitando il nostro tavolo da un po’».
  «Non lo evito, è il tavolo a non gradire più la mia presenza» disse con un mesto sorriso.
La cugina sgranò i grandi occhi scuri e si morse le piccole labbra a cuore, assumendo un’espressione che tante volte Rose aveva visto dipinta sul volto dello zio Harry. «Puoi sempre sederti con me o con James, non c’è bisogno che tu vada sempre da Albus» mormorò.
  Rose non lasciò trascorrere neanche un battito d’ali per stringere la sua piccola Lily in un caldo abbraccio; erano lontani i tempi in cui accorreva da lei per farsi consolare tra le sue braccia, apparendole tanto fragile e indifesa. «Non essere gelosa, mostriciattolo».
  Lily emerse da quel groviglio di braccia e mutò i lineamenti del viso in un’espressione molto più da zia Ginny «A meno che Scorpius Malfoy non sia più attraente dei tuoi cari cugini» sibilò tutto d’un fiato.
  «A cosa mi serve la compagnia dei Serpeverde, se ho una piccola serpe proprio qui accanto a me?».
Lily inarcò le sopracciglia e sorrise divertita «Se ti senti più a tuo agio posso chiamarti “Weasley” e fingere di odiarti a morte» disse, spostando con un cenno del capo una ciocca di capelli dagli occhi in una inconfondibile imitazione di Malfoy.
  Rose non si finse contrariata e si abbandonò ad una leggera risata. «Sarebbe tanto da disperata andare alla festa con la mia cuginetta preferita?».
Lily si morse le labbra in un gesto meditativo e sollevò gli occhi al cielo con fare teatrale, poi parlò. «No, se è una cugina fantastica come me».
 


 
- § -
 
 

I corridoi entravano ed uscivano dal proprio campo visivo prima che Rose avesse il tempo di sbattere le palpebre. I passanti la scansavano se potevano, alcuni meno fortunati la urtavano e altri ancora le suggerivano luoghi non molto piacevoli da visitare.
Rose era indubbiamente in ritardo. E Arrows glielo avrebbe tragicamente fatto notare.
  «20 punti in meno per Grifondoro» esordì prima ancora che Rose raccogliesse il fiato necessario per abbozzare un saluto.
Seduto sulla poltrona  di lucida pelle viola, lasciava che i suoi studenti fossero sospesi in una densa attesa, non accennando una smorfia o un sussurro, attento a non perdere un solo rantolo di sconforto o espressione di stanchezza da parte dei suoi galeotti. Dopo che Rose ebbe raccolto la propria espiazione, non le rimaneva che trascinarsi nel più composto silenzio verso una qualunque seduta, sottraendo la propria immagine alla vista del professore il prima possibile.
  Il braccio di Johanna emerse nuovamente tra la folla e prese ad agitarsi convulsamente nell’aria, sostenuto dal silenzioso sguardo di Eloise; accanto a loro le spalle di Candice rigide e ostinatamente voltate le ricordarono perché avesse deciso di evitare anche chi ancora le era amica. Osservare il suo volto contrariato e lasciarsi opprimere dall’assenza della sua voce squillante non sarebbe stato molto diverso dal ricevere una pugnalata in pieno petto.
  Intravide lo sguardo affettato di Melissa affiorare tra le sue lunghe ciglia scure. Lo sostenne con fierezza in quella fulminea intimazione che la ragazza le stava rivolgendo, poi Melissa piegò le labbra in un sorriso, un dolce sorriso letale come il veleno del più bello tra i fiori.
  Rose non proseguì verso il tavolo di Grifondoro come tutti si aspettavano, ma si fermò prima, a quello occupato da suo cugino Albus. La smorfia di disappunto non tardò a comparire sul volto di Scorpius Malfoy, ma fu più debole del solito, un pigro riflesso, che la presenza sempre più frequente della ragazza aveva iniziato ad inficiare. Rose evitò accuratamente di incrociare lo sguardo di Kate Hastings, sperando che ignorandone la presenza, potesse persino riuscire a dimenticarsi di lei, ma lo schioccare irritato della lingua contro il palato, seguito da un basso e dolente “Ma scherziamo?!” le giunse all’orecchio più distinto di quanto avrebbe voluto.
  L’aria che era scesa sull’intera classe si era fatta sempre più pesante, quando Arrows decise di schiarirsi la gola ripetutamente, prima di parlare con tono laconico «Come sapete il programma ministeriale è stato modificato con la decisione di permettere ai ragazzi che hanno superato i G.U.F.O. nelle materie principali di sperimentare attività più utili per un futuro lavorativo». Una volta compiuta la dovuta premessa fece una breve pausa per riacquistare il solito cipiglio maligno. «Avete un’ora e mezza da ora per preparare la Pozione Ossofast».
  Dalla classe si levò un brusio di protesta.
Rose si scambiò uno sguardo di sgomento con Albus, che per la prima volta in un’aula di Pozioni avvertiva la pelle imperlarsi per il freddo sudore, mentre l’odore dolciastro, che impregnava le scure pareti, avvolgeva i suoi sensi in una nauseabonda nebbia.
Il buonsenso di Rose fiutò l’ingiustizia prima di molti altri e la sua bocca si mosse alla stessa rapidità.
  «Professore mi scusi, noi non abbiamo le competenze per preparare una pozione del genere».
  «Quando imparerà ad alzare la mano prima di parlare si troverà già fuori dalla mia aula» disse Arrows con tono annoiato.
Il braccio di Rose scattò in alto quando ancora il professore non aveva terminato la frase e questo lo infastidì maggiormente. Storse il naso e scoprì i denti rivelando un’espressione che  ricordava un ratto. «Non serve che alzi la mano, non ho intenzione di sentire alcuna lamentela uscire dalla sua bocca» brontolò in un rantolo spento.
  Per tutta risposta Rose pensò bene di ignorarlo e si schiarì la voce. «Non possediamo le conoscenze mediche sufficienti per la preparazione di questa pozione. La stessa Madama Chips esige che sia preparata esclusivamente dalle sue mani».
Lo guardava con esitazione, attendendo la decisione sulla propria sorte.
  «Signorina Weasley» sbottò, mentre persisteva nell’arricciare il naso da topo. «Non credo che a nessuno di noi dispiacerebbe iniziare per una volta  la lezione senza i suoi commenti superflui e inopportuni» disse lui irritato.
  Rose arricciò le labbra in una espressione offesa, ma si premurò di celarla e di far trapelare solo il proprio disprezzo. Una bassa risata si diffuse per tutta l’aula e l’eco femminile le giunse più squillante da parte della ragazza dai capelli castani e lucidi con cui condivideva il tavolo.
  «La pozione è alla base delle competenze di chiunque spera di poter intraprendere la carriera di Medimago» spiegò Arrows mentre i ragazzi si affaccendavano nel regolare la temperatura del fuoco sotto i calderoni. «Per coloro che, a differenza della Weasley, abbiano intenzione di costruirsi una vita lavorativa di successo, io consiglio di iniziare a lavorare senza ulteriori lamentele». Con un ultimo colpo di bacchetta serrò le tende intorno alle finestre ed illuminò le candele di ciascun tavolo.
  Rose aprì le ante della bacheca, mentre Albus la raggiungeva. Si piegò per bisbigliare all’orecchio della cugina «Smettila di sfidare la poca pazienza di Arrows».
  Rose afferrò con il guanto una decina di lucertole essiccate, poi passò a tagliuzzare qualche rametto di Belladonna. «Per favore Albus» disse lei, guardandolo con rimprovero.  «Lo sai benissimo che se falliremo con questa pozione le conseguenze per me saranno ben diverse rispetto a tutta la classe».
  «Oh ti prego, ma davvero credi di essere così importante?» sbuffò una ragazza alle sue spalle.
Rose si voltò verso Kate Hastings e la guardò indifferente; le si avvicinò, fissandola negli occhi, per poi superarla e afferrare dell’aneto dallo scaffale alle sue spalle. Si sedette accanto ad Albus, liberò le lucertole dall’incantesimo di essicazione e le tagliò quando queste divennero guizzanti. Lasciò scivolare lentamente gli ingredienti nel calderone, assicurandosi di rispettare il livello di ebollizione del liquido e prese a mescolare con delicatezza, fingendo un movimento esperto.
  Rose lasciò passare la prima fase della preparazione e aspettò che la maggior parte degli studenti si fosse inoltrato nel passaggio centrale, quello arduo, insormontabile e inevitabilmente distruttivo. Poi, quando la concentrazione si era fatta tanto intensa da isolare ogni pozionista e i rantoli di protesta ebbero creato un sottofondo congeniale, Rose parlò al cugino. «Quando pensi che potremo metterci alle calcagna di Nott?».
  I capelli di Albus Potter erano talmente gonfi da indurre a pensare che le lucertole vi avessero cercato rifugio. Guardò la cugina con occhi sgranati, a tratti offuscati dal vapore che inumidiva le lenti. «Di certo non in questo momento» gemette lui.
   «Non pensi che spiarlo di notte possa essere troppo rischioso?».
   «Rose, non adesso».
Rose scrocchiò le dita entusiasta. «Potremmo attivare un incantesimo di localizzazione se riuscissi a sottrargli un oggetto intimo».
  Un grugnito rabbioso sostituì le parole del cugino. Diversi compagni riprodussero lo stesso verso di sofferenza mista a rassegnazione, ma ciò che convinse Rose a desistere fu il brontolio proveniente dal suo calderone. Abbassò gli occhi su di esso per assistere alla contorsione di quell’amalgama denso e scuro, che simile a catrame rigettava l’eccesso in bolle esplosive. Con disperazione allungò il collo verso il calderone di Albus.
  «Non mi sembra corretto sedersi al tavolo dei Serpeverde solo per poter sbirciare il lavoro di tuo cugino» squittì Kate Hastings a voce alta nel momento esatto in cui il professor Arrows stava operando la propria ronda intorno a loro tavolo.
  «Weasley prendi il posto di Hastings, subito» tuonò lui.
Il sorriso trionfante accompagnò la Hastings per il resto della lezione.
Rose si abbandonò sulla sedia accanto a Malfoy e risistemò la fiammella leggera sotto il calderone. Lui inarcò le sopracciglia divertito quando la vide rischiare più di una volta di bruciarsi. Serrò le proprie dita intorno al suo polso frenetico e con un colpo di bacchetta permise alla fiamma di abbassarsi, tanto da sembrare un lieve soffio.
  «Se sei nervosa non ci riuscirai mai» disse lui strizzandole l’occhio. «Per questo sei una frana in pozioni».
Tornò al proprio lavoro, poggiando il mento sul dorso della mano e accompagnando il mestolo in un pigro movimento circolare. Rose si affacciò e vide che la sua pozione non somigliava affatto ad un mucchio di resti animali in putrefazione.
  «Come ci riesci?» domandò lei più sorpresa che infastidita.
Malfoy sollevò gli occhi verso di lei e scrollò le spalle «A me riesce tutto» dichiarò con semplicità, come se questa fosse una legge naturale indiscussa ed eterna. «Non pensare di poter usufruire della mia vicinanza, non sono mica quel fesso di Al» disse con un ghigno, allontanando di poco il proprio calderone.
  Rose lo fulminò con lo sguardo, questa volta chiaramente offesa. «Nemmeno se fossi l’ultima persona in questo lurido bugigattolo».
Tornò a studiare la propria miscela, mentre le bolle di bitume si facevano più frequenti e piccole: lo spettacolo che si presentava era disgustoso.      Aggiunse dell’acqua distillata per ridurre la densità del prodotto ed effettivamente così accadde, ma dopo qualche minuto questa era quasi del tutto evaporata. Uno sbuffo divertito la avvertì che Malfoy stava seguendo con interesse i suoi vani tentativi.
  A quel punto si concentrò sui propri ingredienti ed osservò l’aneto che ancora non aveva utilizzato; sfogliò avidamente il manuale fino a trovare il capitolo dedicato ad esso. Si ghiacciò quando lesse che la quantità del prodotto era da calcolare in relazione alla quantità degli altri ingredienti e lei non ricordava affatto quante code di lucertola avesse già inserito. Intanto l’ebollizione della pozione continuava e se non avesse trovato in fretta una soluzione, il composto sarebbe esploso.
  Guardò il professor Arrows, che in quel momento era impegnato in una intensa analisi degli innumerevoli errori compiuti da Dorothy Joyce. Tornò a fissare inerme il proprio calderone, quando avvertì un profumo dolce sovrastare per un attimo l’olezzo stucchevole di quella cantina e concedere ristoro ai propri sensi annebbiati. Scorpius Malfoy le si era avvicinato tanto da far combaciare le loro spalle e ora studiava attentamente il contenuto del suo calderone, cercando di coglierne i misteri; quando si accorse che lei lo fissava, assunse un’espressione disgustata. Afferrò un pezzo di pergamena e una piuma e iniziò a scrivere.
  «Ne hai usate sette perché hai preso un contenitore intero che ne contiene dieci e lì vedo solo tre code di lucertola» spiegò lui, continuando a scrivere. Dopo una serie di calcoli, cerchiò una cifra alla fine del foglio «Misura 35 grammi di aneto».
  Rose si affrettò con l’operazione che le era stata ordinata. Afferrò il vetrino e si preparò a rovesciare tutto il contenuto, ma lui poggiò la propria mano sulla sua e la bloccò. Rose provò a ritrarsi, le guance prendevano fuoco, mentre lui ancora le stringeva le dita. Distolse lo sguardo da quella immagine e notò Kate Hastings che li osservava furiosa.
  «Weasley, sei impazzita?» mormorò il ragazzo. «Ne devi mettere poco alla volta». Lui la guardò con rimprovero , sfilandole il vetrino dalle mani. Lasciò cadere qualche rametto, poi sbirciò verso Arrows, assicurandosi che non li guardasse e si sporse ancora di più verso di lei per afferrare il mestolo. Rose si strinse contro lo schienale, totalmente inerme e lasciò che il ragazzo prendesse il controllo della situazione, mentre la sua schiena le solleticava il petto, le spalle, protette dalla camicia e dal maglione, le sfioravano il seno.
  Quell’eccessiva vicinanza la destabilizzò, il calore del fumo aderì alla sua pelle, lasciando che bruciasse e la vista le sembrò sempre meno distinta.
Malfoy si allontanò proprio mentre Arrows si era voltato. «Adesso dovresti riuscire a proseguire» mormorò senza guardarla.
  La pozione di Rose aveva cessato di eruttare, il colore era sceso di diverse tonalità, così come la consistenza si era fatta più spumosa, dando il risultato di un’unica nuvola grigiastra. Il professor Arrows le passò accanto, si affacciò nel suo calderone e sorrise sorpreso, forse divertito da quell’inatteso risultato.
  Quando si fu allontanato Rose picchiettò con la bacchetta sul calderone di Malfoy, per richiamarlo a sé. Lo guardò per qualche secondo, sperando che lui sorridesse amorevolmente e scuotesse le spalle mimando un “Ma figurati, è stato un piacere” ; invece il ragazzo continuava a fissarla fingendo uno sguardo perso, nonostante Rose non lo avesse mai visto così compiaciuto.
  «Ti ringrazio» disse lei infine. «Malfoy». Vi aggiunse una punta di asprezza, tanto per stare tranquilla.
Lui sorrise soddisfatto e scosse la testa con quel fare insolente. «Non ti ho fatto un favore, Weasley» disse. «Ora sei in debito con me» dichiarò concludendo con una smorfia vittoriosa.
  Rose sospirò di sollievo e lo guardò vigorosa, rincuorata di non doverlo vedere gongolare ancora a lungo, né di doversi sentire in qualche modo riconoscente, anche se –faceva male ammetterlo- l’aveva salvata.
  «E immagino che verrai a prenderti la tua ricompensa un giorno inatteso, in un modo meschino, come farebbe un degno seguace di Satana» disse lei con un sospiro.
Un ghigno comparve sul suo volto affilato. «Ti sbagli, riscuoto subito» mormorò con voce bassa, ma sottile. Afferrò una fiala di Belladonna e versò tutto il contenuto nel calderone sotto ai suoi occhi; attese che il colore della sua pozione si schiarisse sempre di più fino a diventare azzurro e prese a mescolare con più energia. «Voglio stringere un patto» disse.
  Rose guardò lo scintillio pericoloso nei suoi occhi e pensò che Mefistole in persona sarebbe salito dagli Inferi per porgergli i suoi omaggi. «Ti ascolto» sibilò.
  «Fammi dare una sbirciatina ai fascicoli su Perkins e se non troviamo niente di strano ti aiuterò a scoprire come trascorre le sue notti Vincent» disse d’un fiato, il volto inespressivo.
Era un accordo rischioso  quello che prevedeva l’accesso illimitato a tutti i segreti di Perkins, ma era anche altamente improbabile che avrebbero trovato qualcosa di insidioso nei fascicoli tanto accuratamente custoditi dalla Mcgranitt.
  Rose esitò qualche istante. «Altrimenti?».
Dopo l’ultima mescolata la pozione divenne limpida; lui lasciò andare il mestolo soddisfatto. «Lasceremo in pace Vincent, mi sembra ovvio».
Un altro elemento rischioso, perché lei non avrebbe mai rinunciato ad indagare su Nott. Tuttavia lui aveva parlato al plurale, dando per scontato che      Rose si sarebbe servita dell’aiuto suo e di Albus. Certamente le avrebbe fatto comodo, ma in caso contrario avrebbe proseguito da sola.
  Un modo per arginarlo lo posso trovare.
Rose tese la mano rigida, proprio come le aveva insegnato suo padre.‘Poi stringi con sicurezza, per far capire chi comanda.’ Ma quando lui la avvolse con le sue dita forti, il tocco era delicato, quasi stesse chiedendo il permesso e lei perse la forza e non riuscì a staccare gli occhi dal suo verde scuro.
  La prossima volta, papà.
Rose tornò al suo calderone e aggiunse un po’ di Belladonna come aveva visto fare al suo inaspettato maestro.
  «Ora arriva la parte interessante dell’accordo» sussurrò Malfoy in un sibilo letale.
Rose rimase spiazzata dalla propria stupidità. Aveva davvero sottovalutato Malfoy, credendo che sarebbe stato così facile?
  «Ti ascolto con attenzione» mormorò riducendo i suoi occhi a due fessure.
Lui accennò con le labbra un sorriso tetro, poi le lambì lievemente con la lingua in un gesto fugace e istintivo. «Sei mai stata messa in punizione» disse.
  «No, ovviamente»
  «Come mi aspettavo». La rapidità della sua risposta non nascose una venatura di derisione.
Rose accigliata soffiò un lieve sbuffo scettico. «Neanche tu devi aver fatto troppo il cattivo ragazzo se sei diventato un Prefetto».
  «Lascia stare, Weasley» disse lui in un sorriso, assumendo quell’aria di esperta superiorità. «Le menti audaci sanno ottenere tutto».
  «Prosegui, Malfoy. Sto aspettando la parte meschina del tuo accordo».
Malfoy rise e si abbandonò contro lo schienale della sedia. Sbirciò un ultima volta nel calderone di Rose e poi si guardò intorno. Infine parlò. «Se non sei mai stata messa in punizione, non avrai avuto modo di fare conoscenza con la Stanza dei Trofei e non saprai che c’è un passaggio che conduce all’ufficio di Gazza».
Rose seguiva con attenzione le sue parole. «Perché dovrebbe interessarmi l’ufficio del custode?».
  «I fascicoli, Weasely, i fascicoli di Perkins».
 «Li custodisce Gazza?» disse Rose esterrefatta. «I documenti più importanti su chiunque abbai messo piede in questo castello sono controllati dall’unica persona senza magia?».
  Malfoy scosse le spalle. «E’ l’unico posto in cui non cercheresti mai».
Rose si morse le labbra poco convinta e iniziò a temere che, escludendo un fulmineo attacco di demenza senile della Preside, l’accesso a quei documenti non sarebbe stato così semplice come immaginavano.
  «Come ci arriviamo?» chiese.
Malfoy non rispose, continuava a guardarla prima di sfuggita e poi sempre più intensamente con gli occhi che vagavano sulla sua figura, assorti in un pensiero particolarmente impegnativo. E quella insistenza era talmente tanto irruente che Rose in un primo mento si guardò intorno pensando di trovarvi qualcosa di sensazionale, ma quando vide solo Arrows alle sue spalle, temette di avere la camicetta troppo sbottonata e arrossì violentemente.  Infine Malfoy si avvicinò cautamente a lei con grande interesse, accrescendo il dubbio sulla sua scollatura.
  «E’ proprio questo il problema, Weasley» disse con voce vellutata e gli occhi limpidi, ammalianti. «Io sono un Prefetto e non posso permettermi una punizione, soprattutto ora che sono anche Capitano» sussurrò per non farsi sentire dal professore alle loro spalle. Alzò gli occhi verso di lui e avvicinò il braccio a quello di Rose, accanto al calderone. Le guance della ragazza presero fuoco, mentre lui le sfiorava il palmo con la punta delle dita chiuse a pugno.
  «Sei una brava Grifondoro  e si sa che in ogni battaglia che si rispetti bisogna compiere dei sacrifici» disse ancora fissando i propri occhi nei suoi. Prima che Rose riuscisse a dare un senso alle sue parole lo sguardo di Malfoy volò alle spalle della ragazza, le sue dita abbandonarono quelle di Rose, si aprirono, dischiudendo il pugno teso all’altezza del calderone e rilasciarono una qualche sostanza all’interno della pozione.
  Il gorgoglio sofferente del composto fu un ruggito che durò solo pochi istanti, poi il boato fu immediato e l’esplosione seguì in modo trionfale, manifestandosi in una coltre di fumo nera e densa che si sparpagliò minacciosa nei dintorni.
  Rose ebbe solo il tempo di sentirsi afferrare da qualcuno che la scaraventò sul pavimento, coprendola con il proprio corpo. Il fumo non si era ancora dissolto, mentre molti nella stanza tuonarono in un coro di proteste e lamentele e i componenti del tavolo, ancora seduti, presero a tossire violentemente.
  L’unica cosa di cui Rose fu certa in quel momento era il corpo di Scorpius Malfoy adagiato con poca delicatezza sul proprio. A dire il vero la pressione che aveva esercitato nel tentativo di difenderla dall’esplosione era ancora insistente e premeva con una dolce tensione nei punti di contatto in cui Rose non avrebbe mai immaginato di avvertire parti del corpo di Malfoy.
  «Chi diavolo è stato così idiota?» sbraitò Arrows, arrancando verso il loro tavolo e agitando la bacchetta per richiamare a sé tutto il fumo. Quando l’aria divenne salubre e la vista si fece più distinta, il professore individuò i due corpi delle vittime sul pavimento. «Ci possiamo anche alzare adesso signor Malfoy» ringhiò esasperato.
  Malfoy poggiò le mani all’altezza della testa di Rose, mentre i suoi capelli le sfioravano il viso e il suo respiro solleticava il collo della ragazza imperlato di sudore. Con un lieve sforzo, senza guardarla si separò da lei e si rimise in piedi.
  Rose ancora intontita e accaldata un po’ per il calore e un po’ per la situazione, lo guardava dal basso senza attendere che lui le porgesse una mano per aiutarla. Si alzò, reggendo la gonna della divisa e si mise accanto al ragazzo che le era appena finito addosso, senza poter impedire alle dita di tremare e al cuore di palpitare furioso. Un sottofondo di risolini accompagnava la tensione.
  «Signorina Weasley» latrò livido il professore «E’ riuscita a fallire persino oggi che avevo nutrito delle speranze in lei ». Arrows nemmeno le prestava attenzione, troppo occupato a ripristinare l’ordine nella stanza.
Rose guardò Malfoy, ben sapendo in chi cercare il colpevole del disastro. Il ragazzo avvertì la pressione del suo sguardo poiché incrociò le braccia forti al petto, in un gesto che normalmente avrebbe palesato indifferenza ma che a Rose trasmise anche una lieve tensione nel suo ostentato rifiuto di guardarla negli occhi.
  «Bene» biascicò Arrows  una volta che l’ultima ombra di catrame solidificato fu eliminata dalle pareti della stanza. «Ma che dico, male, molto male» ringhiò quando ebbe riportato l’attenzione su Rose immobile e inerme di fronte a lui. «Punizione, questo pomeriggio».
  Malfoy al suo fianco finalmente si rilassò e distese le braccia lungo i fianchi che andarono a riposare nelle tasche dei pantaloni. Sbirciò verso Rose al suo fianco che non si lasciò sfuggire l’occasione per incrociare il suo sguardo. Non contorse il volto in nessuna espressione, solo lo guardò per brevi istanti con quella stessa intensità che poco prima aveva usato lui per ingannarla; poi strinse forte i pugni.
  «Weasley» sbraitò Arrows dalla sua scrivania. «Ce lo vogliamo venire a prendere questo mandato?».
Rose si diresse verso il professore e afferrò il foglio di pergamena che lui le porgeva, su cui erano indicate le motivazioni della punizione, il luogo e l’ora. Rimase lì impalata a leggere quanto scritto e quando notò “Sala dei Trofei” avvertì un prurito alle mani che le suggeriva di ritornare al suo posto e di strangolare Malfoy.
  «Signor Nott, lei illumina le mie tetre mattinate in questo carcere buio».
Rose alzò lo sguardo sulla fialetta cristallina, di un azzurro ceruleo che Arrows stringeva tra le mani mentre Vincent Nott, rilassato, sorrideva al professore in una perfetta dimostrazione di candida umiltà.
  «Signorina Weasley, la prossima volta si faccia dare ripetizioni dal Signor Nott, prima di giudicare impossibile un mio compito».
A pensarci meglio, sarebbe stato più soddisfacente strangolare Vincent -mago delle pozioni- Nott.

 
 
- § -

 
 

 «Da quando cammini così velocemente?»
 «Da quando cerco di evitarvi»
 «Rose, rallenta un attimo, forza» esclamò Albus con il fiato corto e un tono lamentoso.
Rose intercettò un gruppo numeroso di studenti che occludeva il passaggio lungo il corridoio; si precipitò nella loro direzione e si immerse nella folla, sgattaiolando dall’altro lato mentre ancora il cugino protestava. La ragazza ignorò quella voce fredda, perentoria che ordinava ai passanti di defluire, minacciandoli con chissà quale incantesimo; scoprì qualche istante dopo che l’intervento ottenne il suo successo perché dei passi frettolosi ancora la seguivano.
  «Ti ha chiesto scusa» disse Albus alle sue spalle.
  «No, non l’ha fatto» tuonò lei, mantenendo il suo passo fiero e spedito.
L’esitazione colpì il cugino prima che osasse accennare un incerto «Lo farà».
  Una risata scettica e annoiata precedette una replica freddamente studiata «Non ci penso nemmeno» disse Malfoy.
Quella voce così glaciale e impassibile riuscì ancora una volta a far crollare ogni suo proposito. Rose arrestò la sua marcia frenetica e rimase immobile come pietrificata nel bel mezzo del corridoio, voltandosi all’istante. Il cugino che la seguiva di poco ebbe appena il tempo e l’agilità di scostarsi lateralmente senza fermarsi e rischiare così di finirle addosso: anni di Quidditch l’avevano reso esperto nell’affrontare quel genere di situazione.
  Malfoy, che allo stesso modo di Albus procedeva a passo spedito per seguire Rose, invece, non accennò a rallentare e continuò imperterrito nella direzione della ragazza, eretta e rigida come una statua. Rose lo fissava con uno sguardo di sfida, non lasciandosi intimidire dalla sua sfrontatezza e quando lui le fu ormai troppo vicino, solo per un breve istante fu tentata di alzare i palmi delle mani e fermare il suo busto; ma alla fine lasciò che lui le finisse addosso, come desiderava, e che i loro copri si scontrassero, che il seno di lei, ondeggiante nel suo ansimare, fosse percosso dal colpo del suo petto duro. Lui abbassò i suoi occhi vispi e divertiti su di lei e piegò le labbra prima in un mezzo sorriso ironico e poi in una smorfia sorpresa.
  «E così non mi chiederai scusa?» disse Rose.
  «Sai bene che non lo farò».
Lei lo guardava negli occhi senza perdere una sola sfaccettatura del loro verde e cercando di capire chi avesse davanti. Ripensò all’istante precedente in cui aveva lasciato che si toccassero e a quando lui non aveva esitato a ripararla con il proprio corpo durante l’esplosione.
  Davvero sapeva cosa avrebbe fatto Scorpius Malfoy in quel momento?
Ritornò con la mente a quando lui le aveva accarezzato i capelli e ne aveva inspirato il profumo con piacere e constatò che quel ragazzo non era mai stato così lontano dalla prevedibilità.
  «Mi hai ingannato, razza di schifoso» ringhiò Rose colpendolo al petto per allontanarlo da sé.
Malfoy la guardò scettico. «Di che stai parlando Weasley?» disse e poi sorrise in modo amabile e innocente e a Rose parve di vedere il diavolo in persona, mentre si immaginava il suo modo suadente di parlarle e di sfiorarle la mano.
  Lei non replicò e sbirciò nella direzione del cugino per capire quanto di quella conversazione stesse comprendendo. Albus intercettò il suo sguardo e improvvisamente arrossì; si allontanò da loro di qualche passo e iniziò ad ondeggiare sui piedi a disagio.
  «Per colpa tua sono in punizione» protestò Rose, alzando nuovamente il pugno per colpirlo, ma il polso questa volta venne prontamente bloccato da Malfoy. Con l’altra mano trattene anche l’altro polso di Rose, bloccando le sue braccia all’altezza della testa.
 «Hai finito di colpirmi?» disse Malfoy annoiato, evitando con destrezza un calcio della ragazza. «Se ti applicassi almeno un po’, capiresti che l’ho fatto per te».
  Albus intervenne con uno sbuffo imbarazzato. «Allora vi lascio fare la pace» disse incerto mentre le dita presero ad agitare frenetiche la sua chioma.
Dei passi risuonavano poderosi nel corridoio, avvertendoli che non sarebbero stati soli a lungo. Il professor Perkins voltò l’angolo, bloccandosi appena vide il trio.
  «Buon pomeriggio ragazzi» disse con un sorriso. Indossava abiti modesti, da babbano, con i suoi pantaloni neri e un gilet sulla camicia chiara. «Rose, sei pronta?» aggiunse.
La ragazza si liberò dalla stretta di Malfoy e guardò confusa l’insegnante. «Per cosa, professore?».
  «Per la punizione» disse. «Forza, andiamo».
Malfoy al suo fianco si irrigidì. Rose seguì i passi del professore sempre più spaesata e si voltò solo per incrociare lo sguardo sorpreso di Albus, mentre la pressione di quello tetro di Malfoy non la abbandonava.
  Rose concentrò ogni pensiero sull’eco profonda dei loro passi, mentre Isidore procedeva al suo fianco indossando un aria sicura e rilassata e, in qualche modo, rassicurante. Si guardava intorno con quello sguardo ancora spaesato e curioso, facilmente meravigliabile, sorridendo agli studenti, fermandosi per stringere la mano ai colleghi e salutando cordialmente i fantasmi, che mai avevano amato tanto un professore.
  Rose lo guardava di sottecchi, osservandone l’aspetto solare e chiedendosi se sentisse mai la mancanza di Penelope.
Isidore si immise nel corridoio più tranquillo, quello che conduceva ai bagni e alle aule studio.
  «Mi avevano parlato di te come di una studentessa modello» disse all’improvviso.
Rose rimase un attimo in silenzio, sorpresa nel sentire la sua voce, poi parlò, leggermente indispettita «Ci provo».
Isidore la guardò pensieroso «Collezionando punizioni?».
  «Le ho detto che non sono brava in pozioni» disse, scrollando le spalle.
  «Arrows, capisco».
Nuovamente il silenzio scese su di loro, ma questa volta sembrava meno soffocante e rumoroso. Piuttosto era una piacevole sospensione che sapeva di intimo. Isidore si arrestò davanti ad un arco profondo che ospitava nel suo alveo una piccola e dissestata porta in legno.
  «Eccoci qua» disse il professore. «Porgimi la tua bacchetta per favore» disse, mentre Rose a malincuore si separava dalla sua fedele amica. Provò la spiacevole sensazione di essere privata della sua mano destra. «Questa porta si sigillerà al tuo ingresso e si aprirà solo quando avrai terminato. In caso di emergenza puoi rivolgerti alla Civetta che troverai sullo stipite e che mi raggiungerà. Tutto chiaro?».
  Rose annuì rassegnata e fece per aprire la porta, ma Isidore la bloccò. «Questa sera potrai venire a ritirare la bacchetta nel mio studio» aggiunse guardandola per quella che parve un’eternità. «Avrai compagnia lì dentro, buon lavoro».
  Le linee accuratamente marcate sulla pietra si mossero solennemente e andarono ad incastonare la porta minuta, imprigionandola in quel vincolo inesorabile. Rose si guardò intorno nell’alta Sala dei Trofei, dove il soffitto vetrato era talmente profondo da far credere che quel fascio di luce paradisiaca provenisse direttamente dal cielo. Sotto quella distesa solare, Rose girò su stessa e si sentì avvolgere dall’immensa austerità, avvertendo la propria piccolezza all’interno della culla dell’orgoglio di Hogwarts. Il prestigio degli studenti che prima di lei avevano varcato la soglia della celebre scuola era rispettato e celebrato dalla magnificenza di quella stanza circolare e imponente, decorato da numerosi scaffali, traboccanti di trofei e onorificenze.
  «Rose».
La voce di suo cugino James Potter la riscosse dai propri pensieri e fu probabilmente la visione più celestiale cui ebbe l’onore di assistere da quando aveva messo piede nella Sala. Corse nella sua direzione e lo abbracciò con forza.
  «Perché sei qua?» domando James, senza ricambiare con la giusta enfasi l’affetto della cugina, piuttosto guardandola con rimprovero.
Rose lo liberò dalla propria stretta e incrociò le braccia sul petto in una risposta a quel tono di voce ingiustamente sospettoso, che tanto le ricordava la madre.
  «Perché desiderava passeggiare tra i polverosi Trofei di milioni di sconosciuti, per scoprire amaramente che i nostri antenati Serpeverde vi hanno fottuto la Coppa di Quidditch molte più volte di quanto non vi venga raccontato dalla McGranitt» dichiarò la voce frizzante,  perennemente inclinata da uno spirito squisitamente sarcastico, che ancora in famiglia si faceva fatica ad attribuire ad uno dei suoi genitori.
  Molly Weasley era poggiata allo stipite di un ampio arco e attraeva l’attenzione su di sé per quella corta chioma di ribelli ricci infuocati: un rosso Weasley che di autentico aveva ben poco, ma che, nella sua eccentricità, non aveva mai disonorato il rispettabile marchio di fabbrica. Si era guadagnata l’approvazione di tutti i suoi cugini - esclusi quelli con sangue Veela, ovviamente-  ma questo non le aveva risparmiato anni di persecuzione da parte dei perfetti e irreprensibili zii Percy e Audrey.
  «Molly» la salutò Rose, agitando la mano con lo stesso entusiasmo che avrebbe dimostrato un bambina in un Luna Park. «E’ bello vedere che su tre studenti puniti, tre appartengono alla nostra famiglia».
Molly ridacchiò, fiera di questa constatazione. Poi si voltò e si incamminò verso la stanza adiacente, superando l’arco a cui era appoggiata. «E’ di queste coppe che ti dovrai occupare» disse, indicando la più misera collezione di Trofei in argento che occupavano uno spazio ben più limitato rispetto alla stanza precedente.  «E’ il solito inganno della prima punizione. Non danno mai questa spiegazione ai novellini e li lasciano disperarsi tra  topi e      Trofei sbagliati; dopodiché loro sono davvero troppo spaventati per pensare di infrangere nuovamente le regole».
Nonostante i buoni propositi della cugina, la sua esperienza non aveva particolari effetti rassicuranti. Guardò la porta della Sala, ben sapendo che non si sarebbe mai aperta, chiedendosi a quel punto come avrebbe fatto a far entrare Albus e Malfoy.
  «La vostra punizione quando scade?» domandò Rose, studiando con vivo interesse le varie coppe esposte.
James si accasciò sul pavimento, rigettando indietro la testa e un ciuffo particolarmente insidioso, che in quel caso particolare, alla presenza delle due cugine, perdeva la propria efficacia seduttiva. Sbuffò una specie di protesta. «Tra un paio d’ore» rispose. «Importavo bevande non ammesse all’interno della Cattedrale».
  Rose corrugò le sopracciglia e sogghignò. «Alcool ad Hogwarts?»
James abbandonò la testa all’indietro con aria imbronciata e afferrò svogliatamente una coppa accanto alle sue gambe.
  «Da chi ti rifornisci?» chiese Rose.
Anche questa volta fu la prontezza di Molly ad intervenire. «Alec, il barista della Testa di Porco» rispose. «Non fa mai storie» aggiunse con un’alzata di spalle.
  «Un genio quel ragazzo, senza dubbio» disse James. «Ma non il miglior fornitore …».
  «Folletti e Salamandre» completarono all’unisono i due cugini. James le sorrise e Molly ricambiò con un occhiolino.
Rose decise di non indugiare troppo sui traffici illeciti di cui i due ragazzi sembravano essere esperti e concluse la propria affannosa ricerca afferrando una tondeggiante e bassa coppa non troppo annerita, che come esordio poteva anche essere incoraggiante.
  Si sedette accanto a James,  in un punto imprecisato di quel pavimento polveroso, che il cugino aveva considerato  consono all’impegnativa attività  cui era dedito; agitava abilmente la coppa longilinea, alla ricerca dell’angolazione perfetta in cui specchiarsi e quando ebbe finalmente individuato il proprio riflesso, sorrise soddisfatto dell’immagine che la coppa gli rimandava: sembrava felice di constatare che nemmeno la gravità della fatica potesse nuocere alla sua bellezza.
  Rose pensò che fosse il momento di distogliere James da quell’idilliaco scenario di vanità e ricercò il modo più brusco per farlo.  «Credo che sia il caso di rivolgerti ad un fornitore più scadente invece, considerando gli effetti devastanti dei tuoi alcolici»
James si riscosse dall’immagine del proprio volto disteso lungo la siluette argentata. «Di che parli, Rose?»
  «Di Eloise Stewart» rispose Molly.
James per poco non lasciò cadere l’oggetto che stringeva tra le mani e Rose considerò i propri deboli tentativi di sconvolgere il cugino, dinanzi alla più efficiente irruenza di Molly.
  «Ah».
Molly, poggiata contro il muro, si separò dalla parete e avanzo fino a sedersi di fronte al ragazzo.  «Questo è tutto ciò che hai da dire cuginetto?». James rispose con un sospiro e una smorfia infastidita, di chi intimava di non disturbare il drago che dorme. «Nessun risvolto interessante? Nessun epilogo di cui non siamo a conoscenza?» proseguì Molly, sollevando le sopracciglia.
  James rinnovò la propria irritazione sbuffando sonoramente. «Non è un evento così grandioso».
Rose lo osservò scuotere le spalle con naturalezza e piegare la bocca in un espressione indifferente. «Sei un idiota James» ringhiò indignata.
Molly annuì con solidarietà. «Una bella ragazza ti bacia davanti a tutta la scuola e per te non è un evento così grandioso?» disse in una risata amara. 
  «Si, sei un idiota». Puntò sul ragazzo di fronte a sé uno sguardo sicuro, ironico e combattivo, dimostrandosi per l’ennesima volta la sola capace di sfidare James Potter in una battaglia di testardaggine e di uscirne anche vincitrice.
James tentò di rinnovare la via della sfacciata indifferenza, ma desistette dinanzi allo sguardo furibondo della cugina minore e a quello insistente della coetanea. «Non posso dare ad Eloise quello che vuole,ok?» sbottò alla fine.
  «Perché no?» lo aggredì nuovamente Rose, resasi conto troppo tardi di quel tono lamentoso che rendeva la propria indignazione non troppo dissimile da una preghiera.
James la guardò, come spesso faceva, dalla sua superiore esperienza e scosse la testa. «Non funziona così».
  Molly ridacchiò sorpresa. «Non funziona così, nel senso che non ti piacciono le belle ragazze?» domandò «O le ragazze?».
James Potter questa volta non si considerò disposto a sopportare l’ironia della cugina. Si alzò di scatto, chiudendo le dita a pugni e abbandonandole lungo i fianchi, come faceva sin da bambino per imporsi sulla madre. Rose aveva sempre trovato curioso il bisogno di James di riprodurre con Molly lo stesso atteggiamento infantile con cui fronteggiava zia Ginny.
  «Se è tanto bella, perché non ci esci tu?» disse fra i denti. Il petto irrigidito ondeggiava senza il suo controllo.
Molly si ostinava nel suo sguardo beffardo, ma non rispose al cugino con la solita prontezza. Sembrò indugiare pensierosa e solo alla fine depose le armi e agito la pezza con cui lucidava i trofei, ma quella da bianca e illibata  era divenuta ormai logora e più che un segno di resa, assunse i toni comici dell’ennesima canzonatura. «Cercavo solo di offrire a Rose una prospettiva diversa».
  Rose abbozzò un leggero sorriso, ma provò nuovamente la sensazione di estraneità e di piccolezza, come se non riuscisse a comprendere i due cugini fino in fondo.
  «Non c’è nessuna prospettiva che possa mettere in dubbio la mia eterosessualità» sbottò James, più collerico che mai. «Ho solo un’altra storia».
Molly sospirò un sorriso incerto tra la sorpresa e il sollievo, mentre Rose strabuzzò gli occhi con meraviglia. Abbandonò definitivamente la coppa e si sollevò in piedi per meglio guardare James. «Cosa?» sbottò con voce troppo acuta. «Non mi hai detto niente».
  «Non devo raccontarti tutto Rosie».
  «E perché io invece devo?».
Lui la guardò in silenzio con occhi inteneriti, poi le agitò i capelli e le stampò un bacio sulla fronte come se fosse un’eloquente risposta. «Non ho intenzione di parlarne» disse per poi incamminarsi lontano da loro.
  «Dove pensi di andare?» domandò Rose.
Lui non pensò di fermarsi e le rispose porgendo solo le sue spalle, per poi scomparire dietro l’arco imponente. «Via da qui».
  «Non ci pensare nemmeno Ros» disse Molly, frenandola con il solo suo sguardo ammonitore.  Il portone di legno si aprì per far passare James e si richiuse alle sue spalle. «È una irregolarità bella e buona. Riceverà un’altra punizione e peggiorata».
Rose si guardò intorno, in quell’angusto spazio, accerchiata da un’armata di Trofei ammucchiati tra gli scaffali ed ebbe difficoltà ad immaginare una punizione peggiore. «Tu quanto tempo hai ancora?» chiese, tutt’ad un tratto preoccupata.
  La cugina maggiore non distolse lo sguardo da una macchia particolarmente insidiosa, ma sorrise e parlò. «Non ti lascio sola».
 
La civetta riposava serena sullo stipite della porta arcuata, individuata una accogliente insenatura tra l’infisso e l’angolo del soffitto. Improvvisamente, come ridestata prepotentemente da un sonno ristoratore, si alzò in volo e percorse la sala lungo tutta la sua circonferenza in una corsa irrequieta.
Nello stesso momento le pareti si distesero, le mattonelle in pietra si ritirarono e la porta si aprì sotto gli occhi meravigliati di Rose.
  «Tempo scaduto Rose» disse Molly in un forte sbadiglio. «Siamo libere».
Due sagome maschili passarono con rapidità davanti alla porta e scomparirono all’istante dalla loro vista. Con lo stesso scatto fulmineo Molly Weasley balzò in piedi, si stiracchiò accuratamente e anticipò Rose verso l’uscita. La ragazza pietrificata e incapace di pensare lucidamente non osava muoversi, controllando con timore i movimenti della pietra incantata.
  «Rose, ma che fai ancora lì?».
Ancora lì immobile, aprí la bocca alla ricerca di una risposta brillante. Vagò a tentoni cercando di ricordare cosa avesse stabilito con i ragazzi, ma poi ricordò di essere scappata furente senza dare a Malfoy il tempo di lasciarle delle direttive. «Ehm».
  «Aspetta me». Scorpius Malfoy comparve alle spalle di Molly nel suo silenzio spettrale. Adagiava le mani rilassate nelle tasche dei pantaloni e si guardava intorno con aria di sufficienza.
Molly studiò per un tempo eccessivamente lungo il ragazzo, sfiorando quasi l’indecenza. Poi si rivolse incerta verso la cugina. «E’ sicuro che posso lasciarvi soli?» disse, cercando di carpire dal volto di Rose un solo segnale che smentisse quanto aveva appena sentito.
  «È per una scommessa» aggiunse Rose, ora con più sicurezza.
Molly, che non sembrava affatto rasserenata, non escluse ancora la possibilità che il ragazzo stesse sequestrando la cugina.  Prima di abbandonare totalmente la scena si sentì in dovere di infonderle un po’ di saggezza. «Non mostrargli le coppe di Quidditch» disse in un sussurro, allontanandosi subito dopo.
  L’accenno di un sorriso divertito illuminava il volto affilato di Malfoy.  «Abbiamo vinto molte più coppe di voi, lo so benissimo».
  «Grazie per il chiarimento».
  «E’ sempre un piacere».
Malfoy la guardava con ostinazione puntandole contro uno sguardo indecifrabile, ma Rose era irremovibile nella sua fortezza di rabbia.
  «Sfoderate le bacchette?» disse Albus, emerso dal suo rifugio dietro la porta.
La sua comparsa tardiva, dopo che da soli ebbero evitato la curiosità sospettosa di Molly, non scalfì l’animo turbato di Rose, la sua ira nei confronti dell’amico del cugino, né addolcì il suo volto contratto in una smorfia imbronciata.
Albus inarcò le sopracciglia e cercò conforto in Malfoy «Ha scoperto dei trofei?»
  «Non sembra averla presa molto bene» annuì il ragazzo con sguardo rammaricato.
Rose inspirò a fondo alla ricerca di una pazienza che non le apparteneva. «Vi sembra il momento di fare gli idioti?».
Malfoy le si avvicinò e si piegò al suo orecchio, mentre gli occhi di Rose lo studiavano timorosi «Seguimi, ti faccio vedere come si vive in questa scuola».
  Quando i ragazzi ebbero superato la soglia, tutto si sigillò alle loro spalle. Che Malfoy si proponesse come Cicerone di quel grand tour di infrazioni era forse ciò che Rose meno gradiva di tutta la scomoda situazione, ma nel momento in cui lui con un agile balzo afferrò la mensola più alta e vi si aggrappò, il maglione della divisa, in perfetta aderenza con le leggi della fisica, rimase piegato e arrotolato, scoprendo tutto il suo torace. E in quel momento, mentre i muscoli dell’addome si contraevano per reggere lo sforzo sotto la sua pelle diafana, Rose rivalutò la negatività di quell’idea, quella fulminea e impetuosa idea di coinvolgere Malfoy nei suoi problemi.
  E come se il cugino avesse seguito un corso accelerato di legilimens, affermò «Un giorno mi sarà lecito di sapere perché hai raccontato tutto a Scorpius?».
Con un ultimo sforzo che richiese anche una dimostrazione di validità da parte delle sue braccia, Malfoy atterrò sul davanzale di una delle tante finestre e con un colpo di bacchetta sollevò il vetro. «Non essere geloso Potter» disse da quell’altezza, mentre tendeva una mano all’esile Albus, più leggero e meno resistente dell’amico.
  Con non poca fatica raggiunse anche lui l’appoggio in altura e rimase seduto, immobile e al sicuro aspettando Rose. A quel punto Malfoy ci pensò solo pochi istanti, troppo brevi perché Rose si accorgesse della titubanza, poi protese una mano verso il basso, verso la ragazza che si guardava intorno alla ricerca di una alternativa. Rose non si curò nemmeno di rifiutare quel misero aiuto, che faticosamente il ragazzo sembrava concederle, dall’espressione contrita con cui rispondeva alla di lei indifferenza. Non guardò nemmeno il suo braccio mentre le intimava di non fare storie e rimase ferma,  le braccia incrociate con ostinazione.
  «È bello vedere che alcune cose non sono cambiate» disse Albus, mentre distendeva le sue braccia per afferrare quelle della cugina.
Malfoy non dimostrò reazioni e con molta meno galanteria di prima scanso i due ragazzi e attraversò il varco creato nella finestra. Atterrò nella piccola stanza buia del custode che illuminò con un vigoroso “lumus”.
  Lo studio del custode era un luogo angustio, soffocante in quell’aria polverosa e cocente e solo una piccola finestra permetteva l’affaccio sul giardino del cortile interno, ma era un ristoro misero a quell’atmosfera narcotica. Albus aprì le ante dell’unico armadio che occupava la stanza, ma che si estendeva lungo tre pareti: con un gesto più poderoso da parte di Albus l’anta scorrevole si aprì completamente, lasciando scoperte pile immense di cartelline di cuoio antico.
  «Quest’ala appartiene ai professori, le altre due agli studenti» spiegò Malfoy, poi si rivolse a Rose con più enfasi «Pronta?». Era una domanda scettica, condita con un velo di provocazione.
Rose poggiò le dita timorose sul cuoio invecchiato, aspettando che qualche segnale le ricordasse di non stare facendo la cosa giusta. Poi, quando si accertò che non ci sarebbero stati ostacoli tra lei e la verità, si lasciò inebriare da quell’odore intenso di nonno Arthur e sfilò con gli occhi alla ricerca di Perkins. Era una ricerca difficile ed estremamente noiosa. I ragazzi cominciarono a sfilare cartelle e fogli di pergamena, accasciandosi sul pavimento, stanchi e con le braccia traboccanti di documenti.
  Rose si concesse una tregua e si allontanò dall’ala degli insegnanti, vinta dalla curiosità di cercare notizie sulla propria famiglia, ma la scritta Nott catturò il suo sguardo, come se gli occhi non avessero aspettato altro che poggiarsi su di essa; dopo aver superato diverse generazioni adocchiò l’unico Nott del quale le importasse davvero. Con avidità afferrò quella cartella, sciolse il nodo che la imprigionava e ne assaporò i contenuti.
  Vincent Nott proveniva da una delle più altolocate famiglie Purosangue, una casata presente nel Mondo Magico da quando questo conobbe le sue prime forme di civilizzazione. La discendenza illustre che al tempo presente ancora faceva parlare di sé portava i segni di una prestigiosa eredità. Vincent Nott era un ragazzo brillante e da quanto mostrava la sua foto, anche incredibilmente bello.
Troppo bello perché sia vero.
  Accanto al suo nome erano riportati quelli dei suoi genitori, Adam e Alyssia Nott. Rose ripose la cartella del ragazzo ed estrasse quelle adiacenti per imbattersi in una Alyssia elegante ma ordinaria, nulla a che vedere con la bellezza del figlio. Era dal padre che Rose scorse tracce di quel fascino: Adam Nott,con i suoi capelli chiari e con gli stessi occhi freddi del figlio. Un volto difficile da dimenticare.
  Un colpo di tosse prodotto con una molesta insistenza la riportò alla realtà. «Quella non mi sembra la sezione insegnanti» pronunciò la voce atona di Malfoy.
  «Rose stai frugando nella cartella di Nott». L’espressione di Albus era chiara su quanto lui fosse esasperato. «Ti dispiacerebbe darci una mano?»
Rose chiuse di scatto la scheda e la rimise al proprio posto, non prima di aver scrutato per un ultima volta il viso di Adam Nott «Trovato qualcosa?» chiese.
  «A quanto pare no» sbuffò Malfoy, sollevandosi sulle braccia con una incredibile flemma.
  «Si è diplomato con ottimi voti, ha avuto altre esperienze lavorative come assistente e questo è il suo primo anno da insegnante effettivo» spiegò Albus con una alzata di spalle. «Nulla di più».
  Rose soffiò una risata soddisfatta. «Ci stiamo concentrando sulla persona sbagliata» disse e guardò Malfoy con l’aria di chi già assapora il piacere della vittoria.
  «Invece tu su Nott che cosa hai trovato di interessante?»
Rose lo guardò titubante e ammise seccata «Che ha un padre davvero sexy».
  «Oh, davvero utile» commentò il ragazzo. Si concesse di appoggiarsi contro il tavolo che signoreggiava al centro dell’armadio a ferro di cavallo e si passò una mano sul volto, per poi accarezzare il mento e stuzzicare la rada barba. «Non posso nemmeno immaginare quanto sia deterrente per te questa competizione con Vincent».
  Rose ridusse i suoi occhi a due fessure e si premurò di incenerirlo con la sola forza dei suoi pensieri. «Non potrà mai essere più frustrante di quella che vivi quotidianamente con Perkins».
  La sola risposta che il ragazzo ebbe il tempo di produrre fu un latrato basso appena soffiato tra i denti che si irrigidivano, scontrandosi tra di loro in una serrata forma di protesta. Albus Potter al culmine dell’entusiasmo aveva battuto il pugno destro sul palmo dell’altra mano e si era voltato versi i ragazzi sbandierando in aria una delle tante cartelle malandate , con una tale enfasi che Rose pensò a quanto dovesse sembrare più misera a confronto la stessa immagine del cugino con in mano la Coppa di Quidditch.
  «Isidore Davis».
Fu ciò che disse Albus ed era il nome riportato in oro sottile sulla cartella. Rose non si accorse di essersi precipitata verso il cugino, come una foglia leggera trascinata da una folata di vento o una scarica elettrica che si irradia ad una velocità impercettibile. Tutto ciò che la mente in quel momento registrò fu che Isidore Davis era il cadetto di una celebre famiglia Purosangue, la cui fama evidentemente doveva essersi dissolta con il tempo; ad Hogwarts non brillava per astuzia, almeno non in quelle attività che non prevedevano una certa attinenza per i guai.
  «Nulla a che vedere con l’uomo brillante che è adesso» commentò Rose delusa.
Come da previsione la risata scettica di Malfoy non tardò ad arrivare. «Patetica» farfugliò a voce alta e ben udibile.
  Un rumore dal corridoio li fece trasalire. Malfoy istintivamente portò la mano alla tasca dei pantaloni dove custodiva la bacchetta. «Non abbiamo più tempo».
Albus ripose in fretta gli ultimi schedari, mentre Malfoy si accostò alla porta dell’ufficio. Fissò con più forza la serratura attorno alla maniglia e creò con la bacchetta una voragine lungo la superficie legnosa che gli permettesse di osservare e ascoltare ciò che proveniva dall’esterno: nessun suono accompagnò il precedente. Con un cenno della testa intimò Rose di rischiarare la loro vista; la ragazza tastò più volte le tasche della gonna alla ricerca della bacchetta.
  «Dove diavolo l’hai messa?» esclamò Malfoy con una punta di panico nella voce.
Lo stesso panico che stava divorando la ragazza in quel momento, fino a che non ricordò. «Perkins» mormorò.
  «Come hai detto?».
  «Ma certo, Perkins» intervenne Albus al culmine della gioia, abbandonandosi ad un’ esclamazione di giubilo con un tono di voce che fece non poco trasalire i due ragazzi.
Rose si passò una mano sulla fronte, avvertendo tutta la frustrazione che deriva dalla consapevolezza di essere totalmente inerme. «Ho dato la bacchetta a Perkins».
  Malfoy la guardò profondamente infastidito da tale rivelazione «Perché lo avresti fatto?».
  «Non sei tu l’esperto delle punizioni?».
  «Weasley!». Malfoy si irrigidì e la guardò serio «Avrebbe dovuto farlo Gazza» disse.
  «Trovato!».
Quell’ ultima esclamazione da parte di Albus non passò inosservata e i rumori dal corridoio tornarono a manifestarsi, mentre l’inconfondibile eco dei passi risuonava sempre più nitida.
  Albus con un colpo secco trascinò l’anta, che proseguì il cammino autonomamente, ripercorrendo le tre ali del ferro di cavallo. I ragazzi aprirono la porta con esitazione, poi la spalancarono e si precipitarono fuori dall’ufficio, quando i passi sembravano essersi arrestati. Tuttavia il buio pesto infestava il corridoio deserto e le ombre degli arazzi e delle statue si allungavano ai loro piedi come se li rincorressero. Lasciarono alle loro spalle la porta ormai chiusa, i disegni sul pavimento simili a spettri e una strana sensazione di non essere più soli.
  Avevano bisogno di luce e di aria fresca, salubre che scacciasse via ogni ricordo di quella asfissiante dell’angusta stanza. Raggiunsero il piccolo cortile interno, ma la notte scarna di stelle era solo un lugubre manto grigiastro che premeva sulle loro teste, nutrendo il respiro affannoso che li scuoteva.
  «Cosa stavi cercando Albus?» chiese Rose, poggiandosi con le spalle alla colonna di pietra, per riprendere forza.
  «Qualcuno che al tempo di Hogworts avesse portato il cognome “Perkins”».
  «E cosa hai trovato?».
Albus, piegato sulle ginocchia dal fiato mozzato, si drizzò e guardò la cugina scossa dalla corsa estenuante, le punte dei capelli mogano mossi al vento, mentre alcune ciocche le ricadevano sulle tempie bagnate. Con gli occhi blu come la notte più tormentata lo scrutava avida e spaventata. Lui ricambiò il suo sguardo, cercando di assorbirlo nel proprio e pronunciò due semplici parole: «Penelope Perkins».






Urone
Il potere di cambiare il mondo a dispetto di un destino avverso. 







 
  
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